LAVATO COL SANGUE

In contrada Montagna Grande di San Giovanni in Fiore esiste una segheria idraulica esercita da certo Giuseppe Zico che fino al decorso aprile 1908 ebbe, quale addetto al macchinario, un sedicente Leuppia o Leuppino Salvatore d’anni 26 da Giffoni. Con costui conviveva una sedicente Loreto Michelina d’ignoti, d’anni 21, da Castelluccio Inferiore, la quale strinse cordiali relazioni d’amicizia con la nubile Durante Filomena d’anni 16 da qui, dimorante nella Cantoniera Stradale sita nella contrada suddetta, amicizia condivisa da entrambe le famiglie. Circa un anno fa, la Loreto sgravavasi e venne colmata di gentilezze dalla famiglia Durante e specie dalla vedova Biafora Anna. L’amicizia cordiale, or non è molto, si raffreddò, conchiudendosi man mano in odio atroce, foriero di vendette.
Poco distante dalla segheria Zico, in contrada Ramunno, c’è un’altra segheria di cui è comproprietario il ventisettenne Giacomo Rizzuto, con il quale la giovane Filomena è in rapporto d’amorosi sensi e di amplessi materiali e certamente la ragazza spera di sposare il suo bello, ma non siamo sicuri che Giacomo voglia altrettanto.
È l’imbrunire di sabato 9 maggio 1908 quando Angela Spadafora, che abita col marito nella stessa Cantoniera Stradale in cui abita Filomena Durante, vede tornare a casa la ragazza tutta piangente.
– Che hai Filomè? – le chiede.
– Giacomino mi ha lasciata…
– E perché?
– Perché Michelina Loreto va dicendo in giro che me la facevo col suo ganzo… ma non è vero! non è vero niente! – spiega con la voce rotta dal pianto.
– La cosa è grave…
– Se lo viene a sapere mio fratello mi ammazza… e se non mi ammazza lui, mi ammazzeranno gli altri fratelli che stanno tornando dall’America… ma adesso la sistemo io a quella…
Le due donne rientrano nelle rispettive case e Angela, curiosando dalla finestra, vede che dalla casa di Filomena esce la sorella più piccola e dopo pochi minuti la vede tornare in compagnia di Michelina Loreto. Allora guarda verso la casa di Filomena e la vede sulla porta con una mano sotto il grembiale. “Qui le cose si fanno brutte” pensa, mentre sente Filomena che dice all’altra: Facciamoci due passi
Angela capisce ciò che sta per accadere e non perde tempo. Allerta il marito e poi esce di casa e si mette a bussare alle porte dei vicini per chiedere aiuto. Quattro o cinque persone corrono nella direzione in cui sono andate Filomena e Michelina.
– Davvero hai detto in giro che me la sono fatta col tuo ganzo? – chiede Filomena all’altra mentre tormenta il calcio della rivoltella che nasconde sotto il grembiale.
– Si, è vero – le risponde quasi per sfidarla – Salvatore se ne è andato per colpa tua…
– Non è vero! sei una bugiarda! Hai ammazzato il mio onore e adesso io ammazzo te! – le urla in faccia tirando fuori la rivoltella. Michelina vede la morte e chiude gli occhi quando Filomena tira il grilletto.
Clic.
Clic.
Non le sembra vero. È viva!
Proprio in questo istante la mano del cantoniere Pietro Guglielmelli serra come una morsa la mano armata di Filomena che è costretta a lasciare l’arma. Per fortuna nessuno si è fatto male!
Puttana! Lorda! Giacomino e Salvatore si sono divertiti con te come hanno voluto e te lo hanno ficcato davanti e di dietro! Dovete saperlo tutti che Filomena Durante è una puttana! Mi hai tolto il marito! – si mette a urlare Michelina, rinfrancata dallo scampato pericolo.
Le due donne vengono separate e se ne tornano tutti a casa. ma Filomena ha paura del fratello e così decide di andarsene da casa. Raccoglie le sue misere cose in un grande fazzoletto e va a casa di Angela.
– Filomè, non mettermi nei guai con la tua famiglia… stanotte puoi dormire qui ma domani ti devi cercare un altro posto. Tra l’altro Michelina va dicendo che andrà in Pretura per querelarti e io Carabinieri in casa non ne voglio!
– Stai tranquilla… domani vado da una mia zia a San Giovanni e cercherò di mettermi a servizio. Poi ti faccio avere l’imbasciata e mi mandi il fagotto.
Filomena riesce a sistemarsi in paese e a trovare qualche giornata di lavoro nei campi.
