NON NE POTEVO PIÙ

È il primo pomeriggio del 29 marzo 1899 e nella caserma dei Carabinieri di Luzzi regna la calma. Poi alcuni colpi all’uscio. Il piantone apre la porta e si trova davanti un uomo con un foglio in mano
– Mi manda il dottor Luigi Parise… è per il Brigadiere… – dice l’uomo al militare, porgendogli il foglio piegato in due
Il Brigadiere Antonio Campenni apre il foglio e comincia a leggere sudando freddo:
Sig. Brigadiere,
chiamato da Santagata Angelo di questo comune, lho rinvenuto affetto da dodici ferite da punta e taglio. Numero quattro nell’appentice xifoide dello sterno, delle quali due penetranti. Una ferita sull’ipocondrio sinistro, un’altra un dito trasverso sotto l’ombelico, entrambi penetranti con fuoriuscita dell’Epiplon. Un’altra sul lato destro dell’addome con fuori uscita dell’epiplon. Quattro ferite sotto l’arco costale destro, una penetrante. Due sul sul terzo dell’Ipocondrio destro, penetranti. Un’ultima ferita su la cresta Iliaca destra.
Le su descritte lesioni han dato molto sangue. Il paziente, quantunque intelligente non parla, versa nell’estrema debolezza, che ho giudicato pericolosa di vita principalmente per quelle penetranti.
Campenni rilegge tutto contando sulle dita le ferite e si accorge che non sono dodici, come certifica il medico, ma quattordici. Si accorge anche che il nome del ferito, che lui conosce molto bene per averlo arrestato qualche mese prima, non è Angelo Santagata ma Carmine Santangelo. Poi fa preparare i suoi uomini e va a casa del ferito per cominciare le indagini. Sorprendentemente, al contrario da quanto sostenuto dal dottor Parise, Carmine Santangelo riesce a raccontare, sebbene in modo molto stentato, come e da chi sia stato ridotto in quel modo
Appena fatto giorno mia moglie Maria Giuseppa Berlingieri si levò di letto e si affacciò alla porta per accertarsi, probabilmente, che nessuno poteva udirla e, forse non ancora sicura del fatto suo, poco dopo si rimise a letto. Trovandomi colto da febbre, la pregai non farmi raffreddare, ma lungi dall’impietosirsi del mio stato mi rinnovò le minacce fattemi precedentemente d’uccidermi qualche giorno. Poco dopo si levò di nuovo ed affacciatasi alla porta disse: “Meno male che se n’è andata una…”. Poi chiuse l’uscio ed avvicinatasi al letto mi gittò a terra e m’inferse ripetutamente colpi con un coltello a serramanico. Visto che la ingrata non si era mossa a compassione neanche quando la pregai di farmi ricevere i sacramenti prima di finirmi, mi trascinai alla porta e con voce stentata chiamai aiuto. Solo allora, sull’accorrere delle vicine Maria Longobucco, Maria Giuseppa Gattabria e Maria Serra, mia moglie desistette dall’inferirmi altri colpi e dopo poco, come se nulla fosse stato, ripulitasi dal sangue che la imbrattava, si allontanò di casaCredo che da più tempo mia moglie meditasse il delitto per sbarazzarsi di me e menare vita libera
– Beh… questo è certamente il modo sbagliato… – osserva il Brigadiere, che continua – per come dite ci sono stati dei precedenti tra di voi…
– Si… ogni volta che le ho rimproverato quanto si diceva sulla sua condotta, mi ha minacciato nella vita ed anche nel momento in cui mi vibrava i colpi, ripeteva la minaccia di dovermi finire. Da parte mia avevo tutte le ragioni di lamentarmi di lei perché anche nel mese di gennaio mi fu detto da certo Mastrannibale, di cui ignoro il cognome, che durante la mia carcerazione, mia moglie assieme ad un suo amante si era trattenuta a bere del vino in casa di sua madre Maria Bria
 Il Brigadiere è un po’ perplesso: come mai Maria Giuseppa, che voleva finirlo, gli ha permesso di trascinarsi fino alla porta, aprirla e chiamare aiuto? Bisognerebbe chiederlo a lei, ma è sparita e nessuno sa, o finge di non sapere, dove possa essere andata a nascondersi.
