CIELO, MIO MARITO!

È il 26 luglio 1952 quando Isidoro Brunetti bussa alla porta di Giuseppe Mango in via Cairoli 45 a Rossano per recapitargli una busta rossa che il portalettere ha lasciato nel suo negozio. La cosa strana è che sulla busta è ripetuto più volte l’invito di consegnarla alle propie mani del destinatario, anzi il mittente, che non figura sulla busta, invita proprio Isidoro a fare quanto richiesto. Quando Peppino Mango rientra in casa e apre la busta, l’afa della giornata estiva si trasforma in gelo. Con un filo di voce chiama sua moglie Giuseppina e le dice di ascoltare ciò che dice la lettera:
Caro Peppino Mangano
Fai attenzione. vostra moglie vi tradisce. Caruso Domenico è il suo amante. Tutto il tuo vicinato lo sa. A Santa Maria delle Grazie lo sanno.
Al trappeto di Gennaro Fortunato lo sanno tutti gli operai compreso il padrone.
A Rossano lo sanno tutti i tuoi conoscenti.
Domenico non ha colpa. La colpa e di tua moglie che la preso a forza.
Tutti vi chiamano cornuto.
Dicono che voi stesso lo sapete
Però tua moglie pagherà il peccato di avere fatto perdere la testa al giovane
Peppino è un uomo d’onore, quindi molto geloso ed è tentato di credere a quanto ha appena letto, ma sapendo che la moglie è ammalata da molto tempo e semi-paralitica al braccio e gamba destra, vuole dare fiducia ai mille giuramenti che Giuseppina gli fa. I due parlano molto di questa brutta faccenda e giungono alla conclusione che a scrivere la lettera possano essere stati solo i loro vicini, il diciassettenne Pasquale e sua madre Giuseppina. Così vanno dai Carabinieri a sporgere formale querela. Ma seppure facciano i nomi dei due, la denuncia è contro ignoti. A loro volta i due sospettati denunciano i coniugi Mango per violenza privata perché, così dicono, sarebbero stati minacciati per confessare di essere gli autori della lettera.
Giuseppina, per rafforzare la sua riaffermata fedeltà coniugale, convince il marito ad acquistare una rivoltella calibro 7,65 con la quale, gli giura, sarà pronta a farsi giustizia da sola se la Legge non punirà i colpevoli della diffamazione. Poi i due prendono un’altra radicale decisione: licenziare Domenico Caruso che lavora come bracciante agricolo in un fondo di Peppino.
– La gente parla e tu te ne devi andare da qui e ti avverto: non avvicinarti più alle mie proprietà e né tampoco devi attraversarle per motivi di lavoro. Ci siamo capiti?
– Don Peppì, vi giuro che mai tra me e vostra moglie c’è stata relazione alcuna se non una semplice amicizia… don Peppì, se mi ammazzate, ammazzate vostro figlio
– Ci siamo capiti? – ripete Peppino.
Ma nonostante le rassicurazioni della moglie e del presunto amante, la gelosia morbosa di Peppino Mango si fa largo nella sua mente e comincia a notare cose a cui non aveva mai fatto caso prima. Per esempio nota che Domenico, passando nelle vicinanze di casa Mango mentre va a lavorare, canta a squarciagola.
Vedi che ti fa la serenata… – dice in tono di rimprovero alla moglie.
Peppino si accorge anche che Domenico non esegue affatto l’imposizione di non passare nelle sue proprietà e sembra che glielo faccia apposta per farlo inquietare. Una mattina si nasconde nelle vicinanze di un sentiero e sorprende Domenico che passa dal fondo di contrada Pizzuti, molto vicino alla casetta di campagna dove spesso si trasferisce con moglie e figli.
– Micù… ti ho già avvisato… mò basta. La prossima volta sarà l’ultima.
