LO VOGLIO PAGATO DAL FASCISMO DI CERVICATI

È la sera del 13 aprile 1924, la domenica delle Palme, e non manca molto a mezzanotte. I Carabinieri Antonio Salatino e Vincenzo Mannarino sono appena usciti dalla caserma di San Marco Argentano per un servizio di pattuglia, quando a un centinaio di metri scorgono un gruppetto di tre persone ferme a confabulare tra di loro in attitudine sospetta. Si avvicinano e le identificano per Paolo Gaudio, 23 anni, Raffaele Salerno, 18 anni, e Amedeo Serra, 18 anni, tutti di Cervicati.
– Che ci fate qui a quest’ora?
– Stiamo aspettando altri amici di Cervicati e poi dobbiamo venire in caserma per riferire che a Cervicati sono successe “palate”.
In questo frattempo, effettivamente, arrivano gli amici, Ruggero Puzzo, 18 anni, Ernesto Iaccino, 20 anni, Vincenzo Nico, 20 anni, i quali sembrano non essere intimoriti dalla presenza dei Carabinieri e ordinano ai primi tre di andarsene.
– I vostri amici hanno appena detto di voler venire in caserma per denunciare qualcosa accaduta stasera a Cervicati e voi invece non volete? Venite tutti in caserma e vediamo che avete da dire – intima loro il Carabiniere Salatino.
– Veramente noi siamo venuti per vedere se qualche avversario fosse venuto in caserma per riferire delle questioni accadute in paese… – gli rispondono i nuovi arrivati, che aggiungono – a San Marco ci sono pure altri due dei nostri, Florindo Aceto e Giuseppe Formoso…
– Forza, tutti in caserma – ribadisce Salatino.
– Facciamo così – propongono i soliti tre – noi andiamo a rintracciare gli altri due e poi veniamo tutti insieme in caserma.
I due Carabinieri, ingenuamente, li lasciano tutti lì e vanno ad avvisare il Maresciallo Filippo Giampaolo il quale va su tutte le furie e ordina loro di andare di corsa a trovarli se vogliono evitare un rapporto. Salatino e Mannarino si mettono alla ricerca dei sei e li trovano poco dopo sotto la casa dell’ingegnere Manfredi, segretario politico della sezione fascista di San Marco. Ne nasce un piccolo battibecco e dal balcone del primo piano si affaccia il fratello del segretario fascista, l’avvocato Rinaldo Manfredi, che invita i due Carabinieri a salire perché, dice, gli deve parlare. Quando entrano nello studio trovano seduti due uomini che vengono presentati per Aceto e Formoso, gli ultimi due della compagnia di Cervicati.
– Ma insomma – sbotta spazientito Salatino – si può sapere cosa diavolo è successo a Cervicati?
Ci sono state bastonate per Luigi Bellusci – gli risponde Formoso.
– A che partito appartiene Bellusci? – gli chiede Salatino, sospettando che la presenza dei due in una casa di notabili del fascio possa nascondere motivi politici.
Pare fosse fascista
– E voi?
– Fascisti!
– Bene, andiamo in caserma.
– Lasciateli qui altri dieci minuti, vi assicuro che verranno tra poco – propone Manfredi e i due Carabinieri acconsentono lasciandoli lì e accompagnando in caserma gli altri sei.
Il Maresciallo Gianpaolo è scettico sulle risposte che i sei danno alle sue domande perché, se fosse vero che si è trattato di banali palate con qualche pugno e qualche colpo di bastone, che bisogno c’era di andare a chilometri di distanza a scomodare il segretario politico del fascio? Gianpaolo ha il sospetto che un fatto grave doveva essere accaduto nel quale tutti sono implicati.
– Lo abbiamo già detto… volevamo vedere se qualche avversario veniva in caserma…
– E voi siete tutti fascisti?
– Si.
Il Maresciallo non si fida e ordina che tutti e sei siano rinchiusi in camera di sicurezza mentre lui e il Brigadiere Carmelino Piras si accingono a partire per Cervicati, ma vengono bloccati dall’arrivo in caserma di un impiegato del comune di Cervicati, Elia Marchianò, che porta una brutta notizia: in Piazza Guzzolini c’è scappato un morto, Luigi Bellusci, 31 anni, mugnaio, ucciso a colpi di coltello, uno dei quali, all’inguine, gli ha reciso l’arteria e la vena femorale, portandolo alla morte in pochi minuti.
