GIULIA LA PAZZA

– Un attimo di pazienza, questo è l’ultimo punto… – dice il dottor Arturo Martino, medico condotto di Rende, al cinquantottenne Gaspare Sottile mentre gli sta ricucendo la ferita che ha sulla testa.
– Ma cola ancora sangue!
– Un uomo grande e grosso come voi, pazienza! Piuttosto spiegatemi come ha fatto a non ammazzarvi con quel coltello!
– Mah! Sono stato pronto a reagire e a disarmarla, altrimenti mi avrebbe ammazzato veramente!
– E perché lo ha fatto? – chiede mentre attacca del cerotto sulla ferita.
– Senza motivo… ci siamo incontrati per strada, si è avvicinata, ha cacciato fuori quel coltello – racconta indicando il coltello con la lama lunga 25 centimetri, ancora sporca di sangue fresco, posato sul tavolo del medico – e mi si è avventata addosso… meno male che avevo il cappello e mi ha riparato un po’ dal colpo… e poi, lo sapete anche voi che è pazza… dovete fare un certificato per farla chiudere in manicomio…
– Certo…certo… qualcosa bisogna farla… intanto voi potete andare, tutto fatto, testa e mano ricucite!
Così Gaspare Sottile esce dallo studio del medico e va dai Carabinieri a sporgere querela contro la sua nipote acquisita, la trentaseienne Giulia Mandarino. È il 27 maggio 1941.
– E non ha detto nemmeno una parola?
– Nemmeno una… senza una ragione… e pensare che le ho cresciuto la figlia… pure testamento a suo favore ho fatto.
– Questa è la riconoscenza umana! Ti capisco… a noi Carabinieri nessuno ci è riconoscente e tu che lo sei stato puoi dirlo con me! Scriviamo questa querela contro la pazza!
La predetta alle ore 15,30 circa del 27 corrente, in contrada Cava, sulla via comunale che conduce in contrada Mutilli, aggrediva e colpiva con un grosso e lungo trinciante tale Sottile Gaspare,
residente in Rende, appuntato dei cc.rr. in pensione. La Mandarino Giulia, improvvisamente, si avvicinò al Sottile e senza che vi fosse stato scambio di parole di sorta, lo aggredì vibrandogli con il trinciante un colpo con il taglio nella regione parietale destra.
Il Sottile, dopo ricevuto il colpo, si difese disarmando la donna del trinciante che impugnava e con il quale tentava ancora di colpirlo.
La Mandarino Giulia ha più volte dato segni di squilibrio mentale a carattere sanguinario. La tendenza a reati di sangue contro terzi è stata dalla stessa manifestato già in un altro grave fatto del genere e la sua mania è quella di andare sempre armata allo scopo di offesa.
Dato che le tendenze sanguinarie della medesima si vanno manifestando sempre più aggressive, dovuto al suo stato alienatorio, si rende necessario ed urgente inviare al manicomio l’alienata medesima, la quale manifesta continuamente di commettere altri fatti di sangue.
– A posto! Adesso l’andiamo a prendere, facciamo un bel verbalino, una visita dal medico condotto che farà il certificato e poi via!
Giulia è seduta davanti al Maresciallo Curzio Iannilli. È calma e fornisce la sua versione dei fatti:
– L’ho colpito perché ha sedotto mia figlia Rosa che non ha fatto ancora undici anni. L’hanno cresciuta come figlia dall’età di anni sei. L’anno scorso nel mese di luglio, la moglie del Sottile mi ha avvertita di prendere con me la mia figliola perché suo marito le faceva delle porcherie mettendole il membro fra le cosce e che lei se ne era accorta perché trovava le mutandine della bambina sporche e che la stessa bambina, da lei interpellata, aveva detto che effettivamente lo zio le faceva cose sporche regalandole dei soldi
– Attenta che questa è un’accusa grave! – l’ammonisce il Maresciallo, che poi le fa segno di continuare.