Domenico nemmeno gli risponde, fa spallucce e continua per la sua strada. Questa tiritera va avanti per un paio di anni, poi nel maggio 1954 un amico di Peppino lo avvicina e gli racconta qualcosa che rinfocola la brace che cova sotto la cenere: la relazione tra Giuseppina e Domenico è vera e continua nonostante tutto. L’amico aggiunge anche che il giovedì di quella settimana Domenico non è andato a lavorare, quindi…
Mango è furibondo. Quella domenica si mette in appostamento nelle vicinanze della sua abitazione di campagna, dicendo alla moglie che sarebbe andato a Rossano. Vede passare Domenico Caruso che, forse, lo intravede in atteggiamento sospetto e, facendo finta di niente, se ne va. Però Giuseppina non sa nulla di questo teatrino e dopo un po’ che suo marito è partito esce nel cortile e, con la scusa di ramazzare il piazzale, si allontana portandosi su di una collinetta poco distante da dove osserva il fondo stradale.  Giuseppina, con la scopa in mano e le mani alla cintola, fischia per due volte a lungo in modo silenzioso come se fosse un richiamo e subito dopo pronuncia la parola “Sola”. Poi rientra in casa. Passano pochi minuti e la donna torna sullo stesso posto di prima e con voce regolare dice “Dove sei?”. Peppino resta appostato fino a mezzogiorno e poi, non avendo notato altri movimenti sospetti, torna a casa, prende il fucile quasi deciso ad ammazzare la moglie, ma ci ripensa perché capisce di non poter comprovare quanto di verità esiste in tale relazione. D’altra parte non può rassegnarsi al comportamento strano della moglie, così prende la rivoltella che Giuseppina gli ha fatto comprare, gliela punta alla tempia e la costringe a scrivere un biglietto: “Io Stella Giuseppina lascio libero da ogni impegno mio marito Mango Giuseppe perché gli ho mancato l’onore in quanto sono stata da lui sorpresa con Caruso Domenico”. Forte di questa dichiarazione la caccia di casa e la rispedisce con i tre figli a Longobucco dove vivono i familiari, ma dopo un paio di mesi questi costringono Giuseppe a riprendersi la moglie, rimproverandolo perché non era possibile che la loro congiunta avesse fatta un’azione simile.
Rimasti da soli in casa, Giuseppe le detta le sue condizioni:
Fila dritto e se lontanamente mi accorgo di un altro tuo strano comportamento ti ammazzo!
Poi, per dimostrarle la sua buona volontà di fare ritornare la pace e la tranquillità in famiglia, strappa la dichiarazione estortale.
Passano un altro paio di mesi durante i quali Giuseppe non nota niente di strano e quasi quasi pensa di essersi sbagliato.
È fine agosto, il tempo di fare la conserva di pomodori. All’alba del 23 agosto Giuseppina sta infornando il pane nella casetta di campagna.
– Peppì, il pane toglilo tu dal forno che io vado a Rossano con i bambini e facciamo i pomodori. Dormiamo a casa lì e domani torniamo…
– Vai domani che è meglio.
– No, è meglio oggi così ci sbrighiamo e domani mattina torniamo e ti aiuto in campagna.
– E va bene… però vai dalla mulattiera che è più breve – Giuseppe nel dire questo ha una specie di premonizione: farla andare per la mulattiera è meglio perché lungo la carrozzabile potrebbe incontrare Domenico Caruso che passa con la sua Lambretta.
– No… mi trovo meglio dalla carrozzabile, è più piana…
– Giuseppì, fai come vuoi, non mi ascolti mai! – poi bestemmia e torna a zappare.
Dopo cena Giuseppe si affaccia alla finestra per fumare una sigaretta. La sua attenzione viene attirata dalla luce dei fanali di un’automobile che, uscendo dalla curva sulla carrozzabile in prossimità della casa, illumina sinistramente il paesaggio. Passati nemmeno un paio di minuti, un puntino luminoso si affaccia dalla curva. È una bicicletta che arranca per la via, salendo verso Rossano. “Micuzzu Caruso” pensa Giuseppe che, folgorato dalla sua ossessione, getta la cicca, carica la rivoltella e si incammina al buio verso Rossano.
