UFFICIALMENTE SUICIDIO

Il pomeriggio del 7 maggio 1947 il ventitreenne di Santo Stefano di Rogliano, impiegato presso la compagnia di assicurazioni Adriatica, Luigi Ungaro è da solo nella casa di Vibo Valentia che condivide con suo padre Eugenio e il suo fratello maggiore Gennaro, i quali lavorano anch’essi in quella città. Sembra ancora nervoso dopo i rimproveri che suo fratello gli ha fatto, ma si fa la barba e pettina i capelli castani lunghi e lisci, indossa una camicia a mezze maniche bianca, un paio di pantaloni di cotone grigi a righe con una cintura nera di cuoio e fibbia di metallo bianco, mette un paio di scarpe alte nere di vitello allacciate con suole di gomma, si annoda con cura una cravatta gialletta, mette un pullover di lana marrò e sopra questo una giacca di tela grigia alla sport. Scrive in fretta un biglietto che lascia distrattamente su un mobile poi va in cucina, taglia una bella fetta di pane, apre una scatoletta di carne e mangia. Torna in camera sua, apre uno scrigno di legno, prende un fascio di lettere, se le mette in tasca e, finalmente, esce. Va alla stazione ferroviaria di Pizzo Calabro dove acquista un biglietto di terza classe per Paola e si siede nella sala d’aspetto in paziente attesa del treno perché sono circa le 19,00 e il treno partirà solo alle 21,00.
Quando suo padre e suo fratello rientrano e non lo trovano, verso le 22,00, cominciano a preoccuparsi perché non è abitudine di Luigi uscire senza lasciar detto niente, inoltre notano la scatoletta di carne vuota e il mezzo filone di pane che manca. Quando vanno in camera di Luigi rimangono ancora di più sconcertati perché la cassetta di legno che era sempre chiusa a chiave, adesso è aperta e completamente vuota. Padre e fratello escono e si mettono a cercarlo dovunque senza, ovviamente, trovarlo, finché – sono ormai le 2,00 dell’8 maggio – vanno dai Carabinieri a denunciarne la scomparsa.
Il treno proveniente da Pizzo Calabro si ferma nella stazione di Paola a mezzanotte. Luigi Ungaro scende, attraversa i binari e va verso il mare, saranno all’incirca 200 metri, e in giro sembra non esserci nessuno. Nel mare, in lontananza, le luci delle lampare che pian piano si fanno sempre più vicine alla riva.
Giuseppe Fortuna è Sergente Nocchiere di Porto presso la Delegazione di Spiaggia a Paola e ogni mattina prende il treno alla stazione di Fuscaldo Marina alle 7,50 per andare a lavorare e così fa anche la mattina dell’8 maggio 1947. Come ogni mattina sta affacciato al finestrino lato mare e si gode il panorama quando, all’altezza del casello N. 195, località Pisciarelli, fra Fuscaldo e Paola, nota che sul battente del mare c’è un cadavere. Sa perfettamente che pochi metri dopo c’è un ponte in riparazione ed il treno rallenta a passo d’uomo, così decide, per brevità di tempo, di scendere e andare a vedere, anche perché competenza del suo servizio.
Il cadavere era in posizione orizzontale e le acque del mare lo ricoprivano. Giuseppe Fortuna si mette le mani nei capelli e si guarda in giro per vedere se c’è qualcuno che possa aiutarlo a tirare fuori dall’acqua il corpo e vede, a un paio di centinaia di metri, due pescatori. Si mette a urlare per richiamare la loro attenzione e con ampi gesti li invita a correre. I due accorrono subito e per garantire che le acque non asportassero internamente il cadavere, dato che vi era un po’ di maretta, lo tirano fuori e lo adagiano sulla riva, alcune alghe sono attaccate ai vestiti; gli tolgono la giacca per coprirgli il viso, ma Fortuna si accorge che da una tasca spunta una carta di identità, la prende e ne legge il nome: Luigi Ungaro, nato a Santo Stefano di Rogliano il 27 agosto 1924. Immediatamente manda i due pescatori a Paola per avvertire i Carabinieri e i suoi superiori, mentre lui resta a guardia del corpo.