Io allora ritirai la bambina in casa mia e rimproverai il Sottile il quale tutto negò. In seguito mi ha invogliato a restituirgli la bambina promettendo che le avrebbe lasciato la casa ed io, che avevo creduto che la moglie avesse detto una bugia, ho fatto ritornare la bambina in casa sua. La bambina sempre mi diceva che lo zio continuava a farle porcherie ma lo zio, ai miei rimproveri, rispondeva che non era vero. Finalmente, nel gennaio ultimo feci visitare la mia figlia dal dottor Morcavallo il quale ordinò dei lavaggi e scrisse una ricetta, ma la moglie del Sottile la strappò. Io nemmeno dopo la visita ho creduto a quello che diceva la bambina, poi mi sono persuasa che il fatto era vero e ho ritirato mia figlia in casa mia. Il giorno del ferimento, io col coltello mi avviavo in campagna per trovare delle erbe; incontrai il Sottile e lo rimproverai ancora una volta, ma avendomi egli risposto con una mala parola lo colpii
– Quindi?
– Vi presento la querela in carta da bollo… Io voglio la punizione del Sottile che ha rovinato mia figlia e l’ha ingannata non donandole la casa che le aveva promesso! Voglio giustizia perché qui c’è la pena di morte! – termina porgendo un foglio al Maresciallo il quale, dopo aver dato un’occhiata, gliela restituisce.
– Non la posso accettare, non è firmata da vostro marito… la querela è a nome suo e non l’ha
firmata…
Giulia viene chiusa in camera di sicurezza e il Maresciallo va dal medico condotto che compila un prestampato col quale certifica che la donna è colpita da alienazione mentale e dichiara l’urgenza assoluta di inviare al manicomio l’alienata medesima. Poi va dal podestà e ottiene che sia scritta al Procuratore del re una proposta di ricovero nel manicomio. Ma c’è qualche incongruenza.
Il medico condotto Dott. Martino, interessato per la visita della Mandarino, ha concluso come dall’accluso certificato e cioè per il ricovero della stessa presso il manicomio.
E poiché, nonostante i ripetuti inviti da me rivolti ed al marito ed ai parenti più intimi della Mandarino perché avessero presentato a questo ufficio quattro testimoni per deporre sulla effettiva pericolosità, per sé e per gli altri, della Mandarino predetta e quindi sulla necessità ed urgenza del di lei ricovero nell’ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore, non solo essi non hanno ottemperato all’invito, quanto hanno protestato e dichiarato che la loro congiunta gode perfetta salute sotto tutti i rapporti e non è affetta da alienazione mentale.
Nessun altro cittadino è stato disposto a dichiarare quanto sopra. Per quanto si riferisce al ferimento prodotto dalla Mandarino, con arma da punta e taglio, in persona del Sig. Sottile Gaspare, i
parenti della stessa Mandarino dichiarano che i moventi sono da attribuire ad altre ragioni e non alla pretesa pazzia di essa.
Ciò premesso, pregiomi trasmetterVi i suindicati documenti, con preghiera di voler disporre i provvedimenti da adottare in merito.
C’è da fare un distinguo: sono i fratelli di Giulia a sostenere che non è pazza, il marito, che non firma niente, invece assicura che lo è. I fratelli di Giulia ne confermano il racconto e presentano anche dei documenti che lo avvalorano. Una lettera del Dott. Vincenzo Sicilia, datata 27 maggio 1941, indirizzata a tale Carmine Zupo, molto significativa:
Caro compare, la bambina che io ho visitata stamattina in presenza della madre è stata effettivamente deflorata, avendo io riscontrato la rottura dell’imene. Debbo per coscienza dire che questa rottura non è di data recente, ma di vecchia data. Ho consigliato alla madre di non farne parola perché tutto andrebbe a danno della bambina. Piuttosto si dovrebbe rivolgere allo zio chiedendogli della moneta, tanto più ch’è ricco, e mettere la moneta in un Istituto bancario intestato alla bambina.
