DEDITO ALL’OZIO E AL VIZIO

La ventiquattrenne Angiolina De Santo ha un carattere allegro e gioviale nonostante la vita le abbia riservato solo dolori. I genitori le sono morti che era bambina, come d’altra parte erano ancora bambine le sue due sorelle, ed è cresciuta a Castrolibero con lo zio materno che l’ha tenuta in conto di figlia finché, ormai Angiolina ha più di 20 anni, le zie paterne non hanno cominciato a mettere in giro la voce che quello non voleva farla sposare per poterne sfruttare il lavoro nei campi e che loro un marito glielo avrebbero anche trovato, ma se le cose continuano ad andare come stanno andando non ne vorranno più sapere di sistemare la ragazza e chi s’è visto s’è visto. Raffaele Trozzolo, l’anziano zio, non ci sta a passare per quello che sfrutta la sventurata nipote e sebbene non approvi il  matrimonio di Angiolina con il ventenne Fioravante Perri perché non ne ha buone referenze, le costituisce una piccola dote e, a malincuore, acconsente.
Lo zio aveva visto giusto: appena sposati, Fioravante non ne vuole sapere di lavorare e pretende di campare alle spalle di Angiolina, che è costretta a lavorare per due o a chiedere denaro in prestito. Lui, ormai dedito all’ozio e al vizio, o gioca a carte o si dedica al suo hobby preferito, cioè la caccia di frodo. Mettono al mondo una bambina che però muore dopo un paio di settimane e Angiolina continua a spaccarsi la schiena con la zappa e a umiliarsi per chiedere soldi. Ma dopo quasi tre anni di questa misera vita ormai non c’è più nessuno disposto a scucire un soldo e la tensione nella baracca in legno e composta di due vani di contrada Malvitani (Marano Marchesato), dove sono andati ad abitare perché una donna caritatevole ha concesso loro un paio di tomolate di terra da coltivare a mezzadria, sale pericolosamente. La tensione sale soprattutto perché Fioravante non si sogna nemmeno di alzarsi la mattina presto e uscire con la zappa sulla spalla per coltivare il pezzo di terra. A questo devono pensarci Angiolina e i suoi due cognati.
Oltre a tutto questo la poveretta deve, come prescrivono gli obblighi familiari, soddisfare sessualmente il marito e rimane incinta di nuovo verso la fine di marzo del 1923. E magari qualche volta ci scappano anche le botte.
Sono abbastanza chiari i motivi per cui Angiolina avrebbe tutti i diritti per non essere allegra e gioviale?
Ma quando la mattina del lunedì 22 novembre 1923 esce di casa e incontra un vicino, Francesco Fiumara, questi nota subito che non è quella di sempre:
– Angiolì, che ti è successo? – le chiede quasi per scherzo, col suo marcato accento siciliano.
– La sfortuna mia è successa! Stanotte mi ha picchiato… schiaffi, pizzicotti con le unghie sulla pancia – gli risponde con gli occhi lucidi mentre mostra il suo pancione di sette mesi – calci… mi ha fatto uscire sangue dal naso e mi ha buttato giù dal letto… ho dovuto dormire per terra…
– E perché?
– La solita storia dei soldi… vuole che vada in giro a procurarmi i soldi per comprare un maiale… un maiale! – ripete con un sorriso amaro – ché secondo te è capace di fare il maiale? E anche se fosse, chi mi presta più un centesimo che siamo quasi a mille lire di debiti? Quasi quasi vorrebbe che facessi la puttana… io… hai capito? Lasciamo stare… ti saluto Cicciuzzu.
Un altro paio di vicine notano il suo cattivo umore e le chiedono il perché, ottenendo lo stesso racconto.
Angiolina zappa fino al tramonto, poi rientra nella baracca. Non ha nemmeno voglia di mettere sotto i denti uno degli ultimi pezzi di pane ammuffito e una delle tre patate bollite rimaste. È stanca, vuole solo riposare e fare riposare la creatura che ha dentro, stanca come lei, così si mette a letto ma non prende sonno e nel frattempo rientra il marito.