Il cadavere di Luigi Bellusci è steso supino, immerso in una pozza di sangue, vicino l’abitazione del signor Enrico Marchianò. Accanto al corpo, piantonato da una guardia municipale, c’è un gruppo di donne che piange e si dispera battendosi il viso e il petto. In questo frattempo sopraggiungono anche il Carabiniere Salatino e il Carabiniere Mannarino che avvisano il Maresciallo della mancata presentazione in caserma di Florindo Aceto e Giuseppe Formoso, contrariamente a quanto assicurato da Manfredi, così Gianpaolo ordina al brigadiere Piras e Mannarino di fare una visitina alle case dei due. È ormai passata l’una del 14 aprile, lunedì.
Giuseppe Formoso è a letto.
Alla domanda se egli era a conoscenza di quanto era avvenuto in paese, rispose che lui nulla sapeva perché era andato a letto verso le ore 20, circostanza, questa, confermata dalla moglie. Domandatogli pure se la sera precedente era andato a San Marco, rispose di no e ad altra domanda se la sera precedente si era visto con Aceto Florindo, rispose che l’ultima volta che si erano visti fu il mattino del 13. Sorprendentemente il Carabiniere Mannarino che lo ha visto in casa dell’avvocato Manfredi non ha nulla da eccepire. Però lo fanno alzare dal letto e lo accompagnano al Municipio dove lo aspetta il Maresciallo per fargli qualche altra domanda, mentre Piras e Mannarino vanno a casa di Aceto. Anche lui è a letto che dorme come un angioletto. Ad analoga domanda rispose di aver saputo che Bellusci era stato bastonato e che egli, assieme a Formoso e ad altri 6 fascisti si era recato a San Marco per avvertire i dirigenti del fascio e che poi, assieme a Formoso, ritornò a Cervicati verso la mezzanotte, andando direttamente a letto. Meno male che a tirare in ballo Formoso ci pensa il suo camerata!
– Allora, Formoso, me lo vuoi dire che è successo ieri sera? – lo incalza il Maresciallo. Dopo tante titubanze e reticenze dichiarò:
– Ieri sera ero nell’esercizio di Raffaele Lattari assieme ad altri individui con i quali uscii alla chiusura dell’esercizio stesso. Appena fuori trovai in piazza Luigi Bellusci e altri, tra i quali molti fascisti e qualche socialista. Bellusci, per quanto fascista anche lui, era sospettato dagli altri fascisti presenti come una spia e come tale lo trattarono. Alle proteste del Bellusci gli animi dei fascisti, all’infuori di me, s’inasprirono di più ed emesso il grido di A NOI, Gaudio Paolo, Salerno Raffaele e Aceto Florindo alzarono i bastoni che avevano in mano, dando ripetuti colpi al Bellusci il quale scappò cercando un rifuggio. Dopo qualche minuto Aceto Florindo riunì me, Gaudio Paolo, Salerno Raffaele, Puzzo Ruggero, Iaccino Ernesto, Nico Vincenzo e Serra Amedeo, invitandoci a recarci con lui a San Marco Argentano per riferire ai Carabinieri che i socialisti avevano fatto palate. Giunti a San Marco io e Aceto ci recammo prima dal decurione della Milizia, Eudesio Talarico, ma non avendolo trovato ci recammo dal segretario politico di San Marco che però non trovammo, parlando invece con il di lui fratello. Al ritorno a Cervicati, io e Aceto incontrammo il signor Elia Marchianò che ci avvisò della morte di Bellusci ed io esclamai: “Poveraccio!”, mentre l’Aceto non si commosse per nulla
– È tutto?
– Aggiungo che quando fummo fuori la cantina di Lattari, il milite fascista Puzzo Giovanni, imbrandendo un’arma in mano pronunziò le parole: “Largo, largo” dando poscia con l’arma stessa un colpo al basso ventre a Bellusci
 Florindo Aceto non la pensa come il suo camerata, non ci sta ad accollarsi il morto, seppure in correità con il nuovo entrato Giovanni Puzzo e adesso si scatena una guerra di tutti contro tutti. Homo hominis lupo.
