I RAPPORTI TRA SUOCERO E GENERO

Nel 1894 in Via Annunziata a Grisolia c’è la bettola del cinquantenne Antonio Esposito, che è nato a Montalto Uffugo ma da una trentina di anni si è trasferito a Grisolia con la sua famiglia. Ed è a Grisolia che sua figlia Rosina ha conosciuto un muratore di Cosenza, Gaetano Giardino, lo ha sposato e le due famiglie coabitano in un paio di stanzette sopra la bettola, i cui affari vanno discretamente, ma così non si può dire dei rapporti tra suocero e genero perché da un paio di anni vanno deteriorandosi ogni giorno di più.
– Dammi due soldi di vino – fa Gaetano Giardino a suo suocero con tono aspro.
– Te ne puoi andare che per te vino non ce n’è! – gli risponde acidamente.
– Ah! Così stanno le cose? – il gesto che fa Gaetano di mordersi l’indice della mano destra stretta a pugno è una chiara minaccia e Antonio, senza pronunciare più una parola, si avventa sul genero, lo afferra per il petto e lo stramazza a terra, poi cava di tasca un rasoio e, con gli occhi iniettati di sangue, prende lo slancio per tagliargli la gola. Fortunatamente proprio in questo istante entra nella bettola Romualdo Capalbo che riesce a bloccare il braccio di Antonio Esposito e ad evitare la tragedia. Gaetano, bianco come un lenzuolo, si rialza e se ne va senza una parola, mentre suo suocero lo segue sulla strada e lo investe con mille villanie e minacce. È il 21 gennaio 1894 e i rapporti tra i due sono questi. Perché? Vediamo.
Antonio Esposito ha un’amante di una trentina di anni più giovane di lui, Concetta Benvenuto, la quale agli inizi del 1894 è incinta. Gaetano, dispiacente di questa relazione, sia per motivi d’onore che d’interesse, di tanto in tanto avvertiva l’Esposito di abbandonare la Benvenuto perché questa non poteva far altro che consumargli quel poco che possedeva, minacciandolo perfino di fargli provare la sua doppietta qualora non avesse tralasciato tale relazione, ma l’Esposito poco se ne curava di quei avvertimenti e di quelle minaccie, anzi, il 13 marzo 1894, da un notaio di Cirella faceva compilare un istrumento col quale si obbligava a lasciare alla Concetta Benvenuto un vano di poco valore ed un piccolo giardino e Gaetano, vistosi sreditato, andò sempre più in furia.
La mattina del 21 marzo Antonio, armato di pistola e di uno spiedo, va nella bottega del calzolaio Giuseppe Bellusci per lasciare un messaggio a suo genero:
Che venga a prendersi la legna nella mia bettola, diversamente gliela getto fuori!
– Ma…
– Le vedi? Con queste lo devo uccidere! – termina mostrando al calzolaio le armi, poi gira i tacchi e se ne va.
Bellusci è seriamente preoccupato e va a cercare Gaetano, lo trova e gli racconta tutto.
Va bene, me le andrò a prendere… – gli risponde con noncuranza.
Ma invece di andare a prendere la legna va ad ubriacarsi in un’altra cantina del paese e poi, verso il tramonto, torna a casa borbottando:
Questa sera farò fuoco
Barbara Marino abita nella casa accanto a quella degli Esposito-Giardino e poco dopo che Gaetano è rientrato sente delle voci concitate provenire dalla scala che porta alla casa dei vicini: sono Gaetano e sua moglie che stanno bisticciando. Allarmata, si affaccia e vede Rosina che tenta disperatamente di togliere dalle mani del marito il due colpi.
Lo devo sparare! Lo devo ammazzare! – urla con gli occhi fuori dalle orbite e la voce da ubriaco. Barbara Marino chiama subito suo marito il quale cerca, insieme a Rosina, di fermarlo, ma Saverio De Biase è anziano e contro quella furia umana non può nulla, come non può nulla Rosina.
Gaetano adesso è davanti alla porta della bettola e urla:
Antonio Esposito, esci fuori!
Concetta Benvenuto è nella bettola insieme al suo amante, da pochi giorni convivono lì e hanno sistemato un letto nel retrobottega, e quando sente Gaetano urlare sente il sangue gelarsi nelle vene, il momento della resa dei conti sta arrivando.
Nasconditi che io vado a chiudere la porta – le dice Antonio spingendola dietro un tavolino
Antonio Esposito, esci fuori! – urla ancora Gaetano, respingendo le persone che vorrebbero farlo desistere.
Antonio si assicura che Concetta sia al riparo e comincia a fare i cinque o sei passi che servono per arrivare alla porta e chiuderla.
Antonio Esposito, esci fuori per la Madonna! – questa volta la voce sembra venire da dentro la bettola e, infatti la porta si spalanca e nella luce incerta del tramonto si staglia la figura di Gaetano con la doppietta spianata. È un attimo. Gli occhi del suocero e del genero si incrociano, poi Gaetano appoggia il calcio del fucile alla spalla e tira il grilletto. Un solo colpo, anche ubriaco non può sbagliare, Antonio è a non più di due metri da lui.
La palla entra dall’ottavo spazio intercostale di destra e sembra impazzire: striscia sul margine posteriore del fegato, indi perfora la colonna vertebrale, striscia sul ventricolo sinistro del cuore e sul polmone sinistro e dopo aver fortemente contusa e pestata la milza e fratturato la dodicesima costola, termina la sua corsa nei tessuti molli della parte destra dell’addome. Antonio stramazza al suolo senza un lamento, praticamente già morto.
Gaetano si guarda intorno e vede Concetta dietro al tavolino, che trema come una foglia. Sorride beffardamente mentre prende la mira. Sta per tirare di nuovo il grilletto quando viene afferrato per le braccia da Nicola Velardi, fratello uterino di Concetta. Ne nasce una furiosa colluttazione dagli esiti incerti, ma entra nella bettola, ormai semidistrutta, il diciannovenne Salvatore Benvenuto, fratello germano di Concetta, con una scure in mano. Nicola molla la presa su Gaetano e Salvatore, prima che l’assassino abbia il tempo di capirne il perché, vibra sul capo di Gaetano due colpi col dorso della scure, lasciandolo a terra tramortito.
Nicola raccatta da terra il fucile ed esce dalla bettola per andare a consegnarlo al Sindaco, il quale provvede immediatamente ad avvisare dell’accaduto i Carabinieri di Verbicaro. Salvatore, invece, va a rifugiarsi in montagna.
Il Brigadiere Angelo Scattolin con i suoi uomini arriva il mattino seguente. Trovano Gaetano Giardino a letto con la testa rotta, ma non in pericolo di vita, e lo dichiarano in arresto. Poi vanno a casa di Salvatore Benvenuto per fare la stessa cosa, anche se già sanno che è scappato. C’è tempo per trovarlo.
Mio suocero ha sempre convissuto con me e mia moglie – comincia a raccontare Gaetano – e ci siamo sempre stimati di amore filiale, però è diverso tempo che lo stesso ha preso relazioni carnali con una certa Concetta Benvenuto e ci ha maltrattati in modo da provocarmi e minacciarmi continuamente. Da quattro o cinque giorni che detto mio suocero si è messo in casa questa Concetta Benvenuto, le provocazioni sono aumentate. Ieri sera, essendo io in casa alquanto preso dal vino, sentii che mio suocero borbottava contro di me e io non potendo resistere a tali insulti, acceso d’ira, presi il fucile a due colpi e, sceso sulla strada, gli sparai contro un colpo mentre egli era sul limitare della porta. Dopo il colpo io, visto cadere  mio suocero nella parte interna della bettola, mi ritiravo a casa, quando mi sopraggiunse Benvenuto Salvatore armato di scure e m’inferse due colpi alla testae se non fosse stato trattenuto dalla gente che accorse mi avrebbe uccisointendo contro di esso dare querela chiedendone la punizione.
