SANGUE TRA NOTAI

È il 4 settembre 1898 e le urne per le elezioni del Consiglio Provinciale di Cosenza e di quello Comunale di San Fili sono state chiuse da pochi minuti. Una piccola folla è riunita all’interno del salone del Municipio, dove lo spoglio delle schede sta per iniziare. Speranza nell’esito del voto e ansia pervadono i presenti, tra i quali molti candidati; ci scappa anche qualche sfottò tra scoppi di risa soffocati la tensione sale. Poi cala il silenzio quando il presidente del seggio comincia a leggere le preferenze espresse nelle schede. Sono ormai le 21,00.
I nomi dei candidati vengono sciorinati più o meno secondo le previsioni. Ad un certo punto il presidente legge un nome che, secondo le previsioni, avrebbe dovuto sfondare ma che al momento non ha ancora avuto preferenze:
– Gentile Santo!
Il nominato è il notaio del paese, ha 46 anni, ed in quel momento sta svolgendo anche le funzioni di segretario del seggio elettorale.
Mettete, mettete! – dice Santo Gentile agli scrutatori, volendo significare che adesso cominceranno ad arrivare i suoi voti. Dalla sala si alza una voce:
Si, mettete nel culo!
Ma chi è questo porco? – protesta Santo.
Forse sono stato io – risponde suo cugino Ettore Gentile, notaio anche lui ma nel comune di Rende, alzandosi in piedi e parandosi davanti all’altro.
Se ti sei rinteso, la risposta l’hai avuta! – ribatte Santo.
Usciamo fuori a vedercela con le mani – lo sfida Ettore.
Non è il momento, devo assistere al seggiodopo ti darò qualunque soddisfazione! – gli risponde Santo.
– Usciamo fuori adesso! – insiste Ettore, poi intervengono suo padre ed un suo fratello che lo allontanano e sembra che l’incidente si sia chiuso.
Le operazioni di spoglio continuano, ma dopo qualche minuto Ettore rientra nel salone, si mette davanti a suo cugino e comincia a fargli delle smorfie per provocarlo. Spazientito, Santo sbotta:
Ma se sei ubbriaco vatti a rovesciare!
Ettore, continuando a fare le boccacce, gira intorno al tavolo degli scrutatori e si avvicina a Santo. Dal pubblico, che ridacchia divertito da questa sceneggiata, si alza Fedele Gentile, il padre di Ettore, e, accompagnato dal suo amico Ernesto Granata, si avvicina al tavolo anche lui dicendo all’indirizzo di Santo:
Ma non la vuoi finire?
A queste parole e vedendo il loro atteggiamento, i Signori Blasi Francesco e Achille si fanno di contro ad essi Gentile dicendo:
Ma per carità! Cosa intendete fare? Calma, calma!
Adesso comincia ad esserci molto nervosismo nel salone, dove ci sono anche altri due fratelli di Ettore Gentile, Pasquale, che guarda caso sta svolgendo le funzioni di scrutatore, e Angelo i quali si affiancano ai loro congiunti con atteggiamento minaccioso.
Santo Gentile, tenendo presenti le loro vecchie e prave intenzioni al suo riguardo, indietreggia e tira fuori dalla tasca un revolver.
– Rimettete l’arma nel fodero che non è niente! – lo esorta uno dei presenti, Vincenzo Granata, mentre alcuni componenti della famiglia Blasi, amici di Santo, cominciano a respingere con violenza Ettore e i suoi familiari. Da ciò ne avvenne una colluttazione; dopo qualche istante, colluttando, si avvicinano a Santo Gentile il quale, vedendosi a mal partito, comincia a menare botte da orbi. Il mucchio dei rissanti ondeggia vorticosamente nel salone buttando all’aria tutto ciò che incontra, fino ad arrivare vicino alla porta. Tra le mani che tirano pugni, schiaffi e calci, qualcuno giura di aver visto una scure, vola qualche sedia e spunta anche un bastone che, roteando nell’aria, colpisce alla testa Santo il quale comincia a sanguinare. Adesso sembra un toro infuriato: prende di peso il vecchio Fedele Gentile, lo porta sul pianerottolo e lo scaraventa giù dalle scale, poi torna soddisfatto nel salone, pare senza nemmeno essersi accorto che nella rissa sono, nel frattempo, intervenuti anche suo padre e i suoi due fratelli Cesare e Benedetto. Quando finalmente le acque si calmano e il pavimento è tinto di rosso, si contano, tra le due opposte fazioni dei Gentile, undici tra feriti e contusi. A stare peggio degli altri è Cesare Gentile che ha ricevuto una coltellata nella zona pubica, le cui labbra sono tenute combaciate da uno spillo con diversi giri di filo attorcigliato, ma sembra che non sia pericolosa di vita poiché il medico ritiene che non sia penetrata in cavità.
