DON ALFONSO MORTO AMMAZZATO

– Adesso glielo faccio vedere io, lo querelo! – Clementina Avventuriera, venticinquenne levatrice di Bisignano, è furente per quello che le hanno appena riferito: “la zuppella va in chiesa per dare scandalo, si vedono alla casa di Teresa Astola, si abbracciano e si bacciano con don Giuseppe il parroco. Loro sono andati contro di me ed io vado contro di loro, come sono svergognato io devono essere  svergognati gli altri”. Chi ha pronunciato queste parole? Un altro sacerdote, don Alfonso Castagnaro!
È la mattina di sabato 21 maggio 1916, ma noi andiamo indietro di quattro anni per cercare di capire il senso delle frasi dette dal quarantasettenne don Alfonso, ex parroco della parrocchia di San Tommaso Apostolo di Bisignano. Si, ex parroco perché nel 1912 don Alfonso, processato per violenza carnale ai danni di una bambina e scampato a condanna certa per remissione di querela, fu rimosso dall’incarico dal Vescovo e sostituito dal giovanissimo don Giuseppe (chi volesse approfondire può cliccare sui link e leggere gli articoli con le vicende precedenti a questa DON ALFONSO E LA BAMBINA LETTERE PER UNA BAMBINA VIOLATA). Il vecchio parroco, senza farne mistero, aveva sempre ritenuto responsabile della denuncia a suo carico don Giuseppe e per questo tra i due (e anche tra i seguaci dell’uno e dell’altro) i rapporti rimasero sempre molto tesi.
Clementina e Vincenzo Fucile, uno dei suoi due fratelli di latte, si avviano per il Calvario verso la caserma dei Carabinieri di Bisignano quando, arrivati davanti alla farmacia del dottor Vincenzo Scavelli, vedono dentro proprio don Alfonso. Spinta dal desiderio di sfogare la sua rabbia, Clementina entra nella farmacia e gli dice a muso duro:
Perché mi vai diffamando e vuoi farmi perdere il pane?
Don Alfonso non risponde subito ma mette una mano al petto come per pigliare qualche arma dall’interno della Zimarra, quindi le intima:
Vai via!
Clementina non è affatto impaurita e, indispettita, gli molla uno schiaffo, poi toglie di mano il bastone a uno dei presenti e lo colpisce al braccio sinistro.
Stai fermo! Giusto con una donna ti metti? – interviene Vincenzo Fucile abbracciando il prete per impedirgli di mettere la mano sotto la zimarra, dove teme che abbia un’arma. Anche gli altri presenti intervengono per evitare guai peggiori e la cosa finisce lì. Clementina e Vincenzo Fucile se ne vanno e proseguono verso la caserma dei Carabinieri. Prima di entrare, i due vengono raggiunti di corsa dal diciannovenne Francesco Palma, altro loro fratello di latte, avvertito della questione.
– State a sentirmi – dice il Maresciallo Vincenzo Spinola – pazientate ancora un po’ prima di fare la querela, mi metto in mezzo io per farvi fare pace. Tornate oggi pomeriggio e se non sarò riuscito, lo denunciate.
I tre fratelli ascoltano il consiglio e se ne tornano a casa, pranzano tranquillamente e verso le 14,00 Francesco esce di casa con alcuni suoi amici.
Avessi da litigare tu con don Alfonso, che me la vedo io con la giustizia – gli dice Clementina, sapendolo una testa abbastanza calda. Il fratello la rassicura e se ne va.
Anche don Alfonso va dai Carabinieri dopo la questione con Clementina e, non volendo sentire ragioni, denuncia la ragazza e il fratello Vincenzo per le percosse ricevute.
Sono le sei di pomeriggio e don Alfonso sta passeggiando con il suo amico farmacista lungo via Calvario. Anche Francesco Palma sta passeggiando sulla stessa strada con i suoi amici e, inevitabilmente, si trova faccia a faccia con il prete.
La lama del coltello nella mano di Francesco luccica per un solo istante, inondata dalla luce rossa del sole che sta scendendo, poi penetra in profondità nel petto di don Alfonso, che si accascia senza un lamento con il cuore trapassato da parte a parte. Francesco, tra lo stupore e l’immobilità generale, si allontana con passo deciso, scomparendo nei i vicoli circostanti.