Sono passati due giorni da quando Michelina ha rischiato di essere ammazzata. Adesso è lunedì 11 maggio e di buon’ora parte da contrada Montagna Grande (chiamata anche Castelluccio) per andare a sporgere querela contro Filomena, la quale quella stessa mattina esce dalla casa di sua zia per andare a zappare.
La giornata volge al tramonto. Filomena, in compagnia di Salvatore Marasco, torna verso il paese. Arrivati ad un certo punto della strada Nazionale, la ragazza prende una scorciatoia e si separa dall’uomo che deve continuare sulla Nazionale perché ha con sé un asino carico di legna, ma si accordano per ritrovarsi nel punto dove la scorciatoia si ricongiunge con la strada principale, cioè nel punto conosciuto come Croce del Bersagliere, in contrada Iacoi.
Michelina è stata in Pretura ma non ha concluso niente. Si mette in cammino per tornare a casa e fa la strada con altre persone. Adesso è alla Croce del Bersagliere e imbocca la scorciatoia.
Filomena è a pochi metri dalla Nazionale, nel punto dove la scorciatoia è incassata fra opposti rialzi di terreno e dove appena possono passare due persone.
All’improvviso le due ragazze si trovano faccia a faccia. La vista di colei che tanto male le aveva arrecato portò lo scompiglio nella povera mente della Durante.
È un attimo. Filomena afferra Michelina per il corpetto e cerca di picchiarla ma l’altra riesce a divincolarsi e scappa. Filomena la insegue, la raggiunge e la butta a terra mettendosi sopra l’avversaria. Michelina cerca di divincolarsi tirando calci e afferrando Filomena per i capelli. Poi tutti vedono distintamente che qualcosa luccica nella mano destra di Filomena e sentono l’urlo di dolore di Michelina.
Solo adesso gli uomini presenti intervengono e fanno in tempo a togliere dalla mano della ragazza un coltello da macellaio, nu scannaturu, con la lama lunga 22 centimetri, prima che riesca a colpire di nuovo.
Il caso vuole che mentre succede tutto questo sopraggiunga una Guardia Campestre che sequestra l’arma e dichiara in arresto la ragazza. Gli altri si occupano di tamponare la profonda ferita nel costato di Michelina, che viene portata in paese e fatta visitare dal dottor Vincenzo Barberio, il quale mette nero su bianco:
Esternamente la lesione presenta una apertura della lunghezza di circa quattro centimetri a margini nettamente recisi, angoli acuti e bordi fortemente divaricati. Dall’apertura della ferita fuori esce, ora sotto forma di stillicidio ed ora quasi a fiotti, sangue nero grumoso misto a schiuma sanguigna. La lesione interessa la cute, il connettivo sottocutaneo, i muscoli intercostali e penetra per un’apertura lunga circa tre centimetri nella cavità della pleura.
Non posso giudicare se trovasi o no leso il diaframma, la cui volta rendesi appariscente traverso l’apertura della ferita e col diaframma la faccia convessa del fegato in intimo rapporto con la volta diaframmatica.
Lo stato della ferita, sia per la quantità del sangue perduto, sia per l’importanza della lesione subita, è grave e lo stato di spossatezza e di depressione di forze in cui trovasi, la mettono in imminente pericolo di vita.
– Ieri, verso le sei del pomeriggio stavo tornando in paese quando sfortunatamente incontrai la Loreto che aveva sparso nel pubblico la voce che io era mantenuta di suo marito e disse ciò anche al mio fidanzato che me lo riferì e poi mi lasciò. Lei, facendosi pallida mi guardò irata. A ciò io divenni smorta nel viso, sentii il sangue affluirmi al cervello, non ebbi più coscienza dei miei atti ed in questo modo mi scagliai contro la Loreto e la ferii, ma ero tanto adirata che la colpii proprio con l’intenzione di ucciderla – confessa Filomena.
Le condizioni di Michelina sembrano stabilizzarsi, anche se resta in uno stato di semi incoscienza e non può rispondere alle domande che il Pretore vorrebbe farle. Stando così le cose, il reato contestato è quello di tentato omicidio e l’avvocato Pietro Mancini, difensore di Filomena, presenta ai giudici un’istanza di libertà provvisoria che viene respinta il 21 maggio dalla camera di Consiglio del Tribunale di Cosenza, proprio mentre Michelina muore.
Adesso è omicidio volontario.
Il 23 dicembre 1908 Filomena viene rinviata a giudizio per omicidio volontario, minaccia a mano armata, porto di rivoltella e di coltello, contravvenzione alla legge sulle Concessioni Governative (per non aver pagato la tassa per la detenzione della rivoltella).
Il dibattimento, presieduto dal cavalier Michelangelo Dall’Oglio, è velocissimo: i giurati non hanno dubbi sul fatto che l’onore va lavato col sangue e assolvono Filomena Durante.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento