15 LIRE NEL PANCIOTTO

Tommaso Serafini lavora per conto del signor Alessandro Scigliano nel fondo agricolo denominato Difesa Serra, in territorio di San Giovanni in Fiore. Il 14 agosto 1900, come ogni giorno, va al lavoro, ma sa che sarà un giorno diverso dal solito e molto più lungo del solito. Ci sarà da raccogliere e insaccare dell’orzo e raccogliere le ciliegie perché nel pomeriggio verranno dei compratori e tutto dovrà essere pronto per essere consegnato. Tommaso si fa accompagnare da suo figlio, il tredicenne Giovanbattista, perché due braccia in più e una giornata di paga in più fanno sempre comodo.
Il 14 agosto 1900, nonostante ci troviamo in montagna, fa molto caldo ed è duro lavorare sotto al sole, ma Tommaso è abituato e con qualche sorso di vino ogni tanto per asciugare il sudore va avanti che è una bellezza. All’ora di pranzo il lavoro si può dire praticamente finito e ci sarà solo da aspettare i compratori che, maledetti, si fanno aspettare a lungo, così padre e figlio finiscono di lavorare verso il tramonto. Tommaso nasconde accuratamente in un fazzoletto all’interno della manica destra del panciotto di lana bianco le 15 lire, in moneta di carta, di nichel e di bronzo, incassate per conto del padrone e riprendono la strada di casa con la luna che rischiarava alquanto il cammino.
Sono quasi le 21,00 quando arrivano alle porte del paese e Giovanbattista, per festeggiare l’arrivo a casa, tira fuori una piccola e vecchia pistola senza grilletto caricata a salve, che per sparare bisogna battere sul cilindro con un sasso, e, con spirito di complicità fanciullesca, fa partire un colpo.
Poco distante da loro ci sono quattro giovanotti che stanno provando a cantare una canzone da serenata accompagnandosi con una chitarra. Questi, sentito lo sparo, si avvicinano minacciosi a Tommaso e suo figlio e li bloccano. Uno afferra il ragazzo e lo tiene fermo, mentre gli altri tre immobilizzano Tommaso e lo perquisiscono ficcando le mani dappertutto.
Il malcapitato si divincola e volano delle pietre da una parte e dall’altra, poi gli aggressori gli sono addosso e cominciano a malmenarlo fino a quando a Tommaso non viene tolto di dosso il panciotto.
– Lascialo! – urla Tommaso quando uno degli aggressori comincia a svuotare le tasche del panciotto.
Sono parafante e posso perquisire! – gli risponde il giovane con un sorriso beffardo.
C’è un attimo di tregua, tutti respirano affannosamente nella nuvola di polvere che si è sollevata e Tommaso ne approfitta per raccattare l’indumento dal contenuto prezioso e andarsene col figlio, lasciato libero, per una scorciatoia. Ma, fatte poche decine di metri, scoprono che gli aggressori li hanno preceduti e ricomincia la sassaiola, mentre i giovanotti si avvicinano sempre più minacciosi. Uno degli aggressori gli è davanti con un coltello in mano. No, non è per minacciarlo. Il colpo, indirizzato alla testa, è improvviso e violento, violento a tal punto che la lama del coltello perfora l’osso fronto-parietale di sinistra, lasciando Tommano a terra. Ma non basta. Prima di prendere il panciotto e dileguarsi, uno dei rapinatori fracassa la chitarra sul corpo inerme della vittima.
Giovanbattista ha assistito impotente all’orribile scena, bloccato da braccia dure come il ferro, e quando lo lasciano andare si affloscia a terra come un sacco vuoto. Poi sente un rantolo e un suono gutturale come se provenisse dall’altro mondo. Ha paura e resta immobile.
– Gggiiiooo…
Quel suono adesso sembra più chiaro, sembra il suo nome. Il ragazzo alza la testa e vede il padre muovere le braccia, come se volesse tirarsi su. Poi gli vede muovere una gamba, ma non può credere che sia vivo, certamente è la sua anima che sta salendo in cielo.