Verso le ore ventuno del tredici sono entrato nell’esercizio di Lattari Raffaele dove si erano radunate diverse persone. Essendo io un milite fascista, ho dato l’ordine al Lattari di chiudere l’esercizio perché era già ora di chiudere. Lui però non ha voluto chiudere ed io me ne sono andato a casa di Serra Enrico. Con lo stesso Serra mi sono poi recato in piazza un’altra volta ed ivi ho visto delle persone che discutevano fra di loro. Col mio compagno Serra salimmo poi sulla piazzetta della chiesa, fermandoci a discorrere per circa dieci minuti, quando dal gruppo delle persone abbiamo sentito il grido: A NOI. Siamo scesi quindi ed abbiamo visto il Bellusci che stava a terra, mentre le altre persone erano ancora ferme sulla piazza. Dopo cinque minuti io ed il Serra ci siamo avvicinati al gruppo di persone dalle quali abbiamo appreso che il Bellusci era stato bastonato, constatando che per terra vi era pure del sangue. Dopo tale constatazione, io e gli altri ci portammo a San Marco per riferire l’accaduto ai Carabinieri. Io e l’altro milite Formoso Giuseppe siamo andati per avvertire il decurione della milizia ma non ci ha risposto ed allora ci recammo in casa del segretario politico
È palese che tutti e due stanno mentendo, come anche i loro camerati nascondono la verità. Dai primi accertamenti i Carabinieri si convincono che ad essere direttamente implicati nel fatto sono Florindo Aceto, Giuseppe Formoso, Nicola Puzzo, Paolo Gaudio, Raffaele Salerno e Vincenzo Nico, così li arrestano, ma nello stesso tempo rimettono in libertà gli altri fermati. La vedova di Luigi Bellusci, intanto, vuole giustizia e per ottenerla chiede di scomodare il barone Francesco Guzzolini che dal suo balcone deve per forza aver visto e sentito tutto:
Venni avvertito dalla mia cameriera che fuori si faceva quistione. Mi affacciai al balcone e vidi vicino al botteghino di Lattari una folla di persone che parlavano ad alta voce. Una di queste gridò: “Sei un vigliacco, siete vigliacchi”. Non riconobbi chi pronunziò tali parole, ma ritengo che fosse Luigi Bellusci. Dopo, quella folla si dileguò e vidi contemporaneamente tre individui avviarsi verso il punto in cui fu rinvenuto il cadavere. Dopo un poco vidi venire da tale punto Cipolla Santo, ubbriaco. Escludo che il fatto delittuoso abbia carattere politico perché Bellusci era fascista, non dimissionario, come fascisti sono i sospettati autori dell’omicidio. Il fatto lamentato non costituisce che un dramma della malavita locale.
Ma si, meglio lasciarla fuori la politica, chi ce lo fa fare a litigare tra fascisti? Eppure il barone Guzzolini cerca di tirare in ballo Santo Cipolla, noto socialista del paese, quando dice di vederlo tornare dal posto dove fu rinvenuto il cadavere. Ma per tirare in ballo Cipolla, il barone deve raccontare di aver visto tre persone dirigersi verso quel luogo. È questo il punto di partenza per cercare di fare chiarezza in un muro di omertà, cosa della quale si lamenta anche l’avvocato Samuele Tocci, difensore di parte civile che, indicando una lista di testimoni da interrogare, scrive: (…) che si prega di sentire come testimoni per potere – attraverso tanta omertà e tanto sforzo di salvataggio a favore degli imputati – apprendere la verità del triste e selvaggio avvenimento che ha costato la vita ad un disgraziatissimo e buon lavoratore, che ha lasciato nel lutto e nella miseria tre figliuoli piccolissimi e la giovane moglie.
