L’INCERTA MORTE DI GIUSEPPE GULLO

– Marescià… è una cosa grave… io l’ho sempre sospettato ma adesso la cosa è certa… – le parole che la sessantaseienne Rosa Gullo di Santa Domenica Talao, la mattina del 9 luglio 1916, rivolge al comandante della stazione dei Carabinieri di Scalea sono concitate.
– Che cosa è certa?  Spiegatevi.
– Marescià… l’hanno ammazzato loro…
– Ma chi? Dove? Quando? – il Maresciallo comincia a perdere la pazienza.
– Come chi? mio fratello Giuseppe! quello che hanno trovato morto nel fiume di Orsomarso circa sette anni fa…
– Sette anni fa io non ero qui e il fiume è di competenza dei miei colleghi di lì. Calmatevi, sedetevi e raccontatemi le cose per bene.
La donna tira un lungo respiro, si passa le mani sul viso e poi comincia a raccontare:
– Allora… come vi ho detto, mio fratello fu trovato morto nel fiume di Orsomarso circa sette anni fa e si pensò a una morte accidentale, così nessuno lo pagò. L’inverno scorso io mi trovavo in casa di certo Gennaro Bloise che era in punto di morte e lui, spontaneamente, raccontò che non si trattava affatto di una morte accidentale perché Giuseppe era stato ammazzato da sua figlia Maria Giuseppa, che era la moglie del povero mio fratello. Avete capito adesso? Lo deve pagare caro a mio fratello!
– Eh! Queste sono parole, ci vogliono i fatti, le prove… e se vi siete inventata tutto? C’era presente qualcuno che può testimoniare che il moribondo ha davvero detto queste cose?
– Si Marescià… c’erano Rocco Maradei, Maria Luigia Carmella e Teresina Grisolia. Chiedete a loro se ho detto la verità!
Il Maresciallo convoca i tre testimoni e tutti e tre confermano parola per parola ciò che ha denunciato Rosa poi, per scrupolo, esamina attentamente i registri della caserma di Scalea, ma non c’è nessun atto relativo alla morte di Giuseppe Gullo e non ci può essere perché, come aveva già detto alla donna, la competenza è di Orsomarso. No, nemmeno lì ci sono atti perché a trovare il cadavere furono i Carabinieri di Verbicaro e così spunta un verbale datato 17 agosto 1909 dove è riportato che nelle prime ore del giorno 11 andante venimmo a conoscenza del fatto che nel fiume Lao, presso l’isola di Mercurio, contrada del territorio di Orsomarso, trovasi un cadavere di un uomo con barba piuttosto lunga, con scarpe grossolane con chiodi, dell’apparente età superiore ad anni 50. Assodammo che il cadavere si apparteneva in vita al nominato Campolongo Biagio, celibe, e che lo stesso si procurò involontariamente la morte mentre imprudentemente, a piedi, voleva transitare il predetto fiume Lao per portarsi probabilmente nel comune di Santa Domenica Talao. Il Campolongo in vita era dedito al vino. Tale infortunio devesi solo a una disgrazia e non vi è dolo né colpa da parte di alcuno.
Biagio Campolongo? Celibe? Ci deve essere per forza un errore, non può trattarsi della stessa persona. Si tratta infatti di un equivoco e tutto viene chiarito dal Municipio di Orsomarso che esibisce una sentenza del Tribunale Civile e Penale di Cosenza del 1913 nella quale è scritto che nell’atto di morte relativo a Campolongo Biagio di anni 75, dove è scritto “è morto Campolongo Biagio…” deve intendersi “è morto Gullo Giuseppe di anni 68 contadino nato in Fuscaldo e residente in Santa Domenica Talao”. Adesso è tutto chiaro, si può indagare senza altri indugi e i Carabinieri di Orsomarso scoprono alcune cose molto interessanti: il Gullo Giuseppe della contrada S. Andrea di S. Domenica Talao nel 1909 fu reduce dall’America. Trovata la propria moglie Bloise Maria Giuseppa nello stato avanzato di gravidanza, le mosse lagnanze della sua infedele condotta. La Bloise, dubitando da un momento all’altro qualche cattiva azione dal Gullo, comunicava tutto ciò oltre dei figli anche il padre Gennaro perché l’avessero guardingata ed aiutata da una eventuale insidia del marito. Infatti una sera, mentre che fra i coniugi il ragionamento al riguardo veniva sempre più avalorato e da non potersi più la Bloise scagionarsi ad accampare inammissibili scuse, chiamò i figli dicendogli: “Adesso è tempo che mi potete salvare” e gli furono tutti addosso, compresa ella ed il suo padre Gennaro, riuscendogli a chiudere la bocca e renderlo cadavere e, caricatolo sopra un asino, venne gettato nelle acque del fiume Lao, la cui distanza dalla casetta rurale è circa tre chilometri, facendo così credere che si fosse annegato da sé stesso. Rinvenuto il cadavere ch’era già stato trasportato dalla corrente, si ritenne che la morte fosse avvenuta accidentale e cioè in seguito ad annegamento e riconoscendola tale, la visita necroscopica venne fatta dal dottor Biagio Guaragna da Orsomarso. Essendo il cadavere sconosciuto, venne data la notizia ai paesi limitrofi e case coloniche vicine. Intanto il cadavere veniva piantonato dalle guardie di Orsomarso e, quantunque il cadavere fosse stato colà esposto per due o tre giorni, solo i fratelli e le sorelle lo andarono a vedere e lo riconobbero, mentre il Bloise Gennaro, figlia e nipoti non si presentarono affatto. Trasportato il cadavere in questo cimitero e sepolto e questi ultimi venuti a conoscenza che la morte era attribuita ad una disgrazia e non delittuosa, si presentarono ove gli fecero fare il riconoscimento per mezzo dei panni del cadavere e ciò possono testimoniare le suddette guardie. Il Bloise Gennaro non ha prima rivelato il delitto per tema di non essere ammazzato dalla figlia e dai nipoti.