Il Maresciallo Pierino Perona, il Vice Pretore di Paola col cancelliere e il medico legale, dottor Giuseppe Tarsitano, arrivano sul posto alle 12,15 e constatano che il cadavere presenta spiccata rigidità senza note di decomposizione; sul dorso del naso aquilino c’è una contusione escoriata e parecchie altre piccole escoriazioni sul viso; gli occhi, castani, sono aperti con iniezioni vasali nelle sclere; la fronte è al quanto ingrossata con una depressione ben visibile nella regione centrale, di più una larga ecchimosi sulla regione zigomatica sinistra, ma senza lesione di continuo. Il cadavere non è gonfio, né presenta note di macerazione della pelle; né sulla regione del collo, come pure nelle altre regioni si notano lesioni di sorta, né tracce di lesioni che possano far pensare ad una lotta.
Perquisiti gli indumenti, il maresciallo Perona trova nella tasca esterna sinistra della giacca, alcune lettere tutte lacerate ed inzuppate
di acqua, nonché nella tasca interna della giacca un portafogli tutto lacerato contenente la carta d’identità e 32 lire in biglietti di banca: uno da L. 10, tre da L. 5, due da L. 2 e tre da L. 1, nonché 12 fotografie di parenti ed amici del cadavere
. Poi, a circa 200 metri dal posto, i Carabinieri trovano una fotografia del cadavere con una ragazza.
Con grande pazienza, ricomponendo alcuni pezzi ancora leggibili delle lettere, gli inquirenti sono in grado di stabilire che Luigi Ungaro dovesse essere fidanzato con una certa Ida di Santo Stefano di Rogliano e da alcune parole che si rilevano sui manoscritti, hanno la piena convinzione che trattasi di omicidio per gelosia di donne oppure per ragioni amorose.
Subito vengono interessate le caserme di Rogliano per avere conferma della relazione amorosa con Ida e relative informazioni e quella di Vibo Valentia per sapere se Luigi, in quella città, frequentasse qualche ragazza, magari di facili costumi.
Da Rogliano arriva quasi subito un telegramma nel quale si assicura che risulta veritiera la relazione tra i due giovani e che Ida aveva avuto due proposte di matrimonio da due altri giovanotti, ma questi non è possibile che siano implicati nella morte di Luigi perché il primo dei due da parecchi mesi est fidanzato e pare proprio che non si sia mosso dal paese; l’altro trovasi ora Vercelli quale vigile urbano. Allora potrebbero essere sospettati i due fratelli di Ida, ma il Maresciallo Crea lo esclude categoricamente: non risulta che predetti fratelli siansi allontanati 7 at 8 corrente. Quindi, conclude il Maresciallo Perona, L’ipotesi che la morte dell’Ungaro sia avvenuta per fatti amorosi è da escludere in merito quanto è risultato in proposito.
Poi arrivano le notizie da Vibo Valentia e forse qui qualcosa potrebbe esserci: Ungaro Luigi conviveva padre et un fratello maggiore pieno accordo punto Tipo buono molto sensibile affezionato maggiormente fratello punto Ore 17 sette corrente defunto subiva rimprovero centro questa città rivoltogli dal germano su argomentato non accertato motivo punto Seguiva fratello propria abitazione che vi rimase insieme sino ore 18 punto Genitori defunto et fratello partiti seguito notizia disgrazia diretti costà. Si vedrà quando interrogheranno i familiari, ma sembra davvero troppo poco per ipotizzare un omicidio in ambito familiare. D’altra parte sia il padre che il fratello hanno degli alibi d’acciaio perché sono loro due che vanno a denunciare l’allontanamento di Luigi sia dai Carabinieri che al Commissariato di P.S. proprio nella fascia oraria in cui il medico legale ne ha collocato la morte, cioè dopo l’una dell’8 maggio.
I familiari di Luigi ammettono di avere ostacolato in tutti i modi la relazione tra i due giovani e questo fatto è confermato dalle indagini dei Carabinieri di Rogliano che raccontano come Luigi avesse conosciuto la fidanzata, parecchi anni orsono, a S. Stefano di Rogliano ove risiedeva con la sua famiglia. La giovane apparteneva ad una famiglia di misere condizioni sociali e pertanto le nozze erano avversate dalla famiglia dell’Ungaro. Trasferitasi la famiglia Ungaro a Vibo Valentia, Luigi mantenne relazioni epistolari con la Ida che gli spediva le lettere in fermo-posta. La relazione dei due giovani era stata del tutto platonica. Se le cose stanno così, è lecito ipotizzare che Luigi possa essersi determinato a suicidarsi non riuscendo a coronare il suo sogno d’amore con Ida, la quale amava pazzamente. E l’ipotesi viene rafforzata da un’altra ammissione dei familiari: Luigi non sapeva nuotare.