Arrivato nei pressi della sua casa in Via Cairoli si mette in appostamento sopra la loggetta dell’abitazione della sorella che guarda di sbiego la sua casa. Dopo un po’ vede passare e ripassare in quei pressi proprio Domenico Caruso e questo per accertarsi se vi era persona che lo potesse notare. Dopo aver percorso per ben tre volte il giro tra via Cairoli e via Colonna S. Isidoro, Caruso si appiattisce contro il muro proprio sotto la loggetta dove è Giuseppe, scruta tutto intorno senza accorgersi della presenza del suo rivale proprio sopra di lui, spicca un salto e si porta sul pianerottolo della casa di Giuseppe. Bussa in un modo strano, la porta si socchiude e Domenico entra.
Giuseppe ha gli occhi fuori dalle orbite, scende precipitosamente le scale della loggetta e sale i gradini fino alla porta di casa sua, poi picchia violentemente sul legno:
– Apri! Apri subito puttana maledetta ed esci fuori!
Nessuna risposta. Dopo varie insistenze senza risultato, Giuseppe sferra un potente calcio all’infisso che cede. Adesso è sulla soglia e urla:
Uscite fuori tutti e due!
Vai a chiamare i Carabinieri perché mi prendano – risponde Caruso che resta nascosto temendo per la propria vita.
Non c’è bisogno dei Carabinieri che adesso te lo faccio vedere io! – intanto sulla strada si è formato un gruppetto di curiosi, usciti dalle proprie case alle prime grida. Giuseppe, davanti a tutti quei testimoni non ha più scelta e dice rivolto ai presenti – Lo avete sentito? In casa mia con mia moglie c’è Domenico Caruso – poi ordina alla moglie di accendere una candela e quando la donna ubbidisce entra nella casa dove regna il silenzio terrorizzato di Giuseppina e Domenico. Senza titubanza, punta l’arma contro l’uomo e gli dice – Chi ti porta addosso ti strascica – poi fa fuoco due volte. I lamenti di Domenico cominciano a udirsi non appena il rimbombo dei colpi svanisce.
Adesso la rivoltella è diretta contro Giuseppina.
Mò mi ci caccio i capricci, Giuseppina hai visto che mi hai fatto? Questi erano i giuramenti? Vedi che quanto si diceva risponde a verità? – e sputa altri due proiettili. La donna cade a terra senza un lamento. Giuseppe ha un solo altro colpo a disposizione e, credendo morta la moglie, si avvicina al rivale che sta rantolando.
Ancora non sei morto? – urla mentre gli spara l’ultimo colpo alla testa ma quello ancora non muore. A questo punto irrompono in casa alcuni vicini che trascinano via Giuseppe, il quale, però, riesce a divincolarsi correndo di nuovo verso l’avversario mentre toglie di tasca un coltello a serramanico e, prima che riescano a bloccarlo di nuovo, vibra una potente coltellata al collo di Domenico per scannarlo.
Alle 22,45 del 24 agosto 1954 gli Agenti di P.S. Leoluca D’Amico e Giovanni Sala stanno effettuando il loro turno di perlustrazione quando sentono le prime due detonazioni. Giusto il tempo di capire da quale zona provengano ed ecco le altre due detonazioni. Si, sicuramente vengono dalla zona di via Cairoli. I due non perdono tempo e si mettono a correre in quella direzione.
L’Agente Vincenzo Cataldo invece è fuori servizio e sta passeggiando dalle parti di via Cairoli quando sente i colpi provenire da poche decine di metri. Anche lui si mette a correre e arriva proprio mentre i presenti stanno trascinando via per la seconda volta Giuseppe Mango.
