CHI COMANDA IN CASA

La sera del 17 dicembre 1893 il Brigadiere Giuseppe Salerno, comandante la stazione di Cerzeto, viene avvertito dal Sindaco di Torano Castello che nel suo paese, nella seconda casa a sinistra dall’inizio della via Castello, c’è un morto ammazzato, senza specificare niente altro.
Quando, all’alba del giorno seguente, il Brigadiere arriva sul posto con i suoi uomini, trova il cadavere del ventitreenne calzolaio Vincenzo Cavalcante adagiato sul letto, con il capo poggiato sopra un cuscino intriso di sangue.
– Una disgrazia! – attacca la madre –. Ieri sera si ritirò mio figlio Francesco ed in casa prese la sua rivoltella ed avvicinatosi al lume che era presso il focolare se la mise a pulire stando in piedi. Ad un gradino di detto focolare era seduto dal lato destro di detto Francesco, l’altro mio figlio Vincenzo con la faccia rivolta al fratello. In un momento, quando questi si alzò e che il Francesco continuava a pulire la rivoltella, partì un colpo che andò a ferire il disgraziato mio figlio Vincenzo il quale cadde per terra e spirò dopo quasi mezz’ora
– Ma non è che hanno litigato? Andavano d’accordo? – le chiede il Brigadiere.
Fra i due fratelli regna sempre il massimo buono accordo e questa disgrazia devesi attribuire ad un fatto assolutamente casuale
– E Francesco dov’è adesso?
Mio figlio Francesco, appena visto cadere il fratello, senza dir parola fuggì via con la rivoltella in mano ed ò inteso che si sia tentato suicidare, ma io non vi ò da poter dir nulla in proposito perché fin da ieri sera non l’ho più visto, né so ove ora si rattrovi
Il Brigadiere Salerno interroga gli altri componenti della famiglia, l’anziano padre Filippo, la sorella diciassettenne Rosa e il fratello minore Pasquale, ottenendone sostanzialmente la stessa versione. Ma qualcosa sembra non quadrare. Per esempio il taglio sul sopracciglio sinistro con un vistoso ematoma che presenta il capofamiglia.
Questa lesione me la procurai due sere fa vicino al lucernario mentre allo scuro cercavo un fiammifero per accendermi la pipa
Poi un piccolo passaggio del racconto fatto da Rosa che smentisce sua madre:
Ieri sera mio fratello Francesco, perché festa e non potendo perciò lavorare, si prese la sua rivoltella ed essendo questa guasta se la mise ad accommodare. Per far ciò si andò a sedere nel focolare e per vederci meglio si mise due luci, l’una dal lato destro e l’altra dal sinistro. Mentre egli faceva tale operazione, l’altro mio fratello Vincenzo si sedé di spalle a lui sul gradino del nostro focolare. Si stava così in casa quando di un tratto s’intese un colpo che partì da detta rivoltella e vedemmo mio fratello Vincenzo cadere bocconi per terra senza profferire verbo
Un terzo particolare che non quadra nell’aspetto del cadavere è una lievissima lesione alla gola e più propriamente sotto il mento, quasi ad angolo ottuso della grossezza di un grosso filo di cotone, sulla quale vi è ancora del sangue.
Francesco era seduto oppure, come sostiene sua madre, era in piedi? E come e perché è stata prodotta la lesione sul collo? Forse l’autopsia sul corpo di Vincenzo Cavalcante chiarirà questi dubbi. Intanto il Brigadiere, avvisato il Pretore di Cerzeto, fa visitare l’anziano Filippo e il sospetto che la famiglia Cavalcante nasconda qualcosa aumenta perché il medico certifica che la ferita data da undici ore ed è stata prodotta da istrumento tagliente.
L’autopsia non chiarisce se il colpo sia stato esploso dalla rivoltella di Francesco mentre questi era in piedi o seduto, ma dice con certezza che Vincenzo dava le spalle a suo fratello quando fu colpito e che il proiettile, sicuramente di calibro 9 millimetri, ha attraversato tutto il cervello. Non chiarisce nemmeno da quale distanza sia stato esploso il colpo fatale e riguardo alla graffiatura sul collo dice solo che è stata di nessunissima conseguenza.
