ILLU NON TI SPONSA

– Ohi mamma! Aprite! Aprite! C’è un morto vicino alla chiesa Madre! – la donna urla e batte i pugni sulla porta della caserma dei Carabinieri di Grisolia. Sono le 7 del 19 luglio 1925.
Il Brigadiere Giovanni Bramanti e il Carabiniere Francesco Garafa in fretta e furia accorrono sul posto ma non vedono alcun cadavere.
– È nella casa di Filomena De Marco… di là… di là… – fa segno un uomo indicando un fabbricato con una scala esterna, davanti alla quale si è radunata una piccola folla.
Un giovane di una ventina di anni giace disteso sul fianco sinistro all’ingresso di un piccolo sottoscala. I capelli, neri e lunghi, sono scarmigliati e finiscono in una piccola pozza di sangue che circonda il busto del giovane. Il Brigadiere Bramanti si fa largo tra la gente, si accovaccia accanto al cadavere, scosta un petto della giacca di lana nera e, sotto il panciotto anch’esso nero, nota un fiotto di sangue che esce dalla camicia fantasia. La cosa strana è che il morto ha la mano destra infilata nella tasca dei pantaloni, come se fosse stato sorpreso dall’assassino mentre cercava di prendere qualcosa. Un’arma? Bramanti tasta il tessuto e fa una smorfia: sembra esserci solo un fazzoletto. Si rialza e chiede a voce alta:
– Qualcuno sa chi è il morto e chi è stato ad ammazzarlo?
– Il morto è Peppino Crusco e l’hanno ammazzato Rosina Rocco e suo fratello Pietro.
I due vengono subito ricercati ma sono uccelli di bosco. Dalle prime, attive e pronte indagini questa affermazione risulta veritiera e Bramanti, attraverso il racconto di Carmela Rocco, sorella degli assassini, individua anche quello che sarebbe stato il movente dell’omicidio:
Peppino Crusco da circa cinque mesi era fidanzato con mia sorella Rosina, anzi erano prossimi a sposare. Ma da pochi giorni or sono Peppino si era allontanato fidanzandosi con Angelina Marino
Un caso già risolto, basta solo prendere gli assassini.
Gelosie di donne – osserva il Brigadiere – abbiamo capito tutto…
Il fatto, poi, che l’omicidio sia stato commesso a pochi passi dalla casa di Angelina, rappresenta una conferma: Peppino sta andando a trovare la sua nuova fidanzata quindicenne quando viene affrontato e ucciso dai fratelli Rocco.
Mi trovavo in casa e ad un tratto da mia madre fui avvertita che era stato ucciso, a pochi passi dalla nostra abitazione, Peppino Crusco, mio fidanzato da pochi giorni – racconta Angelina –. Uscita subito fuori vidi realmente già cadavere e disteso a terra Peppino e Rosina e suo fratello Pietro, apparentemente inermi, che si davano alla fuga per una via sottostante. Notai grosse macchie di sangue alle scarpe color giallo che calzava Pietro Rocco. Vicino al morto vi era mia sorella Filomena che fu la prima ad accorrere e che aveva cercato prestare aiuto di soccorso al mortale Crusco. Subito a ciò accorsero altre mie di casa ed altre persone.
Sebbene io zoppa, accorsi subito sul posto e trovai a terra ed agonizzante Peppino – è Filomena Marino a raccontare gli ultimi istanti di vita di Crusco – deposi la sua testa sulle mie gambe e con una mano cercavo di impedire l’emorragia del sangue della mortal ferita che aveva allo stomaco, parte lato destro. Ma tutto fu invano e poco dopo cessava di vivere
Si, Peppino Crusco è stato colpito da una sola coltellata sotto lo sterno, vibrata dal basso verso l’alto con estrema violenza, che è arrivata fino al cuore, perforando i due ventricoli con lacerazione dell’arteria aortica. Morte praticamente istantanea. La presenza sulle braccia di varie ecchimosi, manifestamente d’impronte digitali, e l’assoluta mancanza di ogni traccia di lotta sostenuta dalla vittima fanno ritenere al perito, dottor Ludovico Serra, che per commettere l’omicidio è stato necessario il concorso di almeno due persone, una delle quali immobilizzò le braccia del Crusco e l’altra, profittando della impotenza nella quale la vittima era ridotta, inferse il colpo.
