IL MAZZINIANO DI FIUMEFREDDO

È da un po’ di tempo che il ventiquattrenne Raffaele Pepe mantiene un comportamento sospetto agli occhi dei Carabinieri di Fiumefreddo Bruzio sospettandolo di avere idee sovversive, però non sanno come incastrarlo perché ha la capacità di non rompere mai quel fragile filo che divide il lecito dall’illecito. Poi al Brigadiere Pasquale Arcudi viene un’idea. Il 18 febbraio 1870, presi carta, penna e calamaio, scrive un rapporto di denuncia a carico del nostro:

Abbiamo osservato da qualche tempo a questa parte tal Pepe Raffaele di Florestano, essendo privo di sufficienti mezzi di sussistenza per essere le sue sostanze troppo tenui, sta sempre nell’ozio senza esercitare alcuna professione o mestiere ed intanto vive con lusso e disturba di frequente la pace dei buoni concittadini; e per conseguenza di ciò, volendo adempiere ora al nostro dovere, denunziamo il Pepe stesso alla giustizia affinché possa procedere alla di lui necessaria ammonizione.

Oziosità. È questa la chiave per incastrarlo. E anche il Sindaco ci mette del suo certificando che nemmeno le sostanze del padre, quasi pure nullatinente esercitando il mestiere di mugnaio, possono giustificare il lusso in cui Raffaele vivrebbe e che quindi ben si può appropriare al ripetuto Raffaele Pepe la caratteristica di ozioso.
Scattata la denuncia parte l’iter giudiziario che prevede anche l’accertamento degli eventuali precedenti penali e qui qualcosina che potrebbe nuocergli risulta: qualche denuncia per violazione o tentata violazione di domicilio, qualche denuncia per lesioni lievi e percosse, porto d’arma insidiosa e, udite udite, oltraggio con parole ad agenti della Forza Pubblica e oltraggio e percosse contro persone legittimamente incaricate di un pubblico servizio. Cose, queste ultime, che in quel tempo ancora burrascoso non gli gioveranno di certo in un nuovo processo.
Il 21 febbraio si tiene la prima udienza del procedimento davanti al Pretore di Fiumefreddo e Raffaele, prendendo la parola per controbattere alle accuse che gli vengono mosse, stupisce tutti i presenti quando chiede e ottiene, a norma di legge, di dettare le sue dichiarazioni. Poi attacca
Quantunque questa mattina mi manca la voce perché stanco di aver parlato con le Autorità Superiori di Cosenza, e propriamente col Signor Procuratore del Re, pur nondimeno, stropicciandomi bene bene le mani, debbo pronunziare due paroline anti la intiera giustizia dei tempi nostri! Oggi è tempo di fare una lezione al Governo, e propriamente agli uomini che lo rappresentano. È tempo che ogni abuso cessi e che la libertà individuale sacra. Io non sono un ozioso come tuttavia mi vogliono rappresentare, ma sono un onesto basso ufficiale reduce dalle patrie battaglie (queste paroline toccheranno un po’ i nervi alla nostra intiera giustizia?). è bella che un figlio di famiglia che convive col padre, il quale è agiatissimo industriante, puote ritenersi come ozioso? – il Pretore tamburella nervosamente le dita sul tavolo mentre osserva il cancelliere attento a non sbagliare nemmeno una virgola della dettatura. È evidente che nessuno dei due gradisca quel tono quasi di scherno – Dall’altra parte e propriamente per far notare a questa giustizia che la mia condotta si politica che morale è buona, presento un pubblico attestato alla giustizia stessa e chiedo che venga inserito negli atti di questo famoso processo e le persone indicate possono essere intesi a testimone. Faccio osservare parimenti alla stessa giustizia che l’articolo 435 Codice Penale sanziona che per essere tenuto ozioso, un individuo dev’essere sano e robusto e non provveduto di sufficienti mezzi di sussistenza e che vive senza esercitare arte, professione o mestiere. Nella specie manca l’elemento essenziale, quello cioè di non esser provveduto di sufficienti mezzi di sussistenza giacché tali mezzi mi vengono somministrati da mio padre, il quale, come abbiamo detto, è un uomo agiato ed industriante, vivendo io col medesimo in famiglia. Aggiungo che fino all’anno scorso ho esercitato il mestiere di sarto e scritturale. Ora, vedendo che detto mestiere di sarto mi nuoce perché non sento in me una florida salute, tanto che il Consiglio di Leva di Paola mi ha fatto rivedibile. In ogni caso, di tanto in tanto aiuto il mio maestro sarto Leopoldo Miceli a cucire degli abiti e sono anche adibito dal Segretario Comunale per svolgere dei lavori da scritturale. Sono stato anche raccomandato per entrare in questa Pretura nella qualità di amanuense.
