AMICI PER LA MORTE

Dopo aver finito di lavorare, tutti gli adolescenti (in realtà sono uomini fatti) amano riunirsi in gruppi e bighellonare scherzando, come per vivere quella fanciullezza troppo presto svanita tra zappa e animali da pascere.
È il tramonto del 16 settembre 1905 e anche a San Giovanni in Fiore i giovanottini si ritrovano tra amici. In uno dei tanti gruppetti ci sono il sedicenne Giovanni Sirianni, un tipetto mingherlino e abbastanza vivace – molti lo definiscono assai discolo ed attaccabrighe che spesso era scappato dalla casa paterna – e il diciassettenne Giovanni Minardi, più alto e robusto del suo amico. Dopo essersi divertiti, ormai è buio, i due ragazzi prendono la via Cognale per tornare a casa. Come al solito Giovanni Minardi stuzzica e sfotte l’amico:
– Pari nu zingariellu!
– E basta!
– Si nu cucuzziellu!
– Mi stai seccando adesso…
– Lo sai che ti dico? Mi sembri Carminiellu! – e giù una grassa risata. Giovanni Sirianni abbozza e si morde il labbro, sa che deve tenere a bada la rabbia perché le prenderebbe di sicuro. Poi Minardi prende da una tasca un moccolo di candela, sfrega uno zolfanello su un muro e l’accende. La luce è fioca e tremula, ma basta allo scopo che il ragazzo si è prefisso: illuminare sinistramente il viso dell’amico per sfotterlo ancora di più. Intanto a loro si è unito a loro un altro amico, Domenico Guzzo, che ride sguaiatamente alle battute di Minardi. Sirianni non ce la fa più e con una manata fa cadere la candela che si spegne sfrigolando. Minardi non si aspettava la reazione dello zingarello e resta un attimo perplesso, poi comincia a menargli botte in testa. I due si accapigliano ma, come già sapevano entrambi, non c’è partita, Minardi è troppo più forte dell’altro e lo butta subito a terra dandogliele di santa ragione. Sirianni non emette un lamento, le prende e basta. Quando l’altro si sente soddisfatto del paliatone che ha rifilato all’avversario, si rialza. Si rialza anche Sirianni tutto pesto e dolorante, ma ha una sorpresa in serbo per Minardi: il rumore secco e metallico della molla che scatta per fare uscire la lama del coltello che per un attimo luccica sinistramente alla luce della luna e poi penetra due volte nelle carni di Minardi. La prima coltellata gli arriva in pieno petto lasciandolo con la bocca aperta per la sorpresa; la seconda gli buca i muscoli della coscia sinistra facendolo cadere in ginocchio.
Mi si venutu allu pede allu pede e mò t’haju spiacciatu… dovevo ammazzarti prima… – gli dice mentre col dorso della mano sinistra asciuga il suo sangue che cola dal naso; nell’altra mano, dal coltello cola il sangue di Giovanni Minardi. Poi gli sembra che un treno lo stia investendo: è Domenico Guzzo che gli si è buttato addosso per disarmarlo e ci riesce, raccatta il coltello e lo va a consegnare alla madrigna del feritore, poi va a chiamare i Carabinieri. Mentre dalle finestre la gente si è resa conto di ciò che è successo, Giovanni Sirianni sparisce nel buio della notte.
Mamma… chiamatemi mamma… sono morto… – Minardi supplica i presenti mentre si contorce a terra per il dolore. La gente che è scesa in strada lo mette su di una sedia e lo porta a casa, dove il dottor Vincenzo Barberio lo visita e lo dichiara in imminente pericolo di vita.
– Chi è stato a ferirti? – gli chiede più volte il Maresciallo Posteris senza ottenere altra risposta che un mugugno incomprensibile. Ci vorranno quasi le due del nuovo giorno perché il ferito riesca a pronunciare il nome di Giovanni Sirianni, entrando subito dopo in coma.