– Gggiiiooo…
– Papà?
– Aiuta…mi…
Giovanbattista scatta in piedi come una molla e corre verso suo padre, tramortito, con la testa bucata ma vivo!
Tommaso riesce a mettersi in piedi dopo qualche minuto e, aiutato dal figlio, a trascinarsi prima a casa del dottor Giovanni De Marco che gli applica due punti di sutura e giudica la ferita guaribile fra 15 giorni, salvo complicazioni, e poi alla caserma dei Carabinieri.
Siccome Tommaso sembra in grado di parlare fluentemente, il Maresciallo Pasquale Sallone si fa raccontare come sono andati i fatti e se conosce i suoi aggressori:
– Ho riconosciuto solo Pasquale Iannaccaro, che so essere di carattere sanguinario e violento, Degli altri posso dire solo che uno aveva una chitarra… mi sembra che scapparono per la via del Timpone
Accompagnato il ferito a casa, i Carabinieri si mettono sulle tracce dei malviventi, senza riuscire a rintracciarli per tutta la notte.
La mattina seguente, verso le 8,00, un uomo consegna al piantone della caserma un biglietto del dottor De Marco. Altro che ferita guaribile fra 15 giorni! Tommaso è in pericolo di vita. Informato immediatamente il Pretore del luogo, il Maresciallo va a casa dello sventurato con il Magistrato e lì trovano anche il medico.
Tommaso giace per terra nella propria casa, ha dei lievi tremori negli arti inferiori e superiori, con fenomeni convulsivo-clonici; il polso frequente e filiforme, la respirazione stentorosa.
– Ce la farà? – chiede il Pretore.
– Speriamo…
– Ma, in definitiva, che cos’ha questo poveretto?
– Uhm… nessun edema, né gonfiore… escludo assolutamente la flogosi reattiva e certamente la suppurazione… non credo opportuno togliere i punti di sutura per verificare lo stato in cui si trova internamente la ferita
– E quindi di cosa soffre?
– È tutto un complesso di cose… ha il polso abbastanza debole che fa temere da un momento all’altro una paralisi cardiaca…posso solo dire che, tenuto conto dello stato del paziente, debbo dichiararlo in pericolo di vita
– Potrebbe avere qualche altra cosa? Lo ha visitato dappertutto?
Stante la gravità dell’infermo non ho creduto denudarlo per osservare le altre parti del corpo
Benissimo. Il Pretore comincia a perdere la pazienza e rivolge al medico la domanda più ovvia ma anche più opportuna, vista l’indecisione:
Visto che col suo rapporto del 12 corrente rilevò la ferita con perforazione dell’osso tra le regioni frontale e temporale sinistra, spieghi perché tale fatto riscontrato non la indusse nel primo momento a giudicare la ferita pericolosa di vita o se invece la natura della ferita faceva ritenere che fosse guaribile in quindici giorni
Ritengo che non potevo essere indotto a dichiarare grave la lesione perché il paziente ha avuto tanta energia organica da recarsi personalmente e percorrendo un tragitto abbastanza lungo fino alla mia abitazione per farsi medicare. Dopo la medicatura ha continuato a mantenersi bene in forze, tanto da recarsi alla caserma dei Carabinieri per riferire l’accaduto al comandante e dopo ancora a casa sua, senza che fossero a mia conoscenza i fenomeni sopraggiunti fin da questa notte… la natura della ferita mi faceva escludere ogni idea di pericolo di vita sia per la leggiera emorragia, sia perché non credetti conveniente di specillarla fino in fondo, tanto da assicurarmi che l’arma feritrice abbia potuto penetrare fino al lobbo parietale sottostante alla cassa cranica
Molto probabilmente la situazione non sarebbe cambiata anche se la dichiarazione di imminente pericolo di vita fosse stata fatta la sera prima, però una maggiore attenzione per le condizioni del ferito era doverosa.
