SUPERBA E LINGUACCIUTA

Giuseppe Croce, ventottenne contadino di Campana, la mattina presto del 19 agosto 1953 si avvia verso la campagna tenendo per le redini il suo puledro baio. È diretto in contrada Manche di Campana dove sua moglie, la ventiseienne Concetta Urso, tiene in fitto un appezzamento di terreno in società con una sua intima amica, Angelina Grilletta.
Il giovane arriva sul posto verso le 7,00 e, legato il puledro a un albero di ciliegio, si stende all’ombra ad aspettare l’arrivo delle due donne. Aspetterà a lungo, quasi 9 ore, e quando le vede si mette in piedi.
Giusè, qua sei venuto? – gli dice Angelina, forse un po’ sorpresa, salutandolo con un gesto della mano. Concetta, la moglie, invece non gli dà retta, come se non avesse visto nessuno e, fermatasi sotto un albero, comincia a cambiarsi d’abito per lavorare nell’orto. Si sfila dal collo una collana d’oro con un pendente a forma di stella, al centro del quale è incastonato un rubino, la avvolge in un fazzoletto e ripone il tutto in una tasca della gonna, che subito dopo si sfila e ripone sull’erba secca, così come gli altri indumenti; poi si inoltra nel campo coltivato con in mano la sua zappa.
Angelina, invece, si ferma nei pressi di Giuseppe ad armeggiare con il tappo della vasca di irrigazione e, mentre l’acqua comincia a defluire lungo i solchi nei quali sono piantati peperoni, pomodori, fagiolini e altri ortaggi, comincia a parlare con l’uomo:
Oggi è successa una guerra, la sorella di tua moglie vuole le tavole del letto e la padrona della casa vuole essere pagata la metà del fitto – gli dice mentre zappetta la terra per evitare che l’acqua esca dai solchi.
Va bene, pagherò. Ormai ci sono capitato in questo tradimento e devo aver pazienza… – le risponde allargando le braccia, poi continua – per il matrimonio ho speso 80.000 lire e di quello che mi avevano promesso non ho visto niente
Concetta, distante una ventina di metri dai due, sentite le parole del marito, solo adesso sembra accorgersi della sua presenza e si intromette nella discussione con un tono alquanto risentito:
Tu dici che hai speso 80 mila lire e non conti quelle che ho speso io?
Fammi sentire quello che hai portato! – replica Giuseppe. Concetta, non avendo che replicare, gli volta le spalle borbottando parole incomprensibili. Giuseppe si avvicina alla moglie e continua a parlarle con voce calma – Senti, io fin’oggi ti ho compatito e ti ho trattata sempre bene, ho fatto tutti i miei doveri
Vai via! – lo interrompe bruscamente agitando minacciosamente la zappa – non ti voglio più vedere! Qui in quest’orto ho lavorato sempre io e tu non hai la minima parte! Vattene che ti rompo la testa!
Ma se tu avevi queste intenzioni, potevi dirmelo benissimo da principio così non ci saremmo sposati – il tono di Giuseppe è sempre pacato –. Tu sai che una volta volevo lasciarti perché avevo capito che tu eri superba, ma poi sono stati i tuoi a distogliermi, dicendomi che tu saresti cambiata dopo il matrimonio, quindi se avevi queste intenzioni potevi benissimo intervenire e dire che non mi volevi bene, mentre hai preferito startene zitta e poi sposarmi
Vai via che mi fai schifo, non ti voglio più vedere ed adesso che torno in paese butto tutte le tue robe in mezzo alla via!
È un attimo. Giuseppe perde la calma che ha mantenuto fino a questo momento, mette la mano in tasca, prende il coltello e colpisce Concetta senza pietà per quattro volte. La giovane stramazza al suolo senza un lamento, già morta per la coltellata che le ha trapassato il cuore da parte a parte. Il silenzio adesso è assoluto, sembra che anche lo stormire delle foglie degli alberi di ciliegio e di fichi si sia interrotto. Nemmeno le cicale si sentono più frinire. Ma è solo un attimo, un lunghissimo attimo, poi le urla di Angelina che chiamano al soccorso risuonano per valli e colline e tutti i contadini che sono nelle vicinanze lasciano il proprio lavoro e accorrono sul posto.
