DON ALFONSO E LA BAMBINA

Sono quasi le 8,00 di mattina del 25 ottobre 1912 quando la domestica del dottor Giulio Vita di Bisignano bussa alla porta della caserma dei Carabinieri per consegnare un biglietto al Vicebrigadiere Lorenzo Fusco il quale, messosi comodo alla scrivania, lo legge storcendo la bocca:
Ieri sera, verso l’avemaria, fui chiamato per visitare la bambina Ortenzia Papa di Eustachio di anni dieci circa, abitante nel vico della Piazza, vicino al palazzo dei Signori Trentacapilli.
Sia per l’ora tarda e sia perché io avevo la febbre e la bambina non si prestava molto, non ho potuto rilevare minutamente le lesioni che presenta ai genitali, dovute certamente all’introduzione di corpo estraneo in vagina, da cui veniva fuori sangue che aveva sporcato le cosce e la camicia. Non mi sono accorto di macchie sospette.
Ne avverto la S.S.Ill. stamane, non avendolo potuto fare ieri sera perché la febbre non me lo ha consentito.
                                                                                  Dottor Giulio Vita
– Capasso! Preparati che usciamo! – urla il Vicebrigadiere, consapevole che il giorno è cominciato malissimo.
– Ieri pomeriggio stavo uscendo dall’orto con una mia compagna quando un maiale mi ha fatto cadere a terra mettendo le zampe nella vagina e mi ha fatto male – racconta Ortenzia, che non ha dieci anni come pensa il medico ma solo sette, ai militari che l’ascoltano increduli a bocca aperta. Poi chiamano l’amichetta che conferma la versione dei fatti e una vicina che avrebbe visto il maiale passare sopra il corpicino e che dice di averla riaccompagnata a casa e di averla affidata a una zia che l’ha pulita e cambiata.
Al Vicebrigadiere quella storiella non suona bene in primo luogo perché la ragazza non presentava nella persona alcuna traccia di lesione e pure perché era assurdo ritenere che il maiale, di sopra le vesti, avesse introdotto il piede nelle parti genitali.
Essendo il delitto avvolto nel più fitto mistero e non avendo indizi per ritenere qualcuno colpevole, Fusco decide di avvisare subito il Pretore per coordinare le indagini. Indagini che, in sostanza, si riducono a chiudersi in una stanza con la piccola Ortenzia fino a che non si decide a rivelare l’identità del maiale, perché di un maiale, anche se a due zampe, si tratta. Così, dopo vive insistenze, la bambina racconta:
Dacchè mio padre, nel marzo decorso, è emigrato in America, in casa à cominciato a bazzicarvi un prete… don Alfonso. Venendo in casa questo prete à cominciato a trastullarsi oscenamente con me, regalandomi degli oggetti, dei soldi e facendo di ciò accorgere tanto mia madre che mia nonna, sotto i cui occhi il prete mi toccava le parti genitali. Spesso mi portavo in casa del prete dove mi facevano fare la calza ed il giorno 24 decorso vi andai di mattina e subito dopo le 12; il prete mi condusse nella sua camera da letto dove… – la voce di Ortenzia comincia a essere rotta dai singhiozzi – scoperte le mie vesti cominciò a strofinare il suo pene alle mie parti genitali tanto da bagnarmi con un liquido lattiginoso. Nel pomeriggio, poi, mi condusse nella sua stanza che chiuse ermeticamente e, dopo di avermi posta supina sul suo letto, a viva forza, introdusse nella mia fica il pene sì violentemente da farmi emettere delle grida altissime e da provocarmi atroce dolore… mi usciva il sangue… Alle mie grida non accorse nessuno perché la sorella del prete era affaccendata in una camera lontana da quella in cui io fui rinchiusa e violentata 
– E poi? – le chiede il Pretore, imbarazzato. Il cancelliere posa la penna, tira un sospiro di sollievo e si asciuga la fronte imperlata di sudore freddo. È uno sforzo immane tradurre le parole smozzicate e piene di dolore della bambina nell’asettico linguaggio burocratico.
