CARAMELLE DA UNO CONOSCIUTO

– Marì, bella di mamma, tieni i soldi e vai alla stazione di Verbicaro a comprare un po’ di verdura – sono le 9,20 del 13 luglio 1923 quando la madre di Maria, 11 anni, la manda come al solito a fare la spesa. Maria si avvia e mentre attraversa il ponte ferroviario sul fiume Abatemarco vede sulla riva sottostante una sua vicina, la cinquantatreenne Enrichetta Ponzo, che sta lavando dei panni e, accanto a questa, la bambina di un’altra vicina, Assunta di quasi 3 anni, che sta giocando sulla riva del fiume.
Adesso sono le 9,30. Pochi minuti dopo il tredicenne Francesco si avvicina al fiume per attingere dell’acqua e vede qualcosa che viene cullata nella corrente. Guarda meglio e lancia un urlo di terrore: è il corpo di una bambina! Butta per terra gli orciuoli e comincia a correre verso il podere dove sta lavorando suo padre e, un po’ a gesti, un po’ con frasi smozzicate, gli dice ciò che ha visto. Pietro Marino lascia tutto e comincia a correre verso il fiume: suo figlio ha ragione. L’acqua del fiume a questo punto è profonda circa due palmi, proseguendo con variabile profondità per circa quaranta metri ove si nota del terreno limaccioso con pochissima acqua. È qui che galleggia a faccia in giù il corpicino di una bambina di non più di 3 anni di età. Pietro non perde tempo, si butta in acqua, raggiunge la bambina, la gira e tira una bestemmia: è Assuntina! Ne raccoglie il corpo ormai senza vita e lo depone delicatamente sulla sabbia, poi si mette a urlare per richiamare l’attenzione di una donna che sta zappando a un centinaio di metri da lì.
Rosaria Sollazzo, attirata dalle urla, arriva trafelata e quando vede il corpicino steso a terra, quei bei capelli biondi attaccati al viso, quel vestitino a gonnellina colorato in grigio e le gambette magre che spuntano dal ginocchio in giù, comincia a urlare a sua volta e Pietro ha un bel da fare per farle capire che si deve fare forza e restare a guardia del corpicino, mentre lui e suo figlio andranno a cercare la madre per avvisarla e poi andranno a Cipollina per avvisare dell’accaduto il delegato del Comune di Grisolia.
La madre di Assuntina, la trentenne Emilia Valitutti, nella casetta colonica a circa 350 metri da lì non c’è, come non c’è la sua coinquilina Enrichetta Ponzo, così padre e figlio vanno ad avvisare il delegato municipale e questi, a sua volta, avvisa i Carabinieri di Grisolia dell’avvenuta disgrazia.
Intanto Maria ha fatto le sue compere e si è rimessa in cammino verso casa intorno alle 10,30. Arrivata al ponte ferroviario, vede il corpicino disteso sulla sabbia e parecchie persone che si accalcano per curiosare. Lei non si ferma, si fa la croce e corre a casa ad avvisare sua madre.
Tra i curiosi che gironzolano attorno al corpicino ci sono anche le diciottenni Assunta Salerno e Filomena Vitale che, essendo state attirate dalle urla di Rosaria Sollazzo, si sono avvicinate per capire cosa sia accaduto e poi proseguono il proprio cammino per andare a lavorare in un fondo che è oltre la casetta colonica della mamma di Assuntina ed è in quei pressi che la incontrano insieme ad Enrichetta Ponzo alle 10,00, di ritorno dopo aver raccolto una minestra di fagiolini.
– Emì… Emì… corri al fiume… una disgrazia…
– Che?
– Una disgrazia… Assuntina… s’è affucata!
– Ma che dici? Sta dormendo a casa…
– No, ti dico! È al fiume, corri!