Rimanendo i dubbi immutati, il Pretore crede opportuno fare eseguire una perizia tecnica sul punto esatto dove i due fratelli si trovavano al momento della tragedia per stabilire se la versione data dai Cavalcante sia verosimile o meno. È la mattina del 19 dicembre. Il perito Emanuele Serrago non ha dubbi:
Osservata la posizione del luogo venendo ad un esperimento di fatto nel modo come venne riferito dai parenti dell’ucciso, è assolutamente impossibile che la loro tesi possa reggere. Infatti se fosse vero che il Francesco Cavalcante caricava la rivoltella quando questa esplose il proiettile, non è assolutamente possibile che potesse ferire il fratello Vincenzo che, come dicono i parenti, trovavasi seduto sul gradino del focolare, per la semplicissima e chiara ragione che chi carica la rivoltella, la canna di essa la tiene con la mano sinistra mentre con la destra mette le capsule nel cilindro e per conseguenza deve assolutamente tenere la canna rivolta nel modo obbliquo e la bocca di detta canna deve essere rivolta all’insu. Ora, se come vogliono far credere i parenti dell’ucciso, il Francesco caricava il revolvers, la canna, per le sopradette ragioni, doveva essere volta in aria e da destra verso sinistra e se anche il Vincenzo fosse stato seduto come essi affermano sul gradino del focolare ed il Francesco in piedi caricando la rivoltella, anche che esso Vincenzo si fosse alzato quando la voluta combinazione faceva partire il colpo, il proiettile non poteva ferire detto Vincenzo, ma il proiettile doveva conficcarsi nel muro della cucina od almeno per una combinazione strana ed impossibile, la palla poteva ferire il Vincenzo, detta lesione doveva assolutamente venire nella parte anteriore della faccia, giammai nella regione occipitale ove in effetti trovasi la ferita. Ed a convincersi vi è maggiormente di quanto sopra, basta la misura del luogo ove i parenti dicono avvenne la morte. Infatti, misurata la distanza dallo spigolo del balcone, che si prende per centro nella presente perizia, al punto della scala del focolare, ove si vuole dai detti parenti al  momento del ferimento, essa è di centimetri 61; misurata l’altra distanza dal termine della scala di detto focolare dalla mano destra verso la sinistra, sito ove era seduto il defunto Vincenzo all’atto del suo ferimento, è lunga centimetri 37, eguale distanza che è pure dal lato sinistro verso destra. Misurata l’altra distanza, sempre dallo spigolo del suddetto balcone, a quella ove i parenti dell’ucciso vogliono far credere che si trovava la bocca della rivoltella che caricava il Francesco, essa è di centimetri 41 e l’altezza da terra è di centimetri 120. L’altezza della scala del focolare è di centimetri 29 e la sua larghezza di centimetri 23. Per le suddette ragioni giudico quindi che è assolutamente impossibile potere essere avvenuta la lesione riportata dal Vincenzo Cavalcante nel modo come vogliono far credere i suoi genitori, sia dalla suddetta osservazione dei luoghi e dalla posizione dell’ucciso ed uccisore, sia ancora dal sito ove detta lesione si osserva.
Condivisibile o meno che sia la perizia (è proprio certo che l’arma fosse una pistola a tamburo e non, per esempio, a carica verticale?), le affermazioni di Emanuele Serrago hanno l’indubbio merito di smuovere le acque. Infatti il pomeriggio dello stesso giorno l’anziano Filippo Cavalcante, accompagnato dalla moglie e dai due figli rimasti in casa, si presenta dal Pretore e cambia versione, subito imitato dagli altri, e racconta un’altra storia:
Sono le 16,30 di domenica 17 dicembre 1893, il sole è appena tramontato e il cielo manda gli ultimi bagliori rossastri dietro le montagne a occidente di Torano Castello. Il ventenne sarto Francesco Cavalcante è andato nella sua bottega a prendere della roba da cucire a casa e anche un organetto. Sta chiudendo la sua bottega quando si fermano due suoi amici per salutarlo. Francesco porge l’organetto che gli rende difficile chiudere la porta della bottega a uno dei due, Santo Lancillotta, e dice loro:
– Venite a casa mia che ci facciamo una suonata e una cantata! – i due amici accettano e tutti insieme vanno a casa di Cavalcante dove trovano i genitori, i fratelli minori e una loro vicina di casa, Annunziata Fazio. Francesco chiede a suo padre il permesso di suonare e, ricevutolo, la festicciola può cominciare, andando avanti in allegria per una mezz’oretta. Poi entra Vincenzo, il quale, nervoso per i fatti suoi, se ne vorrebbe stare tranquillo e non gradisce tutto il baccano che c’è in casa.
