FESTA DI SANGUE

È il 3 giugno
1952 e a Plataci si celebra la grande festa della Madonna di Costantinopoli.
Nonostante sia martedì, ogni attività lavorativa viene sospese e carovane di
fedeli si riversano in paese per celebrare in allegria la festa patronale.
Il ventenne
Vincenzo Scaldaferri ci va con la sua fidanzata Antonietta Rugiano e suo
cognato Pasquale, i suoi fratelli Pasquale e Carmela e il fidanzato di questa
Battista Carlomagno. Vincenzo ha con sé una piccola fisarmonica con la quale
allieta il cammino dalla contrada Valline fino in paese.
È davvero una
bella festa. Suoni, canti e balli vanno avanti per tutta la mattina in attesa
della processione che sarà nel primo pomeriggio.
Alla festa ci
va anche il ventiquattrenne Giuseppe Pesce, cugino in secondo grado di Vincenzo
e pretendente respinto di Antonietta. Certamente tra i due giovanotti non c’è
perfetta armonia, ma è la festa della Madonna e tutto in questo giorno si deve
dimenticare. O almeno così dovrebbe essere. Si, perché Giuseppe nemmeno in
questo santo giorno dimentica e continuamente punzecchia Vincenzo. Qualcuno li
sente anche discutere animatamente di fidanzate,
ma non c’è tempo e voglia di immischiarsi. Poi Vincenzo e Giuseppe si mettono a
suonare le proprie fisarmoniche uno accanto all’altro e intorno a loro la gente
balla
– Fammi
suonare con la tua – dice Giuseppe, ad un certo punto
– No – gli
risponde Vincenzo seccamente
– Voglio
suonare con la tua fisarmonica! – insiste in tono perentorio, forse cercando di
far leva sulla sua età maggiore rispetto al cugino
– Ti ho detto
di no! hai la tua e suoni con la tua!
Se non mi fai suonare con la tua fisarmonica
ti faccio saltare la testa
! – lo minaccia Giuseppe. Per un attimo intorno a
loro tutti si fermano guardandolo allibiti, poi interviene Pasquale Rugiano ed evita vie di fatto riportando la calma.
Suoni, canti e balli ricominciano come se nulla fosse accaduto
Intanto le
campane hanno cominciato a suonare a festa, la processione è cominciata e tutti
intonano i solenni canti sacri della tradizione e recitano le preghiere. Ma
ormai si sta facendo tardi per chi abita lontano e ha da badare agli animali
abbandonati per la festa. Pasquale Scaldaferri, il fratello di Vincenzo, suo
cognato Battista Carlomagno e il cognato di Vincenzo si avviano prima degli
altri per andare a mungere le pecore. Antonietta, Carmela e Vincenzo restano
ancora un po’. Resta anche Giuseppe, invitato a mangiare un boccone di pane e
formaggio a casa di un amico.
Quando
Vincenzo e le due ragazze arrivano alla fontana di San Rocco, punto di passaggio per recarsi a Cerchiara,  vengono raggiunti da Giuseppe che fa la
strada con loro. Cammin facendo le ragazze, che procedono più velocemente
perchè a cavallo di un mulo, distanziano i due giovanotti di qualche decina di
metri. Ormai stanno camminando da più di un’ora
e mezza attraverso viottoli ripidi ed impervi fino a raggiungere l’altitudine
di cira 1.400 metri
, quando arrivano in località Agromezzo, non lontano dal
gruppo di case dove abitano tutti, precisamente sul sentiero che da Plataci mena verso Alessandria del Carretto e San
Lorenzo Bellizzi
.
Un urlo
disperato rompe la magia del silenzio della montagna. Antonietta e Carmela
hanno un sussulto e si guardano impaurite. L’urlo proveniva dalla stradina
dietro di loro, dove stavano camminando Vincenzo e Giuseppe. Smontano
precipitosamente dal mulo e tornano indietro correndo.
Costantino
Restieri con sua moglie e il loro bambino stanno tornando a casa dopo la festa.