– Mi faceva male tutto e avevo paura ma corsi a casa mia ove trovai mia nonna cui raccontai l’accaduto e mostrai la camicia intrisa di sangue e le mie parti genitali da cui fuoriusciva del sangue; “non nominare il prete” mi ordinò e mi consigliò a dire che un maiale, rovesciatami per la via, mi aveva arrecato quelle lesioni. Ebbi tolta la camicia bagnatami dal prete, che fu posta a lavare.
– Don Alfonso non ti ha detto niente?
Il prete, dopo avermi violentata, mi ha pregato di tacere tutto, regalandomi due soldi
– Lo hai visto dopo il fatto?
Il prete, dopo il fatto, si portò in casa nostra e parlò a lungo dell’accaduto con mia nonna e poi attribuendolo, anzicché alla propria nefandezza, al maiale, esortandomi a dire sempre che il maleficio mi era stato causato da esso.
Il Pretore si consulta col Vicebrigadiere e decide che la cosa migliore da fare, prima di compiere passi avventati, sia quella di mettere a confronto Ortenzia con sua nonna e cercare di avere le conferme che aspettano per potere, poi, procedere contro il quarantatreenne don Alfonso Castagnaro, parroco di San Tommaso Apostolo. E le conferme arrivano dai particolari, soprattutto quel “non fare il nome del compare Castagnaro”, che Ortenzia rinfaccia a sua nonna che, comunque, ha cinicamente tutto negato. Due Carabinieri bussano alla porta del prete e, con discrezione, lo accompagnano in caserma dove deve rispondere a domande imbarazzanti per la veste che porta:
Ammetto di essere stato in buone relazioni con la famiglia di Eustachio Papa che mi ha incaricato di comprare una casa alla moglie.
– Avete rapporti di comparaggio?
Ho tenuto a battesimo tanto la bambina Ortenzia che il figlio più piccolo. La casa di Papa io la frequentavo, ma da otto mesi non più bazzicavo. Ortenzia non è mai stata in casa mia. La sera del 24 fui chiamato in casa Papa, vi andai e mi fu raccontato che il maiale aveva prodotto le lesioni alla bambina. Dissi solo alle donne: Esponete il fatto così come è accaduto e dite che il maiale ha arrecato le lesioni alla bambina, se il maiale risulta avergliele prodotte.
– Sapete se prima di voi c’era stato il dottor Vita?
Non mi risulta.
– Avete fatto qualcosa con la bambina? Vi siete trastullato con lei? L’avete violentata?
Nego di essermi trastullato oscenamente con la bambina e di averla violentata.
– Va bene, vi potete accomodare nell’altra stanza – lo congeda il Pretore il quale rimane da solo con il Vicebrigadiere per fare il punto della situazione. Bisogna ascoltare ciò che ha da dire la mamma della bambina che è a letto ammalata.
Mi querelo contro chi risulta autore dello stupro commesso ai danni di mia figlia – è la dichiarazione, equivoca, che fa la donna.
Equivoca o meno che sia la querela della madre di Ortenzia, don Alfonso e la nonna della bambina finiscono in carcere.
Poi, dopo quattro giorni, accade che Annunziata Cosenza con sua figlia Ortenzia Papa va dal Sindaco di Bisignano a sottoscrivere un Verbale di desistenza dalla querela sporta dalla bambina davanti al Pretore perché il difensore di don Alfonso presenta un esposto nel quale afferma che a violentare Ortenzia è stato tale Leonardo Trotta, un bambino, la cui madre avrebbe istigato Ortenzia a fare il nome del sacerdote e chiede la scarcerazione del suo assistito.
Il Pretore non ci sta e scrive al Pubblico Ministero una relazione con parole durissime: Costei ha rivelato d’essere stata contaminata dal prete e suggestionata dalla nonna a mentire in favore di lui. Si è ricercato ancora che tra il prete e le donne erasi confabulato in casa di costoro, dopo il fatto, ch’erasi influito sul medico Vita per omettere il referto od attenuarlo, ch’erasi tentato d’influire presso l’Arma dal prete stesso. Ho disposto l’arresto del Castagnaro e della Gervasi Caterina e, interpellata la madre della vittima, ha simulato di sporgere una querela contro chi risultasse… Dopo di che l’imputato, per organo della difesa, ha fatto denuncia a carico del bambino Trotta, evidentemente deviatrice, e la querelante Cosenza, sollecita, ha comunicato l’atto della propria desistenza non che quello di autorizzazione della minore alla remissione.