Perlamadonna su questa tavola non c’è mai niente di cucinato! – protesta.
– Tu ne hai portato soldi per comprare da mangiare? – protesta a sua volta Angiolina.
– Allora non hai capito… sei tu che devi portare i soldi!
– Io non ne posso portare più soldi, almeno tutti i soldi che vorresti tu. Primo perché nessuno me ne presta più e secondo perché non mi voglio umiliare più!
– Si, si… la nobildonna! Intanto vedi di procurare i soldi per il maiale se no passi un guaio.
– Se è per me, maiale non ne mangerai!
A Fioravante il sangue sale alla testa ma, sebbene a stento, trattiene la rabbia e non replica. Gli è venuta un’idea e pazienza se per quella sera mangerà pane stantio e patate bollite.
– Dammi il vino – continua con calma.
– Vino non ce n’è. Se hai sete bevi acqua.
Il petrolio del lume è quasi finito, si e no basterà per quella notte, ma lo stoppino arde ancora bene. Fioravante si siede sul bordo del letto, si slaccia la cordicella, il romanello come usano chiamarlo lì, che tiene legate le purcine, le rozze scarpe dei morti di fame, e si corica. Angiolina gli da le spalle ma è evidente che non sta ancora dormendo. Poi il respiro della donna si fa più calmo e regolare. Adesso dorme.
Fioravante stringe in mano il romanello, poi lo lega con un nodo scorsoio e prova se funziona. No, non stringe bene. Si alza e cerca la bottiglia con le ultime gocce di olio rimasto e lubrifica la cordicella. Adesso si che scorre!
Torna a letto ma questa volta non si corica, si mette in ginocchio sul materasso, alle spalle della moglie. Il cappio dondola sinistramente nella sua mano in attesa del momento opportuno. Non deve aspettare che un paio di minuti, poi Angiolina nel sonno solleva un poco la testa per girarsi e Fioravante con una mossa fulminea le fa passare il cappio intorno al collo e tira più che può.
Angelina si dibatte, scalcia, cerca aria con la bocca spalancata e le mani che cercano di liberare la gola, ma Fioravante tira, tira quella cordicella più forte che può e alla fine Angiolina si affloscia come un sacco vuoto.
Lui fa due o tre profondi respiri, riacquista la calma e sistema la moglie nel letto cose se dormisse. Poi le si corica al fianco e si mette a dormire come se nulla fosse accaduto.
Il giorno non è che una sottile linea biancastra sopra le montagne quando Fioravante esce di casa e va a bussare alla porta di sua cognata Filomena De Santo, che risponde seccata ai colpi sulla porta.
C’è una imbasciata – la voce è quella di Fioravante.
– Aspetta – gli risponde mentre si riveste, poi apre la porta e il cognato, senza dire una parola, la prende per un braccio, la porta nella baracca e indica il letto dove c’è Angiolina.
Guarda là che c’è – le dice senza espressività. Filomena vede la disgraziata già morta con la bocca spalancata – ha avuto forti dolori allo stomaco
Filomena però nota delle graffiature al collo e si precipita fuori dalla baracca gridando al soccorso. Arrivano subito tutti i vicini e Fioravante racconta la storiella dei dolori allo stomaco, poi, come invasato, comincia a graffiarsi il viso, a rompere dei piatti ed a gittar fuori dalla baracca alcune panche, tanto che molti si allontanarono, temendo di lui.
Francesco Fiumara, che sa delle fresche botte prese da Angiolina, pensa che sia opportuno chiamare un medico per fargli constatare la morte prima che si proceda alla sepoltura, come Fioravante chiede insistentemente di fare, opponendosi alla visita del medico, ma deve cedere di fronte alle pressioni di tutti i presenti.