Dai Carabinieri è un viavai di persone fasciate che si sporgono querela a vicenda e sarà una vera impresa stabilire chi ha ferito chi. Rilievi, testimonianze, perizie si succedono freneticamente per un paio di giorni, poi arriva una brutta notizia: Cesare Gentile è morto perché, contrariamente a quanto diagnosticato in un primo tempo, la coltellata gli ha perforato l’intestino tenue, il cui contenuto si è sversato nel cavo peritoneale producendo una peritonite putrida mortale. Adesso le cose si complicano maledettamente.
La domanda che sorge spontanea è: possibile che tra queste due famiglie altolocate e zeppe di valenti professionisti, strettamente imparentate tra di loro, sia potuto accadere ciò che è accaduto per una banale scheda elettorale?
Certamente no. Tra l’una famiglia e l’altra vi passano dei livori da più di dodici o tredici anni e ciò per gelosia di professione. Cerchiamo di approfondire ascoltando le due campane.
Racconta Ferdinando Gentile: le relazioni amichevoli tra la mia famiglia e quella di Fedele Gentile cessarono intimamente dieci o dodici anni indietro, allorquando, cioè, tal Michele Aiello da San Fili, per causa d’onore tentò di uccidere Ettore Gentile (pare che Ettore avesse abusato della moglie di Aiello, nda), figlio di esso Fedele, e l’infelice mio figlio Cesare, uno al mio servitore Vincenzo De Santo, trattenendo il braccio micidiale perché pretendevasi dalla famiglia del ripetuto Fedele che i miei avessero fatto dell’Aiello insana strage. Nominato successivamente esso Ettore Gentile notaro, prima alla residenza di Fagnano, poscia a quella di Pietrafitta e da ultimo a quella di Rende, egli in verità se ne stette sempre in San Fili ed ivi, con tutti i mezzi e coll’aiuto dei parenti attrasse a sé quasi tutti gli affari che prima erano disimpegnati da mio figlio Santo, quale notaro del luogo; e se qualche volta costui ebbe a lagnarsene colle Autorità tutorie, la famiglia di Fedele Gentile ne divenne furibonda, siccome si mostrò orgogliosa quando potette. Per pretesa scorrettezza come gentiluomo e come notaro fu anche, detto mio figlio Santo, provocato e minacciato da Fedele Gentile e dall’altro figlio Pasquale il quale, per giunta, gli fece pervenire anche una sfida che non venne, dal ripetuto mio figlio, accettata, anzi questi per tali fatti se ne querelò e ne seguì condanna. Fui in seguito anche fatto segno a delle invettive ingiuriose, diffamanti e calunniose per parte di Fedele Gentile, per cui contro il medesimo sporsi querela che poscia ritirai per intercessione di comuni amici e parenti e dello stesso Pretore di Rende. Successivamente non mancarono le provocazioni, sfruttate sempre dalla fermezza mia e dei miei figli per evitare tristissimi successi e specie anche quella atroce e minacciosa avvenuta nel Casino di Riunione due mesi indietro circa, per parte del notaro Ettore, presente il fratello Pasquale, all’indirizzo di detto mio figlio Santo mentre questi pacificamente da solo giuocava ad un tavolo facendo un “solitario” (“Ho saputo che una donna che è stata al servizio del notaro Santo Gentile è stata mandata all’ospedale di Cosenza per malattia ed invece è stata trovata gravida”).
L’altro patriarca, Fedele Gentile, invece liquida la questione in quattro parole: Santo Gentile, essendo notaio come mio figlio Ettore, per gelosia di professione mal vede costui e continuamente gli ha fatto dei ricorsi. Ritengo quindi che il fatto sia avvenuto per questi precedenti.
Intanto dalle indagini viene fuori che Pasquale Gentile, figlio di Fedele e fratello del notaio Ettore, è stato visto nel salone dove si svolgeva lo scrutinio con in mano un coltello a serramanico nell’atto di sbucciare una mela e questo significa che era armato durante la rissa. In più la voce che corre in paese è che sia stato proprio Pasquale ad accoltellare suo cugino Cesare e tanto basta per far emettere nei suoi confronti un mandato di cattura con l’accusa di omicidio volontario. Esce fuori anche che alla rissa avrebbe partecipato una donna, Luisa Sgangone, armata di coltello e che parteggiava per Santo Gentile e sia lei che tutti gli altri partecipanti alla rissa sono denunciati a piede libero.
Il problema è che Pasquale Gentile è sparito dalla circolazione.