Saluti a te e a tutti di casa
P.S. Se il referto medico ti interessa mi devi fare sapere per quale uso ti serve e così io mi regolo se debbo scriverlo su carta semplice o su carta bollata con una marca del sindacato medico. In carta bollata occorrono £ 2 per la marca e £ 4 per la carta.
Inaudito! Ma perché il medico scrive a Carmine Zupo?  Per il semplice motivo che Zupo scrisse un biglietto di presentazione al dottor Sicilia dopo che Giulia gli aveva raccontato la sua storia e lui le aveva consigliato di rivolgersi al medico.
L’altro documento che i fratelli di Rosa presentano al Maresciallo è il famoso testamento, o presunto tale, che Gaspare Sottile scrisse in favore della bambina:
Trovandomi sano di mente e di corpo, col presente testamento olografo lascio erede della mia casa posta in S. Chiara, acquistata dal Comune di Rende, la propria mia nipote (…) da impossessarsene sempre dopo il decesso mio e di mia moglie, rimanendone usufruttuari. Tale lascito rimane subordinato in senso da mantenersi affezionata verso di me e di adempiere nei doveri di assistenza verso di me.
Rende, 14 luglio 1940
Racconta Michele Mandarino:
Io non volevo credere a quanto asseriva mia sorella, volli accertarmi della verità e parlai della cosa alla moglie del Sottile, la quale mi disse che effettivamente era vero che il marito aveva fatto delle porcherie alla ragazza e che la ragazza stessa lo aveva a lei confidato
Poi Umberto, l’altro fratello:
Il fatto lamentato da mia sorella per la figlia è vero. Ella lo ripeteva sempre ma io non le avevo mai creduto. Nel mese di luglio dell’anno scorso volli domandare direttamente al Sottile e alla moglie. La moglie mi disse che era vero perché lo aveva saputo dalla bambina, ma il marito negava e, nel dirmi di non parlare più della cosa, mi consegnò un testamento in favore della bambina. L’ho chiesto anche alla bambina e mi ha risposto di si; non le chiesi altro, né altro mi disse. Quel si mi aveva commosso fino al pianto. Io riferii a mia sorella il colloquio avuto con i coniugi Sottile e le dissi che il Sottile mi aveva consegnato il testamento e così per qualche tempo ella si acquietò. In seguito, non so da chi consigliata, volle consegnato da me quel testamento. Ritengo che il suo consigliere le avrà detto che quella era carta senza valore perché il Sottile ne avrebbe potuto fare un altro in favore di altri. Mia sorella non è pazza. Certamente il fatto della figlia l’ha disturbata, come è naturale
Anche il dottor Oreste Morcavallo, che aveva visitato la bambina trovandola affetta da vulvovaginite non è convinto che Giulia sia pazza:
È un po’ stramba e violenta, ma non la ritengo pazza
– Quando avete visitato la bambina avete constatato se era vergine?
Non ho osservato se la bambina era deflorata o meno perché la madre me la condusse per osservare e curare la vulvovaginite e non mi parlò affatto di porcherie che avrebbe fatto il Sottile sulla bambina. Fu in un secondo tempo che me ne parlò
Antonio Sottile, il marito di Giulia, la pensa in modo diametralmente opposto, sebbene non voglia firmare la richiesta di internamento:
Non ho nessuna richiesta da fare alla giustizia per quanto ha riferito mia moglie circa la mia figliuola, perché non è nulla vero di quanto mia moglie asserisce, ed è stata lei a suggerire a mia figlia di accusare mio zio Gaspare. Mia moglie sempre mi ripeteva che mio zio faceva delle porcherie a mia figlia ma io non ci ho mai creduto e non ci credo perché un fratello di mio padre non poteva arrivare a questo verso una figlia mia.
– Secondo te perché lo ha colpito?