Ma comunque bisognerà aspettare l’esito dell’autopsia per capire qualcosa di più.
Il dottor Eugenio Tarsitano, osservato che il cadavere presentava una bava spumosa bianca intorno alla bocca ed alle narici, lieve macerazione della pianta dei piedi, unghie annerite, iniezione vasale delle congiuntive sclerali, una contusione alla losanga sulla regione zigomatica sinistra, una sul naso e piccole altre escoriazioni sulle altre parti della faccia, che si arrestano ai comuni tegumenti senza interessamento della cartilagine o delle ossa sottostanti, assicura che non ci sono segni di lotta o tracce di altre lesioni o di traumatismo da far pensare a pregressa colluttazione. Procedendo alla sezione degli organi, Tarsitano trova lo stomaco vuoto di acqua, con scarso liquame di detriti alimentari; a livello cerebrale tutto è nella norma e non ci sono fratture ossee; l’apertura della cavità toracica, invece, lascia subito constatare la grande ed anormale espansione delle masse pulmunari, specie quella di sinistra, che si notano strettamente addossate alle costole. Esse sono di colorito nerastro e addirittura piceo alle diverse sezioni; sono soffici, scricchiolanti fra le dita per aria compressa e, spremute, lasciano sfuggire molta aria mista ad acqua, sì da formare della schiuma biancastra. Cosa significa? Secondo il dottor Tarsitano significa che la causa che ha prodotto la morte di Ungaro Luigi è stata l’asfissia. Ne sono prove evidenti le unghie nere, il sangue nero piceo, diffluente, la iniezione vasale delle sclere. E tra le varie forme di asfissia meccanica, quella che più si attaglia al caso in esame è l’asfissia meccanica da soppressione funzionale della superficie respiratoria, da annegamento. Non si può parlare di soffocazione diretta o indiretta, né di occlusione delle vie aeree, come l’impiccamento, strangolamento, strozzamento, non avendo constatato alcuna nota sugli organi interni e sul collo che avesse potuto lontanamente farci sospettare un tale meccanismo di asfissia.
Va bene, ma non potrebbe essere che qualcuno ha colpito con un pugno in faccia Luigi facendolo cadere intontito sulla riva del mare e poi lo ha spinto in acqua producendo tutto quello che ha diagnosticato Tarsitano?
Assolutamente no, assicura il perito, perché le lievi e superficialissime lesioni rinvenute sulla faccia e sul naso sono state provocate a corpo morto nello sballottamento del cadavere sulla ghiaia del lido o contro qualche masso giacente nel fondo del mare; né, d’altra parte, sono state trovate di tale entità da poter causare la morte. Quindi Ungaro Luigi non fu vittima di aggressione o di violenze, ma è morto per annegamento accidentale o per suicidio.
Perfetto.
Il caso sta per essere chiuso ma il padre di Luigi scrive al Pretore di Paola esprimendo i suoi dubbi e rivelando nuove circostanze che, a suo parere, dimostrerebbero che non si è trattato di suicidio ma di omicidio:
Io non so cosa sia risultato dall’autopsia, ma mi sembra una cosa strana che il dottor Tarsitano, da me interrogato, dica che la morte non è stata cagionata dai colpi alla tempia sinistra e alla fronte (questa lesione è riportata nel verbale di esame esterno del cadavere ma non è nominata affatto nella perizia autoptica. Nda), mentre dice che è da escludere anche l’affogamento perché nei polmoni vi era aria e non acqua. Allora di che cosa è morto il mio povero figlio? Il dottor Sansone di Fuscaldo, quello che ha fatto la prima visita sulla spiaggia, mi ha detto che è da escludere il micidio e anche l’affogamento perché non aveva ingerito acqua, ma la morte era stata causata dai colpi alla tempia e nel mezzo della fronte. Come lei sa, furono trovate delle lettere strappate della fidanzata che a sua volta, invitata dai Carabinieri di Rogliano, ha restituito le lettere del mio povero figlio, ma non tutte. Perché le ultime non sono state restituite? Ci erano o ci sono degli altri pretendenti a questa ragazza? In nome della giustizia chiedo che queste persone siano interrogate. Quando sono rientrato a Vibo Valentia, girando abbiamo trovato un minuscolo biglietto così concepito: “Carissimo padre, se