RAFFAELE ARNONE IL GUERRIERO – Capitolo 1

Curnutu! Vati caccia ‘e corna ‘e suarta!
– queste sono le parole che i compagni di lavoro rivolgono al ventiquattrenne
Salvatore Cozza di Spezzano Piccolo nel concio di liquirizia del barone Compagna
in contrada Cino di Corigliano
Il perché di
queste ingiurie si spiega con ciò che era avvenuto nel mese di luglio dell’anno
prima, il 1845, quando Gabriele Chiodo si
rendeva colpevole di stupro violento in persona della giovinetta Maria Cozza
,
sorella di Salvatore, e tratto negli
arresti, nel Gennaio del susseguente anno, per difetto di pruove veniva messo
in libertà. Per tal cagione era il Chiodo altamente odiato da Salvatore Cozza
il quale, sciogliendosi in minacce, diceva dover lavare col sangue l’onta all’onore
ricevuta
. Quindi è normale che dietro
tale ingiuria il Cozza divampava di sdegno ed essendo sopraggiunti nel concio
Raffaele Arnone
, diciassettenne di Trenta, e Ferdinando Granata, ventiquattrenne di Magli, tenevasi con costoro in perenni abboccamenti
in seguito de’ quali manifestava delle premure per potersi recare nella di lui
patria
.
La notte del
22 marzo 1846 Salvatore Cozza mostrandosi
armato di stile e pistola svelatamente diceva che doveva andare ad uccidere
Gabriele Chiodo per togliere le corna
. Così, insieme a Raffaele Arnone e
Ferdinando Granata parimenti armati di
pistole e stili
, si incammina verso la Sila.
Gabriele
Chiodo e sua sorella Santa sono seduti vicino al fuoco nella casetta colonica
di loro proprietà in contrada Cavallo di Spezzano Piccolo e stanno mangiando
delle patate. È la sera del 25 marzo 1846. Tutto è tranquillo, il gregge è
chiuso nell’ovile e i due pastorelli al loro servizio dormono nel pagliaio. Il
latrare dei cani li sorprende
Sono venute gente – dice Gabriele alzandosi
dalla sedia e avvicinandosi alla porta per aprire e vedere chi c’è fuori. Guardando verso l’aja, poco discosta dalla
casetta, due uomini armati di fucile, pistola e coltello
stanno
confabulando con uno dei pastorelli. Gabriele esce e si avvicina ai tre, mentre
sua sorella rientra in casa e chiude la porta. Dopo un paio di minuti qualcuno
bussa e Santa riconosce la voce del pastorello che le sta chiedendo del fuoco, cosa che lei fa. Il
pastorello se ne va e Santa richiude. Non passa che qualche altro minuto e di
nuovo la donna sente bussare. Apre e insieme al pastorello entra in casa uno
dei due sconosciuti che, con una certa
aria di disprezzo
, le dice
Perché hai chiuso la porta?
Santa,
intimorita, non gli risponde. L’atmosfera è tesa. Il pastorello e la donna sono
immobili ai due lati della porta aperta, lo sconosciuto fa un giro nella
stanza, poi si siede al fuoco e, rivolto al suo compagno che adesso si è
avvicinato, fa
Guarda se se ne va ancuna di ste carogne
fottute
Sto guardando… – gli risponde il compare
il quale adesso si rivolge a Gabriele e, con tono deciso, continua – escimo fore che chiacchieramu nu pocu
Gabriele
obbedisce e, insieme agli sconosciuti, si dirige verso lo scarazzo
– Ci devi
dare un agnello…
– E come
faccio? Mi rovinate…
– Latte
cagliato ne hai?
– Si…
– Va bene,
vai col mio compagno a prendere il latte – gli dice quello che sembra essere il
capo
– Si… ma mi
prendo pure il manto ché fa freddo
Gabriele va a
casa, prende il latte e tre pani, poi raccomanda alla sorella di non aprire la
porta per nessun motivo, se non è lui stesso a chiederglielo, quindi torna
dagli sconosciuti. Santa si chiude dentro e per molti minuti il silenzio regna
opprimente che viene sciolto da due detonazioni di arma da fuoco, una presso all’altra, dal che fece ella il giudizio che tali colpi
erano stati tirati da quelle persone sconosciute per dare il segnale ai
compagni che dissero di attendere
. Poi Santa distingue chiaramente il
rumore di qualcuno che sta cercando di forzare la porta di casa
Apri mannaja Gesù Cristo!
Io non posso aprire se prima non vedo mio
fratello
!
Apri! Ciota, apri, a fratita l’abbiamo
mandato a fare una imbasciata, non ti spagnare!
– Quando
viene fratima apro! – resiste, mentre
spinge il tavolo contro la porta per aumentare la resistenza ai tentativi degli
sconosciuti
Se non apri andiamo ad uccidere tuo fratello
che l’abbiamo lasciato nella casella
!
