È USCITA PAZZA!

È la sera del 30 marzo 1925. L’atmosfera in casa di Vincenzina Migliano, quarantacinquenne contadina di San Martino di Finita, è, come spesso accade, tesa a causa dei continui litigi col genero, il ventiquattrenne calzolaio Francesco Leone, che ha sposato sua figlia Pasqualina di 17 anni. Quando è ora di dormire Vincenzina raccoglie la poca brace rimasta nel caminetto, la copre di cenere per farla durare più a lungo, e va a coricarsi. Pasqualina e Francesco invece vanno a dormire nell’altra stanza di cui è composta la casa.
Ma Vincenzina non dorme, rimugina le parole del genero e la rabbia cresce nel suo animo. “Non ce la faccio più” ripete tra sé e sé all’infinito e poi, stanca di tutto, si alza senza fare rumore, accende un lumino, prende la scure e va nell’altra stanza. La porta è aperta e nessuno la sente. Adesso è di fianco al letto, dalla parte dove dorme Francesco, lo guarda con gli occhi iniettati di sangue, poi alza la scure sulla testa con tutte e due le mani e la abbatte sulla testa del genero. Un urlo straziante fa svegliare di soprassalto Pasqualina che viene investita da uno schizzo di sangue, ma ancora non si è resa conto di cosa stia succedendo. Poi la luce fioca che viene dalla stanza attigua le fa distinguere la figura di sua madre con la scure in mano che colpisce di nuovo suo marito sulla testa. Si alza di scatto e si lancia su di lei per fermarla ma non ci riesce e viene colpita di striscio ad un braccio dal terzo colpo che, comunque, si abbatte ancora sulla testa di Francesco. Cerca di nuovo di aggrapparsi alla madre per fermare i colpi, afferra la scure dalla lama e si ferisce alle dita. Istintivamente molla la presa e la terribile arma colpisce altre due volte prima che Vincenzina, ansante, si fermi.
Pasqualina si precipita in mezzo alla strada e comincia a urlare chiedendo soccorso:
È uscita pazza! Aiuto, correte!
Filomena Ferraro è la prima ad accorrere e si trova davanti l’immagine raccapricciante di Francesco con la testa aperta e il sangue che scorre misto a materia cerebrale. Ma l’uomo è ancora vivo e borbotta qualcosa senza senso. Vincenzina in casa non c’è più.
Pasqualina prende uno straccio, pulisce il viso del marito e non capisce la gravità delle ferite, così frantuma un pezzo di carbone e con la polvere ottenuta ne fa un impacco che pigia sulle ferite.
Dopo avere vegliato il marito per tutta la notte, finalmente, all’alba, Pasqualina si arma di coraggio e va a chiamare il medico per far visitare suo marito:
In corrispondenza della regione temporo-parietale sinistra si osserva una ferita da taglio lunga centimetri dodici, a margini netti ed angoli acuti, profonda alla sostanza cerebrale: l’osso è fratturato e scheggiato; nella stessa regione, un due centimetri distante dalla prima e più in alto, si osserva altra ferita da taglio lunga 8 cm, a margini netti ed angoli acuti, profonda fino all’osso; altra ferita da taglio si osserva un cm e mezzo distante dalla precedente; sulla linea mediana si osserva una ferita da taglio lunga 8 cm profonda all’osso; in corrispondenza della regione parietale destra si osserva una ferita da taglio lunga 8 cm. Le ferite sanguinano poco perché sono state coperte da polvere di carbone vegetale a cui sono frammisti grossi coaguli sanguigni.
Come sia ancora vivo è un mistero.
Vincenzina vaga tutta la notte per le campagne poi, all’alba, va a casa di Demetrio Guzzo, gli racconta tutto e gli chiede ospitalità per qualche ora, assicurandogli che poi andrà a costituirsi.
I Carabinieri di San Martino sono stati tutta la notte di pattuglia nelle campagne e di primo mattino sono nella frazione di Santa Maria le Grotte quando la voce pubblica li avvisa che è avvenuto un fatto di sangue, un grave fatto di sangue, così tornano in fretta in caserma e cominciano le indagini, venendo a sapere che il movente è stato perché il Leone, come al solito, pretendeva del denaro dalla suocera per coltivare i suoi vizi, oltre a ciò cercava od aveva detto di dover sedurre la cognatina Michelina che la Migliano, ieri mattina, aveva fatto partire per Cosenza come domestica del ragioniere Leone Amedeo. Il Maresciallo Domenico Teotino viene a sapere anche che Vincenzina è nascosta a casa di Demetrio Guzzo, la va subito a prendere e lei non ha nessuna difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità:
Ammetto di avere, reiterate volte, colpito al capo mio genero con una scure.
