– Commà, non sai niente?
– Cosa?
– Il suocero di Angelina Laino l’ha sorpresa in casa con Giuseppe Biondi!
– Quella ha il marito Allamerica… lo dicevo io che prima o poi doveva capitare…
Di bocca in bocca, di casa in casa e di contrada in contrada la voce si sparge dappertutto a Buonvicino e dintorni. È la primavera del 1929 e da questo momento in contrada Vernile dove abitano i due presunti amanti, tutti cominciano a controllarne i movimenti e la cosa sembra davvero credibile, vista la frequenza con la quale i due sono visti parlare dentro e fuori la casa di Angelina.
Ma si sa che la voce pubblica ha bisogno di sempre nuovo combustibile per alimentarsi, così basta poco perché scoppi un’altra bomba.
– Commà, non sai niente?
– Cosa?
– Pare che Cristina, la moglie di Giuseppe Biondi, se la fa con suo cognato Francesco!
– Il fratello di Giuseppe?
– Si si
– O gesummaria!
– E non è tutto…
– Dimmi, dimmi…
– Pare che Cristina se la sia fatta pure col marito di Angelina prima che partisse Allamerica…
– Commà, una cosa di queste non è possibile, Cristina è una santa donna…
– Commà è vero, me l’ha detto Angelina in persona… mi ha detto che lei ha rapporti carnali con Giuseppe Biondi per ripicca verso Cristina che le ha sedotto il marito…
E la pace in casa di Giuseppe Biondi finisce. Cristina, da quando si è saputo della relazione tra suo marito e Angelina, ha notato un cambiamento in peggio di suo marito. Giuseppe da parte sua, da quando è stato convinto da Angelina che sua moglie lo ha tradito, è diventato una furia, addirittura insopportabile e i loro quattro figli piccoli non ne capiscono la ragione.
Ovviamente anche i rapporti tra i due fratelli si raffreddano per i sospetti di Giuseppe, fino ad arrivare all’inimicizia e a niente valgono le rassicurazioni, i giuramenti e i buoni uffici degli altri familiari e degli amici comuni.
Giuseppe e Francesco Biondi hanno un altro fratello, Beniamino, sposato con figli, che rimane equidistante tra i due e non perde occasione per cercare di farli riavvicinare.
Manca poco all’imbrunire del 24 giugno 1929. Beniamino Biondi si incammina verso il putighino di Francesco Liserre, a circa un chilometro e mezzo da casa sua, per consegnargli 13 chili e mezzo di bozzoli.
A calata del sole, dopo cioè mezz’ora di cammino, entra nel locale di Liserre e ci trova suo fratello Giuseppe in compagnia di due forestieri che lavorano alla strada e di altri paesani.
– Siediti con noi che ci beviamo un bicchiere di vino – lo invita Giuseppe, ordinando un litro al negoziante. La compagnia è buona ma è ormai buio, così il gruppo di amici decide di spostarsi a casa di Beniamino per bere un altro bicchiere, cantare qualche canzone e fare quattro salti. La baldoria comincia per strada al suono della chitarra di uno dei due forestieri e una volta in casa, stappata un’altra bottiglia, si mettono a ballare una tarantella nella stanza da letto, la più grande delle due camere di cui si compone la casa, così i bambini si svegliano e cominciano a ballare con i grandi. Poi qualcuno bussa alla porta.
È Francesco. Fermo sulla soglia di casa a gambe larghe, il viso serio e la mano destra nella tasca della giacchetta. Forse nasconde un’arma. La chitarra zittisce e la tarantella si ferma. Beniamino teme che il fratello possa avere brutte intenzioni.
– Francì, caccia la mano dalla tasca e bevi un bicchiere con noi.
