La sera del 19 marzo 1907 il vento di grecale batte le strade di Roggiano Gravina. In via Ferdinando Balsano un giovane, di statura un po’ alta, magro, vestito un po’ elegante e con un mantello risvoltato sopra le spalle, tenendo il viso coperto fin sopra il naso, come per non farsi conoscere, passeggia lentamente avanti e indietro, dando l’impressione di aspettare qualcuno. In questo frattempo dalla parte di Piazza Plebiscito sopraggiunge un altro uomo piuttosto basso di statura, con in testa un cappello di feltro oscuro e anche questo avvolto in un mantello. I due si incrociano senza salutarsi e quello che sta passeggiando passa talmente vicino all’altro che i due mantelli si toccano. I due si allontanano in direzioni opposte ma quello che passeggia, fatti pochi passi si gira, fa due o tre passi più lunghi del normale, estrae una rivoltella da sotto il mantello e spara due volte. Il riecheggiare dei colpi non si è ancora spento che l’altro uomo è già morto, colpito a bruciapelo da tutti e due i proiettili alla nuca. Una vera e propria esecuzione. L’uomo che ha sparato come un fulmine rimette a posto l’arma, toglie qualcosa di tasca, si piega sul cadavere che giace bocconi, gli mette una mano sotto il petto, poi si allontana nel buio prima che la gente scenda per strada a vedere cosa diavolo sia successo.
Il Brigadiere Domenico Quattrone prima che arrivi il Pretore scopre solo che il morto si chiamava Angelo Lanzillotti, che faceva il negoziante e che aveva 29 anni. Per il resto è buio pesto come la notte. La notte di San Giuseppe.
Il resto della notte passa inutilmente, ma la mattina seguente sotto il cadavere viene rinvenuto un coltello a serramanico aperto. I dubbi aumentano se si ipotizza una lite degenerata, perché se così fosse Lanzillotti non avrebbe dovuto morire con due proiettili nella nuca, sparatigli a bruciapelo. Sembra più un omicidio premeditato che un delitto d’impeto. Poi il Brigadiere viene a sapere che il morto aveva una relazione con una contadina ventottenne, Maria Saveria Mastrota, la quale circa un mese prima aveva sporto una querela contro un giovanotto ventunenne, Giacomo Cipparrone, perché aveva cercato di entrare in casa sua di notte. E quindi? E quindi si dice in giro che fu proprio Angelo Lanzillotti a convincere la sua amante a denunciare Cipparrone. E siccome si sa come vanno queste cose, il sospetto è che il giovanotto abbia potuto pensare di vendicare col sangue la querela ricevuta, che riteneva un’offesa gravissima. Il Brigadiere si precipita a casa del sospettato, gli fa indossare gli abiti di festa che quel giorno portava, perquisisce minutamente l’abitazione ma la rivoltella non c’è. Vestito di tutto punto, Cipparrone viene portato in caserma per essere interrogato, ma senza risultato, essendo le sue risposte negative.
Però qualcosa potrebbe cambiare perché in caserma si presenta un ragazzino, il dodicenne Francesco Iuliano, il quale giura di avere assistito personalmente a tutta la scena del delitto, di avere inteso un flebile lamento, ma siccome era buio pesto e nonostante avesse un lanternino, non ha riconosciuto l’assassino perché aveva il volto quasi completamente coperto. È in grado, però, di fare una descrizione dettagliata dell’abbigliamento. Il Brigadiere coglie la palla al balzo e gli mostra Cipparrone vestito di tutto punto e il ragazzino lo riconosce dai vestiti.
Messolo di bel nuovo alle strette, Cipparrone davanti a quattro testimoni ammette qualcosa:
– Verso le ore 20,30 del 19 corrente, mentre transitavo per via Ferdinando Balsano, salendo dalla Piazza Plebiscito, giunto in prossimità dell’abitazione di Antonio Iuliano (il padre del testimone, nda) mi sono imbattuto con Angelo Lanzillotti, proveniente dalla parte opposta alla mia, il quale mi proferì le seguenti parole: “Tu sei quello che ti permettesti di bussare alla porta della mia druda ed ora che mi sei incontrato mi voglio vendicare!”. Ciò detto estrasse di tasca un coltello, che per l’oscurità non potetti distinguere, né posso dirvi se codesto che mi presentate fosse quello, e spiegatolo cercava inveire contro di me. Fu allora ch’io per non essere sopraffatto estrassi la rivoltella di calibro nove, che asportavo abusivamente e che avevo acquistato nelle Americhe, e ne esplosi due colpi contro il Lanzillotti, senza vedere dove l’avessi colpito, dandomi tosto alla fuga gettando la rivoltella. Giunto nei pressi della chiesa di Sant’Antonio, e precisamente innanzi al caffè di certa Angelina D’Agostino, seppi dell’uccisione del Lanzillotti… allora, sempre con passo normale, transitai per l’Arco del Carcere, Piazza Plebiscito, Via Roma e rincasai. Poco dopo uscii di nuovo recandomi dal morto. Giunto sul luogo del fatto guardavo fissato il cadavere fumandomi una sigaretta e dopo sono rincasato mettendomi a letto…
Ovviamente il Brigadiere, che sa come si sono svolti i fatti perché glieli ha raccontati Francesco Iuliano, non gli crede e continua ad indagare interrogando numerosi testimoni che, spera, possano confermare le dichiarazioni del ragazzino e inchiodare Cipparrone con l’accusa di omicidio premeditato.