La prima crepa la apre Ernesto Iaccino, uno dei giovani fermati a San Marco Argentano:
– Davanti al bottegino di Lattari era adunata molta gente. Vidi prima Aceto Florindo dare due colpi di nerbo a Bellusci Luigi alle spalle e poi Formoso Giuseppe dare anche due colpi con un’arma lucente, che non distinsi, ad esso Bellusci di dietro. Dopo vidi l’Aceto ed il Formoso accompagnare per le braccia il Bellusci, mentre Nico Vincenzo ed altri li seguivano. In seguito, quando arrivò presso la casa di Serra Filomena, intesi il Bellusci dire: “Lasciatemi che mi voglio coricare qui…”. Il Bellusci venne lasciato in quel punto e tutti gli altri andarono via.
– Ma Bellusci è stato colpito sia davanti che dietro – osserva il Pretore che lo interroga.
Non vidi il Formoso o altri colpire davanti il Bellusci. Quando vidi il Formoso colpire costui di dietro, per timore che qualche guaio mi potesse accadere, mi allontanai subito per pochi passi. È facile che il Bellusci sia stato ferito davanti, e non so da chi, nel momento in cui mi allontanai
– Giovanni Puzzo c’era?
Non mi accorsi se era presente
La circostanza che Bellusci sia stato accompagnato da Formoso e Aceto fin sotto casa di Filomena Serra coincide con la dichiarazione del barone Guzzolini il quale ha affermato di aver visto tre persone dirigersi in quella direzione. Forse le indagini hanno preso la piega giusta. Bisogna trovare conferme.
Mi trovavo vicino alla chiesa quando intesi il grido “A NOI!” proveniente da un gruppo di persone che si trovavano vicino all’esercizio di Lattari. Quel grido fu emesso da Formoso Giuseppe, la cui voce io conosco benissimo – racconta Giovanni Capparelli –. Io mi avvicinai e proprio nel momento in cui arrivai vidi che Aceto Florindo percuoteva il defunto Bellusci con uno scudiscio, ‘nu vurpile, e che il Formoso Giuseppe con un’arma bianca che aveva in mano e che non distinsi bene, tirò al Bellusci prima un colpo dalla parte davanti e poi, dopo averlo afferrato per un braccio e fattolo girare leggermente a destra, gli tirò un altro colpo dalla parte di dietro. Vidi che altre persone si avventarono contro il Bellusci con le braccia alzate, ma siccome la mia attenzione era concentrata verso il Formoso, non distinsi in verità se tra quelle persone vi fossero Puzzo, Gaudio, Salerno e Nico
– Ernesto Iaccino giura di aver visto Formoso colpire Bellusci solo da dietro…
Io confermo quello che ho detto
Così Giuseppe Formoso viene messo alle strette e dopo molti tentativi di sviare il discorso, finalmente ammette qualcosa, non prima di esternare la sua fede politica:
Sono fervente fascista e sono iscritto al partito fin dall’aprile dell’anno scorso. Verso le 20,30 il Lattari chiuse l’esercizio e tutti uscimmo, compreso Bellusci Luigi. Avendo in quel momento inteso  quest’ultimo e Cipolla Santo, socialista, parlare contro il fascismo, fui preso dall’ira, estrassi un piccolo coltello e con questo punsi di dietro il Bellusci. In seguito Aceto Florindo, Salerno Raffaele, Gaudio Paolo, Nico Vincenzo, tutti fascisti e tutti armati di bastone, presero ad inseguire il Bellusci che era scappato via. Immediatamente dopo io e gli altri ci recammo in San Marco per riferire al segretario politico, ingegnere Manfredi, quanto era successo. Confesso di avere colpito solo di dietro il Bellusci e non pure davanti. Dichiaro pure che è falsa la circostanza riferita da me al Maresciallo di avere visto Puzzo Giovanni ferire con un’arma il Bellusci al basso ventre. Nel momento del fatto Puzzo non era presente e quindi non è vero che egli abbia partecipato alla rissa.
È già qualcosa questa ammissione, ma adesso ci sono altri testimoni che raccontano come si arrivò alla tragedia, smentendo Formoso.