– No! – ma
adesso è sicura di avere riconosciuto quella voce e la abbina al volto di un
uomo col quale aveva parlato di persona
allorché il Gabriele si trovava carcerato per il voluto stupro
.
“Madonnamia! È il fratello di quella! Allora a Gabriele l’hanno ammazzato…”
pensa
Apri che se no andiamo a prendere la gaccia
e scassiamo la porta
! – continuano a insistere. Poi a Santa sembra di
sentire il rumore di qualcuno che cerca di arrampicarsi sul tetto per rimuovere
i coppi ed entrare da lì. Finalmente Santa capisce che quegli uomini voglio
disonorarla e forse ammazzarla, così si mette a urlare per richiamare
l’attenzione dei pastorelli e, soprattutto, dei cani. I due assalitori
scappano, ma la donna resta chiusa in casa fin dopo il sorgere del sole.
– Gabriè!
Gabriele! – chiama, senza ottenere risposta. Apre una finestra e vede in
lontananza molte persone che vanno nei campi a lavorare. Solo ora, dopo essere
scappati al fragore delle detonazioni, arrivano i pastorelli, accompagnati dal
loro padre – Avete visto Gabriele?
– No…
Tatatata… – urla il più piccolo dei pastorelli – dentro la casella vi è una persona uccisa!
È mio fratello… – dice, sconsolata,
Santa
– No, non è
tuo fratello – le risponde il pastorello
Ma è proprio
Gabriele Chiodo, il bambino si è sbagliato perché il corpo è irriconoscibile
dalle due schioppettate ricevute in pieno viso. Gli assassini gli hanno anche
reciso di netto un orecchio, aperto l’addome a coltellate, rubato il mantello
nuovo e svuotato la tasche.
Tre giorni
dopo, al padre della vittima viene consegnato un biglietto nel quale sono vergate le seguenti espressioni:
Gabriele Chiodo alli 11 di Luglio manciò con
mia sorella ed io alli 25 di marzo 1846 ho manciato con Gabriele Chiodo, che
gli ho fatto un brindisi
. Gli inquirenti non ne hanno la certezza, ma il
sospetto è che l’assassino abbia compiuto un atto di cannibalismo mangiando
l’orecchio di Gabriele Chiodo.
Un paio di
giorni dopo il barbaro assassinio, Salvatore Cozza, Raffaele Arnone e
Ferdinando Granata tornano a Corigliano e qualcuno giura di averli sentiti
vantarsi del crimine. Adesso sono ricercati e vanno tosto ad aggregarsi alla comitiva de’ Longobucchesi che in
quell’epoca infestava le campagne di Rossano
. Ma la permanenza dei tre
comparucci tra i briganti di Longobucco dura solo pochi giorni durante i quali i
longobucchesi, stanchi di menare la vita da latitanti, scrivono al barone Compagna
pregandolo di adoperarsi per far ottenere loro dei salvacondotti. Domenico
Morelli, uno dei longobucchesi,
ottenuto il salvacondotto parte dalla montagna per presentarsi, ma durante il viaggio viene a sapere che gli altri
suoi compari, dissuasi da qualcuno, si
erano dati nuovamente in campagna in compagnia di tre altri casalesi a nome uno
Raffaele nipote del Guerriero, altro a nome Salvatore ed il 3° Ferdinando
.
Addirittura gli dicono che i suoi compagni avevano distrutto a colpi di fucile i salvacondotti.
Morelli torna sui suoi passi per indurre i compagni a presentarsi ma invece, con tradimento, fu da essi
aggredito tirandosi quattro colpi di fucile, dai quali restò ferito. Non
contenti di ciò, gli tirarono diversi colpi di coltello
. Morelli riesce a disarmare
il suo ex compare Luigi Spina e con esso
[coltello] lo mise a morte, dandosi a
precipitosa fuga
, come a precipitosa fuga si danno Cozza, Arnone e Granata.
A questo punto il barone Compagna interviene personalmente e convince i longobucchesi a costituirsi, promettendo
di adoperarsi per garantire loro una detenzione morbida. La notizia giunge alle
orecchie dei nostri tre che decidono di costituirsi.