La caserma dei Carabinieri è a due passi dal luogo del delitto, però i militari sono fuori per servizio e arrivano poco dopo mettendosi subito alla ricerca dell’assassino, ma di lui non c’è traccia.
Quello che è certo, pensa il Maresciallo Spinola, è che tra i due non avvennero questioni di sorta perciò si ritiene che il Palma si sia indotto a commettere il delitto per la questione avvenuta la mattina tra il prete e Clementina. Forse la ragazza e l’altro fratello di latte lo hanno istigato a uccidere il prete, ma non vi sono testimoni che lo affermano, né che gli abbiano promesso assistenza ed aiuto dopo il reato o che abbiano dato istruzione o somministrato mezzi per eseguirlo; solo sono stati la causa determinante del delitto. Così Clementina e Vincenzo Fucile vengono arrestati e interrogati. Raccontano la lite con il prete, raccontano quello che hanno fatto insieme a Francesco Palma prima che questi uscisse di casa ma negano categoricamente di aver istigato o di essere stati la causa determinante del delitto. Clementina però racconta anche altro:
Il prete Castagnaro nutriva contro di me un certo rancore perché mi ero sempre rifiutata agli inviti osceni da lui ripetutamente ed ostinatamente fattimi tutte le volte che mi incontrava per la strada. Mi diceva: come sei bella, come sei carina… ma io non gli badavo ed allora per vendicarsi e perseguitarmi cominciò a divulgare che io in casa di certa Astola Teresa m’intrattenevo intimamente con il sacerdote Dionisalvi Giuseppe. Chiedete ad Ernesto Iaquinta e vi dirà di aver sentito don Alfonso dire, alludendo a me mentre passavo per la piazza: Se ne tira botte coi Monaci, coi preti e coi Carabinieri
Si vedrà, intanto i due restano in cella.
La sera del 23 maggio Francesco Palma bussa alla porta dei Carabinieri di Bisignano e si costituisce:
– Passeggiavo su via Calvario e incontrai don Castagnaro. Mi vennero in mente le male parole che aveva detto all’indirizzo di Clementina e non ci vidi più, principalmente che il Castagnaro, ogni qualvolta che mi incontrava, con la testa e viso faceva gesti in modo da farmi comprendere che mi voleva sfottere. Estrassi il coltello dalla tasca e tirai un colpo non allo scopo di ammazzarlo ma bensì per fargli uno sfregio in faccia, onde fargli ricordare di me per tutta la vita.
Sembra un movente abbastanza debole, ma il Maresciallo è fiducioso che le indagini riveleranno tutti i retroscena. Spinola interroga la madre e la sorella di don Alfonso, ma queste rispondono di non sapere niente di tutte quelle storie e che non riescono a spiegarsi il perché dell’omicidio. Invece il fratello Costantino sembra bene informato sulle questioni riservate di don Alfonso e racconta:
– Dopo la questione con Clementina Avventuriera, Marco Dionisalvi, il fratello di don Giuseppe, mi chiamò in disparte e mi disse: La prima volta che incontrerò tuo fratello Alfonso gli debbo fare una forte mortificazione perché ha sparlato sul conto di mio fratello. Sono convinto che dietro l’omicidio di mio fratello ci siano i Dionisalvi.
Infatti Costantino non perde tempo e scrive al Pretore di Acri per mettere nero su bianco i suoi sospetti sul movente e sui mandanti di quello che ritiene essere stato un omicidio premeditato. E per arrivare al sodo, spargere un po’ di fango è sempre utile:
Quale la causale del fatto spaventoso?
Il povero ucciso, in un amichevole conversare, avrebbe lamentato alcune sue punizioni avute dal Vescovo, il quale avrebbe lasciato correre che il prete Dionisalvi scherzasse (si badi che si addebitavano atti non gravi) con Clementina Avventuriera, la figlia di nessuno… cresciuta e perduta nel fango delle vie, una ragazza che non ha avuto né scrupoli né pudori, che non ha mai nascosto la sua vita allegra ed avventurosa…
Questo addebito, anche quando fosse vero e avesse colpito e macchiato la purezza di un’onesta fanciulla, non meritava certo la pena di morte. Tanto meno il Palma teneva a tutelare il nome e l’onore… di un’estranea, lui che all’Avventuriera ha spesso fatto mezzano.
Chi dunque aveva interesse a spegnere la vita del Castagnaro?