Anche il Brigadiere Giuseppe Bramante accorre immediatamente sul posto e comincia a fare i primi rilievi, dai quali risulterebbe che Emilia Valitutti ed Enrichetta Ponzo siano uscite di casa per andare a raccogliere dei fagiolini, a circa 200 metri da casa, verso le 9,30 e hanno lasciato Assuntina che dormiva sopra un sacco pieno di paglia e con la porta d’ingresso socchiusa e che dopo pochissimo tempo, non oltre 20 minuti da quando erano arrivate sul posto ed avevano raccolti solo pochi fagiolini, furono avvisate della disgrazia e si recarono al fiume. Bramante percorre il sentiero che dal punto dove è stata trovata Assuntina porta alla casetta colonica, raccoglie qualche altra testimonianza, confronta mentalmente gli orari che gli vengono riferiti, il tempo che lui stesso ha impiegato per arrivare alla casetta colonica, il contegno incerto e titubante delle due donne e comincia a sospettare che qualcosa non quadri e verbalizza: anzitutto la casetta colonica dista dalla località ove si vorrebbe avvenuto l’annegamento circa metri 350 e per accedervi bisogna passare due rigagnoli d’acqua distanti fra loro circa metri 40 che, per quanto con poca acqua, pare di difficile accesso per una bambina di quell’età. Dall’altra parte, data la brevità del tempo che sarebbe trascorso dal momento in cui dalle donne si affermava di aver lasciato la bambina a dormire a quello del triste avvenimento, cioè appena 20 minuti di tempo, in cui non era possibile svolgersi tutta quella serie di atti che precedettero l’arrivo delle donne, cioè tempo impiegato dalla bambina per andare, dopo svegliatasi, dalla casetta colonica al fiume, non meno di 20 minuti, tempo occorso pel rinvenimento e per la morte, per essere scoperto il cadavere dal ragazzo e conseguente chiamata del padre che estrasse il cadavere dall’acqua, tempo occorso pel riconoscimento e conseguente chiamata della madre. Questi atti richiedevano di oltre un’ora e mezzo e a tutto questo si aggiunge  il fatto che il sottoscritto procedendo nelle indagini ebbe assodare che Ponzo Enrichetta fu vista la mattina verso le ore 9, ½ nei pressi del fiume Abatemarco insieme alla ragazza. Circostanza questa recisamente negata dalla Ponzo e dalla madre della morticina. Guardato noi militari verbalizzanti il cadaverino esternamente, non presentava traccie di sorta che avesse potuto far passare ad una morte per annegamento, nel qual caso si sarebbe dovuto verificare gonfiore, bava mucosa e sanguinolente dalla bocca e dal naso ecc. quindi sorge in noi leggittimo il sospetto che la morte della bambina era da attribuirsi più che a un fatto disgraziato, ad un fatto volontario.
Il Pretore di Verbicaro, avvisato di questi fondati sospetti, dispone immediatamente l’autopsia sul corpicino di Assunta e l’arresto delle due donne. Incaricati della perizia sono i dottori Vittorio Sollazzo e Rosario Calfa i quali, prima di affondare il bisturi nelle carni di Assuntina, da un lato si segnano con la croce, ma dall’altro maledicono chi, sperando che non ci sia un chi, ha portato alla morte la bambina.  La prima cosa che intendono accertare è se Assuntina sia o meno morta per annegamento e la risposta è che è da escludersi completamente che sia morta in seguito ad annegamento. La morte, al contrario, deriva da asfissia e verosimilmente da asfissia per soffocamento, come a dire per occlusione delle narici e della bocca con un mezzo meccanico qualunque che potrebbe essere la mano rivestita, o non, da un panno qualsiasi.
E qui le cose si complicano perché adesso si aprono nuovi e imprevedibili scenari. Quindi, per escludere qualcuno di questi ipotetici scenari, è necessario ispezionare più accuratamente del normale ogni centimetro, ogni millimetro del corpicino di 32 mesi di età, steso sul freddo marmo della camera mortuaria del cimitero di Cipollina. 
Sollazzo e Calfa all’improvviso sbiancano in viso quando scoprono che la bambina, antecedentemente alla morte, fu sottoposta per più di una volta a pratiche di congiunzione carnale innaturali perché si riscontra alterazione di forma e di grandezza del contorno anale e dell’orifizio, come pure del retto. E se questo orrore non bastasse, i medici scoprono anche che il retto è ricoperto da un’abbondante sostanza biancastra di consistenza mucosa, specialmente nel tratto medio: sicuramente sperma, ma è meglio repertare la sostanza e analizzarla.
I due medici interrompono le operazioni per qualche minuto, devono riprendere fiato, anche loro sono uomini dotati di una coscienza e ciò che stanno vedendo li turba oltre il loro dovere di medici.