Il dottor Vincenzo Sicilia, medico alle prime armi, arriva dopo un paio di ore e trova Angiolina già composta nella cassa, con la bocca tenuta chiusa da un fazzoletto annodato sopra la testa.
– Come è morta? – chiede ai presenti e tutti in coro gli rispondono che ha avuto delle forti coliche durante la notte, almeno così ha raccontato il marito il quale, seduto indifferentemente vicino alla finestra, conferma. Ma al dottor Sicilia qualcosa non quadra nel processo della morte così repentino e chiede a Fioravante – non è che è caduta e ha battuto la testa?
– Assolutamente no! ieri sera non abbiamo litigato… fate il certificato e portiamola al cimitero…
Ma chi ha parlato di lite? Sicilia ha solo chiesto se Angiolina fosse caduta. L’affermazione di Fioravante lo insospettisce e comincia a ispezionare il viso della morta ma la baracca è buia, fuori incombono nuvoloni neri che promettono pioggia da un momento all’altro, e non vede bene, così ordina che gli sia portata una lanterna. Fioravante diventa bianco come un lenzuolo e continua a piagnucolare pregando il medico di ordinare il seppellimento.
Non sono cose da farsi alla leggera! – esclama mentre gli avvicinano la lanterna al viso di Angiolina e si accorge subito delle due unghiate a destra e come una graffiatura lineare a modo di solco a sinistra. Poi per farsi sentire da tutti dice ad alta voce – Può trattarsi di morte violenta per strangolamento, ma è meglio chiamare il dottor Pietro Aiello che è più esperto di me e se ne intende…
Tutti guardano con sospetto Fioravante e mandano un ragazzo a Castrolibero dove abita il dottor Aiello, il quale, quando arriva e constata con il collega i segni sul collo di Angiolina, guarda Fioravante e sbotta:
Cosa hai fatto?
Pare che ne avevo di più donne in casa! Ripeto che ha avuto dei forti dolori di stomaco – risponde.
– Ma secondo voi siamo dei calzolai a cui si possono dare a bere simili cose? – dice il dottor Aiello visibilmente contrariato, poi i due medici redigono un certificato nel quale esprimono i propri dubbi sulla faccenda, lo mandano con urgenza al Sindaco e ordinano di non procedere al seppellimento della salma prima dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria.
La macchina della Giustizia si mette in moto e dopo un paio di ore arrivano i Carabinieri della stazione di Rende che perquisiscono minuziosamente la baracca e rinvengono un fucile ad avancarica, che sequestrano, e per terra in un angolo una cordicella, un romanello. Il Maresciallo Gennaro Tesone non aspetta che arrivi il Giudice Istruttore per cominciare le indagini. Prende il romanello e lo avvicina al segno sul collo di Angiolina per vedere se le dimensioni sono compatibili. Si, lo sono. Allora Tesone porta Fioravante in casa di un vicino e si chiude con lui in una stanza.
– Perché l’hai ammazzata? – gli chiede a bruciapelo.
– Marescià… ve lo giuro… ha avuto una colica… ieri sera mi sono coricato verso le otto e mia moglie è venuta a letto dopo una mezzoretta e si lamentava per i dolori di ventre. Poi non l’ho sentita più lamentarsi e ho pensato che stava meglio e si era addormentata. Stamattina verso l’alba mi sono accorto che era morta…
– Stronzate! – tuona Tesone sventolandogli sotto il naso il romanello – Tu l’hai strangolata con questa!
– No… no! – nega ostinatamente. E continua a negare per un bel po’ alle stringenti ed incalzanti interrogazioni del Maresciallo, poi crolla e confessa l’orrendo crimine, l’orrendo duplice crimine, perché con Angiolina ha ammazzato anche suo figlio – Ad un tratto, sarà stato il diavolo che mi avrà tentato, afferrai il romanello, preparai un nodo scorsoio, balzai sul letto, le passai il nodo al collo e strinsi fortemente, sicché rimase subito inerte. Assicuratomi che era già spirata, le tolsi la cordicella dal collo e la gettai a terra. Dopo il fatto mi sono addormentato fino al mattino.