La Bloise Maria Giuseppa entrando in ragionamento al riguardo, va dicendo: “Tutto al più lo pagherò in moneta perché non vi sono prove”. La medesima non risulta di buona moralità essendo più che mai una donna allegra ed era molto più giovane del marito. Dicesi che avesse avuto anche una relazione con uno di Papasidero e il fatto è notorio.
Data la latitanza dei congiunti del cadavere e la tracotanza della moglie, si ritiene a pien diritto e senza dubbio la morte delittuosa del Gullo, nonché la confessione del Bloise Gennaro.
Voci, almeno per il momento. Voci che si contraddicono perché c’è ancora chi mette in dubbio che il cadavere trovato sulla secca di una biforcazione del fiume Lao appartenga a Giuseppe Gullo.
All’evidenza, il cadavere rinvenuto in territorio di Orsomarso era non di Gullo, sibbene di qualche altra persona – assicura il parroco Giuseppe Maria Cardillo.
Nemmeno le guardie che piantonarono il cadavere possono esserne sicure. Ricorda Pietro Paolo Sisinno:
Trovammo il cadavere di un uomo sulla sessantina in una secca circondata dall’acqua del fiume Lao che poggiava su di un fianco con indosso, mi sembra, una maglia lacerata ed un calzone. Dato il punto in cui era il cadavere, io e Bloise ci limitammo a guardarlo da una delle sponde del fiume ad una distanza di circa 30 metri. Io non vidi da vicino il cadavere neppure al cimitero giacché i cadaveri mi fanno ripugnanza e quindi non sono in grado d’indicare i connotati e di dire se aveva o no delle ferite. Dopo un paio di giorni, se non erro, vennero in Orsomarso da Santa Domenica Talao due donne ed un uomo i quali vollero vedere il cadavere e, andati al cimitero, fecero disseppellire il cadavere, lo guardarono e lo riconobbero per quello del fratello Peppino Gullo. Prima dell’arrivo dei tre da Santa Domenica, si riteneva da tutti che il cadavere si apparteneva ad un mezzo mendicante, tal Campilongo, mentre dopo il riconoscimento si disse pubblicamente ch’era di Gullo Giuseppe.
Anche Giovanni Bloise fa lo stesso racconto e anche lui asserisce di non essere stato in grado di riconoscere il cadavere e di dire se avesse o meno delle ferite. Aggiunge un’altra guardia:
Io non guardai da vicino il cadavere e quindi non ne vidi le sembianze, ma ricordo che all’indomani vennero da Santa Domenica due donne ed un uomo per procedere al riconoscimento ed io, comandato dal Giudice, mi portai al cimitero e quivi, fatta togliere la lastra di pietra dell’ampiezza di circa un metro quadrato che covriva la fossa carnaia nella quale era stato buttato il cadavere, invitai i tre a guardare bene il cadavere istesso, che era l’ultimo messo in posizione di decubito dorsale col viso verso il coperchio e i tre, sportisi sull’orlo della fossa, guardarono attentamente il cadavere e lo riconobbero per quello del fratello Gullo Peppino al che io, che avevo conosciuto in America il Gullo, guardai pure con molta attenzione il viso ed il resto del corpo e mi convinsi anch’io che si trattasse di Peppino, specie per la calvizie nella parte superiore del capo
Il medico e il Pretore dissero che l’individuo era morto annegato perché non riscontrarono sul cadavere alcuna ferita – assicura Giovanni Leporace, uno degli incaricati della rimozione del corpo.
Si tirano indietro anche gli informatori dei Carabinieri.