Presumibilmente Pietro ha tenuto fermo Peppino e Rosina lo ha accoltellato. Poi, quando vengono interrogate Filomena Russo e Immacolata De Marco, questa ipotesi diventa certezza. Racconta l’anziana Filomena
La mattina dell’omicidio Rosa, suo fratello Pietro e Peppino scendevano dalla parte di Via del Castello: Pietro avanti e gli altri due dietro. Rosa teneva le mani sotto il grembiule. Arrivati davanti alla casa dei Rocco, Crusco si fermò, Rosa andò ad aprire la porta di casa e Pietro disse a Peppino: “Entra… vieni che ti debbo fare una imbasciata”. Al che Crusco rispose: “Io dentro non vengo”. E Pietro soggiunse: “No, vieni dentro… entra che ti debbo fare una imbasciata”. Crusco fece per allontanarsi nella vinella, ma Pietro lo raggiunse e con una mano lo afferrò dalla giacca e con l’altra gli dette pugni in testa e disse: “Devi venire dentro” e cercava di portarlo a casa a forza, ma quel disgraziato si teneva afferrato alla scala esterna della casa di De Marco Immacolata e diceva: “Lasciami, lasciami stare, vado qui a fare una imbasciata e poi vengo… lasciami”. Rosa, che stava impalata sulla porta di casa sua disse: “Non vuole venire… non importa che non vuole venire…” e di un subito, dopo aver cacciato da sotto il grembiule un coltello lungo quanto un mezzo braccio, si avvicinò ai due e tirò a Crusco un colpo con tanta forza che sembrava avesse voluto bucare un muro
Immacolata De Marco, che a tutto questo trambusto dice di essersi affacciata sul pianerottolo esterno alla porta di casa sua, conferma e precisa:
In un certo momento Pietro tenne fermo dalla braccia Crusco e Rosa, dalla soglia della porta di casa ove si trovava in piedi e teneva le mani sotto il grembiule, si avvicinò ai due, cacciò da sotto il grembiule una cosa luccicante, con una mano afferrò Crusco dai capelli e con l’altra dette un colpo a quell’infelice con tutta la forza, come se avesse dovuto sfondare un muro
Come se avesse dovuto sfondare un muro. Il paragone usato per dare l’idea della forza impressa al colpo da Rosa è direttamente proporzionale all’idea dell’odio che doveva nutrire nei confronti di Peppino. Certo, l’onta per l’improvvisa rottura delle pratiche di matrimonio a causa di un’altra donna potrebbe giustificare tutto, ma potrebbe esserci sotto qualche cosa di ancora più oltraggioso per l’onore di Rosina e della sua famiglia. Questo, eventualmente, potrà essere chiarito solo dalla ragazza e da suo fratello, se e quando i Carabinieri riusciranno a prenderli.
Per Rosa non bisogna aspettare molti giorni. Il 22 luglio si costituisce spontaneamente ai Carabinieri di Verbicaro e viene subito interrogata:
Ammetto di avere, la mattina del 19 corrente, in Via Sotto la Chiesa a Grisolia, dato, a scopo di uccidere, un colpo di coltello a Crusco Peppino, ma debbo narrare i fatti passati tra me e Peppino, fatti che staranno a dimostrare che io lo ammazzai in difesa del mio onore – dice con tono fermo e deciso, apparentemente senza emozionarsi.
– Ti ascolto – le fa l’avvocato Alfonso Giannuzzi, Pretore di Verbicaro.