Appoggiato allo stipite della porta, dal lato esterno delle camera mortuaria, c’è il Brigadiere Bramante in attesa di novità dall’esame e quando i due periti gli accennano a ciò che ha subito Assuntina in vita, ricorda immediatamente che la madre ha detto che la bambina dormiva sopra un sacco pieno di paglia, così si mette a correre verso la casetta colonica dove trova quel sacco, che per fortuna nessuno ha portato via, coperto con un lenzuolo, li prende e li porta ai periti.
Si è repertato un lenzuolo sul quale dicesi dormisse la bambina il quale presenta una macchia di sangue non recente, estesa quanto una moneta da dieci centesimi di vecchio conio; presenta delle macchie che, evidentemente, debbonsi ritenere prodotte da urina. Non è possibile riscontrare, almeno macroscopicamente, macchie spermatiche. Anche il lenzuolo deve essere analizzato.
Bramante, in attesa dei risultati delle analisi, continua a scavare nella vita di Emilia Valitutti ed Enrichetta Ponzo e comincia da una considerazione e da una domanda: se c’è dello sperma nell’intestino, l’ultima violenza deve essere per forza avvenuta molto recentemente, forse addirittura la mattina stessa dell’omicidio.
Chi è in realtà Emilia Valitutti e con chi se la fa?
Emilia, originaria della provincia di Potenza, e la sua amica del cuore Enrichetta risultano di pessima condotta ed esercitano il meretricio. Ma la cosa più grave, ai fini dell’indagine, è che risulta che la povera morta era sottoposta a dei maltrattamenti sia dalla madre che da parte dell’altra donna; veniva spesso e volentieri bastonata ed abbandonata a sé stessa. Aggiunge il delegato comunale: In me destava la più profonda pietà anche perché mi dava l’impressione che in quella casa la ragazza era ritenuta superflua, tanto che avendo progettato le due donne un viaggio in Francia a scopo di speculazione mediante il meretricio, non sapevano che regolarsi nei riguardi della bambina. L’ambiente di quella casa, insomma, lasciava molto a desiderare sia dal punto di vista morale che per qualsiasi altra considerazione, tanto che in un certo momento mi ero deciso a mandare via tutti, ma poi mi lasciai convincere in senso contrario. Bravo, complimenti!
Bramante trova altre conferme che indicano Marsiglia come città prescelta per via del porto dal quale partono moltissime navi cariche di emigranti italiani. A Bramante risulta anche che Emilia vive separata dal proprio marito e se la fa con un carbonaio, il trentunenne Domenico Marini, nato ad Apecchia in provincia di Pesaro e residente per ragioni di lavoro a Cipollina, guarda caso nell’abitazione della sua amante. Siccome due più due fa sempre quattro, Domenico Marini entra di diritto nella lista dei sospettati sia per l’omicidio di Assuntina e sia per la violenza sessuale continuata nei confronti della bambina. Per lui scattano subito i ferri ai polsi.
Frequentavo la casetta colonica ove abitavano Enrichetta Ponzo ed Emilia Valitutti, anzi con quest’ultima ero in intime relazioni. Sono assolutamente innocente del reato che mi si vorrebbe attribuire, anzi io volevo molto bene a quella bambina, alla quale davo spesso dei dolci e della frutta. Io, il giorno dello avvenimento, mi svegliai verso le ore sei del mattino ed uscii immediatamente di casa, lasciando  Emilia ancora a letto perché ammalata. La bambina stava ancora a dormire, tanto che la covrii col lenzuolo per non farla maltrattare dalle mosche. Enrichetta era già levata da letto ed accudiva ai servizi di casa. Al mio ritorno, verso le ore 10 e mezza, seppi del fatto raccontatomi da Pagano Alfredo che era alla stazione di Verbicaro. Andai al fiume e trovai la madre alla quale domandai come era andato il fatto; questa mi rispose che lei era andata a raccogliere dei fagioli ed aveva lasciata la bambina ad Enrichetta
Questa è nuova: finora le due donne hanno dichiarato che erano uscite insieme o a distanza di pochi secondi una dall’altra e invece adesso scopriamo che Enrichetta sarebbe rimasta in casa con Assuntina. Se fosse davvero così, la testimonianza di Maria, la bambina che ha riferito di avere visto Enrichetta con Assuntina sulla riva del fiume, sarebbe confermata da uno dei sospettati. Ma Enrichetta conferma di essere uscita insieme con Emilia e di avere lasciato Assuntina in casa che dormiva. Emilia? Emilia conferma le parole dell’amica del cuore.
