IL MALVAGIO IMPERIO SULLA SUA DONNA

Il macellaio Cesare Vidiri da Belvedere Marittimo – sinistra figura di delinquente ben noto in tutto il paese per il suo carattere subdolo e malvagio, congiunto a un temperamento iracondo e brutale (si dice financo ch’egli, dopo il decesso del padre, deluso pel trattamento fattogli col testamento, ne avesse schiaffeggiato il cadavere) rendeva vittima di queste sue perverse tendenze la sua giovane moglie Rosa Barone, alla quale non risparmiava i più ingiusti e crudeli maltrattamenti, un po’ perché, avendo molti vizi e poca volontà di lavorare, era inasprito per le sue misere condizioni finanziarie che la povera moglie cercava di alleviare coi sussidi in generi alimentari che di continuo le venivano generosamente dati dai suoi vecchi genitori e dalle sue sorelle benestanti, ed un po’ per un sordo rancore che egli nutriva contro della moglie da quando, per le chiacchiere maligne di una sorella di lui, Michelina, era corsa voce in paese che, mentre egli si trovava in carcere, la moglie avrebbe civettato con certo Daniele Fera, loro vicino di casa. Queste malignazioni della sorella avevano anzi dato luogo anche ad una querela di diffamazione contro costui, sporta dal Fera il quale, poi, in corso di dibattimento ritenne opportuno di abbandonarla.
Cesare, però, non perde occasione per ripetere ai quattro venti che non crede alla serietà delle dicerie e che non ha mai dubitato dell’onestà di Rosa, da tutti additata come donna di specchiati costumi, amatissima delle sue cinque tenere creature ed anche affezionata al marito, nonostante le continue sevizie di costui. Ma la verità è che dopo le dicerie diventa ossessivamente geloso, forse animato da falso amor proprio o forse da libidine di malvagio imperio sulla sua donna, non riuscendo, nonostante le parole sbandierate, a nascondere del tutto la gelosia e il suo cupo rancore per quella pretesa onta fatta al suo nome. Così comincia non solo a incrudelire ancora di più contro la moglie, ma anche a spiarne i movimenti, piombando all’improvviso nei posti dove sospetta che Rosa incontri Fera. Ma anche Michelina spia Rosa, altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui consiglia alla cognata di togliere il saluto a Fera, ma nessuno capisce bene il perché di questo comportamento: lo fa perché Rosa le è antipatica o lo fa per avvelenare l’animo di suo fratello che in cuor suo odia per ragioni di interesse? Forse è per la seconda ragione, visto che in una selvaggia rissa tra suo marito e suo fratello, questi con un morso strappò buona parte del naso al marito, sfregiandolo orrendamente.
La vita coniugale per Rosa diventa un vero incubo: Cesare, per ogni inezia le infligge crudeli percosse a sangue, come il 13 dicembre 1933 quando la colpì brutalmente al viso con una scarpa, ferendola seriamente. Non basta. La minaccia di morte con frasi del tipo “Un giorno o l’altro ti scanno e appendo i polmoni e il fegato al balcone”, oppure “in tutto sono 12 o 13 anni di carcere e poi uscirò a libertà…”. E quando le cose arrivano a questo punto, Rosa è costretta più volte a scappare di casa per sottrarsi all’ira del marito.
Rosa è ormai convinta che la sua vita non durerà a lungo e lo dice ai suoi congiunti: “un giorno o l’altro mi ammazzerà e mi getterà in fondo al mare”. Nei momenti di maggiore sconforto chiede al figlio maggiore, 9 anni, cosa avrebbero fatto egli e i suoi fratellini qualora il padre, in un momento d’ira, l’avesse uccisa, al che il bambino le rispose che avrebbero trovato rifugio presso i nonni. E Cesare diventa crudele anche nei confronti dei propri figli tanto da lasciarli digiuni per comprarsi il tabacco.
All’imbrunire del 15 febbraio 1934, Rosa, dopo aver lavorato col marito in un pezzo di terra che costui possiede presso il lido del mare e che dista 500 metri dalla loro casa, torna in paese e, postasi sul pianerottolo della casa, dà il seno alla sua ultima creatura di 4 mesi. Il marito è in casa, poi esce e va a trovare la sorella che abita accanto a loro. Ci resta un’oretta, quindi rincasa e consuma in perfetta calma colla moglie e i figli la parca cena, andando poscia a letto verso le 8 della sera.