– Polizia! – urla estraendo il tesserino. Giuseppe lo guarda, sorride soddisfatto e gli dice:
Eccoli, sono contento di ciò che ho fatto… non abbiate paura chè non scappo.
In questo momento arrivano anche gli altri due Agenti che ammanettano Giuseppe e lo portano al Commissariato, mentre Cataldo si fa accendere una candela e va a vedere i feriti o forse i morti perché non si sentono lamenti. Lo spettacolo è raccapricciante, ma per fortuna tutti e due respirano e vengono subito portati in ospedale.
Giuseppina è la meno grave avendo riportato una ferita alla guancia sinistra con ritenzione del proiettile nella regione mandibolare sinistra e frattura della mandibola e un’altra ferita alla regione soprascapolare sinistra. Se la caverà in un paio di mesi, ma è chiaro che suo marito ha sparato con l’intenzione di ucciderla.
Domenico invece è in imminente pericolo di vita per avere riportato una ferita al cranio penetrante in cavità con fuoriuscita di sostanza cerebrale, un’altra ferita penetrante nell’addome con lesione dell’ametito gastrocolico e del rene destro e, infine, una ferita da punta e taglio nella regione latero cervicale sinistra con lesione dell’esofago. Un miracolo che sia ancora vivo e un miracolo ancora più grande che riesca anche a rispondere a qualche domanda del Sostituto Procuratore Franco Sconza il quale, fatti uscire tutti i malati della camerata, ascolta le prime, stentate parole:
Colla Stella Giuseppina e con il marito non eravamo più amici dal luglio 1953 per una lettera anonima da essi ricevuta e che accusava me e la Stella di una tresca amorosa… verso le 19 mi recai in un salone per farmi barba e capelli, dopo andai al Supercinema e verso le 21,30 mi ritirai a casa. Passando davanti la casa della Stella la vidi sulla porta ed essa mi invitò ad entrare dicendo di volermi parlare. Ero appena entrato e la Stella stava chiudendo la porta quando sentimmo un colpo contro la porta stessa. La Stella cercò di chiuderla ma sopraggiunse fulmineamente il marito e la spalancò. Io mi sentii raggiungere da colpi di pistola, poi mi pare che il Mango sparò pure contro la moglie… non ricordo altro
– Cosa ti stava dicendo la Stella?
Non aveva cominciato a dirmi ancora che cosa volesse nel momento in cui sopraggiunse il marito
– Avevate una relazione adulterina?
Non ho mai avuto rapporti carnali con la Stella… questa diceria però era molto diffusa ma io sono innocente
– Ma se eravate nemici, perché sei entrato in casa della Stella e a quell’ora di notte?
Pure essendo nemici, ieri sera entrai ugualmente in casa della Stella per sapere cosa volesse dirmi… non ho pensato che fosse cosa grave entrare a quella ora in casa di una donna maritata e sola… – poi sviene.