– Ora dimmi perché lo hai fatto – insiste Tesone, con le vene delle tempie che stanno per scoppiargli al pensiero che l’individuo che ha davanti, dopo avere ucciso barbaramente moglie e figlio, si è addormentato come se nulla fosse. No, è un individuo a cui manca l’umanità, è una bestia immonda.
L’ho uccisa perché era solita contrariarmi e contraddirmi sempre in modo irriguardoso.
Eseguire quella autopsia per i dottori Vincenzo Caputi e Mario Valentini è uno strazio. È uno strazio perché devono accertare se tra le possibili cause della morte ce ne possa essere una legata all’avanzata gravidanza, quindi dovranno sezionare anche il feto, un maschietto dalla cute biancastra, lungo circa 40 cm e del peso approssimativo di kg uno e mezzo. Le unghie cresciute raggiungono appena le estremità delle dita, i testicoli non ancora completamente discesi nello scroto. Le palpebre sono chiuse, le pupille dilatate; la faccia e le labbra sono edematose e cianotiche, la lingua protende dalla cavità boccale. Uno strazio.
Caputi e Valentini non hanno dubbi: È da escludersi in maniera assoluta che alla morte di De Santo Angela abbiano concorso altre cause oltre allo strangolamento. Affermiamo che il feto era vivo prima della morte della madre, per lo stato in cui furono trovati tutti gli organi fetali e perché esso presentava evidenti tracce di difetto di ematosi, il quale fu indotto dal soppresso scambio di sangue materno con quello fetale. I segni di asfissia nel feto dovettero verificarsi quando la madre veniva strangolata e certamente non prima. È naturale che, deceduta la madre, arrestatasi la circolazione materna, dovette conseguentemente soccombere il figlio. Dopo ciò non si può ammettere che la morte del feto, la quale avvenne dopo quella della madre, abbia in qualsiasi maniera concorso al decesso dell’uccisa.
I Carabinieri accertano anche che Angiolina, per soddisfare le richieste del marito aveva debiti residui per complessive 547,95 lire con parenti e negozianti.
Dal punto di vista penale è tutto chiaro. Nascono però dei problemi burocratici per il pagamento dei periti che presentano una parcella per due autopsie, mentre la Procura del re di Cosenza reputa che le due sezioni cadaveriche debbano considerarsi unica. I periti fanno ricorso e la Corte d’Appello di Catanzaro gli da ragione. Sembrerebbe una cosa ovvia, ma secondo la legge l’omicidio è uno solo perché la soppressione violenta del feto nel grembo materno non viene considerata tale, se non in caso di procurato aborto.
Fioravante Perri viene rinviato a giudizio con l’accusa di, a fine di uccidere e per solo impulso di brutale malvagità, avere cagionata la morte della propria moglie De Santo Angela, stringendole la gola con un nodo scorsoio e con le dita. Omicidio aggravato. La morte del bambino non è addebitata, come per legge.
Il dibattimento si apre il 20 aprile 1925 e la difesa, sostenuta dall’avvocato Nicola Serra, che ha sostituito Tommaso Corigliano, chiede che l’imputato sia sottoposto a perizia psichiatrica  ma il Pubblico Ministero e le parti civili si oppongono e il Presidente rigetta l’istanza. Si può procedere e due giorni dopo, il 22 aprile, la Corte, negata la brutale malvagità e concesse le attenuanti generiche, condanna Fioravante Perri alla reclusione per anni 15, mesi 11 e giorni 20, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, a quella legale, alla vigilanza speciale della P.S. per anni tre e conseguenze.[1]
Una carezza a quel povero innocente morto nel grembo materno per mano del padre scellerato.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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