Io di tali atti non ho portato a notizia dell’imputato, avvisando l’inefficacia d’una remissione che vuolsi fatta, in nome della patria potestà, laddove essa spiega la connivenza con l’offensore e, per ciò, l’opportunità di sentire il padre della vittima.
Il Pubblico Ministero concorda ordinando una rogatoria negli Stati Uniti e dispone il mantenimento di don Alfonso in carcere, mentre dispone la scarcerazione di Caterina Gervasi perché il reato di favoreggiamento non consente mandato di cattura.
Il maldestro tentativo operato dalla madre di Ortenzia di salvare don Alfonso con l’illegittima remissione di querela provoca il diretto intervento del Procuratore del re di Cosenza il quale chiede alla 1^ Sezione Civile del Tribunale di nominare un tutore per la bambina, in attesa dell’esito della rogatoria. L’istanza del Procuratore del re è accolta e viene nominato tutore l’avvocato Giuseppe Dodaro, ordinando nello stesso tempo che Ortenzia sia momentaneamente tolta dalla casa paterna per essere collocata e affidata in luogo o presso persone di fiducia del tutore.
Il primo atto dell’avvocato Dodaro è quello di confermare la querela contro don Alfonso Castagnaro e si scatena una guerra di ricorsi e carte bollate tra i difensori del prete, che ricorrono più volte contro la decisione di nominare un tutore, e i Giudici, che rigettano altrettante volte i ricorsi.
Nel frattempo, siamo ormai quasi alla fine del 1912, Eustachio Palmino Papa torna dall’America, si presenta nell’ufficio del Giudice Istruttore di Cosenza e sorprende tutti rimettendo la querela nei confronti del prete.
È un colpo durissimo per il Pubblico Ministero che si vede costretto a chiedere di dichiarare estinta per remissione l’azione penale nei confronti del prete e la sua conseguente scarcerazione. La popolazione è indignata e protesta vivacemente; arrivano lettere anonime al Tribunale di Cosenza e al Procuratore Generale del re di Catanzaro:
Ill.mo Signor Procuratore – Catanzaro
Oramai dopo tanti anni di America, dopo aver lasciato la moglie in balia del Parroco Castagnaro, il quale non ostante di essere riuscito a farla sua concubina, dopo aver svirginato la sua sorella, riuscito perfino a violare la sua figlia Ortensina di sei anni, ritorna finalmente Eustachio Papa in casa con la speranza di un popolo intero, aspettando che facesse giustizia vendicandosi di tanto danno avvenuto per opera di questo parroco Castagnaro.
Ma la speranza di tanta popolazione venne meno perché, ritornato il Papa alla sua casa, dimentica ogni cosa e goda piuttosto gli abbracci e i baci della sua brutta consorte, la quale seppe con gli sguardi e con una forza ammaliatrice convincere e persuadere il marito in un sol momento. Si, furono le carezze, Signor Giudice, che il marito Eustachio Papa dimentica ben presto l’offesa fatta a lui, alla sua famiglia e alla sua figlia, cosa che a noi ci fa ribrezzo ed orrore soltanto a sentirne parlare. La venuta dall’America di Eustachio Papa in mezzo a noi è soltanto per liberare il suo compare Castagnaro dalle carceri e contentare la sua prostituta moglie, perché vuole libero il suo amante. Mi perdona, Ill.mo Signor Giudice, se Le faccio una domanda? Mi dice chi rimane a difendere l’innocenza se i genitori di cotesti sventurati non si curano di difenderli? Chi farà valere i suoi diritti se la giustizia dovrebbe rimanere soffocata sol perché i genitori non vogliono? Come mai potrà la giustizia mandar libero ed assoluto un reato così brutale e non mai successo finora in nessun secolo? Non è forse un grande rimorso nell’animo di quel magistrato che non piglierà parte alla difesa di una causa santa e giusta? No, Ill.mo Signor Procuratore, la sua coscienza non dovrà infangarsi né ammacchiarsi con deliberare il reo Castagnaro assoluto giacché un popolo intero aspetta con ansia la pena dovuta al reato commesso, altrimenti le grida di un popolo andranno per tutto il mondo chiedendo giustizia per questa colpa commessa.
