L’ONORE DI MIA MOGLIE

Sono le 15,00 del 14 marzo 1952 e la primavera è già sbocciata lungo il corso del fiume Lao. Il Brigadiere Francesco Macrì, comandante della stazione dei Carabinieri di Orsomarso è in servizio di pattuglia in contrada Castiglione quando viene raggiunto da un suo sottoposto, il Carabiniere Antonio Simmaco, il quale lo informa che in località Bonicaso è stato commesso un omicidio. I due si avviano per raggiungere il luogo del delitto, ma lungo la strada vengono fermati da un giovane, dall’apparente età di anni 30, il quale dice di essere l’autore del delitto:
– L’ho dovuto ammazzare per difendere l’onore di mia moglie – giura.
– Va bene, ma declina le tue generalità.
– Mi chiamo Mantova Pasquale, nato a San Giorgio Morgeto provincia di Reggio Calabria il 2 aprile 1922 e domiciliato in Orsomarso.
– Bene, andiamo in caserma e nel frattempo raccontami come sono andati i fatti.
– Qualche giorno fa mia moglie mi ha detto che il nostro vicino Vincenzo Mammoliti da un po’ di tempo la circuiva e cercava di possederla. Tale fatto mi ha turbato fortemente sia perché eravamo entrambi coloni nella stessa fattoria, sia perché egli mi aveva cresimato
– Aspetta un attimo… Mammoliti non è un cognome di queste parti…
– Si, infatti eravamo compaesani… anche lui era di San Giorgio Morgeto.
– Era? È lui il morto?
– Si, è lui.
– Continua a raccontare.
– Mia moglie non mi ha detto subito del corteggiamento perché era sicura di poter convincere il mio compare a lasciarla in pace e per questo ella aveva pregato la moglie di dirgli di smetterla, senonché la mattina del 13 scorso, mentre mia moglie era intenta a mungere le vacche nella stalla, il compare si era presentato e aveva cercato di usarle violenza carnale. A stento era riuscita a resistere alle tentazioni dell’uomo… dopo questo fatto mi ha messo al corrente di tutto. È stato allora che è nata in me l’idea dell’omicidio. Stamattina  mi sono recato in Santa Domenica Talao ove si celebravano i funerali di una mia parente e qui mi sono incontrato col Mammoliti e mi sono unito a lui. Ho pensato che, dovendo fare il ritorno assieme, era arrivato il momento opportuno per vendicarmi. Preciso che prima di incontrare il compare avevo comprato un coltello presso un negozio del luogo con l’intento di servirmene nella vendetta. Durante la strada del ritorno il Mammoliti mi ha avvertito che i vicini di casa avevano sparso la notizia che egli era diventato l’amante di mia moglie. Mi diceva di non dare retta a quelle voci che erano infondate in quanto egli non si sarebbe mai permesso di venir meno a quel senso di di lealtà e di amicizia che animava le nostre famiglie. Io insistevo che tale voce era giunta alle mie orecchie e la ritenevo veritiera. Nel frattempo eravamo giunti a circa duecento metri dalle nostre abitazioni ed egli mi pregava di porre fine alla discussione, anche perché aveva visto a poca distanza i suoi figli intenti a lavorare. Dato che ero deciso a farla finita per sempre col Mammoliti, gli sono saltato al collo e mentre con la mano sinistra lo afferravo per il collo, con la destra gli vibravo quattro colpi di coltello. Egli ha cercato di difendersi con una piccola scure che teneva in mano, ma non è riuscito perché è stato da me preso alla sprovvista. Quando l’ho visto cadere per terra sono andato a casa ad avvertire del fatto mia moglie ed i miei parenti e poi sono venuto a costituirmi. Il coltello è stato da me consegnato a mia moglie…
– Sei molto geloso… tua moglie ti ha mai dato da pensare?
Non sono mai stato eccessivamente geloso di mia moglie perché la ritenevo una donna onesta e certamente il Mammoliti ha dovuto circuirla senza però riuscire a possederla.
“La ritenevo”, questa affermazione si insinua come un tarlo nella mente del Brigadiere Macrì. Che non sia tutto vero quello che Pasquale Mantova gli ha raccontato? Si vedrà, intanto, chiuso l’assassino in camera di sicurezza, bisogna andare sul luogo del delitto per iniziare le indagini.
Arrivato in contrada Bonicasi, Macrì trova il cadavere per terra in posizione supina lungo il viottolo che va a Santa Domenica Talao, con i segni evidenti di tre coltellate al petto e una all’addome.
– Ho sentito mio padre urlare – racconta piangendo Stella, la diciassettenne figlia della vittima – e sono corsa; lo trovai disteso a terra esanime mentre Pasquale Mantova cercava di estrarre il coltello infisso nel torace e diceva ”Stai comodo, tu stai comodo in questo luogo e io me ne vado”. Poi si è allontanato e io mi sono buttata su mio padre che esalò proprio allora l’ultimo respiro.