non mi ritiro per 3 o 4 giorni non avere nessuno pensiero, Gino”. Questo biglietto è stato da me consegnato ai Carabinieri di Vibo che, a loro volta, l’hanno inviato al Maresciallo di Fuscaldo. Due compagni del mio povero figlio hanno detto che lui aveva detto che sarebbe partito per S. Stefano di Rogliano e che avrebbe pigliato il treno a Pizzo per andare a casa della madre e per farsi dei documenti occorrenti per arruolarsi nell’aviazione, difatti ne aveva parlato anche a me che voleva arruolarsi perché dove lavorava gli davano poco. A Paola il 17 lei non ci era in Pretura, mi dissero che era stato arrestato un delinquente e che questi s’era suicidato in camera di sicurezza, desidererei vedere qualche cosa trovata addosso a quest’uomo. Come lei sa, il mio povero figlio fu anche derubato della moneta, credo che avesse circa 800 lire e anche dell’orologio, un Roscof Will freres con catenina d’ottone e il cristallo in celluloide: inoltre aveva sempre in tasca un pettine al quale mancavano forse 3 denti. Qui all’Ufficio Postale di Vibo mio figlio aveva il fermo posta, sono stato a domandare ma il Capo Ufficio non ha voluto farmi vedere niente, dice che ci vuole la richiesta del Giudice Istruttore, la prego di intervenire.
Quale padre non avrebbe mille legittimi dubbi sulla strana e tragica morte del proprio figlio? Una cosa è certa: del furto di cui parla Eugenio Ungaro non c’è traccia negli atti e d’altra parte è strano che un rapinatore non svuoti completamente il portafogli della sua vittima, prima o dopo avergliele suonate.
Sono queste due circostanze a rafforzare negli inquirenti l’idea che Luigi doveva recarsi in S. Stefano di Rogliano per trovare la fidanzata, trovandosi sprovvisto di denaro, poiché aveva solo presso di sé L.32, come rinvenute nel portafogli, visto che non poteva proseguire perdette il bene dell’intelletto, si avviò lungo la spiaggia dirigendosi verso Fuscaldo, tratto facendo, certamente le sue preoccupazioni, il suo sconforto fecero cedere una crisi sentimentale di suicidio, lacerò tutte le lettere che aveva seco lasciandone parte sulla spiaggia e parte conservò nella giacca ed in un momento veramente ina sperato si gettò a mare e, non sapendo nuotare, decedette per asfissia in seguito annegamento. Resterebbe solo da capire come mai una persona che intenda recarsi in un posto a bordo di un treno per incontrare la donna della sua vita non abbia con sé il denaro necessario ad acquistare il biglietto. Un vero rompicapo.
Intanto Ida nega di aver omesso di consegnare ai Carabinieri le ultime lettere ricevute da Luigi e ne spiega il perché:
Poiché la famiglia di Gino era contraria alle nostre relazioni sentimentali, io decisi sui primi del 1947 di non scrivere più al mio fidanzato, allo scopo di evitargli continue seccature. Nel febbraio mi fu consegnato un biglietto nel quale Gino si lamentava del mio lungo silenzio e si mostrava deciso a rompere con me ogni rapporto. Successivamente, però, senza ricevere alcuna mia missiva, Gino mi fece pervenire, a mezzo raccomandata il giorno di San Giuseppe, un suo scritto nel quale mi diceva di non tener conto del biglietto precedentemente inviatomi al solo scopo di accertare la fermezza e la costanza del mio amore. Mi rivolgeva delle frasi molto affettuose. In seguito a ciò io gli scrissi una lettera e tutto procedette come prima. Successivamente poi, a Pasqua, Gino fece ritorno a Santo Stefano e continuammo, come prima, il nostro amore
– Sai se in quella occasione i suoi familiari lo rimproverarono?
Non posso dire se subì dei rimproveri da parte dei suoi familiari, certo è che partì improvvisamente il martedì dopo Pasqua, mentre mi aveva detto che si sarebbe fermato per quindici giorni.
– E le lettere?
Tutte le mie lettere le avevo affidate ad una mia vicina di casa e, allo scopo di non disturbarla ulteriormente, preferìì bruciare le uniche due lettere, oltre il biglietto di febbraio, scrittemi da Gino dal gennaio all’aprile 1947. L’ultima mia lettera la scrissi il 24 aprile scorso, esortandolo a distruggerla dopo averla letta onde evitargli i soliti rimproveri da parte dei suoi familiari.