Non so perché, certo è che ella non è sana di mentenel 1933, da una cassa da me chiusa, prese una rivoltella e mi venne in cerca per uccidermi. Mi trovò in casa di un mio zio e la fortuna fu quella che i miei parenti si accorsero subito ed intuirono in tempo il progetto della sventurata pazza e la disarmarono. Io nulla le avevo fattoera un momento così che le passava per la testa…  – Antonio omette, però, di raccontare tutte le privazioni e le violenze a cui sottoponeva Giulia, tali da esasperarla al punto di volerlo uccidere.
Si potrebbe chiedere alla bambina. Il Maresciallo la fa portare in caserma, ma la piccola, intimorita, non apre bocca. Poi, solo dietro continue e ripetute insistenze, dice:
Mio zio Gaspare Sottile mi faceva cose bruttemi faceva porcherie
Le carte vengono richieste dalla Procura di Cosenza e Giulia, dovendo allattare il suo ultimo bambino di 3 mesi, viene messa in libertà provvisoria. I giudici vogliono vederci chiaro nella faccenda della violenza alla bambina e interrogano di nuovo tutti i testimoni e valutano se sottoporre la piccola a perizia medica. Nel frattempo parte la richiesta per il ricovero coatto di Giulia in manicomio e, nell’attesa, viene di nuovo arrestata e portata col suo bambino nel carcere di Cosenza.
Qualcosa, qualche manovra deve essere stata messa in atto perché il dottor Sottile compila un nuovo certificato sulle condizioni della bambina e lo fa recapitare al Maresciallo con una lettera di accompagnamento. Il certificato conferma che la piccola è deflorata, ma questa volta Sottile specifica che nessuna [lesione] fresca sia della mucosa labiale, sia di quella vaginale ho riscontrato e neppure contusioni, graffi, morsi sulle diverse parti del corpo (vecchi o freschi). La narrazione della Sottile, fattami in presenza della madre, non mi è sembrata tanto sincera per quanto ha sempre asserito ch’è stata deflorata dal sig. Sottile Gaspare. Ritengo che la congiunzione carnale che ha prodotto la rottura dell’imene sia avvenuta da più tempo. Faccio appello alla giustizia, anche per debito di mia scienza e coscienza, di sottoporre la Sottile ad un minuzioso interrogatorio, facendola osservare da un altro sanitario.
Sconcertante. E se queste parole sono sconcertanti, quelle contenute nella lettera che scrive al Maresciallo sono di un livello molto superiore:
Montalto Uffugo 6.6.1941
Gentilissimo Maresciallo, anzitutto vi porgo i miei saluti affettuosi.
Poi passo a dirvi che, essendo venuta stamattina di buon’ora Mandarino Giulia, madre della ragazza, ho dovuto compilare il referto medico che troverete qui dentro.
La ragazza, che è stata da me visitata il 27 maggio, nel rispondere alle mie domande ha avuto sempre una certa reticenza. Voi, da maestro, sapete che certi processi si creano per ricatto e perciò dovete indagare bene, tenendo presenti le condizioni finanziarie della piccola e del voluto seduttore e anche la capacità di quest’ultimo a potere commettere atti osceni.
Io non conosco il Sottile Gaspare, però se la versione della Sottile non dovesse rispondere a verità, sarebbe un peccato processare un galantuomo.
Se vi occorre cosa, non mi risparmiate.
Hai capito il dottor Sottile!
Anche il dottor Morcavallo scrive al Maresciallo per prendere le difese di Gaspare Sottile e, tra le altre cose, scrive:
Conoscendo il temperamento litigioso della donna e la condotta intemerata del Sottile, ex carabiniere a riposo, non credetti a tale versione, ma tornando la donna a presentarsi altre volte nello studio la redarguii aggiungendo che tali cose doveva riferirle ai carabinieri e non a me che avevo altro da fare.
Meglio non commentare.
La bambina viene sottoposta a perizia medica e i risultati a cui arriva il dottor Ludovico Serra sono clamorosi: rilevo che presenta l’imene di forma anulare, coi bordi lucidi, continui, sottili, senza interruzione alcuna. Giudico pertanto che è fisicamente vergine.