– Non lo so perché lo ha ammazzato… qui adesso tutti dicono che è stato per gelosia… se mi fosse venuto all’orecchio che Vincenzo se la intendeva con la moglie del compare avrei fatto come quattro anni fa quando lo sorpresi con una ragazza e la accoltellai. Dopo di allora Vincenzo non mi ha più dato motivi di sospetto – racconta Antonietta Perrone, la vedova.
– Noi sappiamo che la moglie di Mantova si è lamentata con voi per il comportamento di vostro marito.
Nulla appresi da Pasqualina Guerrisi né da altri e di nulla io ebbi ad accorgermi! Se lei dice il contrario, mente.
E Pasqualina Guerrisi cosa ha da dire? Lei è la chiave di tutto.
– Mi corteggiava da quasi sei mesi… mi pretendeva come amantenon potendo più tollerare tale stato di cose, ieri raccontai tutto a mio marito il quale montò sulle furie ma non disse nulla di quello che aveva in mente di fare nei riguardi del defunto… oggi, verso le 13,30, Pasquale è rientrato a casa e mi ha consegnato questo coltello – dice mostrandolo al Brigadiere, che glielo toglie dalle mani – dicendomi di consegnarlo quando venivano i Carabinieri perché lui aveva ucciso Mammoliti ed andava a presentarsi alla legge
Tutto sembra coincidere e quadrare: Vincenzo Mammoliti era uno a cui piaceva conquistare le donne, ma l’ultima era la donna sbagliata e ci ha rimesso le penne. Pasquale Mantova ha ucciso per difendere l’onore di sua moglie e sicuramente se la caverà. Poi si presenta uno zio di Pasqualina Guerrisi, Michele Guerrisi, e racconta una storia che potrebbe compromettere l’onorabilità di Pasqualina:
– Ho visto Vincenzo Mammoliti che cercava di abbracciare mia nipote e questa cercava di allontanarsi sorridendo, entrando nella stalla. Poi uscì, chiuse la porta con il gancetto e si stava avviando verso casa quando Mammoliti le si avvicinò di nuovo. Pasqualina riaprì la porta della stalla ed entrò in essa seguita dal Mammoliti. Poiché la porta nella parte superiore è a cancellata, io potei benissimo vedere che il Mammoliti abbracciò la Guerrisi e la strinse a sé e lei, sorridente, cercò di nuovo di liberarsi dalla stretta. Io allora tossii ed il Mammoliti lasciò la Guerrisi ed uscì dalla stalla. Mi vide e fu allora che io lo redarguii dicendogli di lasciar stare mia nipote ed egli mi pregò di non parlare con nessuno di quanto avevo visto, promettendomi che in avvenire non l’avrebbe più avvicinata. Di questo fatto non parlai con Pasquale Mantova né con altri e solo poco fa l’ho rivelato a mio fratello, il padre di Pasqualina. Aggiungo di aver saputo, per voce pubblica, che mia nipote non si era mantenuta onesta nei confronti del marito e che aveva fatto ridire sul suo conto con altri uomini, dei quali però non conosco i nomi.
Non è vero che quando il defunto Mammoliti venne a trovarmi nella stalla io avevo già chiuso la porta e poi l’ho riaperta entrando io per prima, come non è vero che io cercavo di liberarmi da lui sorridendo. Quando il Mammoliti entrò nella stalla io ero intenta a governare gli animali – si difende Pasqualina.
Intanto risulta vero il fatto che Pasquale Mantova ha acquistato il coltello la mattina del delitto perché il negoziante Giuseppe Ricciardi giura di aver venduto quel coltello la mattina del 14 marzo.
Il Giudice Istruttore ha dei dubbi sulla qualifica dell’omicidio: Delitto d’onore? Premeditato? Volontario?
Delitto d’onore? No. Questo star dietro alla donna, questo tentarla quando il marito era lontano, quell’assiduità verso di lei fa ritenere che ancora Mammoliti non avesse raggiunto il suo scopo e che la congiunzione carnale tra i due non fosse avvenuta. Ora, l’art. 587 C.P. che prevede l’ipotesi delittuosa dell’omicidio a causa d’onore richiede espressamente la sussistenza di una relazione carnale, di rapporti cioè sessuali naturali o contro natura dell’uomo colla donna, che addiviene alla congiunzione tra i due, in luogo dei quali non può essere preso in considerazione il semplice sospetto di una tresca, ma addirittura la sussistenza effettiva di altri concreti atti di libidine. Inoltre Pasquale Mantova, lo dice egli stesso, dopo aver appreso dalla moglie i tentativi di Mammoliti, non dimostrò alcun risentimento concreto verso il compare.