Ma qualche giorno dopo ritratta:
Devo modificare quanto dissi nel mio interrogatorio precedente, cioè che non è vero che io abbia lasciato la mia bambina dormendo quando alle ore 9,20 mi recai a raccogliere i fagiolini
– E quindi?
Lasciai la mia bambina invece sveglia e la consegnai alla Ponzo, la quale mi raggiunse dopo circa una mezzora e mi disse che la bambina si era posta a dormire e dormendo l’aveva lasciata
– Perché non lo avete detto subito?
Se dissi a quel modo allora fu perché fui minacciata dalla Ponzo la quale, dichiaro, è la causa di tutti i miei guai e delle mie disgrazie – ecco come finisce un’amicizia in pochi secondi –. Non potevo mai supporre che lasciando mia figlia ad Enrichetta dovesse succedere quanto è successo – forse Emilia ha dimenticato che la sua bambina è stata brutalmente e ripetutamente violentata, quasi certamente nella sua casa, e che sarà difficile spiegare come abbia fatto a non accorgersene –. Debbo dichiarare ancora che il Marini è assolutamente innocente di quanto gli viene imputato – come fa ad esserne così sicura?  Lanciando una bomba della quale dovrebbe vergognarsi per il resto dei suoi giorni –, anzi debbo esporre alla giustizia quanto segue: circa dieci o dodici giorni prima dell’avvenimento, la mia bambina scherzava con un cane ed era alquanto ammaliziata giacché ad un certo punto alzò le vesti e si fece leccare la natura dal cane. Tutto questo mi fu avvisato dal Marini il quale mi avvertì di stare attenta per la bambina. Al fatto era presente anche la Ponzo
– Un cane? E di chi era? – le chiede, incredulo, il Pretore.
Il cane non so a chi si appartenessenon dissi questo alla giustizia perché non credevo che la bambina fosse morta in seguito a violenza carnale, ma supposi che si trattasse di bastonate ed altro – roba da non credere, lo schifo assoluto! Come può una madre alla quale hanno brutalmente e continuatamente violentato sua figlia di 32 mesi e poi uccisa soffocandola dire queste oscenità per salvare il proprio amante?
Bramante, che non tralascia alcun particolare, nemmeno quelli che meriterebbero di essere cancellati dall’indagine, scopre che il cane in questione è una cagna e appartiene, udite udite, a Domenico Marini e quindi tutto il giorno giocava con la bambina leccandola, certo, come tutti i cani leccano i padroni per dimostrare loro il proprio affetto e, soprattutto, senza malizia. Senza malizia come i bambini.
Anche Enrichetta difende Marini, ma le sue parole, sapute le orribili sofferenze inflitte ad Assuntina, suonano come premonizioni dell’inenarrabile e fanno venire i brividi:
Marini scherzava sempre con la bambina, la carezzava e la poggiava sulle ginocchia. Con nessun altro ho visto scherzare la bambina
Scherzare…
Ma perché Emilia ad un certo punto decide di proteggere Domenico Marini e di scaricare la sua amica del cuore? La risposta potrebbe essere nelle parole che Michele Zampella, custode delle carceri di Verbicaro, giura di aver sentito dire, la mattina del 31 luglio 1923, a Marini mentre parlava con Emilia da una cella all’altra, parole che anche Enrichetta Ponzo conferma di avere ascoltato:
Bada di dire che io sono innocente del reato contro la tua bambina perché ora la giustizia è convinta che io abbia chiavata la ragazza davanti e di dietro e quindi bisogna che mi difenda… ho ventimila lire di proprietà e dei muli che voglio vendere e così taglio la corda e vado via dando il denaro all’avvocato che mi farà uscire in libertà provvisoria… altre volte ho burlato la giustizia, il Pretore e i Carabinieri… credevo che avessero creduto che la ragazza era morta effettivamente per annegamento e non sospettavo giammai che avessero fatto quella visita, ma che avessero senz’altro ordinato il seppellimento perché era una bambina… i dottori di Cipollina e Grisolia mi vogliono male… Bada che quando esco non ti farò fare più questa vita raminga ma ti condurrò con me altrove
I guai di Domenico Marini potrebbero aumentare quando, forse nell’intento di dargli una mano, i testimoni che cita a suo discarico indicano orari diversi da quelli indicati da lui quando ha dichiarato di essere uscito da casa intorno alle 6,00: Settimio Dascenti, mulattiere di Cappadocia in provincia de L’Aquila, giura che Marino è stato in sua compagnia dalle ore cinque alle ore 10 e mezza insieme a Rocco Violi, caposquadra ferroviario, ed a Vincenzo Lilli. Quest’ultimo sostiene che Marini è stato con lui e gli altri alla stazione di Verbicaro dalle ore cinque sei antimeridiane alle ore 9 e mezzo, ora in cui andammo a fare colazione in una locanda in quei pressi. Violi, invece, sostiene che Marini è stato con lui al passaggio a livello della ferrovia dalle ore sette fino alle ore nove e mezza circa. Ma nessuno gli contesta questa circostanza.
