Negli ultimi mesi del 1937, il venticinquenne Giuseppe Mazzei di San Giovanni in Fiore, approfittando della vicinanza delle loro case di abitazione distanti l’una dall’altra qualche quarto d’ora di cammino, avea potuto contrarre domestichezza prima ed intime relazioni poscia con Teresina Bonaventura. Ma Giuseppe, dopo un anno e mezzo di rapporti con Teresina, si invaghisce di un’altra ragazza, Rosina, e la lascia, determinandola a sanguinosa reazione.
Teresina adesso va in giro sempre armata di una rivoltella che ha rubato a Giuseppe e di un coltello a scatto che tiene appeso alla gonnella: se Giuseppe sgarrerà, lo ammazzerà come un cane.
La mattina del 16 giugno 1939, da contrada Marinella dove abita, Teresina va a San Giovanni e, con grande sorpresa, apprende che Giuseppe la mattina dopo avrebbe scambiato il giuramento con Rosina. Teresina non ce l’ha con la rivale e, volendo scongiurare pacificamente l’evento, la va a trovare a casa:
– Rosì, Giuseppe mi ha disonorata e da un anno e mezzo è il mio amante… – le rivela davanti alla madre che è visibilmente contrariata e risponde al posto della figlia.
– Teresì stai tranquilla e non dubitare che mia figlia non sposerà quell’uomo!
E infatti il fidanzamento viene immediatamente rotto. Teresina, rinfrancata, torna alle sue occupazioni ma quando, nel tardo pomeriggio, si avvia verso casa, vede Giuseppe nei pressi dell’abitazione di Rosina intento a fare una serenata. Adesso è veramente infuriata con l’amante. Si nasconde e aspetta pazientemente che Giuseppe finisca la serenata, poi lo segue e aspetta ancora che finisca di bere con gli amici in una cantina. Ormai è buio, Giuseppe saluta gli amici e si inoltra nei vicoletti per prendere la via di casa.
Clic
Clic
Clic
Teresina tenta tre volte di sparargli ma è completamente ignara di come si usa una rivoltella e non si accorge che nel tamburo ci sono solo due cartucce e lei ha sparato dalle camere vuote! Giuseppe ha sentito i tre scatti a vuoto dell’arma, si è girato e ha visto Teresina col braccio teso verso di lui:
– Perché hai cercato di spararmi?
– Voglio ammazzarti perché mi hai abbandonata dopo che mi hai disonorata – dice abbassando il braccio.
Giuseppe approfitta di questo momento per disarmarla, prima, cioè, che riesca a tirare di nuovo il grilletto. E questa volta il colpo sarebbe partito. Teresina, però, è lesta ad afferrare il coltello ed a vibrare una coltellata alla gola dell’amante. La lama colpisce, si, ma anche questa volta a Giuseppe va bene perché la ferita è superficiale e riesce a scappare e sfuggire, così, alla furia dell’amante delusa. Va immediatamente dai Carabinieri a denunciarla e Teresina finisce dietro le sbarre.
Nel corso delle indagini emerge che Giuseppe aveva sfruttato in tutti i modi quella povera donna, godendosela per tanto tempo senza spenderle mai un soldo, facendosi prestare trecento lire che non le ha mai restituito.
Con tutte le attenuanti del caso, Teresina viene rinviata a giudizio e, il 22 luglio 1939, condannata, con la concessione della sospensione condizionale della pena, a due mesi di reclusione per tentate lesioni aggravate e un mese di arresti per porto abusivo di arma da fuoco.
Giuseppe è sempre più preoccupato perché Teresina, maggiormente esasperata per il mese e mezzo di carcere preventivo e la condanna, non lo perde di vista, continuando ad insistere nelle sue pretese di tornare insieme e sposarsi. Giuseppe non ci pensa nemmeno a restarle vincolato per tutta la vita, essendo convinto, a torto, che Teresina sia la donna di tutti, ma, d’altro canto, ne teme la vendetta. Una brutta situazione.