– Il motivo?
Da quando il Leone sposò mia figlia Pasqualina, la mia casa divenne un inferno non essendovi mai un giorno di pace. Il Leone, poco dedito al lavoro, mi minacciava continuamente cercando di spillarmi quattrini con la scusa che doveva comprare della suola per lavorare, essendo egli calzolaio. Pochi giorni or sono, in seguito alle sue continue minacce, fra cui quella che un giorno o l’altro o io o lui saremmo andati in galera, mi costrinse a farmi imprestare quattrocento lire che, secondo lui, avrebbe impiegato per procurarsi il lavoro. I soldi però avuti non si sa come da me, che sono una povera vedova che vive alla giornata con il lavoro delle proprie braccia, vennero consumati nelle bettole. Oltre alle continue minacce e maltrattamenti, la dose venne rincarata dal fatto che mio genero andava dicendo sulla pubblica via che presto, “prima che se la mangiassero gli altri” l’avrebbe mangiata lui la cognata Michelina, alludendo con queste parole al fatto che sarebbe riuscito a possedere anche la mia seconda figlia quattordicenne. Oltre a ciò mio genero arrivò anche a dire in pubblico che all’atto del matrimonio la moglie non era stata trovata da lui onesta. È per tutte queste circostanze che fui determinata ad attentare alla vita di Francesco Leone
Sembrerebbe un po’ poco, ma quando si tratta di soldi e di onore niente è mai troppo poco. Si vedrà. La cosa che agli inquirenti appare strana è che Pasqualina sia estranea al delitto e il Pretore ordina indagini su di lei. Il Maresciallo Teotino, indagando sulla ragazza, scopre altre cose molto interessanti. Intanto, relaziona, è da escludersi in modo assoluto che la moglie del ferito, non condividendo l’idea della madre, anzi essendo molto attaccata al marito, con lui faceva causa comune contro la madre. Risulta altresì che la sera del delitto la moglie, che dormiva col marito, svegliatasi di soprassalto pel grido emesso dal marito, cercò, slanciandosi verso la madre, di impedire di continuare, ricevendo anche qualche piccola lesione. Ma forse qualche informazione ricevuta dal Maresciallo non è del tutto attendibile perché Pasqualina, interrogata, addossa le responsabilità al marito:
Anche la mattina precedente il ferimento mio marito aveva minacciato tanto a me che a mia madre che ci avrebbe ucciso entrambe.
Chiarito questo aspetto, Teotino riceve brutte informazioni sul conto di Francesco Leone, il quale nel frattempo è stato ricoverato nell’ospedale di Cosenza in condizioni gravissime, privo di conoscenza. Secondo queste informazioni Leone sarebbe stato, fin dall’adolescenza, un discolo e fannullone tanto che lavorava poco e si allontanava spesso da casa per vagabondare, assicurano i Carabinieri di Cetraro, paese natale di Leone, i quali tuttavia smentiscono che abbia minacciato o percossi i genitori.
Interrogati gli abitanti di San Martino, le opinioni su Leone sono contrastanti:
Mi consta personalmente che il Leone avesse intenzione di sedurre la cognata Michelina perché un giorno, trovandosi a parlare con me, mi disse che avrebbe finito col possedere Michelina, che era uscita dal servizio del marchese Alimena e che le due sorelle sarebbero rimaste incinte entrambe – assicura il possidente Francesco Carci.
Altri sminuiscono questo fatto riferendo che Leone quelle cose le disse quando era ubriaco e quindi non credibile.
Escono anche delle voci sul conto di Vincenzina, che si vorrebbe donna che concede i suoi favori a molti uomini e quindi sarebbe la persona meno adatta a fare la morale al genero, ma questo aspetto, ammesso che sia vero, viene messo in secondo piano dagli sforzi che quotidianamente Vincenzina fa per mandare avanti la baracca.
Vincenzina è una povera donna laboriosa che vive del lavoro della giornata – dice Domenico Zavatto.
Lavora tutto il giorno cercando di tirare la vita come meglio può – conferma Demetrio Guzzo.