Ma allora che diavolo ha constatato il dottor Sicilia? Come è stato possibile che sia caduto in un errore così marchiano e così grave? Magari per togliersi Giulia di torno ha dato un’occhiata frettolosa e poi, volendo lavarsi la coscienza ha consigliato al Maresciallo di farla visitare da qualcun altro. Solo nostre supposizioni, magari era solo un cattivo medico.
Però una cosa bisogna evidenziarla: il fatto che la bambina sia vergine non esclude affatto che non sia stata sottoposta a porcherie. È lei stessa che lo precisa al Giudice Istruttore in un drammatico interrogatorio:
Mio zio Gaspare mi faceva sempre delle porcherie, sia in casa, sia in campagna in una pagliaia aperta, sia in un boschetto sotto una quercia, mettendomi quel coso in mezzo alle cosce dopo avermi tolto le mutandine e bagnandomi tutta. Certe volte avvicinava il suo coso al mio pipì e mi faceva sentire dolore. Io la prima volta gli ho tirato uno schiaffo perché non volevo e anche le altre volte cercavo di resistere, ma egli si imponeva con la forza
– Ti faceva solo quello che hai appena detto?
Quando mi faceva le porcherie in casa, in assenza della moglie, mi faceva sedere su di una sedia e lui si metteva a cavalcioni su di me. Non ho visto mai il suo coso, né me lo ha fatto mai toccare, solo me lo sentivo in mezzo alla cosce e vicino la natura e non era una cosa dura, ma una cosa moscia. Qualche volta mi fece anche del male perché intesi dolore e sempre mi sentivo bagnata. Io sempre che mio zio mi faceva le porcherie lo riferivo alla moglie, la quale lo rimproverava ogni volta, mentre egli negava tutto
Poi il Giudice le chiede se se la sente di andare nei luoghi dove sono avvenute le violenze e la bambina accetta. Le parole che usa il Magistrato fanno capire che è la piccola, senza che nessuno le suggerisca nulla, a guidarlo con sicurezza nei posti. Infatti scrive: ella ci conduceci informaci ferma e ci fa vedere una casetta adibita a pagliera nella quale asserisce che per due volte al tempo della trebbiatura, l’anno scorso e l’anno precedente, ha subito dall’imputato gli stessi attiqui sotto questa quercia mi fece le porcherie al tempo in cui vi era la neve e trasportavamo della legna
Altro che la pretesa reticenza descritta dal dottor Sicilia!
Gli sforzi per mettere al sicuro Gaspare Sottile non producono gli effetti sperati: la testimonianza della bambina, le precise accuse dei suoi zii materni, il certificato medico del dottor Morcavallo che le ha riscontrato una vulvovaginite e altri piccoli indizi convincono il Giudice Istruttore che non si trova davanti a un caso di violenza carnale ma piuttosto a un caso di atti di libidine violenta continuati e aggravati dall’abuso di relazioni di ospitalità, nonché di atti osceni in luogo esposto al pubblico ed emette un mandato di cattura nei confronti di Gaspare Sottile il quale viene arrestato e portato nel carcere del capoluogo. La sua difesa consiste nel negare (ovviamente) ogni tipo di violenza, attribuendo l’aggressione nei suoi confronti alla pazzia di Giulia, che avrebbe voluto la donazione immediata della casa e non il testamento. Anche sua moglie sostiene la stessa tesi e nega recisamente di aver mai confidato ad alcuno che il marito avrebbe compiuto atti sessuali sulla nipotina.
Giulia, intanto, allatta il suo bambino in carcere e invano viene chiesta di nuovo la libertà provvisoria. Poi arriva l’ordine di trasferimento al manicomio giudiziario di Aversa. Quando le tolgono la creatura dal seno reagisce come avrebbe reagito una qualsiasi madre nella stessa situazione: si graffia il viso, si strappa i capelli, batte la testa al muro, urla, bestemmia, piange. Le costerà caro.