Anche Giuseppina, nonostante il proiettile conficcato nella mandibola fratturata risponde alle domande del Sostituto Procuratore e le sue dichiarazioni sono stupefacenti:
Quando ci arrivò la lettera anonima e mio marito licenziò Caruso, anche io ero d’accordo, restammo nemici, ma Caruso passava sempre vicino a casa nostra e ciò insospettiva e indispettiva vieppiù mio marito il quale fece capire al Caruso che non doveva passare per quella strada, che del resto era privata. Il Caruso da allora, forse per dispetto, cominciò a circuirmi, proponendomi ripetutamente di andarmene a convivere con lui. Io opposi sempre reciso rifiuto. Un giorno del giugno corrente anno, verso le 3 e mezzo del mattino, essendo uscito mio marito con due dei nostri tre figli per andare al lavoro, sentii bussare alla porta di casa. Mi alzai e domandai chi fosse. Mi fu risposto: “apri”. Credendo che fosse mio marito, aprii ma mi trovai davanti il Caruso il quale mi abbracciò e baciò, proponendomi di fuggire con lui. Io mi rifiutai e tentai di riparare sopra, sperando di chiudermi nella stanza da letto ma il Caruso mi raggiunse, mi strascinò a forza sul letto dove si congiunse carnalmente con me. dopo essersi sfogato si allontanò dicendomi ancora una volta di andare a vivere con lui. Dopo di ciò mi vestii e mi affacciai alla finestra quando vidi la madre del Caruso venire verso la porta di casa mia. Io scesi ed uscii fuori. La donna mi si fece incontro dicendomi che voleva parlare con mio marito, essendo a conoscenza che poco prima il figlio era stato in casa mia. Io sulle prime negai e poi finii con l’ammettere il fatto, narrandone i particolari. La Caruso allora mi consigliò di andarmene con il figlio o dai miei fratelli a Longobucco perché temeva che un giorno o l’altro sarebbe successo qualcosa di grave. Io le dissi che non intendevo lasciare mio marito e la mia casa. Domenica 22 scorsa, mentre mio marito era a Rossano, io stavo raccogliendo dei fichi in campagna vicino l’abitazione, quando si presentò il Caruso che mi propose ancora una volta di andarmene con lui, minacciandomi che avrebbe rivelato tutto a mio marito. Io mi rifiutai ed il Caruso si allontanò rinnovando la minaccia. Ieri mi avviai verso Rossano con i miei figli e cammin facendo mi vidi raggiungere e sorpassare dal Caruso in motocicletta. Continuando il cammino avevo pensato di fermarmi al botteghino di Converso per prendere un’aranciata, ma visto che vi era seduto il Caruso tirai dritto. Sospettai di essere pedinata e pensai che il Caruso avesse intenzione di sorprendermi nuovamente sola in casa mia. Quando arrivai a casa, notai lì vicino l’ombra di un uomo fermo ma non ebbi sospetti. Entrai e chiusi la porta solo nella parte inferiore. Mio figlio accese una candela, quindi andai a chiudere la porta e mi misi a letto con i bambini. Dopo un poco sentii un piccolo colpo di pietra contro la porta, mi alzai ed in sottana mi avvicinai alla porta aprendola nella parte superiore per vedere chi fosse. Come aprii mi trovai davanti il Caruso il quale si introdusse in casa. Non ebbe il tempo di chiuderla perché sopraggiunse mio marito
È possibile?
Qualche giorno dopo, migliorate le sue condizioni, Domenico ammette di avere fatto sesso con Giuseppina, ma la smentisce:
Io ebbi più volte relazioni carnali con Giuseppina Stella, in seguito ad una simpatia per me sorta in lei. Un giorno, non ricordo se verso la fine del 1951 o i principi del 1952, trovandomi in casa sua, mi disse di avvicinarmi a lei e fu allora che avemmo il primo contatto. Dopo la lettera anonima restammo nemici ma Giuseppina non cessò di mostrarmi la sua simpatia facendomi segni e proponendomi di andare a casa sua nell’assenza del marito. Io però avevo paura e non aderivo alle sue proposte. La sera del fatto non avevo alcun appuntamento con lei, la vidi vicino alla porta di casa sua in Rossano e, vedendomi passare mi chiamò e mi fece entrare
La frittata è cotta. Secondo il Pubblico Ministero i due amanti, interrogati prontamente in Ospedale dal Magistrato, pure attraverso contraddizioni e divergenze facilmente spiegabili, ammettevano, in definitiva, la loro relazione amorosa, pur negando che quella sera si fossero dati convegno. La Stella, evidentemente spinta dal desiderio disperato di salvare almeno in parte il suo onore, peraltro irrimediabilmente perduto, dichiarava di avere una sola volta avuto contatto carnale con il Caruso, tentando di mascherare la sua compiacenza e l’adulterio con un preteso atto di violenza che avrebbe subito. Per quanto, poi, l’uno e l’altra neghino di avere concertato il convegno notturno del 24 agosto, molti elementi autorizzano a ritenere documentato il motivo effettivo di quell’incontro e la sua preordinazione consensuale. L’avere il Caruso seguito con la moto la Stella sulla strada di Rossano, l’essersi a tarda ora presentato alla porta della sua casa, l’avere ottenuto d’entrarvi e di rinchiudervisi sono circostanze sufficienti per dimostrare l’intesa adulterina.