Peppino, dopo il suo ritorno dal servizio militare chiese la mia mano ai miei genitori i quali accettarono la proposta e ci fidanzammo nel mese di febbraio di quest’anno. Egli era disperato, senza denaro giacché i suoi genitori si trovano in America e la mia famiglia dovette assumere impegno di sostenere per me e per lui le spese di matrimonio e difatti le sostenne comprando le cose necessarie nel negozio di Campagna, verso il quale è ancora in debito. La moglie del Campagna confezionò il vestito per me ed il vestito per Peppino… – e qui la sua voce mostra qualche tentennamento – lui teneva verso di me un contegno pieno di rispetto, poi cominciò a baciarmi, a palpeggiarmi e a dire che voleva possedermi… io opposi un reciso rifiuto ma egli, profittando di qualche assenza dei miei genitori, ritentava la prova… mi abbracciava e voleva ad ogni costo disonorarmi – ora il tono della sua voce è di nuovo duro – e infine provava a buttarmi a terra per possedermi con la forza, ma io mi difesi. A terra colluttammo e non ci riuscì. Un giorno egli mi gittò a terra nella vigna di proprietà della mia famiglia e mi avrebbe di sicuro disonorata se nella distanza di 50 o 60 metri non si fosse trovato a passare Pascale Rocco che redarguì Peppino con le parole: “che fai… lasciala stare!”, al che il mal intenzionato mi lasciò in pace. Un giorno del giugno ultimo, con certezza dopo il giorno di Sant’Antonio, Peppino, verso mezzodì, mi trovò sola nella abitazione della mia famiglia in contrada Lantanario, visto che i miei genitori e mio fratello Pietro lavoravano in un lontano quoziente del fondo, e senza profferir parola prima mi gittò a terra, ove io per la lotta sostenuta perdetti le forze, poi mi mise sul letto. Con una mano mi turò la bocca e mi impedì di gridare e poi… poi mi tolse l’onore. Dopo questa volta si congiunse altre volte meco. Crusco – adesso lo chiama per cognome – ottenuto lo intento mutò atteggiamento e venne in campagna meno di frequente e cominciò a rimandare dall’oggi al domani l’andata al municipio per la richiesta delle pubblicazioni, mentre le pubblicazioni in chiesa erano state eseguite – tira un lungo respiro, si passa le mani sul viso e ricomincia a raccontare –. La mattina del 19, nell’ora dell’alzata del sole, io e mio fratello Pietro andammo da Lantanario a Grisolia perché io dovevo prendere dell’olio nella casa in Via Sotto la Chiesa. Lungo la strada mio fratello rimase indietro, forse per fare un atto grande. Io continuai il cammino e quando fui a un chilometro dall’abitato incontrai Biase Di Gioia che mi fermò e mi disse: “Rosina, con Peppino non ci stare a speranza… non ci aviri speranza… illu non ti sponsa… tiempu arrietu, na sira dintra u paisi alla presenza di Salvatore Benvenuto e di Peppino Marino gli chiesi: “Quannu ni mangiamu si cunfietti? Quannu fai lu sponsaliziu?” E illu rispose: “Mai… iu nun m’a pigliu… ‘a vogliu disunurari e quannu l’haiu disunurata nun mi la pigliu cchiù!”. Io soggiunsi: “Quando non la vuoi lasciala stare perché è una poveretta e tiene sulu l’unuri” ma egli replicò: “No. Io ci lascio stare quando l’avrò disonorata!”. Ciò detto, il Di Gioia proseguì per la campagna ed io me ne andai al paese. Stetti in casa qualche minuto e poscia, per riposarmi, mi misi seduta in Via Sotto la Chiesa, ma ero molto addolorata perché, nell’attraversare l’abitato, avevo appreso dalla voce pubblica che Crusco si era fatto zito con Angelina Marino e che in quel giorno doveva fare le spese del matrimonio. Stavo seduta e consideravo la mia disgrazia quando, proveniente dalla vinella ove è la casa di Angelina, arrivò Crusco. Come lo vidi mi alzai – gli occhi le si fanno di fuoco – e gli dissi: “Peppino, vieni dentro casa che ti debbo fare una preghiera…”. Egli rispose: “va fa ‘nculu, io con te non ci ho niente da vedere!”. Risposi io: “Peppino, come non hai niente da vedere con me… tu mi hai offesa… facciamo le cose con le buone… andiamo oggi in Municipio a fare la richiesta di matrimonio…”. Crusco di nuovo: “Io non ci ho niente da vedere”. Io replicai: “Ma senti Peppino… vieni dentro… facciamo le cose con le buone. Tu mi hai disonorata ed ora mi vuoi lasciare… ho saputo che ti sai fatto zito con Angelina e che oggi devi fare le spese. Bada che tu mi hai offeso ed io offendo te… tu mi hai disonorata ed adesso mi vuoi lasciare… andiamo al Municipio, facciamo le cose con le buone, se no tu mi hai cacciato l’onore ed io ti caccio la vita!”