– Sabato scorso, il giorno prima della tragedia, ero nel botteghino di Lattari e discutevo bonariamente con Barci Belgrado, Lanzillotta Pasquale e Viola Vincenzo. Io parlavo a favore del fascismo mentre costoro parlavano in favore del socialismo. Forse per questo Aceto Florindo, il giorno seguente, ebbe a dirmi: “Se i signori Lattari, Barci e Lanzillotta od altri continuano a parlare male del fascio, vedi che io griderò “A NOI!”, perciò resti avvertito di accorrere se ti senti lo stomaco, altrimenti vai a casa” – racconta Alfredo Percacciante.
Detta così, sembra quasi che l’aggressione sia stata premeditata e questa ipotesi si rafforza quando Raffaele Lattari ed altri ricostruiscono gli ultimi minuti trascorsi nella cantina e i primi fuori dalla stessa. Racconta Lattari:
La sera dell’omicidio ero nel mio tabacchino e discorrevo con alcuni amici, quando venne Aceto Florindo che voleva impormi la chiusura dicendo: “Qui si parla sempre di socialismo, sei stato rappresentante della fiaccola e ne hai votato la lista”. Osservai che nel mio esercizio non si parlava di socialismo o di fiaccola, ma di ricordi di guerra. Per evitare quistioni con l’Aceto passai alla cantina annessa al tabacchino e cercai di fare uscire tutte le persone che vi si trovavano. In questo mentre entrò nel tabacchino il Bellusci in compagnia di Cipolla Santo e mi chiese un mezzo litro di vino che venne bevuto da questi due e Capparelli Basilio. Indi il Cipolla chiese un altro mezzo litro che fu bevuto dagli stessi, meno un bicchiere che il Bellusci offrì all’Aceto che lo bevette. Dopo, uscite tutte le persone che vi erano, chiusi il tabacchino e la cantina verso le 21 e mi ritirai a casa. Solo posso dire che mentre rincasavo udii una persona che non riconobbi di un gruppetto formato da Aceto, Formoso, Gaudio, Nico, Puzzo e Salerno dire in atto di sfida: “Cinque contro dieci”.
– Con Aceto c’era Giovanni Puzzo quando nel tabacchino il primo disse: “Se continua la discussione di ieri sera, vi faccio vedere che cosa è il fascio”. Il Puzzo, ridendo, aggiunse: “Sgombrate!” – racconta Nicola Puzzo –. Dopo poco Lattari chiuse il botteghino e la cantina e si adunarono molte persone, compresi l’Aceto, il Puzzo, Formoso, Salerno, Gaudio, Cipolla e Bellusci e tutti, scherzando, parlavano di fascismo. L’Aceto ed il Puzzo volevano condurre a casa il Cipolla, ubbriaco, ma questi si rifiutò. Poi dovetti recarmi nel fondo dietrostante per rendere un atto corporale e, trascorsi pochi minuti, sentii gridare tre o quattro volte A NOI!. Ritornai davanti alla rivendita mentre una folla di persone saliva verso la chiesa. Scorsi delle macchie a terra ed accesi un fiammifero per osservarle. In questo momento sopraggiunse l’Aceto e mi domandò che cosa guardassi. Io risposi: “Guardo questo liquido lucente che è a terra”. L’Aceto aggiunse: “Ê inchiostro, non guardarlo”. Ma, avendogli detto che il liquido era rosso, l’Aceto disse: “Ê inchiostro rosso” e se ne andò. Io rincasai convinto che si trattasse di sangue.
E infatti di sangue si tratta, come i Carabinieri hanno già accertato, descrivendo la scia rossastra che dalle vicinanze della cantina arriva fino al punto in cui è stato trovato il cadavere di Bellusci.
Sopraggiunsero Aceto Florindo, Gaudio Paolo e Serra Enrico, il quale ultimo disse, senza rivolgere le parole ad alcuno: “Massimalisti sto cazzo! Hanno fatto scomparire il paese dando il voto ai socialisti; se fino ad oggi abbiamo tollerato tutto, da oggi in poi chi manca, paghi!” – riferisce Bernardo Lanzillotta – I tre nominati si aggiunsero ad altre persone che si trovavano davanti alla cantina e tutti parlavano di partiti. A un certo punto udii gridare A NOI! dall’Aceto e subito dopo vidi presentarsi a costoro Formoso Giuseppe il quale si pose sull’attenti. In questo momento ebbi l’impressione che quel gruppo di fascisti volesse provocare qualcuno e perciò diedi la buonasera e ritornai a casa.
Il Cipolla era ubbriaco, pronunziava parole sconnesse senza rivolgerle ad alcuno e diceva anche: “Sono massimalista!”. A tali parole io risposi: “Ma che massimalisti! È passato il tempo vostro, non è più il momento di parlarne – precisa Enrico Serra.
Se le posizioni di Formoso e Aceto sono quelle più chiare, quella di Giovanni Puzzo è ancora in bilico perché, se è vero che Formoso lo ha scagionato dall’accusa di avere colpito col coltello Bellusci e ha dichiarato che non era nemmeno presente al fatto, è pur vero che molti testimoni lo collocano tra coloro i quali hanno, quantomeno, partecipato alla rissa. Poi spuntano alcuni testimoni che sostengono di averlo visto arrivare sul posto a cose già fatte e questo potrebbe essere la sua salvezza, se i giudici li riterranno attendibili. Si vedrà.
Più passano i giorni e più i Carabinieri si convincono che il misfatto sia stato provocato dalla convinzione dei fascisti di Cervicati che Bellusci fosse una spia. Tale convinzione ha potuto legittimamente sorgere nell’animo dei fascisti per il carattere del Bellusci che, specie dopo di aver bevuto, era molto ciarliero ed espansivo, fraternizzando anche con persone notoriamente conosciute come appartenenti al partito socialista. Proprio ciò che sarebbe accaduto quella maledetta sera: egli, infatti, verso le ore 17 del 13 andante si recò a bere nell’esercizio di Reggio Francesco, che è un socialista di Cervicati, e dove offrì da bere a Cipolla Santo, anche questi socialista. Assieme, poi, uscirono dall’esercizio di Reggio e passando per quello di Lattari vi entrarono, bevendo ancora altro litro di vino. Una colpa imperdonabile!
Intanto Maria Orrico, la vedova del povero Luigi Bellusci, scrive un’accorata lettera al Giudice Istruttore:
Cervicati 17 luglio 1924 
Illustrissimo Signor Giudice Ittrettore
Inaze a tutto vene chiedo squse del disturbo che le do
Mi getto ai vostri piedi pregantovi che accetti i mie scritti
La sera del 13 aprile 1924 primo di far il micidio al povero defunto Bellusci Luigi, questo Florinto Aceto antò accasa di Serra Enrrico e le disse vie comme adarmi aiuto che questa sera nel bottighino lo dovemo uccidere a qualche uno, così sono antati tutti assiemi nel botteghino. Allora questi erano decisi del giorno che doveano fare un disastro: ccosì questo Serra Enrrico si trovava unito con tutti quel altri che sono carcerati; diora questo sa tutto aveduto tutto ma non dice la verita perche sono fra di loro parenti e sanciovanni; io prego sempre la signoria vostra Illustrissima di mettere a tutti questi dentro e di essere costretti di farci ir la sincera verita, io vi assiquro che questi saranno complici al delitto, apposetivo non svelano tutta la verità.