Francesco non ascolta le parole del fratello e fa qualche passo nella prima stanza della casa, quella adibita a cucina, poi si affaccia nella camera da letto dove sono tutti e incrocia per un attimo lo sguardo di Giuseppe, il quale si rimette in testa il cappello di paglia, lancia un altro sguardo torbido al fratello mordendosi una mano in segno di minaccia, si alza e si avvia verso l’uscita per andare via. Passa accanto al fratello senza più degnarlo di uno sguardo. Francesco, da parte sua, non si gira nemmeno verso Giuseppe e gli mostra le spalle.
Giuseppe è sulla porta di casa, sta uscendo, poi si gira all’improvviso verso l’interno con il braccio teso e una rivoltella in mano. Parte un colpo verso Francesco che non viene raggiunto. Forse anche Francesco impugna una rivoltella e forse spara anche lui, o forse no. Nessuno è in grado di affermarlo con certezza perché tutti urlano per la paura di essere colpiti per sbaglio e cercano di nascondersi. Partono altri due colpi che però mancano di nuovo il bersaglio. Il rumore delle detonazioni rimbomba sinistro nelle orecchie dei presenti e quando si fa silenzio l’urlo straziante di Angiolina, la moglie di Beniamino, gela il sangue nelle vene di tutti i presenti.
– Figlio mio, m’hanno ammazzato a Dominichiello!
Ai suoi piedi c’è il figlio Domenico di sette anni in una pozza di sangue che si allarga a vista d’occhio. Un proiettile gli si è conficcato nella nuca e lo ha ucciso all’istante.
Angiolina è in piedi, impietrita. Beniamino si china sul bambino, lo smuove, lo chiama, gli urla di rispondergli, ma è tutto inutile. Quando alza lo sguardo, nella camera sono rimasti solo lui, Angiolina e Dominichiello. Gli altri sono scappati tutti lasciandoli da soli col loro dolore.
Angiolina si scuote, prende in braccio il bambino, cerca di ripulirlo dal sangue che comincia a seccarsi, lo adagia sul letto e comincia a cantargli le nenie che gli cantava per farlo addormentare. Beniamino cammina avanti e indietro nella stanza parlando tra sé e sé per cercare di ricostruire la dinamica dei fatti, ma molti particolari gli sfuggono.
Un paio di vicini accorsi dopo il trambusto se ne stanno silenziosi in un angolo, quando entra Giuseppe con gli occhi che sembrano quelli di un uomo che ha appena pianto. E gli occhi gli si riempiono di nuovo di lacrime alla vista del corpicino di Domenico steso sul letto dei genitori.
– Era come un figlio per me… – farfuglia tra i singhiozzi mentre abbraccia Beniamino. I due si dicono qualcosa all’orecchio, poi Giuseppe se ne va e sparisce nel buio della notte, poco prima che da Diamante arrivi il Maresciallo Nicola Minora.
– Mentre suonavamo e ballavamo sentimmo bussare alla porta. Era mio fratello Francesco. Io rimasi subito impressionato dal suo atteggiamento perché sapevo i precedenti e l’invitai subito a togliere di tasca la mano e a sedersi. Ma Francesco non aderì alla mia richiesta e si limitò a volgere uno sguardo truce a Giuseppe; questi, senza profferir motto, prese la paglia che aveva poggiato sul petto e fece l’atto di andarsene. Ma aveva di qualche passo varcato la soglia della porta che immette nel secondo vano di casa, quando repentinamente si volse ed estratta la rivoltella fece subito fuoco all’indirizzo di mio fratello Francesco il quale, a sua volta, quasi nell’istesso istante, ha estratto di tasca la rivoltella e ha fatto fuoco contro il suo avversario. La scena fu così fulminea che io non so meglio ricostruirla, anche perché sentii subito gridare mia moglie “figlio mio, m’hanno ammazzato a Dominichiello!”…
– Quindi hanno sparato tutti e due, ne siete sicuro?