Qui non si suona, se vuoi suonare va fuori di casa! – urla Vincenzo a suo fratello, che smette immediatamente. I due amici di quest’ultimo, credendo che quella offesa fosse stata rivolta a loro, rimettono in testa i propri cappelli e se ne vanno, mentre interviene l’anziano genitore che rimprovera Vincenzo:
– Il padrone di casa sono io e in questa casa si fa quello che voglio io, non permetterti mai più di fare quello che hai fatto adesso!
Vincenzo, irritato da tali parole montò in furie e, dato di piglio alla sbarra del finestrone, si scaglia contro il padre, ma il pronto intervento della madre, della sorella e della vicina che lo disarmano, impedisce che accada qualcosa di grave. Vincenzo però è davvero infuriato e afferra una scure e con questa colpisce alla fronte il padre, che cade a terra accanto al caminetto acceso. Gli salta addosso e cerca di colpirlo di nuovo. Poi la detonazione di un colpo di rivoltella e Vincenzo che cade a terra senza emettere un lamento. Un rivolo di sangue comincia a sgorgargli dalla testa, ma respira ancora. Dietro di lui c’è suo fratello Francesco con in mano l’arma ancora fumante che esclama:
Madonna miamadonna mia
Poi si punta l’arma al petto e fa fuoco proprio mentre la vicina di casa, che gli è accanto, si accorge del movimento e gli tocca il braccio facendo deviare il colpo che ferisce solo superficialmente la mammella sinistra di Francesco il quale, dopo un lunghissimo attimo di smarrimento, scappa via.
Il resto, finora, lo conosciamo.
Ciò che ancora non sapevamo è che, mentre a Torano si pratica l’autopsia sul cadavere di Vincenzo, si svolge la perizia tecnica, si dicono cose e poi si ritrattano, si interrogano testimoni, nella caserma dei Carabinieri di Cosenza, alle 13,00 del 18 dicembre Francesco Cavalcante si è costituito ed è stato subito interrogato:
Mi ritirai a casa suonando un organetto. Ivi giunto chiesi il permesso a mio padre di suonare e, avendomelo concesso, seguitai. Dopo poco, essendo andati via i miei amici, io sospesi da suonare e conservai l’organetto in una cassa. Poscia, armatomi di rivoltella, per la cui asportazione non sono munito di licenza, mi avviai verso la porta di casa per recarmi alla mia bottega di sarto per prendere del lavoro, ma nell’atto di uscire, osservai che il defunto mio fratello Vincenzo dato di piglio ad una scure, vibrò con la stessa un colpo a mio padre nella regione temporale. Allora fu che io tornai sopra i miei passi per interpormi e per non fare replicare i colpi a mio fratello con la scure, ma siccome tenevo la rivoltella ancora nelle mani, nel movimento che feci, casualmente partì un colpo che produsse a mio fratello una lesione alla regione occipitale, da farlo stramazzare a terra tramortito. Io, vedendo che senza concorrervi per nulla la mia volontà, avevo prodotto l’uccisione del mio fratello, preso dal dispiacere cercai suicidarmi esplodendomi contro alla parte sinistra del petto, nei pressi del cuore, un colpo con la stessa rivoltella e se non raggiunsi lo scopo si fu perché Annunziata Fazio fu sollecita ad afferrarmi il braccio, facendo in tal modo deviare in parte il proiettile
– E la rivoltella?
Io non so cosa si fosse fatto della mia rivoltella perché quando mi sparai mi cadde dalle mani, quindi non posso dire da chi fu raccolta… forse Annunziata può dirlo…
Annunziata Fazio è l’unica persona che potrebbe chiudere la faccenda raccontando come realmente sono andate le cose. Ne nasce una terza verità, più o meno a metà tra la versione di Francesco e quella dei suoi familiari i quali, oltre ad aver perso Vincenzo, hanno il timore di poter perdere anche Francesco per molti anni.