Il 22 agosto 1941 Giulia entra nel manicomio giudiziario di Aversa dove il dottor Giovanni Amato la sottoporrà a perizia psichiatrica.
Alle prime osservazioni la Mandarino apparve depressa, astenica, fisicamente alquanto deperita. Dopo le ordinarie operazioni di accettazione seguì l’infermiera nel reparto assegnato e presentò i primi segni di insofferenza. Condotta alla presenza del medico protestò subito, con petulanza ed insistenza, contro il ricovero richiedendo che le venisse resa al più presto giustizia. Tutti, a suo parere, si erano fatti corrompere dai suoi nemici e l’avevano fatta passare per matta, ottenendo in tal guisa il suo ricovero per allontanarla dal luogo dove ella doveva far valere le sue ragioni. Così il
dottor Amato descrive il primo impatto con l’imputata.
Poi passa a descriverne i dati morfologici: Tutta la persona lascia trasparire note di angolosità che mal si attagliano al sesso. I seni sono simmetrici ma penduli, il torace poco ampio, l’addome globoso, il bacino regolare di tipo materno. Dalla accurata antropometria segmentaria si nota che alla statura di m. 1,52 si oppone una apertura delle braccia di m. 1,56 vale a dire con una prevalenza di cm. 4 sull’altezza totale che deve ritenersi anormale in relazione al tipo costituzionale della donna e costituisce un fenomeno a carattere reversivo, cioè una manifestazione di limitata evoluzione antropologica, con note di rozzezza e di rudimentarietà. Siamo, insomma, di fronte a gruppi di segni che sono appannaggio delle costituzioni primitivamente anormali dalle quali, in qualsiasi momento, può evolvere per cause endogene ed esogene un episodio psicopatico.
Circa le funzioni psichiche, Amato annota che si tratta di una paziente che rientra nel quadro della sindrome depressiva e rivelava una reazione affettiva sostenuta da gruppi ideativi a contenuto di nocumento. Il ricordo delle sofferenze subite ad opera del marito e del danno subito dalla figlia ad opera dello zio costituivano i nuclei di polarizzazione attorno ai quali la dinamica del pensiero si condensava. Poi, dopo la somministrazione di cure medicamentose, Amato osserva che le note della depressione andarono gradualmente sfumando. Il superamento dello stato di acuzie della psicopatia andò verificandosi lentamente e la mandarino prese contatto con l’ambiente in cui viveva mostrandosi adattabile e socievole, mentre prima rifuggiva sistematicamente dai contatti con altre ricoverate e mostrò desiderio di essere occupata nel laboratorio in lavori di cucito e rattoppo. In tale periodo anche il bilancio fisico presentò note di spiccato miglioramento tanto che la donna, da allora ad oggi, può ritenersi stabilizzata nelle condizioni generali su un piano di risorse fisiche abbastanza saldo. Oggi la Mandarino è molto diversa da quella che si presentava all’atto dell’ingresso nel Manicomio ed il giudizio medico-legale dovrà appunto tener conto di tale mutamento avvenuto nella degenza.
Ma se complessivamente Giulia sembra superare lo stato depressivo, le note negative, per Amato, sono nella sua sfera affettiva, ipertrofica nei riguardi della prole, mentre si rivela inaridita nei confronti dell’affettività coniugale. Difettano del pari i sentimenti di patria e di umanità, tanto che le sventure altrui non toccano che molto superficialmente l’animo dell’imputata.