Intanto, nonostante gli intestini di fuori, le condizioni del ferito cominciano a migliorare e il dottor Parise, dopo una settimana, dispone che sia portato all’Ospedale di Cosenza per farlo ricucire e la sua immediata guarigione sa di miracoloso.
Ma della ventiquattrenne Maria Giuseppa non si hanno ancora notizie.
Poi il 2 maggio 1899 la donna bussa alla porta del carcere mandamentale di Rose e fornisce la sua versione dei fatti al Pretore:
Avendo saputo che pende contro di me un mandato di cattura son venuta a costituirmi – esordisce, poi continua con tono fiero –. La mattina del 29 marzo, appena intesi suonare la campana del convento, invitai mio marito di recarsi al lavoro essendo giunta l’ora in cui i contadini sogliono recarsi in campagna, ma mio marito dapprima fece il sordo e quando la seconda volta lo esortai a recarsi al lavoro, mi rispose che non si sentiva bene e non sarebbe uscito di casa quel giorno. Allora io dissi che mi sarei in sua vece recata a trasportare qualche viaggio qualora se ne fosse data l’occasione, guadagnando il pane della giornata giacché viviamo in condizioni molto ristrette. La mia proposta non piacque  a mio marito il quale è geloso e si contenta di languire di fame, purché io non esca di casa. e si fu perciò che, non solo non volle consentire a farmi uscire, ma per giunta mi prese per i capelli e cominciò come al solito a maltrattarmi. Scese poi dal letto e diè di piglio ad una scure per vibrarmi un colpo sulla testa, ma io lo trattenni in tempo facendogli cadere la scure. Non ancora soddisfatto, di nuovo mi prese per i capelli e mi maltrattava standomi alle spalle e si fu allora che, non potendone più, presi un piccolo coltelluccio che avevo in tasca e cominciai a vibrare colpi senza accorgermi dove lo ferivo giacché, come ho detto, egli mi era alle spalle. Solo dopo aver ricevuto diversi colpi egli mi lasciò ed io, svincolatami da lui, potetti aprire la porta e fare accorrere i nostri vicini. Appena costoro entrarono e videro mio marito malconcio per le lesioni riportate, mi consigliarono ad allontanarmi, ma io che non avevo nessun rimorso o paura per aver agito a solo scopo di difendermi, rimasi in casa per altra mezz’ora e solamente più tardi mi indussi a lasciare la casa coniugale portandomi in quella di mio padre
– Secondo tuo marito prima del litigio ti sei affacciata alla porta per ben due volte allo scopo di accertarti che i vostri vicini si fossero allontanati.
Non è vero!
– Hai detto di avere aperto tu la porta di casa. Tuo marito dice invece di averla aperta lui per chiedere aiuto.
– La porta la aprii io solamente dopo il fatto, cioè quando accorsero i vicini
– Litigavate spesso? Lo hai mai minacciato di morte?
Spesse volte ho fatto quistioni con mio marito, ma non è vero che lo abbia qualche volta minacciato nella vitaegli e non io è stato sempre la causa dei litigi per avere a torto dubitato sulla mia condotta!
Due versioni opposte. Gli inquirenti pensano di mettere marito e moglie a confronto, ma è un fiasco: nessuno dei due arretra di un millimetro dalle proprie posizioni e allora gli unici che potrebbero far luce sul reale andamento dei fatti sono i vicini di casa, ma prima viene chiesto un parere al dottor Parise sulla reale possibilità che davvero Maria Giuseppa abbia potuto colpire il marito mentre le stava alle spalle. Il medico risponde: Non ho elementi per ritenere più attendibile l’ipotesi che l’offeso sia stato ferito mentre dalle spalle la tratteneva pei capelli oppure mentre l’era davanti. È possibile l’una e l’altra ipotesi. Quindi è possibile.
Maria Giuseppa Longobucco, Orsola Gattabria  e Maria Serra raccontano ciò che hanno visto e sentito la mattina del 29 marzo:
– Carmine e Maria Giuseppa facevano quistioni ed erano venuti alle mani. Cercammo di aprire la porta ma non ci riuscimmo e allora invitammo il Santangelo ad aprire, altrimenti gli avremmo fatto dar conto del suo operato. Ma a tali parole il Santangelo rispose che non era egli che feriva la moglie, bensì costei che aveva ferito lui facendogli uscire fuori gli intestini. “Perdonami, perdonami” diceva Carmine, mentre la moglie diceva di volerlo finire. Un momento dopo la Berlingieri aprì la porta e così potemmo osservare che effettivamente il marito a terra nudo, crivellato di ferite. La Berlingieri, invece, era tutta imbrattata di sangue. La facemmo lavare e allontanare di casa.
