LA LETTERA DI JOE PETROSINO

New York, li 5 maggio 1898
Ill.mo Signor Prefetto di Cosenza
Ill.mo Signor,
prego la S.V.Ill.ma volersi benignare considerare quanto
segue
Nella città di New York, Stati Uniti d’America,
li 18 aprile 1898, il nominato Arcangelo Olivieri del Comune di San Giacomo
prov. Cosenza, uccise barbaramente Giovanni Ryan, contrattista, con tre colpi
di revolvere senza nessuna provocazione.
Prego la S.V.Ill.ma di prendere tutte misure necessarie
perché detto Arcangelo Olivieri sia arrestato e compiacersi di comunicare con
me.
Gradiscia la S.V.Ill.ma i sentimenti della più alta stima.
Dev.mo
Giuseppe Petrosino
Sargente Detective, 300 Mulberry st.
Egli ha la madre, certa Maria Iuliano,
adesso in San Giacomo (Cosenza), un compare un certo Giovanni Conte anche in
(Cosenza) San Giacomo
Il Sergente
Giuseppe, Joe, Petrosino non è ancora famoso in Italia per le sue indagini
sulla criminalità organizzata italiana in America, né sa che in provincia di
Cosenza non esistono comuni che si chiamano San Giacomo. Quando in Prefettura
la leggono, molti funzionari di Pubblica Sicurezza sbuffano perché queste
notizie di reato costituiscono sempre delle rogne per chi deve indagare con
carte che passano e ripassano l’Oceano Atlantico e che devono essere tradotte e
ritradotte con perdite di tempo inimmaginabili. Inevitabilmente la denuncia del
Sergente Joe Petrosino segue un iter abbastanza lento e le indagini cominciano
stancamente, senza che nessuno risponda, come richiesto, alla sua lettera.
Dopo più di
un mese, finalmente si stabilisce che la località indicata da Petrosino si
riferisce a San Giacomo di Cerzeto e il Pretore del luogo spicca un mandato di
comparizione per la madre e il compare dell’accusato. Ma Maria Iuliano è
sconosciuta al comune di Cerzeto e non la si cerca nemmeno nei comuni limitrofi;
il compare, che in realtà si chiama Giovanni Contino e non Conte, dice di non
sapere altro se non che la voce pubblica
vorrebbe che Arcangelo Olivieri in America ha
menato colà una persona
. Però fornisce al Pretore una idea investigativa: interrogare persone che sono venute
dall’America
, cioè Vitaliano Sarro e Antonio Nico. Il primo dice di non
saperne niente perché in America abitava lontano da Olivieri, come da qui a Napoli. Il secondo dice di
aver letto qualcosa su un giornale di New York
Colà nel giorno diciotto ho letto un
giornale nel quale stava detto che un italiano, il giorno precedente
diciassette aprile, a nome Fiori aveva ucciso un caporale di lavoro di fabbrica
per la ragione che non era stato pagato, a sua richiesta insistente, dei lavori
fatti. Seppi in seguito alla lettura del giornale che il nome di  Fiori corrispondeva in America a quello di
Olivieri Arcangelo. Ciò avviene in America presso i lavori dove il capo, essendo
per lo più americano, cambia e sostituisce i nomi degli italiani in altri,
secondo che per la sua lingua più gli torna facile. Dallo stesso giornale
appresi che la uccisione avvenne in seguito a tre colpi di rivoltella, dei
quali uno solo rimase senza effetto. Verso il diciannove o venti aprile,
avutomi informazioni di Arcangelo Olivieri dai miei paesani, mi dissero che non
ci era più, senza indicarmi altro. Non so se avessero voluto tacere a bello
studio del voluto omicidio o pure poteva darsi che non avessero saputo niente.
il giorno ventidue maggio mi sono rimpatriato e dopo parecchi giorni ho inteso
dire che stava per ritirarsi Olivieri, il quale per essersi effettivamente
rimpatriato solo cominciò a dare dei sospetti. E difatti il paese di San
Giacomo dice che egli ha lasciato colà la famiglia perché ha commesso qualche
cosa cattiva
Poi si fa
avanti Flaminio Fazio con notizie di prima mano
Verso la fine di maggio, ritiratosi
dall’America Arcangelo Olivieri, venne da me e mi confessò che in America aveva
commesso un omicidio in persona di un caporale del suo lavoro. e ciò in seguito
a diverbio seguito da schiaffi e percosse ricevute dallo ucciso per la sola
ragione che aveva l’Olivieri reclamato di voler essere pagato dei lavori fatti
sotto la direzione dello stesso ucciso. Mi disse pure che, in seguito alla
grave provocazione per le battiture patite, acciecato dall’ira, gli aveva
esploso contro dei colpi di rivoltella che lo resero all’istante cadavere e che
ritornò precipitosamente in Italia lasciando in America la famiglia per
sfuggire ai rigori della giustizia americana. Mi disse pure ch’era pronto a
costituirsi in carcere, quante volte il suo delitto venisse ad essere giudicato
in Italia. Però contro tale dichiarazione e quando si era in procinto di
assicurarlo alla giustizia, appena n’ebbe sentore, fuggì
Infatti
nessuno sa dove sia Arcangelo Olivieri e il mandato di cattura che viene emesso
nei suoi confronti rimane lettera morta. Nel frattempo, dagli Stati Uniti
cominciano ad arrivare verbali di indagini e dichiarazioni di testimoni oculari
che aggravano la posizione dell’accusato perché ricostruiscono i fatti in
maniera alquanto diversa da quanto ha raccontato Fazio. Carl Starr, cameriere
nel Hockheimer saloon all’incrocio
tra la 162^ e Amsterdam Avenue, nel cuore di Manhattan, esattamente dove fu
commesso l’omicidio, racconta
dal sito https://postcardmemory.wordpress.com
Il signor Ryan entrò nella sala da toeletta.
Al suo ritorno si fermò a discorrere col signor Haggerty, il quale stava
facendo colazione. Allora venne l’italiano e domandò un bicchiere di birra. Io
lo porsi ed egli domandò se il signor Ryan c’era. Io dissi: “è dentro”. Entrai
e chiamai Ryan dicendogli che un italiano desiderava vederlo; allora Ryan venne
fuori ed essi ebbero alcune parole sulla paga, che io credo fosse
dell’ammontare di 5 dollari. Il signor Ryan riconosceva di dovere il denaro,
però disse: “Io non posso pagarlo ora”. Fui chiamato dalla sala del bigliardo e
così vi entrai. Quando scesi nel bar per preparare le bibite per la sala del
bigliardo, l’italiano stava mettendosi il cappotto e disse: “Venite fuori e io
vi aggiusterò”. Allora Ryan andò fuori ed appena un mezzo secondo dopo io udii
tre colpi di arma da fuoco. quando fu sparato il terzo colpo, il signor Ryan
passava per la porta. Dopo aver vacillato contro la porta medesima, egli entrò
nella camera tenendosi il fianco. Allora io accorsi, lo sostenni e lo feci
sedere sopra una sedia. Appena io uscii per trovare qualcuno che chiamasse una
guardia, vidi che un uomo inseguiva l’italiano. Fu mandato a chiamare un
dottore però non ne venne alcuno e quando l’ambulanza arrivò, il medico
condusse via Ryan. Io non vidi nulla che potesse accennare a legittima difesa;
essi stavano appunto discorrendo di denaro. L’uomo che inseguì l’italiano è il
signor Edwards
William
Edwards dice
Un uomo (Fiori) estrasse un revolver dalla
sua tasca destra e deliberatamente sparò contro il signor Ryan in mia presenza.
l’italiano è alto circa 5 piedi e due pollici
[poco meno di 1,60 m. Nda], ha baffi neri e carnagione bruna. Non vidi
nulla che indicasse che i colpi erano stati sparati per legittima difesa
James J.