Alla vista dei primi soccorritori Giuseppe si dilegua nelle campagne circostanti, in direzione di Scala Coeli, un paese vicino.
I Carabinieri arrivano sul luogo del delitto intorno alle 19,00 e non possono far altro che annotare la posizione supina del cadavere, disteso in un solco d’irrigazione, con la testa poggiata sul terreno, come se dormisse. Da una delle ferite sul petto il sangue cola ancora, finendo di inzuppare la camicetta color granata. I capelli sono in perfetto ordine, raccolti e tenuti fermi da quattro forcine di osso.
Il Vicebrigadiere a piedi Silvio Bove, comandante ad interim della stazione di Campana, ordina ai suoi uomini di dare un’occhiata in giro nella speranza di rintracciare l’assassino ma, visto che nelle vicinanze non c’è, decide di avviarsi verso Scala Coeli, direzione verso la quale è stato visto andare Giuseppe. Lungo la strada, però, alcuni contadini lo avvisano che un’automobile con a bordo il Maresciallo Nicolò Renna e Giuseppe Croce è passata da lì pochi minuti prima in direzione di Campana. Dietrofront. Bove arriva nel suo ufficio alle 22,00 passate e subito interroga l’arrestato:
– Ci eravamo sposati due mesi e mezzo fa, ma con lei non sono mai andato d’accordo, dato il suo carattere superbo e poco buono. Ho cercato sempre con calma di mantenere un minimo di armonia tra di noi ma ella non ha saputo mai comprendermi oppure rispondermi con calma in tutti i ragionamenti che le facevo. Io le volevo bene e l’ho sposata solo per questo, ma fin da quando eravamo fidanzati ella si mostrava fredda verso di me, senza ricevere mai una soddisfazione. Quando io e mio padre andammo dalla famiglia di Concetta per parlare del matrimonio, sua nonna che l’aveva cresciuta fin da bambina mi promise in regalo, se dopo il matrimonio l’avessimo tenuta a vivere con noi, una mezza quota di terreno in contrada “Ficuzza” ed un altro piccolissimo appezzamento in contrada “Fosso del Lupo”, nonché biancheria ed un basso da adibire ad abitazione. Dopo il matrimonio, però, la nonna rimase a casa sua dicendo che non voleva più venire da noi e i familiari di mia moglie hanno insistito perché lasciassimo il basso per prendere una casa in affitto che, dissero, avrebbero pagato loro, cosa che non hanno fatto fino ad oggi. Nonostante tutte queste manovre per non darmi niente di quello che mi avevano promesso, decisi di lasciare ogni cosa come si trovava purché mia moglie si fosse ravveduta e sarebbe andata d’accordo con me. Ma disgraziatamente, nonostante le mie premure, mia moglie non ha mai accennato a cambiarsi ed è rimasta quella che era, cioè superba e linguacciuta. In tutti i suoi ragionamenti mi faceva capire che doveva comandare lei e io l’ho sopportata fin quando ho potuto, ma poi, vistomi negato tutto ciò che mi avevano promesso e constatando amaramente che lei non mi rispettava affatto, ho perduto ogni controllo e l’ho uccisa.
– Ma l’orto dove è successo il fatto è di proprietà vostra? – gli chiede il Vicebrigadiere.