Pepe fa mettere a verbale anche la sua lite con l’usciere della Pretura, la denuncia fatta al Pretore stesso che per quella lite lo aveva fatto (ingiustamente) arrestare e tutte le altre beghe avute coi maggiorenti del paese e poi lancia l’affondo finale
– E bene? che cosa vogliono di me? Vogliono forse vendicarsi di questo giusto operato? Che lo facciano pure. Poi, se non vogliono ritenere questo, vi è un articolo di legge di Pubblica Sicurezza, che io non ricordo con precisione, il quale sanziona che un cittadino benemerito, non avendo ove applicarsi, puote dalla legge stessa farsi applicare. E dunque che mi indicassero un burò da poterci scrivere perché io non sono negativo
Si, è proprio un rompiscatole questo Pepe!
Il Pretore Domenico Mannoccio confuta tutte le sue affermazioni e gli commina la severa ammonizione di darsi immediatamente a stabile lavoro e di fornirne la prova entro quindici giorni e di non allontanarsi dal luogo di residenza senza prima ottenerne l’autorizzazione dalle autorità politiche. Pepe fa ricorso e il provvedimento viene annullato. Il problema, per lui, è che ormai è nel mirino in quanto più che sospettato di essere un mazziniano e gliela faranno pagare cara. Deve stare molto attento.
E Raffaele sta attento per qualche anno, poi accade qualcosa che rende possibile la vendetta dei suoi nemici. È il 14 agosto 1874 e nella sede della Pubblica Sicurezza di Cosenza il Delegato Giuseppe Gajulli sta scrivendo un rapporto sul nostro
Essendo che il nominato Pepe Raffaele, conosciuto per sentimenti repubblicani ed internazionali, abbiamo portato la nostra continua attenzione sulla sua condotta e si è perciò potuto constatare che, tenendo egli di niun conto l’ammonizione ricevuta il 21 febbraio 1870, in disprezzo della legge muove spesso dal paese per motivi politici senza darne avviso all’Autorità politica, recandosi a Cosenza ove pubblica un giornale sotto il nome de Il Grido del Popolo nel quale, diffondendo le affermazioni repubblicane ed internazionalistiche che hanno dato origine alla recente formazione delle Bande Romagnole, mira evidentemente ad eccitare le passioni popolari meno avvedute ed a far sorgere istinti e moti contrarii alle nostre istituzioni ed alla pubblica tranquillità in generale.
In vista di ciò, noi Delegato stando a circa le 8 p.m. del sud.o giorno a passeggiare lungo la strada Giostra ad oggetto di sorvegliarlo, ci siamo accorti che servatamente ed in modo sospettoso distribuiva degli stampati, circostanze queste da farci dubitare che andasse propagando massime repubblicane ed internazionalistiche per turbare l’ordine pubblico. In conseguenza di ciò, risultando senza dubbiezza che costui non ha ottemperato all’ammonizione subita e continuando a mantenere una condotta biasimevole sotto ogni rapporto tanto da essersi reso un pericolo alla sicurezza interna dello Stato, noi Delegato lo abbiamo dichiarato in contravvenzione all’ammonizione, indipendentemente dalle altre circostanze che interessano la sicurezza dello Stato.