La signoria Vostra saprà ben ponderare e far valere i diritti tutti a favore della disgraziata bambina, la quale, sebbene ancor piccina, conobbe il gran male che le ha fatto Castagnaro e interrogata dal pretore di Acri e dal sindaco ed altri ha ripetuto e ripete <<voglio dargli querela, voglio dargli querela>>.
La farò consapevole ancora, Signor Giudice, che Eustachio Papa, il padre di Ortensina, si ritira la querela data al parroco Castagnaro per motivi di interessi: salvare il suo compare per salvarsi anche lui. Malamente vuol agire, Signor Giudice, il nostro Eustachio Papa e forse anzi neppure un Abissino nei deserti dell’Africa arriva a tanta crudeltà e brutalità, cioè che il padre non difende l’onore della figlia in così tenera età per iscopo di denaro, cosa da disprezzarsi e non approvata dagli animali irragionevoli.
Le ricordo pure che la madre dietro tante minacce alla fanciulla desistette la querela e la fanciulla non curando le minacce ha sempre detto di querelarlo alla presenza del sindaco!
Ma ci sono degli inghippi: se per don Alfonso il futuro sembra positivamente segnato, altrettanto non può dirsi per la mamma e la nonna di Ortenzia che rimangono imputate di favoreggiamento perché il reato di violenza sessuale, inequivocabilmente, c’è stato anche se non perseguibile d’ufficio; è vero che il padre di Ortenzia ha rimesso la querela sporta dalla bambina, ma è pur vero che lo ha fatto mentre questa era – ed è ancora – sotto la custodia del tutore nominato dal Tribunale.
Ed è a questi inghippi che la Camera di Consiglio si aggrappa per argomentare sulla scarsa moralità delle due donne e anche su quella del padre di Ortenzia e ribaltare la situazione:
(…) Considerato che a questa opera nefanda si unisce il padre, che dopo aver trascurato i suoi principali doveri e abbandonata la sua creatura desiste dalla querela.
Ritenuto che deve spiegare efficacia la istanza di punizione della bambina e la conferma della querela del tutore, fatta quando la parte lesa era prima di chi esercitava la patria potestà, mentre non è giuridicamente esecutiva la desistenza fintanto che fermo rimane il provvedimento del Tribunale.
In difformità del richiesto del P.M.
Dichiara inefficace la desistenza della querela fatta da Papa Eustachio ed ordina completarsi l’istruzione a carico del Castagnaro Alfonso e di coloro che sono, in qualsiasi modo, concorsi nel delitto medesimo.
Rinfrancato, il Pubblico Ministero intenta una causa civile contro i genitori di Ortenzia per togliere loro la patria potestà e il 29 gennaio 1913 il Tribunale gli dà ragione. Adesso si corre velocemente verso la richiesta di rinvio a giudizio per i tre imputati, richiesta che viene accolta il 21 marzo 1913 ma con una piccola modifica: a don Alfonso viene tolta l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso delle relazioni domestiche.
Nel frattempo i genitori di Ortenzia ricorrono per ben altre due volte contro il provvedimento che toglie loro la patria potestà sulla bambina ma il Tribunale mantiene sempre fermo il suo provvedimento, rigettando entrambi i ricorsi. Ricorre anche don Alfonso che ritiene valida la remissione di querela fatta dal compare Eustachio Papa, ma anche in questo caso il Tribunale tiene duro e rigetta il ricorso.
Poi, il 12 maggio 1913, accade l’imponderabile: il tutore di Ortenzia, avvocato Giuseppe Dodaro, si presenta alla Cancelleria dell’ufficio di Istruzione del Tribunale di Cosenza munito di un foglio di carta bollata e davanti al cancelliere compila un verbale di remissione di querela nei confronti di don Alfonso, che accetta. Adesso non c’è più niente da fare, non ci sono più scappatoie legali che consentano di resistere all’opera di convincimento operata dalla famiglia Castagnaro e ai giudici non resta altro che dichiarare estinta l’azione penale nei confronti del prete, il quale viene subito rimesso in libertà, ma la nonna e la mamma della bambina, come la prima volta, restano in carcere in attesa di giudizio per favoreggiamento.
Il dibattimento inizia il 21 aprile 1914 e per prima viene sentita Ortenzia che ritratta tutto:
Il male che ho subito me l’ha prodotto il maiale e non è vero che io per eccitazione di mia nonna e mia madre avessi così detto per salvare il prete Castagnaro. 