Haggerty, il proprietario della società di costruzioni, racconta
Abito al N° 162 della 93^ strada e sono
impresario costruttore. Ero di fuori quando vidi sparare contro John Ryan.
L’italiano sparò, per quanto conobbi, tre colpi. Quando avvennero gli spari
mister Ryan era sulla veranda. Non vidi nulla che indicasse legittima difesa.
Sembra che l’italiano richiedesse a Ryan certo denaro e che questi rispondesse
che glielo avrebbe dato appena avesse potuto averlo. Io credo si trattasse del
suo salario
Sebbene
Olivieri abbia sparato 3 colpi da breve distanza contro mister Ryan, uno solo
ha centrato la vittima alla regione
epigastrica penetrante lo stomaco e l’aorta addominale, producendo emorragia
,
scrive il Medico del Coroner dopo aver proceduto agli accertamenti di rito nel
Hood Wright Hospital, dove Ryan è stato ricoverato e dove muore il 18 aprile
1898.
Per il Grand
Jury della Contea di New York non ci sono dubbi: Arcangelo Olivieri, alias Arcangelo Fiori, residente nel distretto di
Manhattan, tenendo nella sua mano destra una pistola caricata con polvere da
sparo e con una palla di piombo, volontariamente, dolosamente e
premeditatamente scaricò e sparò contro ed addosso a John Ryan
un colpo, provocandone
la morte. Omicidio di 1° grado, sanzionabile con la pena di morte.
Le carte
vanno e vengono dagli Stati Uniti all’Italia, ma i mesi passano e di Arcangelo
Olivieri non c’è ancora traccia.
Il 15 aprile
1899, è passato un anno esatto dal tragico fatto, i Carabinieri di Cassano
Ionio sono di pattuglia a Civita. Quando arrivano nella piazza del paese notano
un uomo alto circa 1,60, con baffi neri e carnagione bruna che cerca di
nascondersi dietro un gruppo di persone. Lo fermano e lo identificano. È lui,
Arcangelo Olivieri, che, interrogato, racconta
Nella America, e precisamente a New York, mi
recai dalla Italia a procacciarmi, col lavoro, da vivere e negli ultimi tempi,
per circa diciotto mesi, fui alla dipendenza del contrattista John Ryan, il
quale era addetto alla costruzione di case per conto di società. Ryan pagava
gli operai ad ore e per ogni ora, a me e ad altri miei compagni, corrispondeva
una lira e centesimi dieci. La mercede, così stabilita, ci veniva pagata alla
fine di ciascuna settimana e talvolta alla fine di ogni quindicina. Quasi per
sistema, Ryan, nel fare i pagamenti faceva la ritenuta di parte della mercede
sotto il pretesto che le ore di lavoro non erano complete; ma poiché quella
ritenuta non era gran che, gli operai non facevano osservazione alcuna. Avvenne
però che negli ultimi tempi non si eseguivano addirittura i pagamenti, giacché
sul luogo dove era solito recarsi a tale uopo il Ryan non compariva. Così
avvenne nell’aprile del decorso anno. Alla fine della settimana non pagò,
promettendoci di fare i pagamenti alla fine della quindicina, che ricadeva
proprio nel Sabato Santo. Presentatici sul posto, egli non venne, sicché alcuni
operai pensarono di andarlo a trovare a casa dove, trovatolo, ebbero parte
della mercede che accreditavano. Io, saputo questo, nella mattina della
Domenica di Pasqua mi recai con altro operaio nella casa del Ryan il quale, di
quattordici scudi che mi doveva, me ne dette soltanto cinque, promettendo che
il resto me lo avrebbe dato il lunedì. Nel lunedì mi rimandò al sabato e poi
all’altro lunedì. Seccato di questo modo di agire, cominciai a protestare
dicendo che se non avesse pagato avrei, coi mezzi legali, fatto procedere a
sequestro contro di lui. Siccome presente a questi discorsi si trovava anche il
padrone, il quale aveva erogato la somma occorrente per i pagamenti integrali
al Ryan, costui si sentì offeso delle mie parole e mi tirò un pugno sul muso da
farlo rompere a sangue, stramazzando per terra. non ci vidi più dal dolore, né
ebbi più l’uso della ragione: estrassi una rivoltella di cui ero armato ed
esplosi contro Ryan due o tre colpi e mi detti alla fuga. Il giorno appresso
seppi dai giornali che per effetto delle lesioni cagionate dai colpi di
rivoltella da me esplosi, Ryan era morto e, per sottrarmi alle ricerche della
giustizia, me ne tornai in patria. Questo è il fatto nella sua nuda verità
La
dichiarazione di Olivieri è in netto contrasto con quelle fornite dai testimoni
oculari i quali, oltre a negare che ci sia stata una, seppur remota,
possibilità che l’imputato agì per legittima difesa (cosa che esclude anche
Olivieri), escludono dalla scena del crimine mister Haggerty, il proprietario
della società di costruzioni, sostenendo che i due erano da soli e che si trattò,
fuori da ogni dubbio, di un omicidio volontario senza una ragione apparente.