. Esso s’insuperbì e rispose: “Va fatti strafottere, io non ho paura di te e di tutto il parentato, se siete cento, io ne brucio duecento con le bombe che ho portato come soldato!”. Io, ancora una volta: “ma vieni in casa, facciamo le cose con le buone, i miei genitori e mio fratello non ci entrano e se non mi sposi ti caccio la vita!”. Crusco resistette alle mie preghiere e continuò: “È vero che sono zito con Angelina… oggi farò le spese di matrimonio… io per farti dispetto mi sposerò a chine vuogliu!”. Perdetti i lumi e risposi: “Mi hai cacciato l’onore, io ti caccio la vita… né io, né illa!”. In un momento cacciai dalla tasca della veste un piccolo coltello con la punta, di quelli che si ripiegano, mi avvicinai a lui, gli detti un colpo e lo ferii. Ci afferrammo e stavamo colluttando al lato della scala esterna della casa di De Marco Immacolata, allorché sopraggiunse dalla parte bassa del paese mio fratello Pietro, il quale ci separò e poscia, preso da un braccio Crusco, gli chiese: “Che hai con mia sorella?”. Crusco non rispose, barcollò ed andò a cadere nel sottoscala esterno di casa De Marco. Nel vederlo a terra mi allontanai verso la parte bassa del paese ed andai in campagna
– Vedi Rosina, il fatto è che ci sono due testimoni che giurano di aver visto tuo fratello che teneva Peppino per le braccia e tu che lo colpivi, quindi io penso che tu hai detto ciò che hai detto per cercare di salvare tuo fratello…
Durante il diverbio tra me e  Crusco e nel momento del ferimento nella strada o nei pressi non c’era nessuno. Mio Fratello Pietro non partecipò in alcun modo al fatto delittuoso e, lo dichiaro ancora una volta, si trovò ad arrivare per caso nel luogo del delitto quando io e Crusco, che già aveva ricevuto la coltellata, colluttavamo e, poveretto, ci separò.
– Sembra inverosimile quello che dici, sia per i testimoni e sia perché se Crusco ti aveva davvero tolto l’onore è probabile che tuo fratello ti abbia aiutata…
Della perdita del mio onore non ne ho tenuto parola ad alcuno, neppure ai miei parenti né prima, né dopo il delitto e quindi nego di avere agito previo concerto con Pietro e con premeditazione. Quella disgraziata mattina vidi Crusco solo quando venne dalla vinella della casa di Angelina in Via Sotto la Chiesa, sicché in precedenza io non lo avevo veduto, né avevo saputo dagli altri della sua presenza in paese – il tono è ostinatamente deciso nell’assumersi tutte le responsabilità del fatto.
– Quante volte ti ha posseduta?
Crusco, dopo il giorno della tolta dell’onore, parecchie volte tentò di possedermi o nella mia abitazione o nella mia campagna, ma io non glielo feci arrivare perché il pensiero, ad onta delle di lui promesse, mi diceva ch’egli non mi avrebbe sposato.
– E quindi stai dicendo che ti sei voluta vendicare premeditando il delitto… – insiste il Pretore approfittando del mezzo passo falso di Rosina.
La mia fu una risoluzione momentanea che feci quando Crusco, invece di cercare di calmarmi e di dirmi che il nostro matrimonio non era voluto dal destino, mi offese con parole, mi minacciò di bruciarmi nel parentato e soggiunse che per mio dispetto avrebbe sposato una donna qualsiasi. Se egli mi avesse detto: “Rosì, non ti sposo perché non è destino”, io il danno lo avevo già subito e non me ne sarei curata e mi sarei rassegnata al mio destino
– Non posso crederti, vorrei ma non posso – insiste il Pretore, che poi cala il suo asso: una nuova e ancora sconosciuta testimonianza –. Vedi, abbiamo un testimone che giura di averti visto leccare la lama insanguinata del coltello e questo non è un buon segno per te…
È vero – ammette con gli occhi ancora pieni di odio – che dopo aver cacciato la lama dal corpo del Crusco, pel troppo dolore mi leccai il sangue dall’una faccia e dall’altra della lama, tanto dolore che avrei dovuto leccarmi il sangue dal buco fattogli
– Vedi Rosina – continua il Pretore – che come questo testimone ti ha visto che leccavi il sangue, altri hanno visto che Pietro teneva Crusco per le braccia e tu lo accoltellavi e tu non puoi negarlo, come non puoi negare che hai avuto altri fidanzati e la gente non parla bene di te…
I testimoni con me debbono dire la verità perché se non dicono la verità ci possono rimanere in Cosenza carcerati come me e poi, se si pigliano il giuramento falso, come ne ho ammazzato uno ne posso ammazzare altri… la mia vita ormai è della galera!
– Attenta alle parole perché peggiori la tua situazione – la ammonisce il Pretore che aggiunge – Quando Crusco ti ha tolto l’onore, hai sentito dolore? Hai visto del sangue? Saresti disposta a farti visitare da un medico?