Nel frattempo arrivano i risultati delle analisi svolte sulla sostanza biancastra rinvenuta nel retto di Assuntina e sulle macchie sospette rinvenute sul lenzuolo: sia le prove istologiche che microchimiche confermano senza ombra di dubbio che si tratta di sperma umano: le orribili violenze sono state consumate in casa e né la madre di Assuntina, né l’ex amica del cuore possono dire di non essersi accorte di niente, sia che sia stato Domenico Marini, sia che il carnefice sia stato un altro.
Ma ormai è una guerra di tutti contro tutti per cercare di salvarsi e in questa fiera del degrado morale si inserisce anche il padre della povera Assuntina che dichiara:
Da circa cinque anni sono separato da mia moglie Emilia Valitutti e la bambina Assunta, sebbene figuri dallo stato civile essere mia figlia, è stata procreata da mia moglie con altro uomo. Io vivo lontano dal luogo ove avvenne il reato e per quanto mi sia querelato per la violenza carnale a danno di detta bambina Assunta, non ho testimoni da indicare, né prove da addurre, sia relativamente al detto delitto di violenza carnale, sia per l’omicidio della stessa Assunta.
Assuntina è lasciata da sola anche da questa parte.
La richiesta della Procura Generale del re per gli imputati è il rinvio a giudizio per tutti e tre con l’accusa di avere ucciso in concorso, mercè soffocamento, Assuntina, con l’aggravante per la Valitutti di essere la bambina figlia legittima di essa. Per il solo Domenico Marini, oltre all’omicidio, viene chiesto il rinvio a giudizio per lo stupro continuato, commettendo i fatti con abuso di fiducia e di relazioni domestiche. Per la Procura, Emilia Valitutti ed Enrichetta Ponzo con gli stupri non c’entrano.
La Sezione d’Accusa accoglie le richieste e i tre sono rinviati a giudizio. È il 29 luglio 1924, un anno dopo l’orrenda fine di Assuntina.
Il dibattimento inizia il 31 gennaio 1925 e durante le poche udienze viene timidamente fuori che un altro uomo frequentava la casetta degli orrori: il figlio ventenne di Enrichetta Ponzo. Non solo: alcuni testimoni dicono che c’era anche quel maledetto 13 luglio 1923 ma, appena saputo dell’accaduto, non si vide più. E non si vede neanche nel dibattimento. L’unica altra cosa di interessante che emerge dalle parole dei testimoni è che Emilia Valitutti sarebbe mezza scema perché non sa parlare e non si sa presentare.
La difesa di Domenico Marini fa leva sulla dichiarazione del marito di Emilia che nella querela ha disconosciuto la paternità di Assuntina per farla decadere, ma il Presidente della Corte, fatti fare i dovuti accertamenti, osserva che, siccome il matrimonio non è stato annullato, che non esiste sentenza di separazione, che non esiste nessun procedimento di disconoscimento del figlio, la querela è pienamente valida e produttiva di effetti giuridici. Si può continuare e arrivare a sentenza. Il 4 febbraio 1925 per la giuria non c’è niente che dimostri la colpevolezza dei tre imputati e li assolve dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto.[1]
Assuntina è stata stuprata e uccisa ancora una volta perché tutti, messi davanti all’orrore di ciò che le è stato fatto e tolto a 32 mesi di età, hanno preferito girarsi dall’altra parte e fare finta che il male non esista.
P.S. Ci vorrà ancora qualche decennio prima che i bambini non vengano più considerati, nella scala sociale, un gradino più in basso del cane di casa e capire che la vita vale più della roba. Soprattutto la vita dei bambini.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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