Per propria scienza io nulla conosco; dalla voce pubblica in paese ho appreso parecchio tempo dietro, quando si parlava ancora del rinvenimento del cadavere di Giuseppe Gullo, che sarebbero stati ad ammazzarlo la moglie e, se non erro, col concorso dei figli.
Intanto arriva in Pretura il fascicolo relativo al ritrovamento del corpo nel fiume Lao e il riconoscimento fatto dai fratelli Gullo appare un po’ vago, al di là della risolutezza mostrata:
Aperta la lapide della fossa carnaia, rendendosi pericolosa e difficile la penetrazione nella fossa stessa, si sono invitati i predetti Gullo al riconoscimento del cadavere ed a primo acchito, senza esitazione, Raffaele Gullo ha dichiarato: “Riconosco mio fratello Giuseppe perché la gamma destra è varicosa e più grossa della sinistra, circostanza che io ho notato sempre quando mio fratello era in vita, nonché dalla barba rara, essendo la fisionomia deformata, dal gilè, dalla camicia a quadretti, dalle stivalette grosse e dal labbro superiore più grosso”.
La perizia medica è controversa perché, se da un lato non spiega il motivo di alcuni strani segni sul cadavere, dall’altro è categorica nell’individuare la causa della morte:
Il colorito del volto e della regione anteriore del collo è livido e presenta sulla faccia e sul collo, in diversi punti, dell’ecchimosi e suggellazioni. Sulla regione anteriore toracica, precisamente in corrispondenza dello sterno e della regione mammaria sinistra, si osservano delle suggellazioni. Giudico che la morte dell’individuo in parola data da ore quarantotto circa ed è stata causata da annegamento a corpo vivo. Epperò non ritengo necessaria la sezione cadaverica.
Al contrario, le dichiarazioni di Raffaele, Maria Francesca e Rosa Gullo, fratelli del povero Giuseppe, sono categoriche e gettano altre inquietanti ombre sulla cognata. Racconta Raffaele:
La sera seguente alla sparizione di mio fratello, mia cognata, con grande indifferenza e freddezza, mi disse: “Dicono che sia morto annegato!”. Notai con dolore la calma e l’indifferenza della moglie che se ne stava tranquillamente senza nessuna preoccupazione e senza versare una lagrima… mio fratello quistionava spessissimo con la moglie e dal cinismo ributtante nel darmi la notizia della morte del marito arguisco che la stessa non sia estranea all’uccisione del disgraziato
La sorella Maria Francesca riferisce due episodi che dimostrerebbero la volontà della cognata di sbarazzarsi di Giuseppe:
Un giorno che la mamma mia era ammalata, venne a visitarla il disgraziato nostro fratello e, in tale occasione, parlando della moglie ci raccontò che una notte, dopo che fra marito e moglie avevano durante il giorno quistionato e quando entrambi erano a letto, a una certa ora la moglie, credendo che il marito dormisse, cautamente si alzò e prese da un tavolo un coltello, ma fattole egli comprendere che invece vegliava, senz’altro ritornò a letto. Raccontò ancora che altra volta fra loro si verificarono quistioni perché egli, rientrato in casa, trovò ivi un tal Luigi il Postiere che si sorbiva una tazza di caffè. Mio fratello di ciò si dispiacque e percosse anzi la moglie della quale era geloso.
Il Pubblico Ministero non ha dubbi e invita il Pretore di Verbicaro, competente per territorio, ad interrogare Maria Giuseppa e i suoi figli Gennaro e Maria, previa emissione di mandato di cattura, in ordine alla imputazione di omicidio qualificato.
I Carabinieri di Scalea arrestano madre e figlia, mentre sembra, ma ancora non c’è la certezza, che Gennaro sia morto in guerra.