Se la giustizia volesse sottopormi ad ispezione corporale per accertare che sono stata disonorata, io sono a disposizione della giustizia… per il resto posso dire che io intesi dolore nei genitali ma non ne uscì sangue
– Forse ti aveva deflorata qualcun altro…
È certo che in precedenza io non avevo avuto rapporti carnali con alcunoforse sangue non ne uscì perché egli mi introdusse il membro con dolcezza
Il Pretore la congeda, rimanendo pensieroso e sconcertato per l’enorme contraddizione del carattere di Rosina: da una parte la determinazione e l’odio verso Crusco che la portano a leccare il sangue sul coltello dopo averlo colpito con una forza sovrumana e dall’altra la infantile, amorevole ingenuità che le fa ritenere la mancata perdita di sangue durante il primo rapporto sessuale frutto della dolcezza dell’atto stesso. Avrà il tempo e la possibilità per approfondire questo aspetto?
Nel frattempo, siamo ormai a 4 agosto e sono passati 16 giorni dall’omicidio, i Carabinieri di Verbicaro, avendo ricevuto una soffiata che vorrebbe Pietro Rocco nascosto nella capanna della famiglia della sua fidanzata in contrada Cardino, vestiti in abito simulato lo accerchiano e lo arrestano.
Protesto la mia innocenza – attacca –. L’omicidio di Peppino Crusco lo commise, a mia insaputa, Rosina. Io non vi partecipai in alcun modo e non determinai od eccitai mia sorella a commetterlo.
– Invece sapevi dei rapporti carnali tra Peppino e Rosina e per questo avete deciso di ucciderlo…
Io ignoravo, come ignoro, se tra Crusco e Rosina fossero interceduti rapporti carnali e del pari non so e non lo sapevo neppure prima del delitto il nuovo fidanzamento del Crusco con Angelina, quindi nessun motivo di rancore esisteva tra me e lui.
– Tu lo tenevi e Rosina lo ha colpito…
Io, lo giuro, non trattenni Crusco mentre mia sorella gli dava il colpo di coltello o di pugnale.
Poi descrive la mattina dell’omicidio nello stesso modo in cui l’aveva descritta Rosina.
– Dai, confessa, la bugia ha le gambe corte
Sono innocente, non ho tenuto Crusco nel momento in cui mia sorella lo colpì, non partecipai al delitto. Ho detto quel che so e non posso aggiungere altro
È il primo dicembre 1925 quando i dottori Ludovico Serra e Michele Carbone attestano che Rosina non è fisicamente vergine e che le note anatomiche obbiettive della deverginazione rimontano ad una epoca non precisabile, ma certo anteriore a quattro o cinque mesi fa. La Rocco certamente ha subito vari conquesti carnali.
Vari conquesti carnali può voler dire poco o tanto nello stesso tempo. A quanto corrisponde vari? 3 o forse 7 o forse ancora 18 o chissà quale altro numero. Sarà un bene o un male per Rosina questo vari? Un fatto è che, secondo i periti, la data della deverginazione corrisponderebbe più o meno all’epoca indicata da Rosa. O no? Tutto sembra molto vago.
Nel frattempo si fa avanti un mendicante siciliano, il quarantunenne Santo Peritelli, che il fatidico 19 luglio 1925 si sarebbe trovato presente allo svolgimento dell’omicidio. Il suo racconto è perfettamente identico a quello degli altri testimoni e inguaia sia Pietro che Rosina:
Rimasi talmente terrorizzato a quel fatto, talmente impressionato che mi diedi a correre per allontanarmi al più presto, tanto che subito cambiai paese.
È tempo di tirare le somme dell’istruttoria e la Procura ritiene di poter chiedere il rinvio a giudizio di Rosina e Pietro Rocco per rispondere di correità nell’omicidio volontario qualificato di Peppino Crusco. È l’11 dicembre 1925.
La decisione della Sezione d’Accusa arriva con l’anno nuovo, il 26 febbraio 1926, e conferma quanto richiesto dalla Procura.
Il dibattimento inizia il 15 dicembre 1926 e la sentenza viene emessa il 17 successivo. La giuria sposa la versione dei fatti fornita da Rosina e Pietro Rocco: lei sola ha ucciso Peppino Crusco, suo fratello non ha concorso quale esecutore o cooperatore immediato nell’esecuzione del fatto. Ma Rosina, secondo i giurati e come sostenuto dalla difesa, nel momento in cui commise il fatto era in tale stato di mente da toglierle la coscienza e la libertà dei propri atti. Quindi va assolta.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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