– No, l’aveva preso in affitto insieme con la sua amica Angelina Grilletta nel mese di aprile scorso quando eravamo già fidanzati da cinque mesi senza parlarmene, ma io la lasciai fare. La cosa che ancora non capisco è l’ostinazione di mia moglie e di Angelina ad andare ogni giorno all’orto, anche quando non ce ne era bisogno. Per esempio giorno 3 agosto scorso, la vigilia di San Domenico protettore di Campana, avevo acquistato un pezzo di carne per cucinarlo il giorno della festa ma lei mi disse che non poteva cucinarlo perché doveva andare all’orto, eppure le colture erano ben avviate e non c’era proprio bisogno di andarci. Ricordo che il padre la rimproverò per questo e allora Concetta ubbidì e cucinò la carne. Quella mattina pioveva, ma appena finito di mangiare lei andò lo stesso all’orto con la sua amica e tornò solo la sera successiva, dormendo in un pagliaio di proprietà del signor Giovanni Madera, a circa cinquecento metri dall’orto. Lei mi parlava sempre bene di Madera e mi diceva che voleva darle in fitto altra terra e costruire anche un pagliaio per poterci dormire all’occorrenza. Mi sono accorto che ella aveva un trasporto per Madera che non ha mai avuto per me e che io tanto desideravo… poi mi hanno detto che Madera se la intendeva o con mia moglie oppure con la Grilletta Angelina… io le proibii di frequentarla anche perché in paese è considerata una donna poco seria, ma non mi è stata a sentire…
– Ma i doveri di moglie li soddisfaceva?
– No, non voleva nemmeno soddisfare i miei bisogni fisiologici. Per tutto il periodo del matrimonio, due mesi e qualche giorno, mi ha permesso lo sfogo, pur essendone ormai in diritto, sei o sette volte in tutto. Ha aderito sempre a malavoglia e se mi ha permesso non lo ha fatto con piacere, ma forse soltanto per soddisfare in quei momenti i suoi istinti sessuali. Dico di più: mia moglie non l’ho trovata vergine!
Il Vicebrigadiere Bove comincia a indagare per verificare le affermazioni di Giuseppe Croce ma sebbene incontri molte difficoltà data l’omertà o il timore che regna nelle persone di questo abitato, le quali in genere hanno una marcata avversione di testimoniare, scopre che è tutto sostanzialmente vero. Poi scopre anche che l’assassino in passato era stato ricoverato due volte nel manicomio di Nocera Inferiore: la prima volta tra i mesi di luglio e ottobre del 1942 per Sindrome depressiva (sintomatica) e la seconda tra il mese di aprile del 1944 e il mese di febbraio del 1945 per Ebefrenia [varietà di schizofrenia, propria dell’età giovanile che degenera rapidamente in demenza]; tutte e due le volte venne dimesso in prova perché migliorato. Ciò che stupisce Bove è il fatto che Giuseppe Croce, dopo il fatto, si mostrava calmo e ragionevole, come se nulla fosse accaduto. Raccontava l’episodio non omettendo nessun particolare e con calma inaudita. Non si mostrava affatto pentito di quello che aveva fatto e dimostrava una lucidità mentale meravigliosa. Considerazioni, queste, che vengono confermate dai paesani interrogati: Giuseppe per tutti è persona educata e calma, di carattere mite, un po’ taciturno, amante del lavoro, buono d’animo, soprattutto rispettoso e di buon carattere, prescindendo da ogni precedente sul suo stato mentale passato. Scopre anche che un ruolo decisivo nelle manovre ai danni di Giuseppe lo hanno giocato la madre e Giuseppina Urso, una sorella della vittima, che voleva, a distanza di tempo, addebitare a Giuseppe il canone della casa e voleva anche restituito le tavole del letto che aveva donato ai coniugi all’atto del loro matrimonio, adducendo che le tavole stesse le aveva date provvisoriamente ed a titolo di restituzione. In sostanza, oltre a negargli con puerili manovre tutto ciò che gli avevano promesso, volevano anche sottrargli quella poca roba che gli avevano consegnato. È vera anche la circostanza che Concetta e la sua inseparabile amica Angelina trascorrevano quasi tutte le giornate in detto orto e spesso vi pernottavano andando a dormire in pagliai siti in un orto vicino di proprietà di Madera Giovanni, vedovo. Non c’è però alcun riscontro sulla presunta relazione tra Concetta e Madera e nemmeno tra quest’ultimo e Angelina. Della possibilità di una relazione tra le due giovani nessuno ne parla.
È evidente che i due precedenti ricoveri di Giuseppe in manicomio debbano pesare sull’istruttoria in corso e così il Procuratore della Repubblica di Rossano, competente per territorio, vista anche la richiesta di Giuseppe di essere ricoverato in manicomio, chiede al Giudice Istruttore che sia sottoposto a perizia psichiatrica nel manicomio giudiziario di Aversa.