Ma questa è solo la conferma formale di ciò che già era certo e i Carabinieri e le Guardie Municipali si sono già messi alla caccia del feritore da ore e lo trovano in aperta campagna nel posto che tutti chiamano Sopra il Vollo di San Francesco, praticamente nello stesso momento che il ferito ne pronuncia il nome.
Ero amico di Giovanni Minardi e spesse volte ci trovavamo insieme, allorché abbastanza spesso prendesse a scherzarmi abusando della sua statura più alta della mia e della età maggiore. Ieri, sull’imbrunire, ci unimmo e con noi c’erano altri amici. Il Minardi, al solito, prese a schernirmi. Poscia essendoci avviati verso la via Cognale, era rimasto con noi Domenico Guzzo, alias Inciocca. Il Minardi, continuando a schernirmi accese un pezzo di candela e me lo avvicinava al viso per guardarmi e poiché io gliela spensi egli si avventò su di me e mi percosse a pugni e calci, buttandomi per terra. Quando mi rialzai, acceso dall’ira, estrassi il coltello a serramanico e con lo stesso vibrai al Minardi due colpi, ma ignoro in quale parte del corpo lo abbia ferito… se non erro uno al petto e l’altro alla coscia e quindi mi diedi alla fuga… – poi commette l’errore di pronunciare delle parole a mezza bocca che il Maresciallo riesce a percepire – da più tempo volevo ammazzarlo
Nel frattempo si presenta al Maresciallo certo Caputo Domenico, spazzino comunale del luogo, il quale riferisce una circostanza che potrebbe aggravare di molto la posizione di Sirianni:
– La mattina del fatto, Giovanni Sirianni si è presentato a casa mia e mi ha chiesto se volevo vendergli la mia rivoltella per la quale mi offriva lire dodici a pagare con dilazione non avendo pronta la moneta. Gli risposi negativamente e quando si persuase che le sue vive insistenze riuscivano a nulla, andò via
Se provato, questo fatto potrebbe significare che Sirianni aveva premeditato di uccidere Minardi.
Il 16 corrente, è vero che, trovandomi a parlare accademicamente con Domenico Caputo e sapendo che costui possedeva una rivoltella, lo richiesi se volesse vendermela. Ma ciò dissi per ischerzo e senza alcun fine, sia perché non avevo i mezzi per comprarla e sia perché non avevo che farne. Molto meno, poi, potevo avere intenzione di servirmi della stessa per uccidere il Minardi perché nessun rancore esisteva con lo stesso, né io avevo intenzione di ucciderlo.
Poi le cose precipitano e il 19 settembre Giovanni Minardi muore in seguito a setticemia provocata dai materiali rigurgitati dallo stomaco nel cavo pleurico, i quali hanno provocato la pleurite, la pulmonite e la pericardite settica. Adesso si può parlare di omicidio. Omicidio volontario. Di questo gli inquirenti sono sicuri e scartano subito l’ipotesi che si sia trattato di un caso di omicidio oltre l’intenzione. A far propendere per il reato più grave sono le parole sussurrate in caserma, l’arma usata  (un coltello a serramanico detenuto illegalmente è sempre un indizio grave a carico), il punto vitale colpito e la circostanza del mancato acquisto della rivoltella.
L’istruttoria è velocissima e già il 30 novembre la Camera di Consiglio pronuncia la richiesta di rinvio a giudizio di Giovanni Sirianni con l’accusa di omicidio volontario, che viene accolta dalla Sezione d’Accusa il 17 marzo 1906.
Alla fine dell’anno la Corte d’Assise di Cosenza lo giudica colpevole condannandolo, concesse le attenuanti di legge, a 6 anni e 8 mesi di reclusione.
Il giorno dopo l’emissione della sentenza, il 7 dicembre 1906, Giovanni Sirianni firma la rinuncia a presentare appello ed accetta la pena inflittagli dalla Corte,  così la condanna diventa definitiva.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali,

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