Verso le 7,40 del 29 luglio 1941 il caposquadra delle Ferrovie Calabro-Lucane Eugenio Sganga ed i cantonieri Gabriele Nicoletti e Leonardo Catalano stanno camminando lungo la linea ferrata per andare a cominciare il proprio turno di lavoro presso la stazione di Rovito. Imboccano il ponte “Pinto”, compreso tra due gallerie, chiacchierando del più e del meno quando Sganga nota sul marciapiede lato valle, più o meno all’altezza della terza arcata del ponte, una larga macchia rosso scuro che si protrae sul bordo del marciapiede, lasciando comprendere che qualcosa ha gocciolato nel burrone sottostante. Sembra sangue. Insospettito, Sganga si affaccia nel sottostante burrone e vede il corpo di una donna steso per terra.
– Guardate anche voi, sembra morta… scendete a dare un’occhiata, presto! – dice ai due cantonieri che corrono immediatamente.
Vicino al pilastro, a circa sette o otto metri più in basso verso il corso d’acqua, c’è il cadavere di una donna dell’apparente età di una quarantina di anni, con un’ampia lesione nella testa, che poggia su di una tavola.
– È morta! – urla Catalano.
– La conoscete? – chiede Sganga.
– No…
– Restate lì e non fate avvicinare nessuno, io vado a telefonare ai Carabinieri.
Il Vicebrigadiere Matteo Rosa arriva sul posto, constata la macchia di sangue e rinviene un pezzo di manico di scure in mezzo alle rotaie, poi scende sotto il ponte e trova alcuni oggetti e cioè un sacco bianco con righe rosse legato con una corda, poche piante di ceci secche, una scure col manico rotto ed una scarpa nera di gomma. Più in là il cadavere della donna, nel frattempo identificata per la quarantacinquenne Giuseppina – Peppinella – Falbo, donna di facili costumi. Dai curiosi presenti apprende che Peppinella, regolarmente maritata con Fedele Caruso, dopo alcuni anni di matrimonio tradì il marito diventando l’amante di certo Antonio Mazzei. Dall’unione col marito nacque una figlia, in atto residente a Torino, e dalla relazione coll’amante nacque un figlio, che ora ha 15 anni. Il marito, vistosi tradito, abbandonò la moglie trasferendosi a Torino (in atto trovasi in carcere a Torino per un reato commesso nel 1940). L’amante dopo pochi anni morì lasciando alla Falbo una modesta casetta di abitazione. Peppinella, pur non mostrandosi sfacciata, spesso concedeva i suoi favori e da un anno era diventata, notoriamente, l’amante di certo Luigi De Santis, ma la moglie di quest’ultimo si accorse della tresca e fece di tutto per fargli troncare la relazione, a costo anche di essere bastonata, e sembra che sia riuscita nel suo intento perché della tresca tra Luigi e Peppinella la gente non parla più.
Il Vicebrigadiere riesce a ricostruire gli ultimi movimenti della povera Peppinella, che quella mattina sarebbe dovuta andare al fiume per fare il bucato del signor Alfredo Morrone e questa circostanza è confermata dal ritrovamento in casa della defunta del cesto contenente la biancheria sporca. A questo punto Rosa ipotizza che Peppinella abbia dato appuntamento amoroso a qualche giovane in qualche campagna, dove si sarebbe recata nelle ore inoltrate della notte e, per cause ancora avvolte nel mistero, sarà stata uccisa. Dove? Ancora non è possibile stabilirlo, ma sembra chiaro che il corpo è stato trasportato sotto il ponte dall’assassino per simulare un suicidio. Assassino? Secondo il Vicebrigadiere è più logico parlare di assassini, almeno due, i quali sono transitati dal casello ferroviario sito a circa 250 metri dal ponte, hanno seguito la via parallela alla galleria e, attraversatala, hanno divelto la tavola trovata sulla testa della vittima dalla piattaforma di una pompa aspirante, situata nei pressi del casello suddetto. Gli assassini, depositato il macabro involto sul ciglio del ponte, lo fecero ruzzolare nel sottostante burrone, preoccupandosi, prima di lasciarlo, di adagiarlo supino, coprendo la ferita colla tavola che sarà loro servita per facilitare il trasporto.
Ma sta scherzando? Coma fa ad affermare che il corpo è stato trascinato lungo il marciapiede del ponte? E come è possibile che il corpo della povera Peppinella, precipitando nel vuoto per venti metri e poi schiantarsi a terra, è praticamente intatto?
Rosa è portato a fare le sue considerazioni basandosi su due elementi: innanzi tutto sul cemento del marciapiede ci sono i segni dello sfregamento di un paio di scarpe chiodate, segni che lasciano pensare allo sforzo fatto da qualcuno per trascinare il corpo di Peppinella. Poi, se il cadavere non si è frantumato nella caduta, si deve alla mollezza del terreno sul quale è andato a sbattere. Tutto logico, ma a stabilire se ha ragione sarà la perizia, assolutamente necessaria.
Durante le indagini, a Rosa balenano dei sospetti sul conto di Luigi De Santis, che viene sottoposto a fermo alle ore 15 del 30 luglio.