Seppi che i scorbanditi di Longobucco eransi
presentati. Avendo saputo che i medesimi sarebbero spediti all’isola di Lipari
con un soldo, concertammo di presentarci anche noi onde aver lo stesso
trattamento, senza che avessimo potuto immaginare di esser invece carcerati
sull’atto che non abbiamo commesso alcun reato
– dice Raffaele Arnone
– Invece
siete accusati dell’assassinio di Gabriele Chiodo
– Io non ho
fatto niente
Raffaele
Arnone, figlio di Pasquale Arnone e Maria Caterina Donato, nacque a Trenta il
1829. In realtà era nato dalla relazione adulterina tra la madre e don Lorenzo
Curcio, benestante di Trenta, il quale, fino alla pubertà di Raffaele, se ne
prese cura ma poi lo invitò a
procurarsi da vivere per conto suo e il ragazzo andò a cercare fortuna dalle
parti di Corigliano e Rossano. Di lui esistono delle descrizioni fisiche
abbastanza discordanti: qualcuno lo descrive come un giovine dell’età di anni venti circa, di statura piuttosto alta e
snella, di colore bruno, vestito di arboso con cappello a cervone e con scarpe
a sola
; qualcun altro come basso
piuttosto; barba pochissima; nerastro
. [1]
Vengono
ascoltati decine di testimoni ma non si riesce a trovare nessuna prova certa
che Arnone e Granata abbiano aiutato Cozza a commettere l’omicidio. I tre
vengono sottoposti al riconoscimento dei pastorelli i quali giurano di non
riconoscere nessuno dei tre. Allora viene chiesto di far fare il riconoscimento
a Santa Chiodo che ha raccontato di aver riconosciuto Salvatore Cozza, ma la
donna dichiara che non si fiderebbe
riconoscere le persone di cui parlò nelle sue dichiarazioni precedenti
e i
giudici rinunciano. Poi viene ventilata la possibilità che Don Lorenzo Curcio
si adoperi per trovare falsi testimoni che scagionino il suo figlio naturale
Raffaele, così il Procuratore del re di Cosenza incarica il Giudice Istruttore
di occuparsi direttamente delle indagini perché
spieghi la maggiore energia ed allontani i rigiri delle parti e testimonii che
sembran collusi per favorire la condizione degl’imputati, soprattutto di Arnone
e Granata
. Vengono interrogate le persone considerate più probe di Trenta e Magli per smentire le
dichiarazioni dei testimoni ritenuti falsi e per incastrare Don Lorenzo Curcio,
ma l’esito è sconfortante perché tutti si trincerano dietro dichiarazioni di
circostanza e di non so, non ricordo.
Ormai sono
passati alcuni mesi dal brutale omicidio e adesso viene fuori che i tre sono
imputati anche di incasso per la campagna
in comitiva armata
; questo è un problema perché il nuovo reato è di
competenza della Commissione Militare e non della Gran Corte Criminale, così
quest’ultima, il 23 luglio 1846, dichiara la sua incompetenza e trasmette gli atti
alla Commissione Militare, la quale a sua volta, il 22 dicembre successivo,
dichiara la propria incompetenza a procedere e le carte riprendono la strada
della Gran Corte.
– Verso il 18
marzo 1846 giunsero nel concio Ferdinando Granata, Raffaele Arnone, Vincenzo
Cariati e Luigi Spina, i due primi armati
di pistola ed i due ultimi armati di tutto punto
– racconta Lorenzo Gullo,
fattore del barone Compagna –. Cariati e Spina erano latitanti e tutti e quattro
se la facevano con Salvatore Cozza, mostrandosi
in amicizia fra loro e ne partirono domenica a notte (ventidue al ventitre
dello stesso mese) in unione del Cozza, il quale, secondo il solito, andava a
legnare ne’ boschi. Lunedì mattino, dopo tre ore fatto giorno, venne da legna
il vaticale Francesco De Luca di Casole e disse che Salvatore Cozza avea
lasciato il mulo a Pietro Grande e si era unito in comitiva con i sopradetti
quattro individui
. Poi si seppe che Salvatore Cozza e gli altri erano partiti per vendicarsi, il Cozza, di
un individuo il quale aveva stuprato la sua sorella. Dopo pochi giorni
finalmente uscì la nuova che Salvatore Cozza, in unione di Granata, Arnone e
Cariati, giacché Spina non l’avea seguito, uccisero al stupratore di sua
sorella
Questa
testimonianza è decisiva per Raffaele Arnone e Ferdinando Granata: la
Gran Corte, il 19 giugno 1847, osserva che dalla dichiarazione di Lorenzo Gullo
emerge che non solo Granata e Arnone si unirono a Salvatore Cozza prima del 25
Marzo 1846, epoca del reato, m’anche i latitanti Vincenzo Cariati e Luigi Spina
di Longobucco e potendo stare che fra essi sia il compagno di Salvatore Cozza
che intervenne all’omicidio di Gabriele Chiodo
. Raffaele Arnone e
Ferdinando Granata vengono prosciolti e scarcerati, Cariati lo sarà qualche
mese dopo e a rispondere dell’omicidio resterà solo Salvatore Cozza che, il 18
ottobre 1847 verrà riconosciuto colpevole e condannato alla pena dei ferri per anni venticinque, alla malleveria di Ducati 100
pe’ tre anni successivi ed a pagare in favore della Real tesoreria le spese del
presente giudizio, liquidate in Ducati ottanta e grana sessantanove. E dopo
espiata la pena de’ ferri dovrà, esso Cozza, starsi lontano per trenta miglia
almeno dal domicilio degli offesi, finché non ne abbia ottenuto il
contentamento
.
Raffaele
Arnone il Guerriero se l’è cavata e da adesso in poi comincia la sua vera
carriera di criminale spietato e sanguinario.[2]

[1] ASCS, Gran Corte
Criminale.
[2] ASCS, Gran Corte
Criminale.

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