– Si. Mio fratello Francesco, ad onta del grido di mia moglie e della tragica fine di mio figlio, continuava a tenere in mano la rivoltella puntata contro Giuseppe ed io, ad evitare più tristi conseguenze, afferrai la rivoltella per tentare di disarmarlo e gridai all’indirizzo di Giuseppe: “fermo Giuseppe!”. questi infatti cessò dal far fuoco, mentre Francesco si oppose reiteratamente al punto che non riuscii a disarmarlo, dopo di che fuggirono tutti…
– Secondo voi chi ha colpito vostro figlio?
– Non sono in grado di precisare chi abbia ucciso il mio bambino.
– Vi ricordate quanti colpi sono stati sparati?
– Possono essere stati tre o quattro…
Una ricostruzione precisa, confermata anche da Angiolina: sia Domenico che Francesco hanno sparato. Ma bisogna rintracciare e interrogare gli altri tre testimoni oculari perché possono aver visto da quale rivoltella partì il colpo fatale. Stando così le cose, i due fratelli vengono ricercati entrambi per omicidio volontario, poi si vedrà.
– Appena Giuseppe Biondi vide entrare il fratello Francesco si alzò di scatto, gettò a terra la paglia, si morse una mano coi denti e uscì sullo spiazzale antistante alla porta di entrata e immantinente sentimmo l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco. Subito dopo rientrò Giuseppe e tenendo la rivoltella in pugno, rimanendo nella stanza di entrata, vidi il braccio teso; io ebbi paura e mi nascosi dietro la porta da dove non potevo vedere cosa Giuseppe facesse e fu proprio in questo mentre che intesi le esplosioni di altri due colpi. Vidi il fratello Francesco che colluttava col fratello Beniamino, ma non potetti scorgere se fosse armato… fu così fulminea e istantanea la scena che non mi sono nemmeno accorto che il bambino fosse stato colpito a morte – racconta l’operaio sidernese Giuseppe Bertirami.
– Giuseppe sparò un colpo di rivoltella in aria. Nel frattempo Francesco era rimasto con noi e non si impressionò affatto del colpo di rivoltella, anzi disse: “Possiamo ballare un pochettino?” e Beniamino rispose: “vattene da casa mia”. E nel mentre Beniamino continuava a gridare spingendo il fratello verso l’uscita, Giuseppe rientrò di nuovo e, puntata la rivoltella verso il fratello Francesco, fece fuoco tirando un primo colpo e dopo un minuto secondo esplose un altro colpo. Il fratello Francesco estrasse nel contempo la rivoltella ma non fece in tempo a fare fuoco perché Beniamino vi fu subito addosso e gli contorse la mano facendolo piegare con la metà del corpo sulla sponda del letto. Io non mi sono accorto che il bambino fosse stato mortalmente attinto dall’arma di Giuseppe – dice l’altro operaio sidernese Domenico Gismondi.
– Quindi avete sentito solo tre colpi?
– Posso garantire finché vivo che i colpi sparati sono stati tre e che Francesco non ha avuto il tempo a far uso dell’arma che aveva estratto .
– Francesco estrasse anche lui la rivoltella ma non ebbe tempo a farne uso perché il fratello Beniamino gli fu sopra, gli torse il braccio e lo curvò sul letto – conferma il terzo testimone oculare, Giacomo Barbieri.
Ma allora Beniamino Biondi e sua moglie cosa hanno visto? Certamente il dolore per la perdita del bambino ha fatto si che i loro ricordi non siano precisi, oppure stanno accusando deliberatamente Francesco per scagionare Giuseppe e, nonostante le altre tre testimonianze concordanti che li smentiscono, continuano a sostenere che a sparare furono tutti e due i fratelli e che, quindi, poteva essere colpito da tutti e due, magari da quello che sparò più basso. Vattelapesca!
Nella notte tra il 24 e il 25 settembre deve accadere qualcosa nella famiglia Biondi perché la mattina del 25 Francesco e Giuseppe si costituiscono insieme nelle mani dei Carabinieri di Belvedere Marittimo e scelgono lo stesso avvocato, Ernesto Cauteruccio, che accetta e sarà costretto a difendere due posizioni diametralmente opposte.