Non correvano buoni rapporti, anzi esisteva un indomabile odio del prete Dionisalvi verso l’ucciso contro cui, in un momento triste della sua vita, mosse guerra sorda e crudele. Le pretese propalazioni del Castagnaro ledevano non certo lo spento onore della Clementina, ma intaccavano la purezza sacerdotale del Dionisalvi, il quale potette vedere che da quell’addebito sorgesse contro di lui un processo ecclesiastico. Doveva soffocare la voce che serpeggiava in Bisignano e che, accreditata ed ingigantita, poteva esporre il reverendo a punizioni e fastidii. Miglior mezzo per raggiungere questo fine era la intimidazione del povero Castagnaro e la si tentò con l’aggressione dell’Avventuriera il mattino del giorno funesto. La immaginiamo noi una Clementina Avventuriera, levatasi dal suo letto impuro che va a bastonare quegli che le avrebbe attribuito una carezza od un bacio, dato o ricevuto, fra i tanti che ella dispensa e riceve? Chi può mai supporre che una mala femmina si preoccupi che altri gli accresca il numero degli amanti? Interesse a soffocare le prime voci delle nuove gesta dell’Avventuriera lo ha don Giuseppe Dionisalvi.
Ma, secondo Costantino, non essendo stata sufficiente la bastonatura perché don Alfonso ha sporto querela, ecco che il fratello di don Giuseppe si fa avanti e pronuncia parole di minaccia: Non passerà oggi e romperemo il culo a Castagnaro. Ecco che uno zio dei Dionisalvi, Vincenzo Savaglio, sconvolto dalla notizia della querela, si precipita dal Vescovo Salvatore Scanu a riferire non sappiamo cosa contro il Castagnaro. E infine appare sulla scena Francesco Palma che uccide don Alfonso, apparentemente senza un movente. Movente inconfessabile perché esporrebbe con una chiamata di correo non soltanto Clementina ma anche la famiglia Dionisalvi.
Ancora secondo Costantino Castagnaro, per istigazione dello stesso Dionisalvi presso il Vescovo, mio fratello finì col perdere la Parrocchia (decisa dopo il brutale stupro della bambina, è bene ricordarlo) affidata allo stesso don Giuseppe Dionesalvi, ma il Vescovo medesimo onde aiutarlo gli mandava delle messe da celebrare. Qualcuno ha dovuto informare male il menzionato Vescovo perché costui, circa tre o quattro mesi addietro scrisse una lettera a mio fratello dicendogli che non poteva mandargli delle messe perché ne aveva a sufficienza offerte dal popolo. Donde il risentimento di mio fratello e il bisogno di lui di investigare anche la condotta del Dionisalvi per esercitare presso il Prelato superiore la legittima reazione. Circa quattro o cinque giorni prima dell’assassinio, mio fratello Alfonso, rincasando, mi narrò che aveva appreso delle notizie gravi sul conto del Prete Dionisalvi e si lamentò con me dicendomi con afflizione:Il Vescovo l’ha soltanto con me che non faccio nulla, mentre gli altri commettono a man salva dei fatti gravied esternò il proposito di scrivere al Vescovo Scanu per metterlo a conoscenza che il sacerdote Dionisalvi era in relazioni intime con la levatrice Clementina Avventuriera. Benché non avesse fatto a me i nomi, mi riferì che aveva cinque testimoni da indicare al Vescovo, al quale avrebbe rivolto la preghiera di interrogarli sotto la santità del Vangelo, ed aggiunse che gli avrebbe ancora osservato che lui aveva accettato con rassegnazione la punizione inflittagli per cui gli venne tolta la parrocchia, ma che desiderava che la giustizia si facesse anche contro gli altri manchevoli. Non è improbabile che sia la notizia venuta all’orecchio del Dionisalvi e quindi dell’Avventuriera la quale, la sera del giorno precedente la commissione del delitto, ebbe con lui un lungo, segreto colloquio nella sagrestia della Chiesa di S. Andrea per come, dopo qualche tergiversazione e reticenza, ebbe ad affermare al Maresciallo dei RR.CC. tal Raffaela Pastore che accompagnò l’Avventuriera in chiesa. Io sono convinto che la lettera inviata dal povero mio fratello al Vescovo costituisca la spinta al delitto.
Accuse gravissime. Ma Costantino non si ferma qui, infatti afferma di avere dei testimoni che avrebbero sentito dire a Clementina dopo l’omicidio: ha fatto bene mio fratello, così doveva fare! E cosa dire sul fatto che alle funzioni religiose rese gratuitamente, come per obbligo, dal Clero di Bisignano in onore di mio fratello, mancò un solo prete, il sacerdote Dionisalvi?
Tutto quadrerebbe secondo questa ricostruzione, ma c’è bisogno di trovare uno straccio di riscontro. Viene interrogata Raffaela Pastore:
– Don Alfonso mi incaricò di riferire a don Giuseppe che la relazione tra lui e Clementina era stata scoperta e io glielo riferii. Don Giuseppe mi rispose: “Come lo hai detto a me, dillo pure a Clementina Avventuriera”, così io lo riferii anche a lei e andammo insieme nella chiesa di Sant’Andrea a parlare con don Giuseppe. Lì trovammo Luisa Gencarelli e Teresina Prezioso e don Giuseppe disse di andare a riferire a don Alfonso che quelle non son cose da andare dicendo e consigliò a Clementina di andare a lamentarsi per quella diceria con don Alfonso.
Ma chi ha messo in giro la voce che don Giuseppe e Clementina sarebbero stati visti abbracciarsi in casa di Teresa Astola? Raffaela Pastore dice:
Verso i primi di maggio Francesca Montalto mi narrò che il parroco Dionisalvi aveva abbracciato la levatrice Clementina Avventuriera. Io, a mia volta, lo narrai occasionalmente a Calabria Antonia.
– Ma la Montalto vi disse di aver visto con i suoi occhi i due che si abbracciavano? – le chiede il Pretore.
In verità la Montalto mi disse che il Dionisalvi aveva messo un braccio sulla spalla della Clementina per farle una confidenza e poi, insospettita, aggiunse: “Ma che cosa poteva dirle in segreto?”. Nel raccontare quanto avevo appreso dalla Montalto alla Antonia Calabria, io mi servii del termine “abbracciare” per dire che il Dionisalvi aveva preso la levatrice per le spalle, ma non le dissi che tra questi due esisteva una intimità non lecita.
– E perché avete assecondato la richiesta di don Castagnaro di andare a parlare con don Giuseppe per accusarlo di una cosa che ritenevate non vera?
Io gli osservai che non era vero il fatto attribuito a quei due e lui rispose: “Ho i testimoni, ho i testimoni, lo negherà l’Astone la quale si è fregata ancor prima con lui”. Io non eseguii l’incarico e il Castagnaro ritornò una seconda e una terza volta, finché io non mi decisi ad accontentarlo.
Ma chi sono questi benedetti testimoni? Nessuno riesce a capirlo. Viene chiesto al Vescovo di esibire i documenti conservati nella Curia che interessano le indagini, ma il prelato rifiuta cortesemente, schermandosi dietro il segreto ecclesiastico.
Le voci a Bisignano corrono incontrollate di bocca in bocca e arrivano anche in carcere attraverso una lettera indirizzata a Vincenzo Fucile che suona quasi come una minaccia e inguaia seriamente don Giuseppe, il fratello Marco e lo zio:
Caro fratello Vincenzo
Oggi appunto ti scrivo questo biglietto per farti sapere che tua comare Franceschina e tuo compare Umile di mastro Achille ti condannano a te e a tua sorella.
Ti prego di incoraggiare a tuo fratello Francesco di svelare tutto, cioè chi l’ha insinuato per fare l’omicidio che se lui vuol bene di vero cuore a Clementina deve dire la verità perché ha detto a Raffaela la ghieghia che sono state due persone che l’hanno insinuato, perciò pregalo di dire la verità che così liberano a te e tua sorella. Fateci sapere che avete fatto che io mia madre e mia nonna abbiamo detto che a casa ci venne Marco e disse il prettore che se Francesco svela chi l’ha insinuato, a te e nostra sorella vi liberano e a Francesco li condanno due anni, se al contrario nega sempre venite condannati tutti e tre.