Il pubblico grida e rivela tutta la verità ma non si dichiarano di mantenerllo in facce che portano paura delle parte che le fanno tanti amminacci, Giovanni Caparelli a detto a Posteraro Giuseppe che la lite era cominciata con Santo Cipolla, ma il povero defunto Bellusci Luigi non sapento che queste erano così ostinati disse perche cosa dovete bastonare a Santo Cipolla, un patre di figli, che cosa vi a fatto. Allora Aceto fliorinto si volto verso Bellusci e le disse tule vuoi far la difesa, allora Bellusci le disse  no per difesa ma fate male a bastonare aquesto, allora Aceto si da verso il povero Bellusci e li da dui vurpilati; quanto Bellusci senti il dolore si voleva dare adosso di Aceto fliorinto, allora Aceto disse Annoi Annoi due volte e corsero tutti addosso di Bellusci come leono e lanno portato alla morte; il publico vocifica che Puzzo Giovanni lia dato la cortellata che lo porto alla morte. Formoso Giuseppe la ferito di dietro le a dato due pugnalate piu ligiere, Vincenzo Nicho ccia messo le mani alla bocca che non lanno fatto nemmeno respirare e tutti alltri lanno bastonato a tutta forza: vedi Signor Giudice che tutti li bastonati che a ricevuto il mio povero e disgraziato marito non si sono nemmeno aqusati perche quanto aricevuto la pugnalata allarteria sie dissanquato tutto poi lanno rascinato per nasquontere all’ompra delle case e povero il sanque sie fenito tutto per terra; noi poveri adolorati sentento tutto questo dalle voce del publico siamo da un misero stato, poveri noi che cosa dovevamo fare cosi vi ne chiedo mille scuse e prego di farmi la legi e di far pagare il sanque sparso del mio povero marito morto di questa dolorosa morte straziato di tutti queste barberi mentre siera recato del lavoro la sera verso le 8 per prentere un zicaro trovo la morte; io sono adolorata con due figlie e grido sempre voglio leggia perche il mio marito era un tesoro, era un uomo di bene rispettoso di tutti pigliati informi di tutto il paese che cosa era questo; povero, a voluto morire per inzegnare la via del bene, per mettere la bona parola e lo voglio pagato di tutto il fascismo di Cervicati perche questo era un valeroso uomo, un sargente del 19 fanteria che a compattuto quatro anni inguerra e si porto sempre valeroso e fedele verso la patria e ccosi o il diritto di pregare alla leggi di ci dare una giusta condanna a questi barbari dilenquente che anno portato alla morte mio marito.
Parole che lasciano l’amaro in bocca ma che potrebbero aprire una nuova pista investigativa. Potrebbero, ma non succede niente. Non succede niente nemmeno quando in carcere viene sequestrata una lettera a Giuseppe Formoso a firma del cognato Natale Micieli, scritta con la stessa grafia e lo stesso stile di quella scritta da Maria Orrico
Cervicati 19 luglio 1924
Caro qugnato Giuseppe
Se tu dirai la pura verita e mi fai sapere come e antata questa lite che ti sei trovato pure tu assieme a tutti e se mi fai sapere tutto come avete fatto e chie stato il più colpevole e chi era piu assieme con voi, qui se dice che siete dentro e ci né piu di fuora, tu rivela tutto, dice pure chi lo traversò allompra di quelle case che per non farlo vedere più primo il cataforo, io ti prometto che daro aiuto alla tua moglia come pure ate se non sei capace a rivelare tutto, vede che tutti vogliono dare a te il grante peso, loro sene vogliono sciogliere e ate ti vogliono carricare tutto, dice la verita che ti considero perche ognuno puo accadere nella disgrazia, non posso farmi gabbo. Ti prego arrispontere e di farmi sapere tutto cio.
Ti saluto
Tuo cugnato Micieli Natale
Per il Pubblico Ministero non c’è altro su cui indagare, gli imputati sono e restano quelli e indica anche il movente che li ha spinti ad aggredire Luigi Bellusci: L’uccisione del Bellusci più che un fatto improvviso, sembra dovuto, come apparirebbe da varie deposizioni, ad un proposito delittuoso per il rancore che gli imputati fascisti nutrivano contro il Bellusci che sospettavano si fosse iscritto al fascio per fare la spia a vantaggio dei suoi amici di fede socialista. Stabilito ciò, si può procedere a formulare le richieste. E qui c’è qualche sorpresa. Giovanni Puzzo viene prosciolto in istruttoria dall’accusa di omicidio per non aver commesso il fatto, ma viene rinviato a giudizio con gli altri per rispondere, in concorso, del reato di lesioni personali seguite da morte. È il 20 settembre 1924.
La Sezione d’Accusa non la pensa così e proscioglie Giovanni Puzzo, Paolo Gaudio, Raffaele Salerno e Vincenzo Nico. Ma tutti dovranno rispondere del reato di partecipazione in rissa, senza aver posto le mani addosso all’offeso (resta da capire come si fa a partecipare ad una rissa senza menare le mani). A sedersi sul banco degli imputati della Corte d’Assise di Cosenza saranno soltanto Giuseppe Formoso che dovrà rispondere del reato di lesioni personali seguite da morte e di porto abusivo di coltello e Florindo Aceto che dovrà rispondere di concorso nello stesso reato. Ciò accade il 30 dicembre 1924.