– Sapete se la moglie lo tradiva?
Il Santangelo è geloso della moglie, ciò che cagiona continui dissidi tra di loro. Più volte la minacciava, mai però, come vicine, ci siamo accorte che lo tradisse, come pure non abbiamo mai inteso che minacciasse di vita il marito od in qualsiasi modo desiderasse sbarazzarsi di lui.
Angelo Sguglio sa della esagerata gelosia di Carmine:
Conosco che la Berlingieri è vittima degli esagerati sospetti del marito il quale, geloso di lei, continuamente l’ha minacciata anche nella vita, comunque a me risulti che la stessa serbi intonsa la fede coniugale. Carmine, qualche volta, è arrivato financo a nascondere la scure sotto il capezzale del letto per averla pronta ad ogni quistione sorta colla moglie.
Anche Francesca Gervasi, meglio conosciuta come Malo Saverio, la pensa così e aggiunge:
La sera prima che Carmine venisse ferito dalla moglie, parlando con costei si lamentò del marito perché quando tornava a casa pretendeva sempre di trovare qualche cosa da mangiare, mentre quando usciva non le lasciava i mezzi necessari. Io la consigliai di andare a lavoro, ma la stessa mi aggiunse che il marito era geloso e che non gliel’avrebbe permesso. Finì per dire che qualche giorno avrebbe fatto qualche prodezza
– E quindi pensava davvero di ammazzarlo! – esclama il Pretore che la interroga.
– No, da questa espressione io capii che voleva fuggire di casa ed anche dopo il ferimento non saprei dare a quelle parole un significato diverso, nel senso che volesse esprimere una minaccia per la vita del marito stesso.
Annibale Scalercio racconta:
– Quella mattina ero già uscito e non so cosa sia successo, ma ricordo che quando Carmine fu arrestato nel mese di gennaio, trovandomi a bere un bicchiere di vino che certo Pietrangelo Filippo mi complimentava dinanzi la casa di Maria Bria, la madre di Maria Giuseppa, questa c’invitò ad entrare. Non è per vero che con noi fosse stata a bere anche la figlia della Bria e così dissi pure a Carmine Santangelo quando uscì dalle carceri e mi domandò se era vero che la moglie era stata a bere col Pietrangelo
Insomma, la figura di Maria Giuseppa tracciata dai testimoni è quella di una donna dall’onestà specchiata e vittima dei maltrattamenti ingiustificabili di suo marito.
Per la procura del re di Cosenza non importa se Carmine l’ha portata all’esasperazione provocandone, d’impeto, la reazione violenta. Ritiene, al contrario,  credibile il racconto del marito e per questo chiede il rinvio a giudizio di Maria Giuseppa Berlingieri con l’accusa di mancato omicidio con premeditazione. La Procura Generale, al contrario, non ritiene che ci siano gli estremi per aggravare il reato con la premeditazione e formula l’accusa di mancato omicidio volontario. È con questa imputazione che, il 26 giugno 1899, viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il 2 settembre successivo la Corte, modifica il titolo del reato in lesioni personali e condanna Maria Giuseppa Berlingieri a 2 anni, 8 mesi e 6 giorni di reclusione..
Nemmeno il tempo di pensare a ricorrere in Appello che Carmine Santangelo fa recapitare al Presidente della Corte d’Assise una domanda, a norma dell’articolo 603 del Codice di Procedura Penale, intesa ad ottenere che la pena inflitta a sua moglie sia dimezzata.
Il 12 settembre la Corte d’Assise stabilisce: poiché per l’art. 603 c.p.p. è data facoltà al marito di rimettere alla propria moglie la metà della pena incorsa per lesioni commesse in suo pregiudizio, la domanda dello stesso merita di essere accolta, trattandosi di lesioni personali punibili non oltre cinque anni e per l’effetto riduce la pena inflitta alla di lui moglie ad anni uno, mesi quattro e giorni tre.[1]
Coda di paglia o ravvedimento? Non lo sappiamo…


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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