Come mai James J.
Haggerty  si è qualificato semplicemente
come impresario costruttore e non
come proprietario della società per cui lavorava Ryan? Come mai nessuno dei
testimoni presenti al fatto, conoscendo benissimo Haggerty, che con Ryan ha
fatto del caffè Hockheimer una specie di ufficio privato, non lo qualifica come
proprietario della società di costruzioni? Certamente perché ai detectives non
interessa, visto che i testimoni non hanno riferito del pugno tirato a Olivieri
il quale, d’altra parte, essendo scappato non può dimostrare di essere stato
aggredito e malmenato.
Senza
testimoni a favore la posizione di Olivieri è molto delicata: se si dovesse
decidere di estradarlo e farlo processare negli Stati Uniti sarebbe certamente
messo a morte: un muratore italiano che uccide un impresario anglosassone
davanti a tre testimoni anglosassoni non può avere speranze, è andata così già
altre volte; se invece i giudici italiani gli credessero, se credessero alla
disperazione di un uomo che si vede, dall’altra parte del mondo, privato della
paga, picchiato e umiliato pubblicamente; se credessero che tutto questo possa
averlo provocato e determinato proprio in quel momento di rabbia intensa a
togliere di tasca l’arma e sparare alla cieca contro la persona ritenuta causa
della propria disperazione; se quei giudici decidessero di non consegnarlo alla
giustizia degli Stati Uniti ma di processarlo in Patria, allora potrà avere la giusta
punizione, commisurata al crimine commesso, e soprattutto avrà salva la vita. Ma
gli crederanno?
No, anche in
Italia, l’accusa resta quella di omicidio volontario. Ma gli va bene lo stesso
perché si decide di processarlo in Patria e così, il 5 giugno 1899, la Sezione d’Accusa lo rinvia
al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Tutto si
decide nell’unica udienza dibattimentale del primo settembre 1899. La giuria
gli crede e gli concede, oltre alle attenuanti generiche, l’attenuante di avere
agito nell’impeto d’ira determinato da
ingiusta
, seppure lieve, provocazione.
Per
determinare l’entità della pena da comminare all’imputato, la Corte, viste le risultanze di fatto, stima
partire dagli anni 18
. Ma, trattandosi
di delitto commesso da un cittadino italiano all’estero, arrestato poi nel
Regno, la pena va diminuita di un sesto
. E si scende a 15 anni. Poi ci sono
da considerare le diminuzioni per la lieve
provocazione
, un terzo, e per le attenuanti
generiche
, un sesto. Fatti tutti i calcoli, la condanna ammonta a 8 anni e
4 mesi di reclusione, più pene accessorie.
Il 29 dicmbre
1899 la Suprema Corte
di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato e la pena diventa
definitiva.[1]
Sarà arrivata
la notizia a Joe Petrosino?

[1] ASCS, Processi Penali.

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