In questo frattempo i Carabinieri accertano che ad aggredire Tommaso Serafini e suo figlio sono stati, oltre a Pasquale Iannaccaro, anche Giuseppe Pulice, ventenne contadino, Giuseppe Marino, diciannovenne muratore di Caccuri, e il ventiduenne Antonio De Vuono. Questi ultimi due vengono sorpresi nelle proprie abitazioni e arrestati, degli altri due non ci sono notizie.
Sono stato io a tenere stretto fra le braccia il figlio dell’offeso – confessa Marino.
Effettivamente Iannaccaro ha tirato il colpo di coltello alla fronte del Serafini – conferma De Vuono, il quale tace sul fatto che ha sottratto le 15 lire dal panciotto della vittima, ma deve arrendersi all’evidenza quando i Carabinieri gli mostrano l’indumento rinvenuto a casa sua.
Poi arriva la soffiata giusta: Pasquale Iannaccaro si nasconde in contrada Timpone in casa di una donna, Angela Miletto. Verso le tre di pomeriggio i Carabinieri bussano alla porta della donna che nega tutto, ma è molto nervosa quando i militari cominciano a perquisirle la casa. E ne ha tutte le ragioni perché, quando la perquisizione si sposta al basso sottostante la casa, nascosto dietro alcuni attrezzi agricoli, spunta il ricercato. I Carabinieri mettono i ferri a tutti e due e li portano in caserma.
– Quel giorno andammo prima a mangiare un po’ di sarde e formaggio nella cantina di Antonio Mazzei e poi, volendo andare a cantare insieme una canzone alla innamorata di Giuseppe Marino, abitante al caseggiato posto al Ponte, mi feci prestare una chitarra e ci avviammo per la via che mena al Ponte. Risplendeva pure la luna quando sentimmo, a pochissima distanza, una esplosione di arma da fuoco. Ci fermammo e De Vuono, voltatosi indietro, vide Serafini col figlio e lo richiese chi avesse sparato quel colpo. Serafini rispose: “Sono stato io” ed allora De Vuono lo afferrò per perquisirlo e cercare di trovargli l’arma, mentre il figlio di Serafini si allontanava. Fu in questo momento che io, vedendo De Vuono e Serafini accapigliati, volli dividerli e mi accorsi, contemporaneamente, che Marino per non fare venire il ragazzo in ajuto del padre lo trattenne, mentre Pulice se ne stava con la chitarra in mano. Avvicinatomi a Serafini, questo mi strappò il bavero della giacca e per questo, adirato, io mi svincolai da lui e cominciai a tirargli delle pietre, mentre lo stesso fece De Vuono. Serafini rispondeva pure con colpi di pietra, ma finalmente si allontanò per la parte sottostante della strada e Marino lasciò pure il figlio. Supponendo tutti noi altri che Serafini e il figlio se ne andassero a casa, che è posta al di là del ponte, non credemmo più opportuno scendere a cantare la canzone e prendemmo un accorciatoio che mena al paese… – si difende Iannaccaro – Quando giungemmo sotto il Calvario, alle falde del paese, ci accorgemmo che Serafini ed il figlio erano dal punto superiore a quello dove ci trovavamo noi e, appena vistici, incominciarono a lanciarci dei sassi. Noi tutti rispondemmo pure con sassate ed io ricevetti un colpo di sasso alla testa – continua mostrando un graffio sulla testa –. Dopo un nutrito scambio di sassate vidi che Serafini ed il figlio si diedero a correre e dopo abbandonammo quel posto senza che nessuno si fosse avvicinato a Serafini. Non saprei dire se Serafini fosse rimasto colpito da qualche pietra… anzi, ricordo che mi avvicinai a due o tre passi come Pulice, tanto da scassinargli la chitarra sulla testa. Quando lo vedemmo caduto per terra ci allontanammo tutti
– Eppure Serafini aveva la testa bucata da una coltellata…
Non so spiegarmi come Serafini si fosse trovato, come mi dite, con un colpo di coltello sulla testa
– E come spieghi che a casa di De Vuono abbiamo trovato il panciotto di Serafini?