Il dottor Giulio Vita che compilò il primo referto medico conferma la sua diagnosi e aggiunge dei particolari favorevoli al non più imputato don Alfonso:
Dalla constatazione fatta in ordine alle lesioni, rilevai che dovettero essere prodotte da un membro relativamente piccolo ed ebbi l’impressione che si fosse trattato di uno stupro ad opera di un ragazzo da 11 a 12 anni precocemente sviluppato
In mia presenza la bambina Ortenzia accusò un ragazzo, tal Leonardo, autore della violenza – giura Maria Morrone.
Dopo l’arresto del Castagnaro si ebbe a dire che fosse stato mio figlio Leonardo, in allora di 7 anni, a violentare la bambina. Mi dispiacqui dell’ingiusta accusa fatta al mio bambino ma non mi recai in casa della Cosenza per chiedere a lei od alla madre Gervasi spiegazioni di quella diceria – dice la madre del piccolo Leonardo.
Quando il Carabinere Capasso si era recato al telegrafo portando il mio telegramma diretto al Pretore di Acri – racconta il Vice Brigadiere Fusco – gli si era avvicinato il prete Castagnaro e lo aveva richiesto di ciò che io avessi fatto d’indagine in ordine all’accaduto della bambina e che non avendo avuto risposta dal Capasso, il prete Castagnaro aveva conchiuso col dire che io non dovevo interessarmi della cosa perché era stato un maiale a produrre il male alla bambina e che in ogni caso i familiari della Papa, per l’accaduto, non avrebbero sporto querela a chicchessia.
– Come fu che la bambina raccontò del prete Castagnaro? – gli chiede il Pubblico Ministero.
La bambina, dopo aver ripetuto l’accaduto del maiale, disse che era caduta facendosi male ai genitali urtando contro un pezzo di legno che era per terra, ma noi insistemmo e facemmo il nome del prete Castagnaro, sia per quanto aveva riferito al Carabiniere Capasso sia perché scoprimmo che il prete frequentava la casa della bambina, ed al nome del prete la bambina rimase come interdetta e noi incominciammo a fare delle domande se il Castagnaro avesse fatto in questa od in quell’altra guisa ed alle nostre domande la bambina dapprima incominciò a rispondere con monosillabi affermativi, poi con frasi ed alla fine la invitammo a ripetere il racconto completo ed essa lo ripetette.
Interrogata nuovamente, Ortenzia nega ancora ogni cosa, ma ormai i giochi sembrano fatti. Il 16 gennaio 1915 la Corte d’Assise di Cosenza dichiara le due imputate colpevoli del reato di favoreggiamento commesso in Bisignano nei giorni 24 ottobre 1912 e seguenti, per avere aiutato il sacerdote Alfonso Castagnaro, imputato di violenza carnale commessa sulla bambina Papa Ortenzia settenne, ad eludere durante l’istruttoria nel relativo processo le investigazioni dell’autorità, inducendo la detta bambina Ortenzia Papa ad affermare che le lesioni su di lei riscontrate fossero state cagionate da un maiale e le condanna entrambe a 3 anni di reclusione.
La Corte d’Appello di Catanzaro, accogliendo parzialmente il ricorso delle imputate, concede le attenuanti generiche e riduce la pena a 10 mesi di reclusione, poi applica il fresco condono del 27 maggio 1915 e la pena è azzerata. L’onorevole Nicola Serra, difensore delle due donne, non è contento perché vuole l’assoluzione piena e ricorre per Cassazione la quale, il 3 aprile 1916, rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese.
Se don Alfonso si è salvato da una sicura sentenza di condanna e dalla relativa pena per la sua orrenda colpa, non gli va così bene dal punto di vista ecclesiastico: il Vescovo della Diocesi di San Marco Argentano (da cui in quell’epoca dipendeva il comune di Bisignano), Salvatore Scanu, gli toglie il beneficio della parrocchia di San Tommaso Apostolo e lo affida a un giovane parroco, don Giuseppe Dionisalvi, ma non lo allontana dal paese e così nuovi, grossi guai stanno per abbattersi su Bisignano…[1]

 

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.

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