– Presto o tardi l’ammazzo se persiste a volermi abbandonare! – va dicendo in giro la ragazza.
Bisogna trovare una via d’uscita. Forse conviene, per propiziarsela, illuderla.
Tre giorni dopo che Teresina è stata scarcerata, accade qualcosa di strano: poco dopo il tramonto, mentre la ragazza e sua sorella Isabella stanno scendendo nella stalla scorgono, vicino casa, un uomo che non appena le vede si dà alla fuga. Le due sorelle lo inseguono e l’uomo, fermatosi di botto, le minaccia con una rivoltella. E indovinate chi è l’uomo? Giuseppe Mazzei:
– Mi vuoi ammazzare? – gli dice Teresina.
– No… sono venuto a trovarti per chiederti perdono… voglio riconciliarmi con te…
Un modo originale di fare pace! Comunque funziona. Teresina si intenerisce e dice alla sorella di lasciarli da soli e da soli ci restano un bel pezzo perché Isabella si mette a letto e si addormenta. Così solo il mattino dopo Teresina, con le lacrime agli occhi per la felicità, le racconta:
– Giuseppe verrà a prendermi definitivamente il giorno della fiera!
Per Teresina la vita adesso sorride, ha riconquistato l’amore dell’uomo amato. Qualche giorno dopo deve andare a Cosenza per una visita di controllo in conseguenza di un infortunio capitatole sul lavoro. Al ritorno, invece di tornare a casa, va a trovare Giuseppe che ha cominciato a lavorare a Camigliatello e resta con lui per tre giorni. Giuseppe, da parte sua, ogni sabato va a trovarla a casa e la sera del 15 agosto si decide e va a parlare con la madre della ragazza:
– Alla fine della fiera vengo a prendere Teresina e la porto con me, però mi dovete aiutare…
– Giusè… io vi posso dare il letto, cinque tomoli di patate e un quarto di fagiuoli…
– Bastano!
Ha cambiato idea? Sta portando avanti la sua strategia? Nessuno può dire cosa ha in testa.
La sera del 25 agosto Giuseppe va a dormire a casa di Teresina. Nel porcile si sentono strani rumori e, ormai da uomo di casa, tira fuori la rivoltella, esce davanti alla porta e spara due colpi per far scappare eventuali ladri o animali predatori. L’indomani mattina Giuseppe, Teresina e sua madre vanno alla fiera, forse per fare degli acquisti occorrenti ai due giovani, visto che il giorno dopo sarebbero andati a vivere per conto loro in contrada Macchia di Pietro dove Giuseppe ha appena trovato lavoro.
Giuseppe allunga il passo e arriva in paese prima delle donne e qui, senza che se lo aspettasse, i suoi familiari gli dicono che in sua assenza il postino gli ha recapitato la cartolina di chiamata alle armi con l’ingiunzione di trovarsi il giorno dopo a Barletta. Il giovanotto è sconvolto al segno di non preoccuparsi del sopraggiungere di Teresina e della madre, alle quali non è possibile vederlo per tutto il giorno. Preoccupate, prima di tornare alla Marinella, vanno da Giulia, la sorella di Giuseppe e finalmente lo trovano:
– Ma dove sei stato tutt’oggi? Sbrigati che ce ne andiamo a casa – gli dice Teresina.
– Andate… vengo stasera tardi, verso mezzanotte, che ho da fare… – sulla cartolina di precetto nemmeno una parola.
Arrivata a casa, Teresina si fa bella per il suo amato: si fa pettinare i capelli, si veste con i suoi migliori abiti e lo aspetta sdraiata sul letto.
Giuseppe invece si attarda in paese con gli amici fino all’una meno un quarto, poi passa da casa sua e, quindi, va alla Marinella da Teresina che scatta dal letto come una molla per farsi ammirare, ma Giuseppe sembra non vederla:
– Ma che ora è? – gli chiede, mezza addormentata, la suocera
– Il mio orologio segna l’una… – le risponde con un po’ di imbarazzo.