Francesco si prese l’organino e si mise a suonare dopo averne chiesto il permesso al padre. Suonando, il Vincenzo montò in furia e disse parole offensive all’indirizzo del fratello e del padre. A tali parole i due amici di Francesco se ne andarono, ma anche allora continuò la quistione tra i due fratelli. Finalmente Francesco disse di volere andare alla sua bottega per prendersi del lavoro e si armò di rivoltella. Ma nell’andarsene disse una parola all’indirizzo del padre che io non compresi; vidi però che a quella parola il Vincenzo scattò come una vipera dalla sedia ove era seduto e, afferrata una grossa mazza, si avventò contro del padre, ma essendomi interposta io e gli altri della casa giungemmo a levargli la mazza, ma egli immediatamente prese una scure e ad onta che io l’avessi tenuto stretto per non farlo muovere, menò un colpo al padre sul sopracciglio sinistro. Cadde il padre e lui sul padre. In questo mentre Francesco si avvicinò a difendere il padre e, tenendo la rivoltella in mano, partì un colponon so dire se se il colpo fu involontario o diretto espressamente contro del Vincenzo, è certo però che il revolver era senza la sicura
– Dove erano posizionati?
Quando partì il colpo, Vincenzo trovavasi vicino al balcone, ove restò morto; il fratello Francesco era distante da lui non più che un metro
– Si, ma come? Di fronte, di lato, di spalle…
Quando Vincenzo teneva il padre di sotto e dal revolver partì il colpo, detto Vincenzo stava a questo voltato di spalle. Non so però precisare se Francesco stava sempre ad un metro di lontananza del Vincenzotrovavasi più alla parte destra
– Nessuno ce lo ha detto finora… qual è il carattere di Francesco? È possibile che abbia sparato volontariamente?
Francesco per nulla viene alle mani e spesso si ubbriaca perché qui tutti bevono il vino
Adesso che Francesco Cavalcante è rinchiuso nel carcere del capoluogo, dove si è costituito, l’indagine è condotta direttamente dal Giudice Istruttore il quale richiama il dottor Carlo Musacchio che ha effettuato l’autopsia e gli pone, a differenza di quanto fece il Pretore, un quesito estremamente preciso:
Se Vincenzo Cavalcante, stando quasi in ginocchio a terra, ove teneva fermo il padre con le mani, poteva il proiettile, spinto mercè la rivoltella che impugnava il fratello con la mano sinistra stando alle spalle di Vincenzo e nell’atto che si curvava sullo stesso, penetrare dalla regione occipitale sinistra percorrendo il tratto interno della scatola cranica, cioè non solo il lobo sinistro, ma anche il destro nella direzione d’entrata?
Il dottor Musacchio nemmeno questa volta risponde con chiarezza:
– Il tragitto percorso dal proiettile mi fa ritenere che il colpo ha dovuto essere esploso mentre il Vincenzo era alzato o in ginocchio sul padre e non ha potuto essere mai esploso dalle spalle dalpoichè in tale ipotesi si avrebbe avuto il foro di entrata da dietro con direzione in avanti. stante ciò, Cavalcante Francesco trovavasi di lato alla parte sinistra di suo fratello Vincenzo, salvo che non voglia ammettersi che questi, facendo un movimento col capo offrendo la parte sinistra dello stesso, il revolver nell’esplodere abbia potuto il proiettile penetrare dal lato per dove lo fu.
Stante ancora l’incertezza, il Giudice Istruttore va personalmente nella casa dei Cavalcanti per effettuare una nuova perizia sui luoghi, o meglio sui pochi centimetri quadrati, dove si è consumata la morte di Vincenzo Cavalcante, ma questa volta a collocare i personaggi sulla scena del delitto non sono più i familiari, ma Annunziata Fazio, la quale conferma che Francesco si trovava alle spalle di Vincenzo, non potendolo di lato perché impedito dalla scala del focolaio.
Cosa significa tutto questo? Significa che bisogna rivedere la perizia necroscopica, incarico affidato al dottor Pasquale Rossi di Cosenza il quale stronca subito il lavoro del suo collega. Abbiamo incontrato delle serie difficoltà per il modo monco ed inesatto con il quale detto referto fu condotto. Oltre alle continue inesattezze anatomiche, manca la descrizione del tramite della ferita, la sua direzione, gli organi incontrati e devastati. Il medico necroscopo parla, a ragione d’esempio, due volte della regione sulla quale si trova il forame d’entrata, ebbene la prima volta lo colloca nella regione parieto-occipitale, la seconda nella regione occipitale. Altra volta parla della massa cerebrale lesa dal proiettile, altra volta invece della massa cerebellare; né tutte queste inesattezze vengono chiarite dalle spiegazioni fornite a V.S.I.