Per iniziare il dibattimento ci vorrà un altro anno, il 5 dicembre 1925, il tempo necessario per fascistizzare del tutto i tribunali.
Prima dell’inizio del dibattimento si costituisce parte civile, Maria Orrico lo ha già fatto da tempo, anche Maria Miceli, la mamma di Luigi Bellusci, che nomina a rappresentarla l’avvocato Luigi Graziani. Ma la sorpresa è generale quando, alle 11,00 in punto, al banco della parte civile, in sostituzione di Graziani, si siede l’avvocato Pietro Mancini, il maggiore esponente del partito socialista cosentino, da poco rieletto deputato con più voti del quadrumviro Michele Bianchi e vittima di numerose aggressioni fasciste, affiancato dagli avvocati Samuele Tocci e Luigi Fagiani che rappresentano la vedova. Adesso per i fascisti quadra tutto, Bellusci era davvero una spia e i camerati presenti in massa nell’aula cominciano a mugugnare e ad inveire contro Mancini.
Il dibattimento si svolge in due sole udienze tra molti “non ricordo” e la brutta figura del barone Francesco Guzzolini che nega di essere mai stato segretario del fascio e, addirittura, di essere mai stato iscritto al partito, ma viene pubblicamente smentito da Alfredo Percacciante che mostra in aula la sua tessera fascista, datata 7 luglio 1923, debitamente firmata da Francesco Guzzolini.
Quando prende la parola il Pubblico Ministero per chiedere la condanna di Giuseppe Formoso per omicidio oltre l’intenzione e di Florindo Aceto per lesioni lievissime, il pubblico rumoreggia e lo fa ancor di più quando l’avvocato Tocci arringa chiedendo ai giurati un verdetto affermativo di responsabilità a carico degli imputati, senza scusanti.
Quando, al contrario, gli avvocati della difesa di Giuseppe Formoso, Franco d’Ippolito e Riccardo Manfredi chiedono l’assoluzione del Formoso e in ogni caso ritenersi responsabile della lesione che non ha prodotto morte, col vizio parziale di mente per ubbriachezza e provocazione, scrosciano gli applausi, applausi che continuano mentre l’avvocato Tommaso Corigliano, difensore di Florindo Aceto, ne chiede l’assoluzione.
Pietro Mancini è più tenero del suo collega Tocci e si rimette al giudizio della corte per quanto riguarda Aceto, che ha vibrato solo due scudisciate. Per Formoso invece chiede la condanna senza attenuanti e il pubblico in aula perde la pazienza.
Il 7 dicembre viene emessa la sentenza. Per la giuria l’omicidio fu determinato da movente politico ma Giuseppe Formoso non ha commesso il fatto e non ha concorso nella esecuzione del fatto quale cooperatore immediato, piuttosto ha preso parte con altri nella esecuzione del fatto, senza che si conosca l’autore del fatto stesso. Formoso, quindi, è colpevole per aver commesso il fatto, o concorso, o preso parte con altri nella esecuzione di esso volontariamente con atti diretti a produrre una lesione personale, cagionando la morte dell’offeso, ma in quel momento era in tale stato di infermità mentale da scemarne grandemente, senza escluderla, a cagione di ubbriachezza volontaria e comunque Formoso ha commesso il fatto nell’impeto d’ira o di intenso dolore determinato da ingiusta provocazione! In più ci sono le attenuanti generiche. Tradotto in cifre farebbero 5 anni di reclusione ma la Corte ne dichiara condonati anni 4 della detta pena sotto le condizioni e comminatorie di legge. La Corte, inoltre, assegna alle due parti civili costituite £ 10.000 per ciascuna da computarsi nella liquidazione finale dei danni, alla refusione dei quali condanna Giuseppe Formoso.
Florindo Aceto viene assolto per estinzione dell’azione penale da amnistia.
Nessuna delle parti ricorre in appello.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

 

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