– Circa un anno fa, avendo io bisogno di una donna per aiutare mia moglie, chiamai Peppinella. Costei stette per qualche tempo a lavorare nel mio terreno e in tale periodo, siccome era una donna di facili costumi, io la possedetti facilmente due o tre volte. Mia moglie però se ne accorse e allora la mandò via, per cui fu rotta ogni relazione tra di noi – racconta Luigi De Santis. Ma poiché a suo carico non emergono elementi di colpevolezza, il primo agosto viene rilasciato.
– Mia madre non aveva nemici in paese – dice il figlio della vittima – solo si era bisticciata con la moglie di De Santis perché costei per certi lavori di cucito si era rivolta ad altri, diversamente dal solito. Solo adesso ho saputo che la moglie di De Santis le attribuiva di essere l’amante del marito, tanto che aveva più volte ingiuriato mia madre, la quale per tal fatto voleva sporgere querela contro di lei…
– Non è vero che tra Peppinella e mia moglie vi siano stati dei diverbi o degli scambi di parole, né che la Falbo abbia tentato di darle querela perché le due non si parlavano più – chiarisce Luigi De Santis.
Le indagini sono ad un punto morto, nonostante il risultato dell’autopsia dia sostanzialmente ragione alle ipotesi formulate dal Vicebrigadiere Rosa: le numerose escoriazioni su tutta la parte dorsale del corpo, sulle braccia, sui dorsi delle mani, sulle gambe, sono state prodotte da trascinamento post mortem. Peppinella è morta quasi istantaneamente per la commozione cerebrale dovuta ai colpi infertile sulla testa, che le hanno fratturato la base del naso, delle arcate orbitali e dell’osso occipitale sinistro. Il perito, dallo stato del cibo trovato nello stomaco, colloca la morte circa quattro ore dopo aver consumato la cena, comunque non oltre la mezzanotte del 28 luglio. Nessun sospettato, nessun indizio, nessun movente, niente di niente. Solo la figlia di Peppinella, rientrata a Rovito dopo la partenza per il fronte di suo marito, ha una ferrea convinzione sul colpevole:
– Quando io rientrai a Rovito, Antonietta Morrone mi disse: “Non piangere perché tua madre s’è meritata la morte”. Con ciò voleva dire che a causa della relazione carnale tra mia madre e Luigi de Santis, la moglie di costui si augurava la morte della mia mamma…
– Volete dire che la moglie di De Santis… avete le prove?
– No, prove non ne ho, ma posso dirvi che due anni fa, quando ancora io non ero partita per Torino e stavo con mia madre, De Santis veniva spesso nella notte a bussare alla finestra della stanza dove dormivo con mia madre. Mia madre si alzava, si vestiva e usciva. Mi chiudeva dentro con la chiave e poi tornava a casa la mattina all’alba, portando con sé generi alimentari come patate, verdura e fagioli. Qualche volta mia madre mi mandava a trovare De Santis in campagna e questi mi consegnava derrate di campagna per portarle a mia madre. Io capivo che queste cose De santis le mandava a mia madre senza che sua moglie ne sapesse nulla. Una volta, dopo il segnale alla finestra, mia madre uscì e poiché la mattina alla solita ora non si era ancora ritirata, io andai da mia nonna. Mia madre tornò verso le dieci e, avendo trovato la porta chiusa, lasciò sulla soglia un paniere con due forme di cacio. Più tardi mi disse che la suocera di De Santis aveva visto il paniere col formaggio e l’aveva rimproverata di essere andata con suo genero. Aggiunse che la vecchia si era insospettita del genero, ma che il sospetto che lei se la intendesse con De Santis non era vero. Io fingevo di non accorgermi di nulla, ma capivo che quelle cose le venivano fornite da De Santis. Non dissi mai nulla perché in quell’epoca ero fidanzata e avevo vergogna di far sapere la vita che menava mia madre.
– Non è che quelle cose vostra madre e De Santis andavano insieme a rubarle? – insinua il Pretore dopo aver ricevuto questa confidenza dall’Arciprete del paese.
– In coscienza non posso dirlo, ma so che la chiamava per altre ragioni che voi capite… essendoci io in casa, mia madre non si permetteva di riceverlo di notte in casa… comunque io sto parlando di fatti di due anni or sono… poi non so quali relazioni siano intercorse tra De Santis e mia madre…
– E quindi?
– Ho fondato sospetto che De Santis avesse soppresso mia madre in quel modo barbaro, forse in accordo con la moglie, la quale si è accorta che io ho questo sospetto e mi ha detto che è un sospetto infondato con queste precise parole: “Levati questo pensiero perché io non avevo nessuno che mi potesse difendere perché mio fratello è in America…”. io le risposi che aveva il marito per difenderla…
– Ma che voleva dire con quelle parole?
– Voleva significare che non pensava al delitto di mia madre perché non aveva a chi affidare la esecuzione del delitto e perciò io risposi che aveva il marito…
Roba insignificante. L’11 marzo 1942 il Giudice Istruttore, poiché dalla compiuta istruzione non sono emersi elementi di colpevolezza a carico di chicchessia, né possono esser presi in alcuna considerazione i tenui sospetti della figlia della vittima perché non basati su serie circostanze di fatto, né su qualche elemento di prova, sia pure indiziario, dichiara non doversi procedere per essere rimasti ignoti gli autori.[1]
La domanda è: cosa ci faceva Peppinella di notte su quel ponte della ferrovia con in mano sei mazzetti di ceci e un sacco vuoto?
[1] ASCS, Processi definiti in istruttoria.
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