Poi, prese le poche robe che devono portare con loro, Giuseppe e Teresina salutano e partono a piedi nel pieno della notte.
La mattina del 30 agosto, Antonio Bonaventura, il fratello di Teresina, va a San Giovanni per molire del grano.
– Totò! Certo che Teresina e Giuseppe sono sfortunati – gli fa il mugnaio.
– Perché? Finalmente sono andati a vivere insieme e, volesse Dio, magari si sposano pure!
– Quando torna dal militare o per procura? – chiede il mugnaio con una punta d’ironia.
– Quale militare? Stà fissiannu? – risponde con aria incredula.
– Veramente mi para ca sta fissiannu tu… non lo sai che Giuseppe è partito per Barletta la mattina del 26?
Ad Antonio si piegano le ginocchia. Perché Giuseppe non ha detto niente, almeno a loro, che sarebbe partito militare? E Teresina dov’è? A Macchia di Pietro Giuseppe non avrebbe fatto in tempo ad accompagnarla, è andata da sola o… o le ha fatto qualcosa!
– Per piacere, macina il grano che poi passo a prenderlo, mi sono scordato una cosa urgente…
– Ma…
Giuseppe non c’è già più. Teme che a sua sorella sia accaduta qualcosa di brutto e si mette a cercarla affannosamente sulla via che va a Macchia di Pietro.
È ormai pomeriggio. Antonio sta percorrendo il viottolo che dalla contrada Macchia di Pietro porta a contrada Marinella, verso la casa materna. Mancano poche centinaia di metri e, man mano che si avvicina, l’odore di carogna si fa sempre più nauseabondo, fino a diventare insopportabile. Antonio suda freddo. Tenendo il fazzoletto premuto sulla bocca e sul naso comincia a frugare tra i cespugli. Un urlo disumano e una bestemmia irripetibile rompono il silenzio dei luoghi.
La vista di Teresina, stesa a terra supina, è orrenda: tutta la testa, nera, era letteralmente coperta da un brulicare di vermi. Le labbra annerite e dalla bocca fuoriusciva liquido; sulla guancia destra un largo forame a margini introflessi; sul parietale sinistro una tumefazione dovuta a spappolamento dell’osso; sulla guancia destra alcune escoriazioni prodotte, in vita, da unghiate.
Anche per un profano è facile capire che la ragazza è morta di morte violenta.
– L’ha ammazzata! – urla con tutta la rabbia e disperazione che ha dentro, poi fa di corsa le poche centinaia di metri che lo separano dalla casa, avvisa sua madre e le sue sorelle, quindi corre a perdifiato a San Giovanni per .avvisare i Carabinieri.
Quando i militari con il Pretore arrivano sul posto, oltre ad annotare l’orrore dei poveri resti di Teresina, annotano anche alcuni particolari a cui Antonio non ha potuto far caso: a circa cinque passi dal cadavere una lampadina elettrica tascabile ed a circa un passo dal cadavere un coltello con lama a punta, assicurato alla cintola con un laccio. In più, il cadavere si trova a pochi metri dall’imbocco di una scorciatoia che porta a San Giovanni. Ovviamente i sospetti cadono subito su Giuseppe e l’ipotesi di reato è quella di omicidio premeditato. Il mandato di cattura viene eseguito a Barletta, dove i Carabinieri vanno a prendere Giuseppe mentre sta marciando.
– Sono innocente! Quella sera non l’ho nemmeno vista! – si difende.
– Questa lampadina elettrica è tua?
– No, non ho mai avuto una lampadina elettrica… Teresina ne aveva una come questa…
– Dove hai messo la rivoltella?
– Non ho mai avuto rivoltelle… Teresina aveva una rivoltella…
– Se non sei stato tu, chi può essere stato allora?
– So che non andava d’accordo con sua sorella…
– Quindi sarebbe stata la sorella? – Giuseppe si limita a scrollare le spalle, come per dire: “E che ne so io?”.