– A Marino era caduta la paglia dalla testa, ma il cappello era di De Vuono e prima di andarcene questi disse a De Vuono: “Se vuoi, vatti a trovare la paglia tua!”. De Vuono andò sulla via ma non la trovò. Trovò invece un panciotto di lana uso lanetta di colorito bianco che prese e portò con sé dicendo a noialtri: “Quello si ha preso la paglia, io mi prendo la lanetta”, trattenendo sempre con sé il panciotto
– E i soldi che erano nel panciotto?
– De Vuono non accennò di avere trovato altro e non si parlò di denaro trovato
Non è credibile perché i suoi complici hanno già ammesso molte circostanze e nei successivi interrogatori lo smentiscono del tutto. E lo smentisce anche Giuseppe Pulice, che nel frattempo è stato arrestato:
Iannaccaro si ebbe alla testa un colpo di sasso. Estratto un coltello che non distinsi, si lanciò contro Serafini e lo colpì alla testa; contemporaneamente, io con la chitarra colpii le braccia di Serafini, scassando così lo strumento. Lasciammo Serafini stordito, rimasto però in piedi, e tutti e quattro andammo alla fontanella Bellino, dove Iannaccaro si lavò la testa
C’è un solo fatto sul quale i quattro sono d’accordo: nessuno sa niente del denaro che Serafini disse essergli stato sottratto e su questo punto arrivano al Pretore due dichiarazioni scritte nelle quali si attesta che Tommaso quel giorno non aveva soldi in tasca. Mistero che viene svelato da alcuni testimoni:
Mi mostrò che teneva il denaro in una manica del panciotto – dice Lucrezia Fratto.
Mi disse che era venuto in paese per portare lire quindici al suo padrone e mi fece vedere una manica di un panciotto di lana, legata all’eStremità e mi disse: “Ancora sono qui dentro” – giura Bernardo Audia.
E così via.
Il Pubblico Ministero non ha dubbi. Tutti e quattro gli imputati devono rispondere del reato di rapina per avere con violenza alla persona di Serafini Tommaso e del figlio Giovanbattista costretto il primo a soffrire che s’impadronissero di un panciotto di lana contenente la somma di £ 15, dei quali oggetti il Serafini era possessore. In più Pasquale Iannaccaro deve rispondere anche di Omicidio qualificato. Angela Miletta, invece, è scagionata dall’accusa di Favoreggiamento personale per insufficienza di indizi ed esce di scena. È il 18 ottobre 1900.
La Sezione d’Accusa, il 20 dicembre successivo, fa proprie le tesi del Pubblico Ministero e rinvia i quattro al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il dibattimento, iniziato il 7 maggio 1901, si conclude in due udienze.
La giuria non ritiene sufficientemente provato che la sera dell’11 agosto 1900 gli imputati abbiano rapinato Tommaso Serafini e che Pasquale Iannaccaro abbia volontariamente ucciso la vittima.
Piuttosto, Pasquale Iannaccaro, secondo la giuria, è colpevole di omicidio preterintenzionale, avendo avuto solo l’intenzione di procurare alla vittima una lesione personale, dalla quale, poi, è derivata la morte. La giuria ritiene anche che Iannaccaro non agì in preda all’ira perché non provocato dalla vittima e per questo non gli concede attenuanti di sorta.
Quindi Giuseppe Pulice, Antonio De Vuono e Giuseppe Marino vengono assolti e Pasquale Iannaccaro viene condannato a 15 anni di reclusione.
La Suprema Corte di Cassazione, il 7 settembre 1901, rigetta il ricorso dell’imputato.[1]


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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