Nel frattempo Cipparrone viene nuovamente interrogato, questa volta dal Pretore di San Marco Argentano, e ritratta tutto. Ma il giorno dopo, il 21 marzo, cambia di nuovo versione e ammette, come aveva fatto davanti al Brigadiere e ai quattro testimoni, di essere stato l’autore dell’omicidio e di avere sparato perché provocato dalla vittima che gli sventolava un coltello sotto il naso:
– Gli sparai contro due colpi tirandogli in fronte – dice adesso, mentre prima aveva detto di non sapere dove l’avesse colpito. In ogni caso mente – credevo di averlo soltanto ferito… mi diedi alla fuga ma dopo un quarto d’ora seppi che era morto, così ritornai sul luogo del delitto, mi posi ad osservare il cadavere e per esternare indifferenza lo guardai fumando una sigaretta…
– È sempre un errore tornare sul luogo del delitto… – osserva ironicamente il Pretore che, dopo queste ultime ammissioni, si convince che sia stato tutto premeditato.
– Non mi pareva vero che fosse morto e per accertarmi ritornai sul luogo del delitto…
– Ancora? – il Pretore sta per perdere la pazienza – ma come fai a sostenere questa fesseria? Ti sembra possibile che una persona può restare viva dopo che gli hai sparato a bruciapelo due colpi alla nuca?
– Non è vero che gli abbia esploso due colpi dalla parte posteriore della testa, ma, ripeto, tirai al Lanzillotti in fronte e se il ragazzino afferma il contrario, afferma il falso, come il falso afferma quando attesta che io passeggiavo in attesa in via Balsano! E poi io il ragazzino Iuliano non l’ho visto in quel momento – ormai non sa più ciò che dice e continua a peggiorare la situazione. Ma probabilmente Cipparrone sostiene questa tesi perché quando tornò sul luogo del delitto e si pose ad osservare il cadavere, fu tratto in inganno, alla luce fioca di una lanterna, dalla vasta ferita lacero contusa sulla fronte che Lanzillotti si procurò cadendo dopo essere stato colpito.
– Il ragazzino lo ha detto, ma lo dicono soprattutto i due fori di proiettile che Lanzillotti ha nella nuca e quelli certamente non mentono!
Il risultato dell’esame autoptico, in realtà dimostra che un solo colpo, con direzione obliqua da sinistra a destra e dall’alto in basso, uccise Lanzillotti penetrando dal processo mastoideo sinistro, perforando nettamente l’osso temporale e quindi spappolando la sostanza cerebrale della porzione superiore del lobulo sinistro del cervelletto, del corpo calloso, dell’emisfero cerebrale destro, arrestandosi alla porzione cervicale dello stesso. Quindi un colpo sparato trovandosi di fianco, e non alle spalle, della vittima. E l’altro foro? Quello, si, fu sparato trovandosi alle spalle della vittima, ma si è trattato di un colpo che non ha causato alcun danno avendo leso solo delle porzioni di muscolo prima di fuoriuscire. Quindi, molto probabilmente, Cipparrone sparò il primo colpo trovandosi alle spalle di Lanzillotti e lo ferì superficialmente (il testimone udì un flebile lamento) e quindi sparò di nuovo mentre la vittima cadeva (colpo sparato dall’alto in basso) girandosi leggermente di lato.
Dalle indagini il Brigadiere Quattrone trova la conferma che il coltello a serramanico trovato sotto il cadavere di Lanzillotti non apparteneva alla vittima e quindi di sicuro lo ha messo lì l’assassino per avvalorare la tesi dell’aggressione e della legittima difesa. Un altro colpo per l’imputato, il quale viene trasferito dalla camera di sicurezza della caserma di Roggiano nel carcere mandamentale di San Marco Argentano. Ma durante il trasferimento a bordo di un carretto, Cipparrone commette un’altra sciocchezza: dice ai due Carabinieri che lo scortano e al cocchiere queste precise parole:
– Sono stato forzato ad ucciderlo perché costui cercava offendermi col coltello… in fin dei conti mi potranno condannare a 10 o 12 anni, son giovane ed uscirò ancora, è meglio la Corte e non la morte!