– A te hanno mai detto niente i familiari di Ungaro?
Circa un anno fa la madre di Gino mi disse di lasciare stare suo figlio perché doveva studiare. Al che io le risposi di dire a suo figlio che mi lasciasse stare. Poiché assistevano estranei , io mi sentii mortificata dalle parole della madre e pertanto dissi al suo indirizzo: “Ricordati che hai due figlie e Iddio ti compenserà per quanto mi stai facendo”.
Secondo la madre di Luigi, invece le parole pronunciate da Ida furono: “Dio ti punirà” e questo riaccende la polemica sulla possibilità che a provocare la morte di Luigi siano stati i fratelli, o uno dei fratelli, di Ida, ma la pista viene di nuovo scartata.
In una nuova lettera, siamo ormai al 25 gennaio 1948, Eugenio Ungaro dice di avere ricevuto una confidenza secondo cui esisterebbe una testimone oculare che porta il pesce al convento, la quale vide due persone che s’azzuffavano sulla spiaggia e dopo poco vedeva caderne a terra una, mentre l’altra poi s’allontanava. Questa donna ha dichiarato al brigadiere dei Carabinieri Schiavuzzo di non aver conosciuto questo tale, ma ha detto che era uno alto, bruno e coi capelli ricci; questi connotati corrispondono a quelli di un fratello della fidanzata di mio figlio. Poi aggiunge: sarebbe bene che questa ragazza subisse una visita medica che ne accerti se è stata o meno deflorata, allora si potrà stabilire se ci è stato lo scopo del delitto per onore o meno. Pare da mia convinzione che a dare appuntamento alla stazione di Paola in quella fatale notte sia stata una lettera fattagli dal fratello della ragazza che voleva indurlo a sposare subito la sorella. Per il momento non posso aggiungere altro, ma se lei ordina il fermo del fratello, vedrà che forse la verità su questo delitto sarà fatta.
I Carabinieri di Paola identificano la donna e la interrogano. In base a quello che dirà si vedrà se sarà o meno il caso di procedere con una perizia sulla verginità di Ida
Quando V.S. mi domanda di una lite cui io avrei assistito da lontano tra un individuo con la barba ed un altro, io dico che è una invenzione bella e buona! Io non ho mai assistito a nessuna lite e non so perfettamente nulla in merito.
Il caso è chiuso: è ufficialmente suicidio.
COROLLARIO
Verso le ore 19 del 12 maggio 1947 viene fermato a Paola il diciassettenne pregiudicato Camillo Gentile perché gravemente indiziato di una serie di furti verificatisi in Paola da qualche tempo a questa parte. Accompagnato in caserma veniva, in attesa di essere interrogato e messo a confronto con altri arrestati, depositato nella camera di sicurezza non senza averlo prima sottoposto a perquisizione personale, attraverso la quale gli venivano rinvenuti e tolti: un lungo coltello a serramanico con punta acuminata misurante complessivamente cm. 22, la somma di L. 450 in biglietti di banca di vario taglio, due chiavi piccole, un pettine tascabile ed una catenina di ottone. Verso le ore 20,30, nel corso di uno dei saltuari controlli eseguiti attraverso lo spioncino della camera di sicurezza, il militare di piantone notava che restava sordo alla sua chiamata. Insieme al Vicebrigadiere Lombardi aprivano la porta e, con grande sorpresa constatavano che il Gentile, già esanime, pendeva dalla trave di ferro del soffitto a cui si era appeso mediante strisce di coperta legate al collo.
FRAMMENTI
Oh! Quanto ti amo. Poi non dispiacerti più di quel che è successo. Se tu ripeti come ti amo, come sono felice sempre, è perché ho scelto te fra tutte le donne…
Come sei bella Ida, ora nulla potrà dividerci, nulla più…
La nostra unione non ce la impedirà nessuno!…
Nessuno riuscirà a farci separare, soltanto la morte, ma credo che anche dopo morti i nostri cuori e le nostre anime si ameranno eternamente sino alla consumazione dei secoli…
Non sento che te, non voglio che te, vivere con te sempre sino alla morte…
L’ore più belle, l’ore piene di gioie della mia vita le passo pensando e scrivendo a te…
Il tuo indimenticabile che sempre ti pensa, il tuo amato Gino[1]

 

[1] ASCS, Processi definiti in istruttoria.

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