Benedetto figlio Francesco
Ti fo sapere chi è che ti insinuò, svela tutto chi ti ha detto a fare questo omicidio che tutti i testimoni ci sono andati contrario e se tu non dici la verità statino tutti rovinati che il pretore i testimoni li fa esaminare a varie volte. Ti prego benedetto figlio di svelare che i testimoni hanno detto che Cicco e Marcuzzo ti hanno chiamato e forse ti insinuarono quindi come fu rovinata la nostra casa tu dovrai rovinare altre famiglie e quindi benedetto figlio se mi vuoi bene di vero cuore dici la verità e così tua sorella e tuo fratello saranno liberati e tu sarai condannato a due anni che se tu non dici la verità la nostra casa è rovinata e io la rovino totalmente che qualche notte mi vado a gettare dal ponte.
Ti baciano tutti di famiglia, tua madre Francesca.
Caro compare non puoi sapere il dispiacere che provai non vedendoti quando partisti ad acri che come saprai ero al ponte se tu pregherai a tuo fratello ciò che abbiamo detto ci rivedremo presto
Tuo compare Luigino.
Ma non c’è niente da fare, Francesco continua a ripetere la sua prima versione dei fatti, però sotto le pressioni della famiglia Castagnaro e anche della stampa (Il Mattino 22-23 giugno 1916), le indagini vengono tolte al Pretore di Acri e avocate dal Giudice Istruttore.
L’istruttoria riparte da zero e dai nuovi interrogatori sembra emergere l’estraneità ai fatti di Clementina e Vincenzo Fucile, tanto da portare il Pubblico Ministero a chiederne la scarcerazione. Il Giudice Istruttore accoglie parzialmente la richiesta e scarcera solamente Vincenzo, ritenendo, al contrario, sufficienti gli indizi a carico della ragazza per trattenerla in carcere. La Procura e il difensore di Clementina fanno ricorso contro questa decisione e la Sezione d’Accusa, il 31 luglio 1916, lo accoglie: Clementina torna libera con l’obbligo di dimora a Cosenza. Contemporaneamente la Procura viene subissata da una quantità enorme di lettere ed esposti della famiglia Castagnaro e dell’avvocato Tommaso Corigliano che la rappresenta.
In questo via vai di carte, il Giudice Istruttore pensa che sia il caso di affiancare al Maresciallo Spinola un funzionario di Pubblica Sicurezza e la Prefettura designa il Delegato Francesco Cilento, un funzionario che notoriamente usa modi spicci e che non ha dubbi: don Giuseppe e Clementina sono amanti e dalla volontà di tenere nascosta la loro tresca viene la necessità di sopprimere don Alfonso, cosa che viene affidata a Francesco Palma, altro che delitto d’onore! Esattamente la tesi della famiglia Castagnaro, col risultato che  don Giuseppe, suo fratello Marco e lo zio Vincenzo Savaglio vengono arrestati. Non solo. È evidente che se don Giuseppe e Clementina sono in intime relazioni, la ragazza non può non essere correa del delitto e viene arrestata di nuovo con le stesse accuse. È il 4 novembre 1916 e mentre Clementina viene riportata in carcere, a Bisignano il Consiglio Comunale è convocato per discutere l’unico punto all’ordine del giorno, approvato all’unanimità: Licenziamento della levatrice condotta.
Sebbene il mandato del Delegato Cilento relativo alle indagini sia scaduto, lui continua a indagare ed effettua, senza alcuna autorizzazione, una perquisizione nella casa di Cosenza dove Clementina risiedeva. La reazione dell’avvocato Fagiani è composta ma durissima:
Ill.mo Signor Giudice Istruttore – Cosenza
(…) Ebbi l’onore di segnalare alla S.V.Ill.ma altre dimenticanze e ne ottenni in risposta che deducessi… in udienza le relative nullità. Sono sicuro che se le mie rispettose proteste continuano, per dovere difensivo, ad esserle presentate, le risposte non continueranno ad essere della stessa specie della precedente.
La S.V. permetterà che in questo processo, nel quale gli innumerevoli esposti della parte civile, che pretende di sovrapporsi alla Giustizia e di guidarla (poveretta!) ingombrano tutti i volumi, trovi posto, dopo tanti mesi, una istanza, una sola della difesa, che fino a questo momento ha sempre taciuto.