Intanto, dall’ospedale di Cosenza arriva la notizia che Francesco Leone è morto a ore quattordici e minuti trenta del 24 aprile 1925. Adesso si tratta di omicidio. Omicidio premeditato, si ipotizza. Vincenzina però nega di aver colpito per uccidere, anche se riesce difficile crederlo sia per la parte vitale colpita reiterate volte, sia per l’arma usata.
Poi si fa avanti l’avvocato Domenico Pinnola e racconta circostanze che rivelano lo stato di agitazione e di esasperazione di Vincenzina:
La Migliano spesso veniva in casa mia a lamentarsi delle continue minacce da parte del genero che pretendeva continuamente soldi. Aggiungeva, anzi, che nemmeno la notte poteva dormire in pace poiché il Leone, oltre a minacciarla, nascondeva sempre una scure sotto il letto. Un giorno la Migliano mi domandò se era consigliabile consegnare al genero la pretesa somma di £ 2000 perché forse avrebbe cambiato strada, mettendo le cose a posto. Sia io che il Direttore della Cassa Rurale di San Giacomo di Cerzeto, Giuseppe Miele, che conoscevamo bene che ceffo fosse il Leone, la sconsigliammo. Ma essa però sperava sempre di poterselo cavare d’attorno concedendogli detta somma. Più volte il Leone ebbe delle riprensioni da parte mia, ma egli negava ogni cosa. Devo aggiungere, a chiarimento di quanto detto, che io avevo sconsigliato la Migliano a prendersi in prestito le 2000 lire dalla Cassa Rurale per darle al genero, ma la stessa, a mia insaputa e nonostante ciò, tentò di ottenere il credito ed avendole io chiesto ragione di questo suo fare, rispose che a ciò era costretta poiché non poteva più vivere tranquilla e sperava che, ottenuta la somma, il genero l’avrebbe lasciata in pace. Avendo sentito dire che il Leone andava dicendo di voler possedere anche la cognata, gli domandai se ciò fosse vero ma egli, ridendo, smentì ogni cosa. La Migliano fu da me perfino consigliata di denunziare il genero per le minacce subite di continuo, ma la stessa disse di non poter far ciò perché temeva qualche brutta rappresaglia
Ma il Pubblico Ministero non crede a una sola parola tra tutte quelle dette dai testimoni e, sminuendo ogni singolo comportamento di Francesco Leone, accusa: Queste le risultanze veraci in contrapposizione ad una serie di testimoni compiacenti, indotti soprattutto da quella tale particolare psicologia di aiutare il vivo, così diffusa nei nostri paesi.
La conseguenza diretta di queste affermazioni è la richiesta di rinvio a giudizio di Vincenzina Migliano con l’accusa di omicidio premeditato. Il 3 dicembre 1925 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta della Procura del re e il dibattimento viene fissato per il 18 giugno 1926 ma, in prossimità della data, il processo viene rinviato a nuovo ruolo.
La qui sottoscritta detenuta Migliano Vincenza fa appello alla clemenza della S.V. Ill.ma perché voglia prendere in considerazione lo stato di grande abbattimento in cui versa miseramente! È da ben 15 mesi, povera vedova, che languisce in queste carceri, priva di ogni conforto e d’ogni speranza! E quando un barlume le si era già apparso, ecco che tutto è crollato nel rinvio della sua causa che, pel 18 corrente fissata, è stata rinviata per il lontano ottobre venturo!
Scongiura, pertanto, la S.V. Ill.ma per usarle pietà, stante lo strazio e l’abbandono in cui giace, e volere benignarsi d’introdurre la di lei causa per il ruolo del prossimo luglio! Questo è quanto prega e nella piena fiducia che la S.V. Ill.ma supererà ogni ostacolo per accontentare una povera disgraziata, si professa, ossequiandola e ringraziandola devotamente.
Cosenza li 22 giugno 1926
È questa la lettera che Vincenzina scrive al Presidente della Corte d’Assise di Cosenza per accelerare l’inizio del dibattimento. Richiesta inascoltata, il calendario è pieno e il dibattimento slitta al 5 novembre 1926.
Tutto si risolve in due giorni e il 6 novembre Vincenzina Migliano viene assolta dalla giuria per avere commesso il fatto in tale stato d’infermità di mente da toglierle la coscienza o la libertà dei
propri atti
.[1]


Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

 

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