Il perito arriva al nocciolo della questione: al momento dell’aggressione, Giulia era in grado di intendere e volere? Intanto Amato ammette che alla formazione di tale situazione ha contribuito non poco il giudizio dei medici in ordine alla verginità della figlia, tanto da fare affermare al marito che era dominata da errori ideativi e al medico che compilò la richiesta di ricovero che la donna era affetta da idee deliranti paranoiche, con tendenza a reati di sangue contro terzi. Esisteva, dunque, oltre le note costituzionali da noi rilevate, una condizione di perturbata coscienza fomentata da elaborazioni subiettive che si identificano fino a confondersi con una vera e propria psicosi ossessiva, deviata, subito dopo il reato, nella distimia depressiva manifestatasi in pieno nelle carceri, tanto da imporre l’allontanamento della creatura che la donna allattava (qui il dottor Amato sembra contraddirsi perché a pagina 33 della perizia ammette che “In quell’epoca allattava un bambino di cinque mesi che le venne tolto in carcere. Per la disperazione ella si graffiò tutta e dopo un mese e mezzo la mandarono in questo istituto”. In nessun atto del processo si menziona un cattivo comportamento in carcere, tale da arrivare a un provvedimento di allontanamento del bambino. nda). L’idea di una reazione sanguinosa contro lo zio, autore presunto di un grave danno patito dalla figlia, sorse evidentemente nella Mandarino come legittima valutazione di un diritto a farsi giustizia, quando gli estranei e lo stesso marito ai suoi occhi apparivano interessati negatori di tale diritto. La perizianda, pertanto, giunse al reato attraverso una serie di dinamismi psicologici, ciascuno dei quali era inquinato dalla psicopatia e, appunto perciò, ciascuno dei quali sospingeva la donna verso il delitto nella precipua insufficienza morbosa del complesso gruppo di controstimoli inibitori che avrebbero dovuto operare a salvaguardarla da impulsi antisociali.
Possiamo quindi affermare che, sebbene la sindrome depressiva sia attualmente in via di reintegrazione, tale complesso morboso potenziato da idee ossessive di danneggiamento e di rivalsa era in atto all’epoca del commesso reato ed aveva valore e vigore tale da escludere nella imputata la capacità di intendere e di volere. Fino a quando la Mandarino non abbia sicuramente superato la psicopatia deve ritenersi persona socialmente pericolosa e ciò prevalentemente con finalità curative e di profilassi sociale.
È il 19 agosto 1942 e il dottor Giovanni Amato ha impiegato un anno per giungere alla diagnosi.
Adesso si può procedere alle richieste della Procura: non doversi procedere contro Mandarino Giulia perché si tratta di persona non imputabile a causa del vizio totale di mente, ordinandone il ricovero in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore ad anni due (salvo riesame) e il rinvio a giudizio per Sottile Gaspare per rispondere dei delitti di atti di libidine violenti ed atti osceni. Il 2 novembre 1942 il Giudice istruttore accoglie le richieste e si può fissare il dibattimento.
In tutto questo non ci siamo scordati della bambina che viene cresciuta, senza l’intervento di un provvedimento giudiziario, dallo zio materno Umberto al quale, però, viene negata la costituzione di parte civile in quanto la patria potestà è ancora esercitata dal padre legittimo e non esiste agli atti, come sostenuto da Umberto Mandarino, nessun atto di infermità mentale che ne possa giustificare la perdita. Così Umberto Mandarino si rivolge a un giovane procuratore legale, Orlando Mazzotta, il quale presenta ugualmente una memoria per sostenere i diritti della bambina nel processo che è stato fissato per il 3 aprile 1944.
La piccola è rimasta sola in un processo così grave, così delicato, così importante per lei.
Importante per lei non solo per la mortificazione di oggi, per la sofferenza morale che ella ormai sente affacciandosi già alla vita cosciente di giovanetta troppo presto provata dalla cattiveria e dalla vigliaccheria degli uomini, ma per il suo buon nome di domani quando ella dovrà rendere conto della sua moralità alla ristretta cerchia sociale in cui dovrà vivere.
Sola: la mamma al manicomio; il padre nemico ed incosciente anch’egli; lo zio, unico amorevole parente, non ammesso come procuratore.