Il Delegato e gli agenti che lo accompagnano perquisiscono Raffaele e gli trovano addosso le bozze del prossimo numero de “Il Grido del Popolo” con articoli incriminabili, nonché un numero di schede per affiliazione al giornale e un fascio di lettere. Per sua fortuna nella camera in cui alloggia non trovano niente.
L’ammonizione è decaduta e dirò dippiù che il Sindaco del luogo nello stesso anno 1870 cioè dopo l’ammonizione mi rilasciò un passaporto per l’Estero allo scopo di andare, come andai, a militare sotto le bandiere di Garibaldi in Francia. Il mio arresto è stato illegale ed energicamente protesto contro l’operato della pubblica sicurezza – attacca quando il Giudice Istruttore Francesco Gubitosi lo interroga –. Altre imputazioni per reati politici non possono sussistere perché nulla ho mai operato contro le istituzioni che ci reggono. Non feci altro che dichiarare liberamente il mio sentimento di repubblicano e lo feci allo scopo d’illuminare il popolo affinché s’istruisse man mano e divenisse degno, quando che sia, della forma di Governo Repubblicano.
– E quelle lettere? Qui ce n’è una molto sospetta – gli contesta il Giudice mostrandogliela – cosa sono questi puntini sospensivi?
Son lettere di amici concernenti la diffusione del giornale istesso. Così la lettera sottoscritta Pietro Rende, mio amico di Nicastro domiciliato in Catanzaro ove dirigge il Giornale di Mongibello, allude ad una riunione pubblica allo scopo di promuovere la diffusione del giornale e giudicare principalmente se quegli amici approvavano il mio programma e le mie idee Mazziniane. Credo che le parole omesse al rigo ottavo dove sono quattro punti sospensivi, cioè dopo le parole “si è stabilito di…. “ volesse dire di mandare qualche soccorso al Giornale e le parole omesse al rigo decimo ove sono cinque punti sospensivi dopo la frase “non essere l’ultima Provincia ri…..” credo volean dire di far eco al mio programma…
– E questo manoscritto?
Il manoscritto “C’era una volta un re” è un parto della mia fantasia nelle ore di ozio e lo tenevo per regolarmi se dovessi o no pubblicarlo: esso non allude affatto alla persona del Re
– Avete delle prove concrete a vostra discolpa?
Ho l’onore di fare osservare alla giustizia che un insigne pubblicista inglese, commentando le guarentigie che assicurano la giustizia in Inghilterra, scrisse che riteneva i Magistrati quali numi che scendessero qualche volta in questa terra per amministrare la giustizia. Io non domando quindi protezione od altro, ma rispetto a quella legge che si dice uguale per tutti. Io sono innocente e non credo di avere bisogno di pruove a discarico
La perquisizione domiciliare a Fiumefreddo ha esito positivo. Il Delegato Gajulli, tra un’immensità di carte che attentamente si sono lette, ne trova diverse che tendono a turbare le nostre istituzioni e la pubblica tranquillità in generale, ragion per cui son tutte sequestrate e raccolte in un pacco. Alcuni documenti comprometterebbero il cosentino Francesco Barrese, ma la relativa perquisizione domiciliare non dà alcun esito, altri parlano di Rosario Perrusi di Fiumefreddo, ma anche in questo caso non ci sono prove.
Da molti paesi cominciano ad arrivare segnalazioni di giovani che eccitano il malcontento contro il Governo ed istillano nelle masse principi internazionalisti e repubblicani: è il caso, per esempio, dei roglianesi Luigi Montemurro di 18 anni e del ventenne Giovanni Domanico, ma anche in questi casi le accuse rimangono solo delle voci.
Si arriva nientemeno che a paventare uno sbarco di repubblicani sulla costa tirrenica tra il fiume Savuto e il fiume di Nocera Terinese dove c’è un passo di via per internarsi nel Nicastrese, dove pochi anni or sono fu teatro di un’insurrezione. Molti Carabinieri dell’entroterra vengono distaccati nelle caserme di Amantea e Aiello Calabro per essere pronti a rispondere all’invasione. Si sospetta anche che due pericolosi repubblicani, Pietro Grande e Giovanni Bonfantini siano potuti sbarcare con un vapore nel porto di Paola e quando dai registri si scopre che Bonfantini si è imbarcato il 14 giugno 1874 sul vapore “Flavio Gioia” diretto a Reggio Calabria, le autorità sono quasi nel panico.