Premeditato? Non può dirsi che l’omicidio sia stato, nel senso tecnico giuridico della parola, premeditato; difatti, tranne il generico riferimento in proposito dell’imputato che rivela più che altro un prorompente, incontenibile sentimento di rancore, di accorato biasimo, di sdegno verso lo scorretto e infedele compare, nulla di serio, di concreto e di convincente vi è in processo che possa far ritenere che il Mantova avesse già in mente un disegno completamente definito ed un proposito deliberatamente meditato. Manca la prova che vi sia stata persistenza e continuità del proposito criminoso per un congruo lasso di tempo.
Volontario. Il sordo rancore per l’altro e l’idea di eliminare Mammoliti gli si era, sia pure confusamente e senza contorni precisi, presentata alla mente, onde alla prima occasione opportuna ben potette sorgere la decisione di attuarla; tanto più che l’imputato, a questo fine, si era munito la mattina stessa dell’omicidio di un forte e acuminato coltello che poi servì benissimo alla bisogna. Ed è per omicidio volontario che si procede.
Ma a complicare le cose ci pensa Pasquale Mantova stesso che, dopo quindici giorni di carcere, ritratta la confessione e sostiene di aver agito per legittima difesa dopo essere stato aggredito da Mammoliti:
Cammin facendo, il Mammoliti cominciò a parlarmi della diceria uscita sul conto suo e di mia moglie, insistendo nel dire che non era vero nulla. Allora io gli risposi che il fatto era vero e alle sue insistenze di negativa io cominciai ad alterarmi ed il Mammoliti mi minacciò dicendomi di farla finita altrimenti mi avrebbe rotto il culo. Nel dire ciò, con un’accetta senza manico che teneva in mano cercò di colpirmi e difatti mi attinse agli avambracci. Allora io persi il controllo di me, estrassi un coltello che tenevo in tasca e con esso lo colpii ripetutamente fino a quando lo vidi cadavere per terra. Non è vero che io proditoriamente assalii il Mammoliti e che questi per difendersi mi colpì con la scure. Se ciò risulta dai miei precedenti interrogatori significa che ebbi a dirlo, ma non dissi la verità perché avevo la testa in una grande confusione – poi nega anche di avere acquistato il coltello la mattina del delitto, come confermato dal commerciante –. Il coltello con cui commisi l’omicidio fu da me comprato circa un mese prima per servirmene in campagna.
Il Giudice bolla queste affermazioni come maturate nel malsano ambiente del carcere dove ricevette indubbiamente i suggerimenti ed i consigli dei compagni di sventura e creò di conseguenza il nuovo piano difensivo e delineò il sistema migliore per attuarlo e renderlo credibile. Le uniche parole credibili pronunciate da Pasquale Mantova sono quelle contenute nel primo interrogatorio in cui rivelò la vera, schietta, genuina ragione del suo operato. E d’altra parte, osserva il Giudice, l’Istituto della legittima difesa, così come stabilito dal nostro codice, per cui un individuo può respingere con la propria forza la violenza altrui, ha un campo di applicazione ben delimitato, al di fuori del quale si sconfina nella più aperta responsabilità penale. Secondo l’art. 52 C.P., difatti, perché questa causa di esclusione dal reato sussista, occorre sia il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sia la necessità di una difesa e la proporzione tra difesa e offesa. Nessuno di questi elementi ricorre a favore del Mantova.
L’imputato viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza con l’accusa di omicidio volontario e porto abusivo di coltello.
Il 23 giugno 1952 la Corte ritiene che l’indegna condotta dell’ucciso nei riguardi di Guerrisi Pasqualina aveva determinato nell’animo di Pasquale Mantova una crisi di acuto dolore, di disperazione, di esasperazione che merita tutta la comprensione e la considerazione umana; Mantova fu spinto al delitto dall’impulso incontenibile e dall’irresistibile bisogno di ripristinare il turbato equilibrio morale della sua famiglia, di eliminare il costante pericolo dell’insidia alla moglie, di tutelare l’onore compromesso del suo nome e di non perdere l’amore, l’affetto, l’esclusivo dominio fisico della sua donna, della madre dei propri figli. E tali motivi, che lo indussero al delitto, non possono che ritenersi inquadrati nell’attenuante generica prevista dall’art. 62 n° 1 del C.P., cioè ritenuti di tale particolare valore morale da portare ad una diminuzione generica della pena, e condanna l’imputato a 9 anni e 4 mesi di reclusione, più 4 mesi di arresto.
Il successivo ricorso in Appello viene parzialmente accolto e, con il riconoscimento dell’attenuante dello stato d’ira, la pena viene fissata in 8 anni di reclusione.[1]

 


[1] ASCS, Processi Penali.

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