Anche loro vanno verso contrada Valline, ma hanno preso un altro sentiero,
quello che percorre il versante opposto della montagna dove sono i quattro
ragazzi
– Cosa è
stato? – chiede la moglie di Costantino
– Qualcuno
sarà precipitano dal sentiero… voi andate a casa, io vado a vedere
L’uomo si
inerpica fino alla cima del colle e guarda giù. Vede due donne che stanno
correndo lungo il sentiero dove, proprio sotto di lui c’è un uomo steso a terra
in un lago di sangue e, più avanti, un altro uomo che corre verso il paese. Lo
riconosce, è Vincenzo, e capisce tutto
L’hai fatto ed ora vai a presentarti dai
Carabinieri
! – gli urla mentre scende verso il sentiero dove c’è l’uomo a
terra. Si avvicina, ma senza accostarsi
troppo
, e riconosce Giuseppe. È la conferma di quanto aveva immaginato. Poi
torna indietro per raggiungere e avvisare sua moglie e quindi tornare sul luogo
del delitto per attendere l’arrivo dei Carabinieri. Ma questo non lo può fare
perché, alla notizia di ciò che è accaduto, sua moglie sviene e deve riportarla
a casa in braccio.
Antonietta e
Carmela vedono il corpo di Giuseppe immerso nella pozza di sangue che ancora
zampilla dalla ferita che ha sul collo. Sono terrorizzate, si coprono il viso e
corrono indietro, ma Carmela vede per terra la fisarmonica di suo fratello e la
raccatta, poi prendono il mulo e tornano a casa per dare la brutta notizia.
Sono le 18,30
del 3 giugno 1952 quando il Brigadiere Gregorio Castaldo, impegnato al disbrigo della posta corrente, viene
avvisato che c’è un uomo sporco di sangue che gli vuole parlare
– Con questo…
– dice Vincenzo tirando fuori il coltello, che non è un vero e proprio coltello
ma una lima affilata da un lato e che termina a punta acuminata, facendo
scattare tutti i Carabinieri presenti che lo afferrano e glielo strappano di
mano – con questo ho ammazzato Giuseppe Pesce dandogli un colpo alla gola…
– Perché lo
hai fatto? – gli chiede il Brigadiere
– Voleva con
insistenza la mia fisarmonica che io a
nessun costo intendevo dargli
… poi, ad
un certo momento, accecato dall’ira, non ci ho visto più
, ho cacciato il
coltello che avevo in tasca, gli ho tirato un colpo alla gola e l’ho steso a terra… poi sono venuto
subito qui…
“Frivoli
motivi” pensa il Brigadiere, pur non essendone del tutto convinto
– Adesso
avviso il Pretore e il medico condotto e tu ci accompagni sul posto…
Incatenato in
mezzo a due Carabinieri, Vincenzo conduce gli inquirenti sul posto dove c’è
solo il cadavere di Giuseppe giacente sul
fianco destro col braccio destro sotto la testa ed il sinistro leggermente
piegato con la mano semi aperta a pochi centimetri dal mento, la gamba destra
piegata e la sinistra semi distesa. Delle chiazze di sangue a circa un metro e
mezzo davanti a lui
[il cadavere. Nda], altra
chiazza a circa due metri dietro di lui ed abbondante sangue al posto ove lui
giaceva, sgorgatogli da una ferita che lo Scaldaferri gli aveva prodotto sotto
la mandibola sinistra
.
Ferita da punta e taglio della lunghezza di
circa dieci centimetri e profondità 8 circa, in direzione postero anteriore,
divaricata un po’, dall’alto in basso
la
morte è stata determinata da anemia acuta meta-emorragica per recisione della
carotide esterna
– detta il dottor Pasquale Urbano di Plataci
– È
necessario procedere all’autopsia? – gli chiede il Pretore
Quanto abbiamo visto è più che sufficiente
ad averne determinato la morte
… è inutile straziare ancora il cadavere…
– Quindi è
stata recisa solo la carotide? La ferita è lunga e profonda…
– Direi che è
stata recisa anche la trachea – risponde il medico dopo aver scrutato meglio
Vengono
interrogati parecchi testimoni che riferiscono sul comportamento di Vincenzo e
Giuseppe durante la festa e tutti sono concordi nel riportare la minaccia fatta
dalla vittima al rifiuto di Vincenzo di prestare la fisarmonica. Altri dicono
che Giuseppe preferì tornare da solo a casa lasciando gli amici coi quali era
andato in paese. I familiari di Vincenzo, senza possibilità di essere smentiti,
dicono che i due al momento del fatto erano da soli e che, per quanto ne sappiano,
non c’erano mai stati altri motivi di contrasto. Il Brigadiere Castaldo, a
questo punto, chiude il suo verbale ammettendo:
Dalle risultanze dei fatti emersi attraverso
le interrogazioni dei testi, sembra palese che da parte dello Scaldaferri non
vi fosse la vera intenzione di uccidere il Pesce o che ciò sia avvenuto solo
dietro provocazione di questi, tenendo presente il fatto che il Pesce, solo e
senza alcun invito, andò ad associarsi a questa comitiva per il ritorno alla
casa, lasciando che la compagnia con la quale si era accompagnato la mattina se
ne andasse per proprio conto senza di lui. L’imputato subito dopo il delitto si
è costituito a questo comando
.
Tutto sembra
essere chiaro, ma rimane un alone oscuro: è possibile che solo le continue e
noiose insistenze di Giuseppe abbiano potuto determinare Vincenzo ad ucciderlo?
Quando
l’imputato viene interrogato dal Pretore la musica cambia
L’ucciso pretendeva fidanzarsi con
Antonietta Rugiano avanzando all’uopo regolare richiesta. Ebbe, però, un netto
rifiuto. Successivamente anche io chiesi la mano di Antonietta e ne ebbi risposta
affermativa. Pertanto, da circa un mese, sono ufficialmente fidanzato con colei
che aveva rifiutato il Pesce. Questi non si dava per vinto e faceva di tutto
per ostacolare il mio amore con continue provocazioni. La mia fidanzata era
all’oscuro di tali provocazioni, non avendogliele mai esternate, né le ho mai
manifestate propositi di vendetta verso il Pesce
… Ieri poi è successo il
fatto della fisarmonica e sulla strada del ritorno Giuseppe ci raggiunse sulla Montagnola. Di qui fino al luogo in cui l’ho
ucciso Vincenzo continuava a insultarmi e provocare con le continue richieste
della mia fisarmonica. Io ho cercato di farlo desistere dalle provocazioni
invitandolo a lasciarmi in pace ma ad un certo momento non ci vidi più,
afferrai il coltello e mi scagliai contro di lui e con un colpo al collo lo
uccisi
Ecco, l’alone
comincia a sbiadirsi. Questione di fidanzate,
come qualcuno ha sentito durante la festa. Il movente comincia a diventare più
credibile.
Ma negli
stessi momenti in cui Vincenzo fa queste dichiarazioni, l’avvocato Pasquale
Cipparrone presenta al Giudice Istruttore di Castrovillari un esposto per conto
del padre della vittima nel quale si ricostruiscono i fatti in modo
completamente diverso:
Egli, il mattino del 3 giugno, si era
recato, in compagnia di Zaccaro Gaetano, Carlomagno Angela, Carlomagno Giuseppe
e Tursi Francesco, tutti da Cerchiara, alla festa della Madonna di
Costantinopoli ed era felice e contento, tanto che portava seco una piccola
fisarmonica da suonare, per devozione, durante la processione.
Nel pomeriggio, a festa ultimata, stava per
fare ritorno con le stesse persone, alle quali si era unito anche Tursi
Giuseppe, alla propria abitazione quando, giunto nei pressi della fontana di
San Rocco, fu chiamato da un amico il quale lo invitò ad entrare nella casa
sulla cui soglia si trovava. Il Pesce consegnò la sua fisarmonica a Giuseppe
Tursi e, dopo aver invitato la comitiva a proseguire il cammino, entrò in detta
casa, dalla quale ne uscì dopo circa dieci minuti. Appena fuori il Pesce si
recò a fare una visita, mentre l’amico si incamminò verso la fontana dicendogli
che ivi lo avrebbe atteso per proseguire insieme il cammino. Quando, dopo circa
un querto d’ora, il Pesce raggiunse detta fontana, trovò che ivi lo attendevano
non solo il suo amico, ma anche Antonietta Rugiano, ex fidanzata
dell’assassinato, la madre, il fratello Pasquale, l’imputato Scaldaferri
Vincenzo con i germani Pasquale e Carmela, Carlomagno Battista e Restieri
Costantino. Insieme s’incamminarono verso Cerchiara, contrada Vallina. Il primo
a giungere dopo l’omicidio fu Lorenzo Armentano, il quale trovò il cadavere
steso per terra e, vicino allo stesso, l’imputato, il fratello Pasquale,,
Rugiano Pasquale, Battista Carlomagno e Costantino Restieri. A breve distanza
dal luogo vi erano anche Angelo De Giovanni e Antonio Napoli.
Sarà opportuno, se la S.V.Ill.ma lo riterrà del
caso, esaminare le summenzionate persone allo scopo di conoscere le vere
modalità del fatto ed acclarare se vi siano stati correi, a tutt’oggi rimasti
nell’ombra
.
Si insinua,
così, il dubbio che possa essersi trattato di un omicidio premeditato al quale
parteciparono più persone e in teoria potrebbe essere possibile, anche se non
si capisce che motivo potrebbero avere avuto gli eventuali altri assassini ad
uccidere Giuseppe Pesce. Se si vuole pescare nel torbido non deve meravigliare
che sia tirato in ballo anche Costantino Restieri che fino a questo momento,
ufficialmente, è l’unico e solo ad essere arrivato sul posto prima dei
Carabinieri, eccezion fatta per la sorella e la fidanzata di Vincenzo
Scaldaferri.
Ma il
contenuto dell’esposto rimane solo una illazione perché tutte le persone citate
dimostrano di non aver potuto essere presenti in quel posto e in quell’ora e
Costantino Restieri rimane l’unico e solo ad essere arrivato sul posto pochi
momenti dopo l’omicidio.
Per il
Pubblico Ministero non ci sono dubbi:
Non essendoci smentita in atti, alla stregua
di quanto dichiarato dallo stesso imputato, si argomenta che lo Scaldaferri,
vittima senza dubbio delle continue provocazioni che certamente non
giustificano il suo incontrollato operato, in un momento di esasperazione,
rinfocolato senza dubbio da uno stato d’ebbrezza e di esuberanza giovanile,
ebbe a cagionare la morte di Giuseppe Pesce. Nessuna prova materiale o psichica
di altri al delitto è emersa dall’istruzione. La causale del delitto è da
ricercare in motivi di gelosia
.
Il 12 agosto
1952 l’imputato viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza in
Castrovillari  con l’accusa di omicidio
volontario.
Il 23
febbraio 1953 inizia il dibattimento che non offre nessuna novità rispetto a
quanto già emerso, se non la durezza della pena richiesta dal Pubblico
Ministero, nonostante l’invito a concedere le attenuanti del caso: 20 anni di
reclusione e 6.000 lire di ammenda. Due giorni dopo può essere emessa la
sentenza. La Corte
ritiene l’imputato colpevole di omicidio volontario e di porto abusivo di arma
proibita e, con l’attenuante di avere
agito in istato d’ira determinato dal fatto ingiusto della parte offesa e con
attenuanti generiche, lo condanna ad anni 14 di reclusione e giorni 40 di
arresto
, più pene accessorie, motivando la decisione con questi concetti: La contesa della medesima donna,
determinando la frattura grave delle buone relazioni sentimentali tra i due
innamorati, anche se velata dalla prudente indifferenza, fece sorgere
nell’animo del Pesce un vivo risentimento tanto da spingerlo a rimproverare il
cugino, più piccolo di età di lui e a rinfacciare allo stesso il grave torto
subito… Non esiste dubbio alcuno sulla volontà omicida, ove si tenga in debito
conto l’arma usata, la gravità della lesione e la vitalità dell’organo attinto.
La lesione patita dalla vittima aveva la profondità di cent. 8 e la larghezza
di cent. 10 ed aveva reciso la carotide che, è risaputo, è organo vitale posto
nella parte profonde del collo; il colpo, cruento e proditorio, inferto
dall’indietro all’avanti e dall’alto in basso e nell’attimo in cui la vittima
volgeva le terga ed era in posizione retta. Scaldaferri voleva uccidere perché
aveva un motivo apprezzabile, una ragione efficiente, liberarsi
dell’avversario. Deve dirsi, invece che il prevenuto agì in uno stato di
emozione violenta, in un clima altamente apprezzabile di sentimenti morali:
egli va creduto quando dice che è stato spinto all’atto sanguinario perché
“sfottuto, insultato, annoiato, molestato” in quella giornata.. l’imputato,
invero, non ha agito per due differenti impulsi psichici, ma solo si è trovato
nella condizione psichica di colui che è trascinato al delitto dal fatto
ingiusto altrui
.
I difensori
di Scaldaferri, avvocati Luigi Saraceni e Luigi Gullo, alla lettura delle
motivazioni insorgono e rispondono con una dura richiesta di Appello, nella
quale accusano la Corte
di aver male interpretato i fatti e di essersi lasciati influenzare da una
perizia medica affrettata e superficiale:
Sulla volontà omicida la Corte doveva farsi orientare
dalla caratteristica del fatto d’impeto, dall’unicità del colpo, dalla fuga
immediata dell’imputato che non reitera la violenza e soprattutto dall’errore
in cui è incorso il perito, errore che invano la Corte tenta di giustificare
in quanto esso risulta, prima ancora che dall’impossibilità logica che quella
ferita fosse profonda otto centimetri, dal divario che corre tra il primo
referto e la perizia: primo referto in cui si parla di lunghezza e perizia in
cui si parla di profondità. A ciò, in ultimo, si aggiunga che la Corte ha interpretato
erroneamente la posizione dei contendenti, fino a ricostruire così: si colpì un
uomo stando alle spalle di lui. Proprio il contrario si desume dalle
caratteristiche descritte [
ferita dall’indietro in avanti, che sta a
significare che l’aggressore sta davanti alla vittima. Nda]. Sui motivi morali la Corte ha ritenuto di potere
concludere negativamente adducendo la seguente ragione: quella carica del Pesce
non potè che suscitare un’unica reazione psicologica, quindi provocazione. Nel
che, l’errore è duplice. Anzitutto non si intende come la Corte abbia potuto affermare
la unicità della reazione, lì dove c’è tutta una situazione psicologica
determinata e non solo e non tanto dalla persona dello Scaldaferri offesa,
quanto dalla persona di lei, oggetto dell’audacia dell’innamorato respinto.
Campeggia, insomma, la figura della donna, accanto a quella del giovane
esasperato; della donna amata, simbolo dell’avvenire familiare, simbolo, cioè,
di tutto un mondo tutelabile moralmente e per il quale l’imputato agì.
Una parola a parte, però, merita la sentenza
per quello che riguarda la determinazione della pena, che nella sua gravità ha
sbalordito tutti gli astanti, quella sera in Assise. Si riconosce che lo
Scaldaferri è un povero montanaro incensurato, per il quale quella fanciulla
era l’unico sogno che la miseria gli consentiva di carezzare; si concedono due
attenuanti che denotano la particolare valutazione del movente e della
personalità e, senza motivazione, si irroga una pena diversa dal minimo.
Perché? A qualunque fonte noi ci rivolgiamo: dottrina, giurisprudenza,
legislazione, non troveremo una risposta a questo interrogativo, la quale
giustifichi la pena irrogata
.
L’11 giugno
1954, due anni dopo il fatto, la
Corte d’Assise accoglie il ricorso di Saraceni e Gullo e
riduce la pena a 10 anni di reclusione.
I legali
propongono ricorso per Cassazione ma il 18 gennaio 1955 la Corte d’Appello di
Catanzaro, non avendo il ricorrente
Scaldaferri presentato motivi a sostegno del ricorso proposto
, dichiara
inefficace il ricorso stesso e ordina l’esecuzione della pena.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.

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