Sono le 5,00 del 16 febbraio. Oreste Vivona sente bussare alla porta di casa, che è parte della casa in cui abitano Cesare, Rosa e i loro figli
– Mi sono svegliato poco fa e Rosa non è in casa… i vestiti sono sulla sedia, i suoi due anellini li ha lasciati sulla mia colonnina… per favore vieni con me a cercarla, temo che è andata a buttarsi in qualche timpa
– Ma… è notte…
– Ti prego, andiamo a cercarla a mare…
La cercano per ore, sia sulla spiaggia che in altri posti ma non la trovano e tornano in paese. Qui Cesare incontra i familiari di Rosa che, avvisati della sparizione, stanno andando a casa della figlia
– L’hai ammazzata… lo so che l’hai ammazzata e hai nascosto il cadavere – lo accusa sua suocera
– No! È scappata, è uscita con la sottana e ha lasciato i suoi anellini… lo sapete che significa quando una donna lascia gli anelli al marito… significa che lo ha lasciato…
– Se fosse scappata sarebbe venuta da noi come le altre volte – il tono della suocera è tagliente come un rasoio, ma Cesare continua a negare tutto e alla fine convince i suoceri ad andare dai Carabinieri per denunciare la scomparsa di Rosa
Ma il sagace comandante di quella stazione, ben conoscendo i foschi precedenti del Vidiri e, soprattutto, la perversa condotta ch’egli aveva sempre tenuto nei confronti della moglie, ritiene di dover prendere in seria considerazione quella improvvisa scomparsa della donna e organizza squadre di ricerca per un largo raggio intorno al paese perlustrando pozzi, ponti e dirupi. La cercano anche in mare con le barche dei pescatori. Ma Rosa non si trova in nessun posto. Il Maresciallo è sempre dubbioso e si fa ripetere mille volte il racconto di Cesare, che è sempre lo stesso, per cercare di trovare qualche contraddizione
Sono ritornato dalla campagna sull’imbrunire. Dopo aver cenato con mia moglie e i miei figli in perfetta calma, andammo a letto. Verso le 23,00 io e mia moglie ci siamo svegliati al pianto del bambino lattante e ci siamo messi a chiacchierare amichevolmente fino alle ore due della notte. Io ripresi sonno e, svegliatomi ancora verso le ore 3 perché il bambino aveva ripreso a piangere, non trovai più al mio fianco mia moglie. Ho svegliato il più grandicello per domandargli dove fosse andata la madre e, avendomi risposto di nulla saperne, mi alzai per farne ricerca nella cucina ed in un vano sottostante, nonché in casa di mia sorella e, non avendola trovata, ritornai a casa e mi accorsi che sul mio comodino vi erano i due anelli. Impensierito, ingiunsi a mio figlio di alzarsi e badare al fratellino e andai a casa di Vivona, potevano essere le 4,00
Niente da fare, sembra tutto preciso ma al Maresciallo qualcosa continua a non quadrare, perciò decide di trattenerlo, sperando che la camera di sicurezza gli porti consiglio, come quasi sempre accade.
 La casa dei Vidiri è in ordine, nessun indizio di una eventuale colluttazione, soltanto su qualche straccio, su di una cassa e sullo sparato di una camicia di Cesare alcune macchie di sangue (si accerterà che si tratta di sangue di maiale). Gli oggetti vengono sequestrati per farli analizzare e i sospetti del Maresciallo aumentano.
– Mamma e papà hanno litigato?
– No, abbiamo mangiato insieme in pace e poi siamo andati a dormire e poi papà mi ha svegliato perché mamma non c’era – racconta il bambino
Nessuno dei vicini ha sentito urla o rumori sospetti, contrariamente a quanto avveniva di solito. Tutto porta ad un allontanamento volontario, ma il Maresciallo si ostina a non credere a questa ipotesi. Interroga di nuovo il vicino di casa Oreste Vivona. Vuole che gli ripeta esattamente ciò che si sono detti lui e Cesare e Vivona ripete
– Ha bussato dopo le 5,00. Forse le 5,30
– Non erano le 4,00?
– No, certamente no. Ma adesso ricordo un particolare che prima mi era sfuggito. Prima di andare a cercare Rosa, Marianna, la sorella di Cesare gli consigliò di farsi accompagnare da due testimoni e non da me solo perché altrimenti sarebbe stato incolpato di avere ammazzato sua moglie
Marianna nega e nega anche la visita di suo fratello nella notte della scomparsa. Il Maresciallo, trovando sospetta la condotta della Michelina Vidiri, quella di suo marito e degli altri vicini di casa in quanto non sembra verosimile ch’essi ignorino le cause immediate della scomparsa di Rosa Barone, li arresta tutti per favoreggiamento e, per evitare di dover scarcerare Cesare, lo dichiara in arresto per maltrattamenti in danno della moglie.