Tutto questo va bene per dimostrare l’adulterio, ma come è vista la situazione processuale di Giuseppe Mango, il quale ha sicuramente sparato per uccidere sia la moglie che l’amante e non essendoci riuscito ha infierito a colpi di coltello su Domenico Caruso?
Il marito tradito nel momento in cui scopre l’infedeltà e l’adulterio esce dalle tenebre in preda all’emozione e spara decisamente per uccidere. Vuole ammazzare gli amanti, vuole fare giustizia sommaria. Lo dichiara apertamente alla Polizia ed al Magistrato, lo confessa e dice anche di non avere più sparato contro la moglie credendola morta. dice di essersi scagliato contro il Caruso per recidergli la gola dopo avere esauriti tutti i colpi. Se non lo avesse confessato, la volontà omicida si sarebbe egualmente desunta dall’arma adoperata, dalle modalità dell’aggressione, dalle parti vitali prese di mira, dalla reiterazione dei colpi e soprattutto dalla spiegazione logica del fatto, cioè dalla comprovata ed indiscutibile causale del delitto. Volontà omicida che va riconosciuta non solo in danno del Caruso, ricoverato in fin di vita e salvato per miracolo dai vari e difficili interventi chirurgici, ma anche in danno della Stella Giuseppina, l’adultera, malgrado la minore gravità delle ferite riportate, giacché i colpi per lei eran diretti in sedi vitali e la donna, prima ancora dell’amante doveva pagare, nelle intenzioni del marito tradito, la vergogna ed il disonore. L’evento morte, malgrado tutto, non si verificò per cause non dipendenti dalla volontà del Mango. Se non vi fosse stata un’apposita disposizione di legge, se il legislatore non avesse riconosciuto la presenza nell’uomo di passioni, di sentimenti ed anche di istinti che spesso meritano tutela e talvolta per lo meno comprensione, se la coscienza sociale non avesse reclamato ed imposto, per taluni delitti, una “causa di onore” [art. 587 c.p. poi abrogato dall’art. 1, L. 5 agosto 1981, n. 442. Nda] per abbassarne il rilievo e ridurne la pena, non si sarebbero negate al Mango tutte le possibili attenuanti. Il legislatore riconosce che l’uomo, spinto dall’ira dell’offesa ricevuta e nell’immediatezza del tradimento, possa reagire credendo di difendere sé stesso, i suoi figli, la sua casa con un atto di forza ed un lavacro di sangue che la società, tuttavia, non può ritenere legittimi; e dice che chi agisce in tali condizioni e per tali motivi merita, si, una pena, ma diversa, speciale e minore.
È con queste impostazioni che viene chiesto il rinvio a giudizio per Giuseppina Stella con l’accusa di adulterio, per Domenico Caruso con l’accusa di correità in adulterio e violazione di domicilio aggravata e per Giuseppe Mango con l’accusa di tentato omicidio continuato per causa di onore e di porto abusivo di pistola.
La richiesta è accolta dal Giudice Istruttore e il dibattimento assegnato alla Corte d’Assise di Rossano.
Il 6 maggio 1955 la Corte dichiara gli imputati colpevoli dei reati loro ascritti e condanna Giuseppe Mango a 8 mesi e 5 giorni di reclusione e 5 giorni di arresti; Giuseppina Stella a 8 mesi di reclusione e Domenico Caruso a 1 anno di reclusione.
Solo Domenico Caruso ricorre in appello, ma il ricorso viene rigettato per non avere presentato i motivi entro i termini di legge.[1]


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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