Nega anche di avere avuto rapporti con Teresina dopo che la ragazza uscì dal carcere. Cita alcuni testimoni che confermano le sue parole, ma gli inquirenti li bollano, dopo le numerose contraddizioni in cui cadono, come falsi testimoni. Di certo c’è che la notte tra il 25 e il 26 agosto Teresina e Giuseppe partirono insieme a piedi dalla casa della ragazza verso Macchia di Pietro e che all’alba del 26 alcuni testimoni hanno visto a San Giovanni in Fiore Giuseppe, da solo, mentre saliva sulla corriera per Cosenza. Di certo la lampadina elettrica è sua, come attestano alcuni testimoni. Di certo ci sono almeno 5 falsi testimoni.
È quanto basta al Giudice Istruttore per rinviarlo al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza con l’accusa di omicidio premeditato.
Il dibattimento comincia il 25 giugno 1940 e il Pubblico Ministero chiede di eliminare l’aggravante della premeditazione perché, a suo giudizio, il caso non presenta alcuna prova che Giuseppe abbia architettato tutto in anticipo, si può anche pensarlo ma non può darsene la dimostrazione, e poi, quale impellente necessità di liberarsi di Teresina con l’omicidio aveva, quando la partenza per il servizio militare bastava, almeno temporaneamente, a liberarlo? la Corte accoglie la richiesta.
La Corte, esaminate tutte le carte e ascoltati tutti i testimoni, è anche in grado di ricostruire quanto accadde tra la casa di Teresina e l’imbocco della scorciatoia, che è la chiave di tutto, secondo la Corte: Giuseppe, rimasto da solo con Teresina deve necessariamente dirle che non possono andare a vivere insieme a Macchia di Pietro perché deve partire per il servizio militare. Certamente, prevedendo il disappunto di Teresina e dei suoi, volle dirglielo prima che giungessero all’imbocco della scorciatoia per San Giovanni, ch’egli doveva necessariamente battere dovendo andare a casa a pigliar commiato dai suoi familiari. Fu ivi che Teresina, all’inaspettato annunzio, non poteva non perdere la calma, sia se ebbe a dubitare della verità onde si sentì turlupinata ed abbandonata, sia se pur credette, ebbe a sembrarle amaro ch’egli, per aver serbato il silenzio l’avea costretta ad aspettarlo fino a quell’ora, l’avea indotta a lasciare la casa nella fiducia che andasse a cominciare la vita in comune e, viceversa, doveva subito ritornarvi per confessare ai suoi che il sogno era svanito e che il suo uomo partiva dopo averla, col suo protratto silenzio, implicitamente ingannata. Teresina, nella sua esasperazione – come è umano supporre – dovette divenire aggressiva e ne sorse una colluttazione, tanto è vero che sulla faccia di lei vennero riscontrate delle unghiate. I due sono una di fronte all’altro, Teresina è una furia scatenata e Giuseppe l’abbraccia per fermarla, quindi estrae la rivoltella, la poggia alla tempia sinistra di Teresina e tira il grilletto.
Un omicidio d’impeto. Ma la Corte si spinge più in avanti: se Teresina è stata ammazzata, forse un po’ di responsabilità è anche sua. L’essere trascesa alla violenza fisica fu atto ingiusto poiché, se pure è vero che il Mazzei conservò un inopportuno silenzio sulla sua chiamata alle armi, non è men vero che alla chiamata doveva ubbidire e quindi non potevasi dargli colpa se veniva a mancare all’impegno di cominciare la vita in comune. D’altro canto non è meno provocatore ed ingiusto il fatto che Teresina andasse giornalmente minacciando il Mazzei.
La sentenza è ormai pronta: colpevole di omicidio volontario con l’attenuante di avere agito nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto della vittima. La pena è di 14 anni di reclusione, di cui due condonati, 2 anni di libertà vigilata, più pene accessorie. È il 27 giugno 1940 e l’Italia è in guerra da 17 giorni.
Due anni dopo la Suprema Corte di Cassazione rigetterà il ricorso dell’imputato.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.