Ma Rossi non si scoraggia e va avanti nel suo lavoro, cercando di rispondere al quesito già posto a Musacchio e sostiene che certamente colui che esplose dovea trovarsi di dietro ed alle spalle della persona verso cui fu tirato il colpo. A determinare questa posizione dell’uccisore e dell’ucciso non monta il fatto che una volta il forame d’entrata sia stato allogato nella regione occipitale di sinistra o nell’occipo-parietale dello stesso lato. La differenza topografica dall’una all’altra regione è di qualche centimetro, ma resta fermo, nell’un caso e nell’altro, che chi con arma da fuoco ferisce in detta ragione bisogna si trovi alle spalle del ferito. Un’altra domanda riflette la posizione dei due se, cioè, il ferito si trovava in quel momento ginocchioni a terra o all’impiedi dinanzi al feritore. Il medico necroscopo dice che tale posizione era indifferente. A noi, in vero, pare che mai sia stato detto errore più marchiano di medicina legale, essendo sempre il corso del proiettile modificato dalla posizione reciproca per riguardo all’altezza di chi è feritore e di chi è ferito. Noi, tenendo conto dell’incompleta descrizione del decorso del proiettile, crediamo che il Vincenzo abbia ricevuto il colpo stando in ginocchioni; si spiega così come la massa cerebellare sia stata interessata a preferenza della massa cerebrale.
Poi va al nocciolo della questione: è stato un fatto accidentale o volontario?
Questo è l’unico punto nel quale siamo d’accordo con il perito necroscopo: nulla dall’esame della ferita, dalla posizione del cadavere, da altre circostanze medico-legali emerge che faccia propendere verso l’un criterio o l’altro: tale quistione sfugge al nostro giudizio giacché con sicura coscienza ogni termine di paragone pro o contro ci manca, conclude.
 Un altro buco nell’acqua. È il 2 maggio 1894.
A questo punto al Giudice Istruttore viene in mente che, siccome l’arma del (presunto) delitto non è mai stata rinvenuta, nessuno ha chiesto a Francesco Cavalcante di descriverla.
La rivoltella che io asportavo era di sistema verticale del calibro di 12 millimetri
12 millimetri? Il dottor Musacchio aveva scritto assolutamente 9 millimetri! Invece il dottor Rossi e il dottor Eugenio Barbieri, sostengono che l’arma feritrice fu un revolver di piccolo calibro, un’arma cioè che non contenendo nella propria carica stoppaccio ed essendo scarsa la polvere colla quale si monta la capsula e quella che si trasforma in gas senza parte carbonica, così anche esplosa a breve distanza, difficilmente lascia tracce di ustione e di annerimento. Se a queste contraddizioni aggiungiamo che nemmeno il perito incaricato dal Giudice Istruttore di chiarire se un’arma a carica verticale può facilmente esplodere dei colpi non voluti ne fa cenno, la confusione è totale.
Con facilità il cane della rivoltella in parola, che essendo del sistema verticale tecnicamente si dice a “spilla”, ad ogni movimento di urto che riceve, può in parte inarcarsi e non raggiungendo la posizione di sicurezza cade sulla capsula e quindi avviare lo sparo di essa.
Alla domanda se un individuo, avendo la rivoltella del sistema sopradetto nella mano sinistra, cerca di togliere un altro individuo che, quasi in ginocchio, tiene fermo a terra un terzo, può la detta rivoltella esplodere senza tirare il grilletto, Vincenzo Costanzo, trentanovenne armaiolo del Distretto Militare, risponde: Con molta probabilità la rivoltella del sistema a spilla, nel caso indicatomi, al movimento che fa l’individuo che cerca dalle spalle sollevare colui che trovasi sopra l’altro a terra, urtando in qualsiasi modo il cane, anche sulle vestimenta, può esplodere per la ragione sopradetta.
Un tragico e fatale incidente è possibile, ma la Procura Generale del re sostiene la tesi dell’omicidio volontario e per questo reato chiede il rinvio a giudizio di Francesco Cavalcante. È il 30 giugno 1894.
Anche la Sezione d’Accusa è su questa linea e il 17 luglio 1894 rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza, dove il dibattimento inizierà il 17 ottobre successivo, a dieci mesi esatti dal fatto. Il giorno dopo la giuria emette il verdetto: colpevole di omicidio commesso per negligenza o imprudenza. In soldoni fanno 4 anni, 2 mesi e 25 giorni di reclusione.
Il 2 marzo 1895 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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