La difesa Dionisalvi adesso finalmente contrattacca e smonta la prova regina andando a pescare tutte le dichiarazioni testimoniali non prese in doverosa considerazione: la tresca tra don Giuseppe e Clementina:
Il Sacerdote Dionisalvi un giorno, trovandosi a passare per la casa di tale Astone Teresa e sapendola inferma, chiese di lei notizia. Ed essendosi in quella abitazione incontrato con l’Avventuriera, in presenza di tutti (e questo non è il contegno di un prete amante) ebbe a dirle: “sai quante cose si dicono a tuo carico?” al che l’Avventuriera rispose: “ma che cosa è che si dice?”. Ed il Dionisalvi, per non parlare in presenza di coloro che erano in quella casa, ponendole un braccio sulla spalla, la chiamò a sé e le riferì le voci che correvano ad opera del Castagnaro. Questo atto innocente è saputo dal Castagnaro, il quale per le pubbliche vie, va affermando che il prete Dionisalvi ha abbracciato l’Avventuriera.
Dopo una proroga alle indagini, ormai è tutto pronto per chiudere l’istruttoria. La Procura del re di Cosenza, contrariamente a quanto pensa il Giudice Istruttore, continua a non essere affatto convinta del coinvolgimento dei Dionisalvi: a loro carico poi gli elementi emersi dalla istruttoria si porgono incerti, contraddittori e tali da non dare sicuro affidamento per un’accusa così grave quale è quella che contro di loro si prospetta. Il funzionario di P.S. con sottile per quanto pericoloso ragionare si affanna a dimostrare che nell’omicidio Castagnaro bisogna distinguere tra istigatori diretti ed istigatori indiretti nel senso che, secondo lui, il Savaglio ed il Dionisalvi Marco avrebbero agito direttamente sull’animo del Palma per eccitarlo al delitto, mentre il sacerdote Dionisalvi Giuseppe sarebbesi limitato a dare incarico per la bisogna ai predetti fratello e zio. E crede ravvisare le prove della istigazione diretta a carico del Savaglio e Dionisalvi Marco nel fatto che costoro avrebbero avvicinato il Palma nel giorno dell’omicidio e tenuto con lui brevi discorsi, dei quali s’ignora peraltro il tenore. Ora non è chi vegga quanto labile sia un’accusa di mandato ad istigazione fondata su tali elementi. Chi può dire quali discorsi abbiano il Savaglio e il Dionisalvi Marco tenuti col Palma? Nulla, proprio nulla ha offerto il processo che valga a far pesare sul Dionisalvi Giuseppe la responsabilità, sia pure morale, dell’uccisione del prete Castagnaro.
E di Clementina: Né miglior sorte possono avere i labili elementi raccolti a carico della Clementina Avventuriera. È degno di rilievo che lo stesso funzionario di P.S. che ebbe ad occuparsi del fatto non ha creduto sul serio ad una forma di compartecipazione vera e propria dell’Avventuriera nell’omicidio compiuto dal Palma, il quale fin dalla sera del sabato 20 maggio, precedente il giorno dell’omicidio, non aveva la più bella disposizione d’animo verso il Castagnaro, tanto che fu visto con un grosso bastone fra le mani ed inteso dire, riferendosi al Castagnaro: “Gli devo rompere la chirica”, frase che ripetette l’indomani qualche ora prima dell’omicidio. Tali espressioni rivelano lo stato di animo del Palma fin quasi ‘a momenti prossimi al misfatto da lui compiuto. E dato un cosiffatto tipo e con quelle disposizioni di animo, qual meraviglia se egli siasi, dopo alquanto tentennare, deciso al delitto e, studiandone il momento opportuno, l’abbia con la celerità del fulmine messo in esecuzione? La causale va ricercata nella indole stessa del Palma e nel principio di omertà, per cui bene e spesso si compiono delitti, anche più efferati senza una giusta e proporzionale causa che valesse a spiegarla.
La Procura Generale del re di Catanzaro non la pensa esattamente così e chiede il rinvio a giudizio per Francesco Palma, Clementina Avventuriera, Vincenzo Savaglio e Marco Dionisalvi , mentre chiede il non luogo a procedere per Vincenzo Fucile e don Giuseppe.
La Sezione d’Accusa, a sua volta, decide di rinviare a giudizio solo Francesco Palma e Clementina Avventuriera e di prosciogliere gli altri imputati. È il 15 marzo 1917.
Il dibattimento chiarisce le cose e due anni dopo, il 17 marzo 1919, la Giuria condanna Francesco Palma a 6 anni e 3 mesi di reclusione, di cui 4 mesi condonati in base al Regio Decreto del 21 febbraio 1919 e assolve Clementina.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).

 

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

Lascia il primo commento

Lascia un commento