In questa situazione di totale incertezza sulla sorte di Rosa Barone passano quindici giorni, poi i Carabinieri vengono avvisati che sulla spiaggia di Diamante è stato trovato il cadavere di una donna in avanzato stato di decomposizione. Lo spettacolo è orrendo: il cadavere, completamente ignudo, presenta vistose macerazioni, specialmente al viso in cui mancano gli occhi e tutti i tessuti molli, tanto che è visibile soltanto il sottostante scheletro facciale con i due mascellari dai quali mancano pressoché tutti i denti. Quest’ultimo particolare fa dubitare che si tratti di Rosa che ha i denti sanissimi e forti. Ma ci sono altri particolari che, al contrario, convincono tutti che si tratti proprio di Rosa: i capelli ricci e neri, la statura e la mutilazione del dito mignolo del piede sinistro.
L’autopsia stabilisce con certezza che nei polmoni, nello stomaco e nell’intestino non c’è acqua e questo vuol dire che Rosa non è morta per annegamento ma per soffocamento mediante violenta compressione ed occlusione delle vie respiratorie. Rosa è stata, con assoluta certezza, buttata a mare dopo morta e quindi viene categoricamente esclusa la possibilità che si sia suicidata o che sia morta per qualsiasi altra causa di natura accidentale. Rosa è stata ammazzata.
Ovviamente i sospetti si concentrano su suo marito che, altrettanto ovviamente, nega tutto, perfino di essere stato geloso
Non posso dire se si sia suicidata o sia stata uccisa, mia moglie era una donna sana e tranquilla che mai ha sofferto di malattie interessanti il sistema nervoso, né mai aveva manifestato idee suicide
 Gli inquirenti sanno che se non si trova qualcosa di veramente serio, nessuna giuria emetterà una sentenza di condanna per uxoricidio. Al massimo lo condanneranno per i maltrattamenti che sono ampiamente provati.
Poi qualcosa che potrebbe rappresentare la svolta. Giuseppe Ritondale e Alfredo Pieri, detenuti nel carcere di Belvedere, chiedono di essere ascoltati dal Magistrato perché dicono di avere delle notizie sulla morte di Rosa Barone. Così raccontano che verso la mezzanotte del 15 febbraio stavano conversando con gli altri due compagni di cella, quando dalle finestre della loro camerata che guardano verso il mare, sentirono distintamente le grida angosciose di una donna, dapprima alte e sonore e poi, progressivamente, più fievoli e roche, come di persona che venisse soffocata, provenire da un punto distante dal carcere circa 400 metri e precisamente da una località vicino al lido del mare ove si trova un fondo appartenente a Cesare Vidiri. Ritondale aggiunge che nel momento in cui sentì le grida, ebbe la precisa sensazione che si trattasse di un delitto che veniva consumato, tanto che l’indomani mattina egli e i suoi compagni raccontarono il fatto al custode del carcere il quale si recò subito in paese per informarsi se era successa qualche novità, portando poco dopo la notizia della sparizione durante la notte della moglie di Vidiri. Nessuno, però, pensò di avvisare subito i Carabinieri di quella circostanza, ma solo dopo che ebbero la notizia del ritrovamento dei resti di Rosa.
Adesso non ci sono più dubbi per gli inquirenti, che chiedono al Giudice Istruttore di chiudere le indagini e rinviare l’imputato a giudizio con l’accusa di uxoricidio premeditato con sevizie e di maltrattamenti, un’accusa da ergastolo. Ci sono altre dieci persone in carcere accusate di favoreggiamento ma adesso si capisce che non c’entrano niente e se ne chiede il proscioglimento. Il 17 agosto 1934, il Giudice Istruttore accoglie le richieste.
Cesare Vidiri continua a proclamarsi innocente anche durante il dibattimento e i suoi difensori insistono molto, nonostante i risultati dell’autopsia, sulla tesi del suicidio con questo ragionamento: Rosa si butta a mare per suicidarsi ma l’acqua gelida le provoca una sincope cardiaca riflessa e muore istantaneamente, prima di annegare. Questo è il motivo per cui non c’è acqua nei polmoni, nello stomaco e nell’intestino. I periti del Pubblico Ministero smontano questa tesi sostenendo che è, si, possibile che si possa morire per sincope cardiaca riflessa, ma questa possibilità non può verificarsi senza un vizio cardiaco congenito o acquisito, la cui esistenza è sempre accertabile all’atto dell’autopsia e l’autopsia, al contrario, ha stabilito che Rosa Barone aveva un cuore perfettamente sano e normale.