La mattina del 28 settembre 1898 il ricercato si presenta al Sindaco di San Fili e si costituisce spontaneamente:
Durante lo scrutinio io attendevo a coadiuvare Raffaele Fanuele, scrutatore, a notare le risultanze dello scrutinio quando, dopo circa duecento schede, dalle quali non era risultato alcun voto a favore di Santo Gentile, segretario del seggio, uscì una scheda che portava il suo nome. Santo Gentile disse che si tenesse conto del suo voto, fatto è che alcuni risero e mio fratello Ettore disse qualche cosa che suonò male all’orecchio di Santo Gentile e ne nacque un battibecco, che fu subito sedato. Ettore tornò a sedersi vicino al presidente, mentre Santo s’avvicinò al balcone e si mise a parlare con i fratelli Francesco e Achille Blasi, quindi tornò vicino al tavolo e prese ad offendere mio fratello Ettore. Sentendo le offese profferite dal Santo, mio padre intervenne redarguendo costui e consigliandolo a smettere quel contegno ed altrettanto fece mio fratello Angelo. Ettore si avvicinò ai predetti mio padre e mio fratello Angelo ed allora Francesco Blasi, che stava vicino a Santo, alzò il bastone e colpì mio fratello Ettore alla testa. Questo fu il principio della mischia che seguì. Vedendo mio fratello insanguinato per il colpo di bastone ricevuto da Francesco Blasi e vedendo costui che, armato di bastone, mi si faceva contro e mi percosse dirigendo i colpi alla testa, naturalmente intervenni e riuscii a disarmare il Blasi, ma il bastone mi fu preso non so da chi. Vedendo poi a terra mio padre insanguinato per grave ferita da bastone, non so da chi infertagli, perdetti il lume della ragione, non so se ero armato di coltello… non so quello che ho fatto, quindi sono uscito da quella sala dirigendomi a casa con l’intenzione di armarmi d’una rivoltella, ma mentre uscivo mi trovai di fronte Gentile Santo il quale mi esplose contro due colpi di rivoltella che fortunatamente non esplosero. Riuscito ad entrare in casa mia dopo aver per la via gridato al soccorso, indicando che era stato ucciso mio padre, non mi fu più possibile mettere in effetto il proposito di uscire nuovamente armato perché i miei famigliari mi trattennero e me lo impedirono. Non potendo in modo assoluto escludere che io abbia, in quel momento, menato qualche coltellata, non posso tuttavia riconoscermi autore dell’omicidio e dei ferimenti che mi si addebitano, perché non ho la coscienza d’averli commessi. Anzi, il fatto che io alla vista della triste piega che avevan preso le cose, pensai ad andare ad armarmi di rivoltella, mi fa credere che nel momento della rissa non ero armato. Inoltre, lo stesso mio contegno tranquillo nei giorni successivi ed il fatto che mi sono spontaneamente costituito mentre, se mi fossi inteso colpevole ben avrei potuto salvarmi all’estero, maggiormente depongono in mio favore nel senso che io sento di non dovermi nulla rimproverare e di poter pienamente giustificare la mia condotta.
Non fa una piega. Ma il Tribunale non è dello stesso parere e rigetta per ben tre volte le istanze di libertà provvisoria presentate da Pasquale Gentile.
Si arriva, così, al 9 marzo 1899 quando il Giudice Istruttore formula la sua richiesta: Fedele Gentile e i suoi figli Pasquale, Ettore e Angelo; Ferdinando Gentile e i suoi figli Santo e Benedetto, il loro servo Vincenzo Di Santo e i fratelli Francesco e Achille Blasi devono essere rinviati a giudizio per i reati che sono stati loro ascritti e che vanno dall’omicidio volontario per Pasquale Gentile alla rissa aggravata, minaccia, porto di arma vietata, lesioni, percosse, ingiurie e impedimento del libero esercizio dei diritti elettorali per gli altri. Per Luisa Sgangone dichiara il non luogo a procedimento penale per non aver preso parte al fatto.
Il primo maggio successivo la Sezione d’Accusa ritiene sufficienti le prove a carico degli imputati e li rinvia a giudizio.
Le due famiglie Gentile e compagni si troveranno fianco a fianco sul banco degli imputati a partire dal 28 settembre 1899 per essere giudicati dalla Corte d’Assise di Cosenza. Il 6 ottobre successivo la giuria emette la sentenza: Pasquale Gentile viene assolto dall’imputazione di omicidio volontario perché la giuria riconosce che ha agito in stato di legittima difesa e lo condanna, con suo fratello Ettore, a 1 anno di detenzione e 2.000 lire di multa per partecipazione in rissa, riconoscendo che la stessa è scoppiata a causa del comportamento dello stesso Ettore; Angelo e Fedele Gentile a 10 mesi di reclusione e 2.000 lire di multa per partecipazione in rissa; Santo Gentile a 3 giorni di arresti e 72 lire di pena pecuniaria per porto d’arma abusivo. Tutti gli altri vengono assolti.
Il 3 febbraio 1900, la Suprema Corte di Cassazione respingerà i ricorsi degli imputati.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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