Sola, povera bambina, a sentir dire male della mamma che l’ha difesa come le madri difendono i figli; a sentirsi dire che è una piccola bugiarda come vogliono affermare gli pseudo-scienziati quando della psicologia veramente… infantile richiamandosi ad una cautela giustamente raccomandabile ai giudici: cautela che non vuol dire però pregiudizio e tanto meno motivo di non ricevere.
Sola, piccola bimba ignara ma tranquilla, serena e sicura di quello che ha subito, di quello che ha detto, di quello che dirà ai giudici, i quali, serenamente come sempre, l’ascolteranno con il massimo interesse perché nei delitti del genere è la voce della vittima quella che conta perché è l’unica voce che può dire quanto è accaduto, quanto è stato sofferto. Non ha detto sempre questo la Cassazione?
Vogliamo darle quella voce di difesa che le è stata soffocata per una restrittiva interpretazione della legge che le avrebbe dato la possibilità di farsi rappresentare, se il Tribunale avesse avuto la lodevole diligenza di chiedere al Distretto Militare di Cosenza una copia del foglio matricolare di Sottile Antonio, padre della fanciulla, dal quale foglio sarebbe risultato che costui fu “riformato per deficienza psichica”.
A Rende, all’epoca dei fatti era un maresciallo dei carabinieri che doveva avere spiccatissimo quello che in gergo militare viene chiamato “spirito di corpo”. Quel maresciallo, spinto da così pungente spirito di solidarietà che il codice chiama omertà per gli altri, cercò subito e  sempre di salvare il suo compagno d’armi Sottile Gaspare, appuntato dei RR.CC. in pensione! Perciò lo dichiarò di “condotta intemerata” ed “incapace di commettere atti immondi”. Poi, approfittando delle condizioni mentali, più o meno morbose, della madre della fanciulla, Mandarino Giulia, l’ineffabile maresciallo credette di trovare la via della salvezza per il suo ex commilitone dicendo di aver appreso da Sottile Antonio che “la moglie stuzzicava e consigliava la figlia a dire che lo zio le faceva delle porcherie”. E non contentandosi di tanto, iniziava una corrispondenza epistolare veramente sui generis con quel dott. Sicilia, corrispondenza che culminò con quel capolavoro di certificato in cui quell’appello alla giustizia fatto dal medico assume un significato tutto nuovo ed un sapore tutto suo particolare.
E meno male che i processi non si fanno sempre con le dichiarazioni dei soli carabinieri e “niente altro”, ché sarebbe un vero disastro. Noi chiediamo che il processo si legga tutto, come del resto i Magistrati fanno senza bisogno di richiesta alcuna.
Non possiamo prendere conclusioni di parte civile. Affidiamo la difesa della piccola alla giustizia del Tribunale ed alle cure del Pubblico Ministero al quale ci rivolgiamo perché voglia esercitare, ai sensi dell’art. 105 C.P.P., l’azione civile nell’interesse dell’incapace e riparare così all’inconveniente da noi lamentato.
Il dibattimento, al quale il padre della bambina non assiste nonostante sia stato citato come teste a carico, si svolge in una sola giornata e i pochi testimoni presenti si rifanno a quanto hanno già messo a verbale durante l’istruttoria.
Quando il Pubblico Ministero formula le sue richieste di assoluzione per insufficienza di prove per il reato di atti di libidine e di non doversi procedere per quello di atti osceni per intervenuta amnistia, il processo è segnato.
La Corte accoglie la richiesta e delibera di conseguenza.
La sua condanna resterà morale e se non potrà essere una vera ed adeguata punizione per lui, sarà un riconoscimento ed un omaggio alla verità che farà bene alla povera fanciulla che avrà in certo modo tutelata la sua reputazione avvenire, aveva pronosticato Mazzotta.[1]
22 agosto 1941 – 3 aprile 1944: 2 anni, 7 mesi e 12 giorni. Giulia Mandarino è ancora rinchiusa nel manicomio giudiziario di Aversa.

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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