Intanto, mentre Raffaele Pepe è in carcere, i Carabinieri di Paola stilano un elenco di persone che facevano parte della società operaia formata in Fiumefreddo dal noto Raffaele Pepe: i suoi due fratelli Francesco e Giuseppe, suo padre Florestano, Beniamino Malito, Marino Verre di Nicola, Francesco Pisani, Giuseppe Colonnese, Francesco Chiappetta, Fortunato Pedatella, Marino Verre di
Luigi e Battista Morelli. Non trovo superfluo il manifestare alla S.V. che i suddetti sono chi più chi meno gente pericolosa, scrive il Comandante della Tenenza dei Carabinieri di Paola al Giudice Istruttore.
Ma tutte le indagini che si fanno non portano a niente e pare proprio che Raffaele Pepe sia l’unico repubblicano in giro. Per lui viene chiesto il rinvio a giudizio per contravvenzione alla precedente ammonizione per essersi allontanato dalla sua residenza senza preventivo avviso all’Autorità politica del luogo e, nonostante le carte parlino chiaro sull’insussistenza del reato, viene rinviato a giudizio, ma ovviamente ne esce pulito.
Avrà calmato i suoi bollori rivoluzionari? Nemmeno per idea, lui è uno tosto e le idee vengono prima della tranquillità.
Due anni dopo, nel mese di agosto del 1876, viene recapitata in Procura a Cosenza una copia dell’opuscolo “Almanacco Repubblicano” diretto dal nostro Raffaele Pepe.
Il Giudice Istruttore Sergio Pizzi va personalmente alla Tipografia Municipale per sequestrare tutto il sequestrabile ma, mestamente, Pizzi deve ammettere che la visita è risultata infruttuosa non avendo rinvenuto altre copie dell’opuscolo incriminato, oltre le sette che il proprietario delle tipografia, Francesco Principe, gli consegna. Poi avendo stragiudizialmente saputo che in casa dell’avvocato Domenico Lepera vi è il deposito delle copie stampate concernenti l’opuscolo incriminato, va a fargli una visitina.
– Qualche giorno fa mi è arrivato un pacco da Fiumefreddo spedito da Raffaele Pepe – dice Lepera – e dentro c’erano centodieci copie dell’opuscolo intitolato Almanacco Repubblicano, con l’incarico di tenerle fino a tanto che non mandava altra persona a ritirarle onde smaltirle. Pepe è un mio cliente e gli ho fatto il favore, ma non conosco il contenuto dell’opuscolo. Le copie sono ancora nel pacco così come me le ha mandate.
Subito viene disposta una perquisizione nel domicilio di Raffaele Pepe a Fiumefreddo e vengono sequestrate, custodite in una cassa, quarantacinque pagine manoscritte ed una stampa intitolata “La Fiamma”; sopra una scrivania vengono repertate tre lettere, due stampe intitolate “Circolare” ed un manoscritto composto di cinque fogli piegati in quarto; sopra le tavole del letto trovano due copie di Almanacco, una dell’anno 1872, composta di facciate numero centocinquantanove, e l’altra del corrente anno di facciate centotrentaquattro. Viene subito rinviato a giudizio per avere espresso vigliacche contumelie contro la Sacra Persona del Re. Raffaele se la cava anche stavolta perché viene ammesso a godere dell’amnistia promulgata il successivo 2 ottobre.[1] 
Raffaele Pepe, oltre ad essere stato fatto oggetto di un attentato alla vita, subirà altri 39 procedimenti penali, tutti per reati legati alla sua attività politica, l’ultimo dei quali nel 1912 per oltraggio al re: quasi 43 anni di lotta politica contro la monarchia senza mai piegarsi e senza mai scendere a compromessi. Un eroe sconosciuto.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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