Parole molto contraddittorie. Cosa avrà mai inteso dire? Quando gliene viene reso conto dal Giudice Istruttore, nega di averle dette e ciò non fa che aumentare i sospetti. Anzi, in quest’ultimo interrogatorio ritratta ancora:
– Fu il Brigadiere che m’indusse a confessare un delitto che io non avevo commesso, facendomi credere che con la confessione e narrando il fatto in un modo piuttosto che in un altro, la mia posizione era risoluta e da un momento all’altro sarei stato prosciolto da ogni accusa. Mi feci abbindolare come uno sciocco e pur non avendo commesso nulla di male, confessai l’uccisione di Lanzillotta, ma io di questo omicidio nulla conosco giacché col Lanzillotta non avevo nessun rancore…
– Ma davvero? Peccato che sul verbale dei Carabinieri ci sono anche le firme di quattro testimoni – gli contesta il Giudice.
– Quando resi la dichiarazione al Brigadiere confessandogli il delitto da me non commesso, era presente un solo Carabiniere. Mi sorprende, quindi, di sentire ora che alla dichiarazione scritta erano presenti quattro testimoni…
– Quelle stesse parole che adesso negate, risulta che le abbiate dette anche al Pretore, non vi sembra strano? Perché non avete protestato allora?
– Naturalmente dopo aver reso quella dichiarazione al Brigadiere, dissi lo stesso al Pretore. Questi, anzi, non fece che trascrivere quanto al Brigadiere avevo detto… Io non capivo nulla, lasciavo scrivere, sicuro di riottenere la libertà…
– E poi le avete ripetute davanti a tre testimoni mentre vi portavano nel carcere di San Marco – continua il Giudice Istruttore.
– È falso che, mentre venivo tradotto a San Marco, avessi detto in presenza del cocchiere e di due Carabinieri ch’ero stato costretto ad uccidere il Lanzillotta perché costui inveiva contro di me col coltello e che me la sarei cavata con dieci o dodici anni. Quel discorso lo facevano i Carabinieri, non io!
Peccato che sia i quattro testimoni, tra i quali una guardia municipale di Roggiano e una guardia campestre, che il cocchiere e i due Carabinieri che lo portarono a San Marco confermino di avere ascoltato con le proprie orecchie le parole con le quali Cipparrone confessò di avere sparato all’avversario. Non solo: molti testimoni assicurano, al contrario di quanto sostenuto dall’imputato, che tra lui e Lanzillotta esistevano dei forti rancori per questioni di donne. Inoltre le persone che si trovavano sul luogo del delitto per curiosare sostengono di avere sentito Cipparrone dire, fumando una sigaretta e con cinica e nauseante indifferenza: “Poveretto, chi mai lo ha potuto uccidere?”.
Per il Pubblico Ministero non ci sono dubbi: Giacomo Cipparrone deve essere processato per omicidio premeditato. La Camera di Consiglio presso il Tribunale di Cosenza, nel trasmettere gli atti alla Procura Generale per la, eventuale, richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato aggiunge: a seguito di probabili suggerimenti egli credette di poter distruggere quanto a suo carico risultava dalla sua stessa confessione, avvalorata da molteplici prove in via generica e specifica, accertate dalla istruzione. Accertata altresì la causale di odio, relativa alla denunzia per violazione di domicilio sporta dalla mantenuta dell’ucciso contro il prevenuto, non è a dubitare che questi commise il delitto con premeditazione. L’avere egli mirato ed esploso i colpi della rivoltella alla regione posteriore della testa del Lanzillotti sono la prova migliore che egli aveva di lunga mano tutto premeditato e disposto per la certa consumazione del delitto. È il 30 giugno 1907.
Il 24 agosto successivo, la Sezione d’Accusa avalla la tesi dell’omicidio premeditato e rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il 3 febbraio 1908 inizia il dibattimento e già il giorno dopo la giuria emette il verdetto di colpevolezza ai danni di Giacomo Cipparrone, condannandolo a 20 anni, 10 mesi e quindici giorni di reclusione, più pene accessorie. Il doppio di quanto aveva, improvvidamente, pronosticato.
La Suprema Corte di Cassazione, il 2 luglio 1909, dichiarerà inammissibile il ricorso di Cipparrone.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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