Ma poi, sostiene il Pubblico Ministero, perché Rosa avrebbe dovuto suicidarsi? Era una donna onesta e tranquilla, laboriosa, amatissima dei suoi piccoli, serena ed anche di umore allegro quando il marito non la picchiava, non bisbetica o nervosa. Certo non lo avrebbe fatto per sottrarsi ai maltrattamenti del marito, da lei sempre pazientemente sopportati, perché avrebbe, come aveva fatto altre volte, allontanarsi da lui e trovare rifugio presso i genitori e rendere definitivo, volendolo, il distacco dal marito. Mai si sarebbe uccisa lasciando le sue creature, l’ultima delle quali teneva ancora al seno e mai si sarebbe decisa a suicidarsi proprio in quei giorni in cui regnava la pace e mai proprio quella sera durante la quale, lo dice lo stesso Cesare, aveva chiacchierato serenamente col marito.
Quando viene chiamato a testimoniare il più grande dei figli di Rosa, nonostante i suoi dieci anni, appare chiaro che solo Cesare, suo padre, ha potuto uccidere la mamma
– Quando papà è uscito dalla camera da letto per cercare mamma nella cucina soprastante, dovette aprire la porta della stanza stessa, essendo questa chiusa dal di dentro
E allora come avrebbe fatto Rosa a chiudere la porta dall’interno se era volontariamente uscita da quella stessa porta senza più tornare? Solo Cesare ha potuto chiuderla dopo essere rientrato per andare a buttare il cadavere a mare.
Ma qui sorge un altro problema: contrariamente a quanto si è sempre creduto, cioè che Rosa sia stata uccisa in casa e poi trasportata fino al mare, la Corte si convince che le cose siano andate diversamente.
Cesare, svegliatosi verso le 23,00 al pianto del bambino, chiacchiera con Rosa per un’oretta. Poi accade qualcosa che lo fa innervosire e comincia a inveire contro Rosa con crescente ira, tanto più minacciosa in quanto è costretto a contenerla per non far sentire i vicini che dormono nella stanza accanto e per non svegliare i bambini. A un certo punto il suo borbottio iroso e concitato di criminale deve sembrare a Rosa così carico di sinistri propositi che ella, in preda a muto terrore, ritiene necessario sottrarsi all’imminente esplosione della violenza del marito e, così come si trova vestita, scappa dal letto e, guadagnata la porta, esce in strada. Pensa di rifugiarsi dai genitori prendendo la via che passa vicino alla campagna del marito.
Cesare, vestitosi alla meglio, la insegue; Rosa lo sente, corre più velocemente che può, ma Cesare è più veloce e si avvicina sempre di più. Quando Rosa arriva vicino al fondo di suo marito capisce che sta per essere raggiunta e allora devia verso il fondo, sperando di trovarci il marito di sua cognata Michelina che spesso dorme lì in una baracca. Ma Cesare le è addosso e, ancora più esasperato per la lunga corsa, comincia a colpirla in faccia con tremendi pugni che le fanno letteralmente sputare i denti e la fanno cadere a terra tramortita e indifesa. Urla disperatamente e le sue urla vengono sentite dai detenuti, poi Cesare le preme le mani, quelle mani forti di criminale, sulla bocca e sul naso e preme, preme, preme. Forse le mette anche le ginocchia sul petto e continua a premere con gli occhi di fuori, finché non sente il corpo di Rosa afflosciarsi sotto di lui, senza più vita.
Adesso si trova a dover fare i conti col  fardello esanime di Rosa. Respira profondamente per schiarirsi le idee, poi fa l’unica cosa che può fare un assassino senza coscienza. Con calma si carica il corpo sulle spalle, percorre il breve e ripido viottolo che dal suo fondo conduce al mare, lega alla meglio nella sottana che Rosa ha addosso qualche grosso sasso per non far galleggiare il cadavere e poi lo butta nell’acqua nera della notte, non immaginando che le tempeste e le correnti marine, insieme ai processi della putrefazione lo avrebbero portato sulla riva qualche chilometro più in là.
Forse, nel suo bestiale furore, nemmeno si è reso conto dell’esito omicida della sua violenza di belva scatenata. Par difficile ammettere una sua intenzione specifica diretta a sopprimere la madre dei suoi figli giacché, per tale proposito estremo mancava, soprattutto, una causale adeguata la quale, cioè, fosse diversa, più intensa e più grave di quella che tante altre volte lo aveva spinto a infierire contro la moglie, pur senza ucciderla, pensano i giurati quando decidono di condannarlo per omicidio preterintenzionale, derubricando il titolo del reato, e per maltrattamenti alla pena complessiva di 15 anni di reclusione (11 anni per l’omicidio e 4 anni per i maltrattamenti), più pene accessorie.[1]
Cesare Vidiri aveva previsto 12 – 13 anni di reclusione. Ha sbagliato di poco…
Un pensiero per Rosa e per i suoi bambini.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.

 

1 commento

  1. Purtroppo chi paga le conseguenze di certi matrimoni sbagliati sono sempre gli stessi: il coniuge più debole e i figli.

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