Gli atteggiamenti, le espressioni, il contenuto degli spontanei discorsi non denotano, a prima vista ed al profano, la persona mentalmente obnubilata e disorientata. Così esordisce l’alienista, dottor Vincenzo Barbuto. Ma, continua il perito, ad una più attenta analisi sono evidenti i fenomeni illusionali ed allucinatorii, qualora intervengano fattori patogeni da determinare veri e proprii stati psicopatici, come quelli che resero necessario il duplice ricovero in ospedale psichiatrico. E di conseguenza, per il meccanismo dei fenomeni morbosi à coté, si determina l’insorgenza di turbe psico-sensoriali a carattere terrifico, venefico ed ostile, che rispecchiano il complesso delirante di persecuzione.
Ciò che i paesani e i familiari di Giuseppe pensano di lui è quasi del tutto sbagliato: al giudizio dell’alienista si mostra scarsamente socievole, piuttosto misogino, amante dell’isolazionismo, pochissimo loquace, caratterizzato da un contegno di depressione, di grigiore, di pessimismo, di ipocondria. In tale deficienza quantitativa risiedono le ragioni della lunga sopportazione da parte del soggetto di uno stato di cose, materiali e morali, assolutamente anormali; in essa inoltre risiedono le ragioni per le quali, il 19 agosto 1953, il Croce prima intavolò lunghe discussioni con la Urso e la Grilletta, poi esplose nell’azione cruenta. In tale deficienza risiedono, in altri termini, due ordini di fatti: l’incapacità di agire tempestivamente, l’incapacità ad inibire l’azione antisociale, dannosa soprattutto per lui, allorquando i fattori emotivi e mentali riescono a prendere il sopravvento ed a vincere l’ipobulia e l’apatia costituzionali.
Barbuto, da queste considerazioni, giunge alla diagnosi: Soggetto di debole costituzione fisica (nonostante sia alto 1,84 metri e pesi 78 chili), con squilibrio endocrino e distonia neuro-vegetativa, psichicamente ipoevoluto e di costituzione distimica, con accessuali crisi melancoliche, ora non in atto.
E questa diagnosi deve valere anche per il momento in cui Giuseppe uccise Concetta per cui la di lui capacità di intendere e di volere era, per infermità, grandemente scemata senza essere esclusa. L’imputato, attualmente persona socialmente pericolosa, può essere sottoposto a giudizio.
Ma il perito, ritenendo che per Giuseppe possa esserci una possibilità di recupero, sente anche il dovere di consigliare ai giudici che egli venga trattenuto, per un congruo periodo di tempo, in adeguato Istituto, da dove potesse essere dimesso non con la formula del notevole miglioramento e neanche quella della guarigione clinica, ma con la psichica personalità trasformata e capace di aderire alle difficoltà della vita comune. Cure toniche, ricostituenti ed ormoniche dovranno essere fatte per diminuire, quanto più possibile, quelle spine organiche che influenzano in maniera irritativa il suo psichismo; ad esse dovranno essere associate pratiche ortofreniche e psicoterapiche, affinché si supplisca alle deficienze ipoevolutive, si eliminino le tendenze depressive ed ipocondriache, si rafforzi, infine, la sua capacità inibitoria per quelle azioni derivanti dalla primordiale istintività.
Il processo a Giuseppe Croce si terrà presso il Tribunale di Rossano davanti alla Corte d’Assise di Cosenza nella prima sessione del 1955, il 16 di aprile. Quattro giorni dopo la Corte dichiarerà l’imputato colpevole del delitto di omicidio aggravato in danno della propria moglie, con attenuanti generiche, con la diminuente del vizio parziale di mente e con l’attenuante di avere agito in istato d’ira determinato dal fatto ingiusto della parte offesa e lo condanna a 8 anni di reclusione, al pagamento delle spese processuali e a quelle del suo mantenimento in carcere durante la sua custodia preventiva, al rimborso delle spese ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili, liquidandole in £ 85.000. La Corte dispone anche il suo ricovero in una casa di cura per la durata di anni 3 dopo l’espiazione della pena inflitta. Infine, dichiara condonati 3 anni di pena.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento