OMICIDIO A LITTLE ITALY

È la notte del 20 luglio 1906 e l’afa rende difficile il sonno. Nella stamberga nei dintorni di Taylor Street a Chicago, il trentaquattrenne Francesco Palmieri, emigrato da Celico, è così stanco dopo una giornata di lavoro passata nell’inferno dei macelli, che l’afa gli sembra il ponentino del suo paese natio e dorme profondamente, steso sul nudo pavimento, come la maggior parte dei suoi coinquilini, altrettanto stremati dalla fatica. Così nessuno accorge dell’uomo che, scavalcando i corpi nudi, avanza nel camerone in direzione di Palmieri con un revolver in mano.
“Eccolo, è proprio lui” pensa l’uomo mentre stende il braccio puntando l’arma alla testa di Francesco Palmieri. Poi quattro detonazioni consecutive e il panico degli uomini svegliati di soprassalto. L’assassino cade su di un uomo, incespicando nel corpo di un altro che si sta sollevando e i due si trovano faccia a faccia. Lo riconosce, è il ventinovenne Serafino Antonio Pucci di Rovito, ma deve lasciarlo andare, così gli consiglia la canna del revolver, ancora fumante, a pochi centimetri dalla sua faccia.
Nella stanza regna lo sconcerto per quel fatto così enorme, per quella vita spezzata a causa di una banale discussione avvenuta qualche giorno prima. Tutti escono da quella maledetta stanza dove adesso ci sono solo un cadavere sfigurato e pagliericci coperti di schizzi di sangue e cervello. Qualcuno vomita, altri piangono, tutti bestemmiano e maledicono la sorte avversa che gli ha fatto lasciare il paese.
La Polizia arriva poco dopo e constata che Francesco Palmieri è stato ucciso da quattro proiettili che gli hanno spappolato la testa. Viene subito fuori il nome dell’assassino e comincia la caccia. Lo trovano un paio di giorni dopo nascosto nella zona dei macelli e lo arrestano.
Qualche settimana dopo, a Celico arrivano due lettere da Chicago. La prima è indirizzata a Filomena Arnone:
Chicago 21 luglio 1906
Stimatissima Madre,
o ricevuto la vostra desiderata lettera e sento che la pasati bene salute così sperai sentire da mè e fratello. Cara madre vi o spedito 1.50 Lire giorno 20 luglio, mi avete mandato a dire che volete andare ali bagni, come voleti fare farette. Cara madre mi avette mandato adire che non vado afare il soldato per ci credere voglio vedere il cogero (congedo. Nda) asoluto e poi ci credo. Cara madre voi volete sapere se me ne vengo, credo che no e poi se ne parla qualche l’anno; mò comigiata (ora ho cominciato. Nda) afare il capurale e poi mi ne vengo, o finito tuto tento alla mese 2,25 Lire. Cara madre ditte ala zia Teresina si ci vuole mandare alo suo figlio cicilo ca questo inverno ci mando la tichetta e lo faccio venire; credo che mo e rove io al mio fratello peppino ci fazzo pigliare la polla; di piu ti fo sapere che pure ce il nostro compare lavalla con me e saluta sua famiglia, di piu ti fo sapere che e morto amazato Francesco Palmiere con tre colpi di rivolvere e la amazato uno di motte (Motta di Rovito. Nda) mo voglio che non ditte nientte anisuno e fatti gli afare vostri che meglio che si sa di altri personi e mo noi altri paesani ci stamo coglienno uno po’ di moneta per la sua moglia.
Basta, non altro che dirvi saluta il cugino Francesco e pure il tuo Nipote Michele io saluto ala zia carmela e famiglia, saluto ala zia Teresina e famiglia, saluto allo fratello Antonio e gio mandato la moneta hogie esso (oggi stesso. Nda) e safare la firma senza portare testimoni; ti saluta pepino e pure insieme io e il mi fratello e ti cercano la S. Benedizione e sono il vostro aff. Figlio Eugenio Iaccino
La seconda alla famiglia Siciliano:
(…) de piu caro patre ti farò conoscere che qui, 1 ora di treno, anno ucciso a francesco parmieri uno dello fravetto (Flavetto di Rovito. Nda) con 4 corpi di rivorvero nella testa per una piccola occasione avrà finito una vita domo (d’uomo. Nda) e io con i miei compagni ci siamo andati avedere e labiamo trovato ucciso elassassino lanno preso capo 2 giorni e per nome si chiama antonio pucci e io ne oavuto morto dispiacere della nostra cugina che sarà rimasta con 4 figli; avoi caro patre vi prego de ci avere un po di carità. Non mi resta che dire saluti a nostra famiglia, doppo saluto avoi da vero cuore e vi cerco la S.B. e sono tuo figlio aff
Francesco Siciliano
La notizia si diffonde in men che non si dica e lascia nella disperazione la povera Peppina Zagotta, rimasta tragicamente vedova a 31 anni con quattro figli piccoli da mantenere, non sa più come. Per questo, il 24 agosto va a denunciare il fatto ai Carabinieri di Celico:
Io sono rimasta così vedova con quattro bambini minorenni, il primo dei quali ha appena 11 anni e chiedo che la giustizia mi protegga. Sono una povera disgraziata senza beni di fortuna e mi querelo contro il Pucci Antonio, riservandomi contro di lui l’azione civile.
Contrariamente a quanto avvenuto per altri delitti commessi all’estero, questa volta non viene intrapresa alcuna iniziativa tendente ad assumere informazioni ufficiali in merito e, cosa ancora più strana, nessun’altra lettera privata con informazioni sull’eventuale processo a carico di Serafino Pucci viene mostrata agli inquirenti, i quali si preoccupano soltanto di verificare se l’assassino  sia o meno rientrato in Italia.
Secondo la madre del povero Francesco Palmieri, Pucci alla fine del 1906 sarebbe ancora detenuto negli Stati Uniti, ma temo che venga liberato con danari, aggiunge.
Poi più nulla.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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