Tra me e il defunto mio marito non esistevano rancori ed entrambi ci volevamo bene. qualche volta, è vero, facevamo delle parole, ma esse non avevano importanza, riferendosi ad affari di famiglia e terminavano subito in pace. Per lo più qualche litigio avveniva quando lui, che era dedito al vino, si ritornava brillo, tanto che i figli evitavano di rispondergli. Tre sere prima che avvenisse la disgrazia quistionammo perché egli voleva acquistare un paio di buoi, cosa a cui io ero contraria. Finii poi con accondiscendere al suo desiderio e gli versai 300 lire. In quell’occasione egli mi tirò un calcio. Respingo nel modo più assoluto la infame accusa che mi si fa di avere io ucciso mio marito. Le pretese rivelazioni che avrebbe fatto mio padre all’atto di morire, se pure siano vere, non possono essere prese in considerazione giacché mio padre aveva allora 80 anni e per le sue malferme condizioni di salute aveva indebolita la mente… – poi attacca la cognata – È assolutamente falso quanto afferma mia cognata poiché non io mi alzai di notte e, preso da un tavolo un coltello, cercai di ferire con lo stesso mio marito credendo che dormisse. Nessuna ragione avevo io di fare ciò e non so spiegarmi come, a distanza di tanto tempo, si creino delle circostanze così fantasiose al solo scopo di nuocermi, mentre nulla ho fatto di male. È anche falso che io abbia mantenuto un contegno cinico allorché appresi la morte del disgraziato di mio marito. Vero è che il 9 agosto 1909 mio marito, dopo aver preso 300 lire che gli diedi, si mise a cavallo di un asino e si diresse ad un nostro fondo denominato Sant’Andrea. L’indomani verso le 3 ½  mio figlio Gennaro, dovendosi recare al mulino col zio Raffaele, si recò in detto fondo per ritirare l’asino. Vi trovò il padre che gli consegnò l’animale restando in campagna. Poiché egli aveva detto che sarebbe rimasto fuori casa parecchi giorni dovendo far lavorare i fondi, non mi preoccupai allorché non tornò la sera, né il giorno successivo
Viene interrogato anche il dottor Guaragna che deve chiarire, dopo otto anni, la natura dei segni sul cadavere e perché non ritenne necessaria l’autopsia. E se ne sentono delle grosse che non meritano commento:
La posizione del cadavere che aveva il cranio infossato nell’arena, il colorito livido del volto, la presenza di finissima arena nella bocca e negli interstizi delle unghie delle mani, l’arrossamento delle unghie delle mani e l’assenza di lesioni di una certa importanza – il cadavere non presentava che delle lievi ecchimosi e delle suggellazioni – mi fecero giudicare che la causa della morte era dovuta ad annegamento e tale giudizio devo confermare anche oggi che si sospetta essere stato il Gullo ucciso, giacché non ho elementi contrari a quelli che m’indussero ad esprimere il mio giudizio. Assicuro che portai il mio esame minuziosissimo in tutte le parti del corpo, specie sulla testa e nei fori naturali e non osservai alcuna lesione, ad eccezione di quelle lievissime descritte nel verbale. Certo, se Gullo fosse stato ucciso, anche oggi, dopo ben 8 anni, l’osservazione del cadavere potrebbe avere delle utilità ai fini di giustizia, esaminazione che potrebbe far constatare delle lesioni ossee e magari la presenza di qualche proiettile… però il cadavere fu seppellito in una fossa carnaria e sarebbe quindi impossibile individuare oggi i resti di quel disgraziato. Ove il Gullo fosse stato ucciso, l’ipotesi più attendibile sarebbe la morte violenta per soffocazione, ottenuta con l’ostruire in un modo qualsiasi a quell’infelice le vie aeree, soffocazione che avrebbe potuto dare le stesse note necroscopiche consacrate in verbale, tanto più se il cadavere fosse stato buttato subito in acqua. Nell’ipotesi della soffocazione, le ecchimosi e le suggellazioni che io giudicai essere avvenute a corpo vivo, potrebbero essere cagionate al Gullo nella lotta disperata ch’egli sostenne contro l’aggressore che cercava di buttarlo a terra per soffocarlo od anche quando egli a terra o sul letto si dimenava sotto chi gli ostruiva le vie aeree o gli comprimeva il petto
– Ricordate la posizione esatta delle leggerissime lesioni?
Non sono assolutamente in grado di ricordare in quali parti della faccia e del collo si trovavano le ecchimosi e le suggellazioni, mentre rammento che non sembravano prodotte da unghiate
Nonostante non ci sia alcun nuovo elemento concreto di prova contro Maria Giuseppa Bloise,  e i suoi figli Maria e Gennaro Gullo, ufficialmente disperso in guerra, ma solo flebili indizi testimoniali, la Procura del re di Cosenza ritiene che non sembra dubbia la loro responsabilità in omicidio volontario come in rubrica, salvo la dichiarazione di non luogo a procedere per estinzione dell’azione penale nei confronti dell’ultimo, qualora in seguito rimanga effettivamente accertata la sua morte.
La Procura Generale, da parte sua, non è affatto d’accordo con questa impostazione e motiva: In tale incertezza d’indizi, ed anche perché neanche genericamente è accertato che la morte del Gullo Giuseppe sia dovuta a delitto; e perché oggi non può procedersi ad altro accertamento generico essendo stato il cadavere gettato in un carnaio dove è impossibile rintracciarlo, chiede che la Sezione d’Accusa dichiari non doversi procedere contro gli imputati per insufficienza di prove e ne ordini la immediata scarcerazione, se non detenuti per altra causa. È il 10 dicembre 1918.
Alla fine di febbraio del 1919 la Sezione d’Accusa conferma la richiesta del Procuratore Generale e mette la parola fine ad un’indagine partita male e condotta malissimo fin dal 1909.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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