– Ero ubriaco e non ricordo niente. Però escludo nel modo più assoluto di avere sparato, né ricordo se abbia estratto di tasca la rivoltella, né so dove questa sia andata a finire perché ero talmente ubbriaco che ho perduto completamente la memoria di ciò che è avvenuto quella sera. Stamattina ho incontrato per strada Giuseppe mentre venivo a costituirmi, come stava facendo anche lui e a noi si sono uniti nostro padre e due cognati che ci hanno accompagnati. Io non ho avuto con mio fratello Giuseppe alcuna parola di risentimento perché ho capito che la causa della nostra disgrazia è stata la Laino Angelina – dice Francesco.
– Francesco esplose al mio indirizzo due colpi di rivoltella, uno dei quali uccise il povero bambino. Tutto ciò io ho appreso dai testimoni ai quali lo ha riferito mio fratello Beniamino perché io non ricordo niente per il vino bevuto… dopo il delitto, tanto a me che a mio fratello è caduta la benda dagli occhi ed abbiamo fatto pace ed è perciò che ci siamo costituiti insieme.
In verità non sembra affatto che si siano riappacificati e la cosa emerge ancora meglio quando i due vengono messi a confronto e continuano con ostinazione a mantenersi sulle proprie posizioni: Francesco dice di non aver sparato e Giuseppe dice che a uccidere il nipotino è stato Francesco. L’unica cosa sulla quale concordano è il fatto di non ricordare nulla a causa dell’ubriachezza. Poi Francesco perde la pazienza e sbotta:
– Vedi io come sono buono, tu accusi me, mentre io lascio che tu mi sprofondi, ma io non ti accuso perché ho dolore che sei mio fratello.
Come uscire da questa confusione di ruoli? Nessuno lo sa e i due fratelli languono in carcere per un paio di anni, poi forse si apre una crepa nel muro alzato da Beniamino e da sua moglie Angiolina la quale, nuovamente interrogata il 31 maggio 1930, ammette:
– Mio cognato Giuseppe uscì fuori la strada ed ivi sparò un colpo di rivoltella. Facilmente il mio ragazzo, attirato dallo sparo si mosse per andare a vedere e si trovò perciò sulla soglia della porta di mezzo ed ivi fu colpito perché mio cognato Giuseppe immediatamente dopo sparato nella strada rientrò e continuò a sparare in direzione di mio cognato Francesco che era nella seconda stanza da letto…
Più o meno ciò che riferirono i testimoni oculari. Ma Beniamino non si sposta di un millimetro dalla sua posizione: hanno sparato entrambi i fratelli e tutti e due, potenzialmente hanno potuto colpire il bambino.
Ma ormai la strada è segnata se anche i difensori dei due fratelli, che nel frattempo sono cambiati essendo stati nominati da tutti e due imputati gli avvocati Tommaso Corigliano e Francesco D’Andrea del foro di Cosenza, indicano nella loro memoria difensiva Giuseppe Biondi come unico autore dell’omicidio per aberratio ictus [In diritto penale, la locuzione latina aberratio ictus si riferisce a un’ipotesi d’errore nella fase esecutiva di un reato, che si verifica quando il reo offende una persona diversa dalla vittima designata. nda].
Il 20 giugno 1930 la Sezione d’Accusa concorda con questa impostazione e rinvia a giudizio solo Giuseppe per omicidio volontario e tentato omicidio, scagionando Francesco anche dal reato di porto abusivo di rivoltella perché non è stato sufficientemente provato che quella maledetta sera fosse armato.
Il 13 maggio 1931, concesse le attenuanti della provocazione grave, della temporanea e parziale infermità di mente per ubriachezza volontaria, nonché le attenuanti generiche, la Corte condanna Giuseppe Biondi a 1 anno e 3 mesi di reclusione per l’omicidio del piccolo Domenico e lo assolve dall’imputazione di tentato omicidio nei confronti del fratello.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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