– Ubriaco ti sei messo a caricare il fucile a palla?
Il due colpi si trovava già carico con due cartucce e non so che carica conteneva
– Senza licenza…
Il porto d’arma m’era spirato
Gaetano ne avrà per una quindicina di giorni, ma la convalescenza la passerà nel carcere di Verbicaro.
Intanto le ricerche di Salvatore Benvenuto non danno risultato e adesso, con la primavera che avanza, anche la vegetazione esuberante lo aiuta a nascondersi. Poi, il 20 maggio, due mesi dopo i fatti, Salvatore si presenta dal Pretore e racconta la sua versione:
Ammetto essere intervenuto allorché il Giardino sparò allo Esposito, io avevo in mano la scure essendomi allora ritirato da campagna. Mi cooperai perché il Giardino depositasse il suo due colpi e siccome egli non voleva e, anzi, minacciava di esplodere altri colpi, specialmente contro mia sorella Concetta, ivi presente, così io lo ferii con la scure, ma a solo scopo di disarmarlo e per soccorrere mia sorella.
Su quest’ultimo punto sembra sincero perché nelle condizioni di vantaggio in cui si trovava e con in mano un’arma micidiale come è una scure, se avesse voluto uccidere non avrebbe avuto alcuna difficoltà.
Di questo ne è convinto anche il Pubblico Ministero che lo accusa del reato di lesioni volontarie e non di tentato omicidio. Per Gaetano Giardino, invece, l’accusa è di omicidio volontario, oltre a quelle minori di porto d’arma abusivo e di contravvenzione per l’omesso pagamento della concessione governativa sul possesso delle armi.
La Sezione d’Accusa concorda con questa impostazione e rinvia tutti e due gli imputati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza, lasciando però Salvatore Benvenuto a piede libero. È il 10 luglio 1894.
Il dibattimento si apre il 16 ottobre dello stesso anno e dura due udienze, durante le quali sorge la questione se sia vero lo stato di parentela affine esistente tra suocero e genero, rispettivamente vittima e assassino, perché sembrerebbe che Antonio Esposito non si sia mai sposato legalmente con Aquila Aloise e che Rosina non sia nemmeno nata dall’unione, legale o meno, tra quelli che dovrebbero essere i suoi genitori. E non è una questione di lana caprina perché se non c’è la prova provata del rapporto di affinità tra vittima e assassino, non potrebbe applicarsi l’aggravante di legge prevista in questi casi. Ma poiché in processo manca l’atto legale da cui si possa rilevare il grado di parentela che l’accusato Giardino abbia avuto con l’ucciso Esposito Antonio, viene fatta richiesta ai comuni interessati di fare gli accertamenti opportuni e riferire i risultati immediatamente. La risposta al quesito è positiva, Rosina Esposito è figlia legittima di Antonio Esposito e Aquila Aloise e quindi Gaetano Giardino è affine in linea retta alla sua vittima. Adesso i giurati possono ritirarsi per emettere il verdetto.
I dubbi, ovviamente, non sono sulla colpevolezza, ma sulle circostanze aggravanti e/o attenuanti che verranno riconosciute all’imputato. La giuria riconosce che l’omicidio è aggravato dal legame di parentela, ma riconosce anche che Gaetano Giardino ha ucciso suo suocero nell’impeto d’ira o d’intenso dolore determinato da ingiusta e grave provocazione. Tradotto in cifre fanno 12 anni e 6 giorni di reclusione, nonché 60 lire di multa e il risarcimento del danno.
Salvatore Benvenuto invece viene assolto perché ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta.
Il 2 marzo 1895 la Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso di Gaetano Giardino.[1]


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[1] ASCS,Processi Penali.

 

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