COMPLETAMENTE IGNUDO

Il Brigadiere Alfonso Mauro, comandante la stazione dei carabinieri di Lago, e il suo sottoposto Raffaele Catizzone la mattina del 20 febbraio 1924 sono in servizio di pattuglia nella frazione Greci per raccogliere informazioni sul conto di una donna del posto, la trentunenne Carmina Parati d’ignoti, cresciuta da Pasquale Sesti e sua moglie Filomena Policicchio. Perché? Perché qualche tempo prima un informatore gli aveva riferito di un anomalo ingrossamento del ventre di Carmina;
sospettando che la donna,
senza marito, sia gravida da più tempo per illecite congiunzioni carnali, vuole sorvegliarla acchè portasse regolarmente a compimento la gravidanza. Facendo il giro dei suoi confidenti però apprende che la Parati stessa si era sbarazzata partorendo verso il giorno 13, ignorando la fine fatta dalla creatura data alla luce.

– Sapete dov’è? – chiede alla donna che gli ha fatto la confidenza.
– Non l’ho vista passare stamattina, deve essere a casa…
L’informazione è sbagliata ma gli dicono che sta lavorando a giornata in contrada Porcili al trasporto di pali per conto del Sig. Cupelli Eugenio.
Arrivato sul posto, il Brigadiere chiama Carmina in disparte e le contesta il fatto.
– Ma quando mai Brigadiè! Io incinta? – attacca, prorompendo in una grassa risata.
– Sono sicurissimo di quello che ti ho detto.
– Assolutamente no! Sono stata ammalata… mi si erano fermate le mestruazioni a giugno dell’anno scorso…
– Non dire sciocchezze. Tu eri incinta e ti sei sgravata una settimana fa. Che ne hai fatto del bambino? – il Brigadiere Mauro insiste, Carmina comicia a cambiare colore ma continua a negare e la tiritera va avanti per un bel po’, poi Carmina ammette.
– Va bene, ho avuto rapporti carnali nel giugno 1923 con Giuseppe Porco, che ora è Allamerica, e sono rimasta incinta…
– Hai visto che ho ragione? Andiamo in caserma…
– Brigadiè… per non provocare scandalo in pubblico ho sempre nascosto questa gravidanza, tanto che nell’ottobre dell’anno scorso mi feci visitare dal dottor Gaetano De Santis ad Amantea; gli dissi che si trattava di una malattia allo scopo di farmi prescrivere dei medicinali e potermi liberare dalla gravidanza procurandomi l’aborto
– Ti ha prescritto medicine?
– No…
– E quindi hai partorito una settimana fa… che ne hai fatto del bambino? – continua a martellarla il Brigadiere.
– Non ho partorito! Si trattò di un’emorragia che mi assalì improvvisamente un giorno della passata settimana mentre mi trovavo sola a casa… nel flusso mi uscì pure un pezzo duro di sangue che raccolsi fra i panni. Poi li presi e andai a lavare tutto alla gebbia, senza conoscere se trattavasi di un feto che scomparse senza accorgermene mentre lavavo
– Buonanotte! È completamente falso quello che dici! Tu hai partorito regolarmente e hai soppresso l’infante facendolo sparire! Adesso andiamo a controllare a casa e nella vasca così vediamo se c’è questo famoso pezzo di sangue duro. Vieni con noi.
La casa dei genitori adottivi di Carmina viene perquisita minuziosamente, come pure i dintorni di essa ma non c’è niente di sospetto; adesso è il turno della vasca che è a poche centinaia di metri da lì e bisogna svuotarla, tra le proteste dei contadini, perché è piena ed è profonda un paio di metri, ma neanche qui ci sono elementi sospetti, nemmeno quel pezzo di sangue a cui essa ci faceva cenno. A questo punto Carmina si chiude nel più assoluto silenzio e a nulla valgono le insistenti domande del Brigadiere Mauro che prova ad interrogare i genitori adottivi della donna e la sorella di latte, la quindicenne Settimia Sesti, i quali si dicono ignari di tutto, persino della gravidanza. L’unica cosa da fare, secondo il Brigadiere Mauro, è quella di arrestare la donna e passare la patata bollente nelle mani del Pretore di Amantea, competente per territorio.
Qualche giorno dopo il Brigadiere si imbatte in un contadino, il cinquantacinquenne Vincenzo Policicchio che gli riferisce cose che ritiene molto interessanti.
– Era il 15 febbraio, io stavo lavorando in un campo nei pressi della via che conduce da Greci a Vadi quando di buon’ora ho visto passare Carmina da sola avvolta in uno scialle e le chiesi dove stesse andando e mi rispose che andava a Vadi. Mi sembrò che avesse un involto nel grembiule…
Mauro non perde tempo e fa perlustrare i dintorni della strada. Niente. Arrivato a contrada Maferi, dagli abitanti del posto viene a sapere che Carmina è stata vista in compagnia di una donna di ritorno da Vadi il 16 mattina.
– L’ho vista senza pancia, eppure tre mesi fa mi confidò di essere gravida – assicura Vincenzo Sorrenti – quella volta mi chiese di insegnarle qualche medicinale per potersi procurare l’aborto. La cosa strana è che dopo poco, nella direzione opposta a quella di Carmina passò la sua madre adottiva. “Dov’è andata tua figlia così di buon’ora?” le ho chiesto e lei mi ha risposto che era andata a fare il bucato…
Il Brigadiere pensa che l’anziana mamma di latte di Carmina sappia più di quello che dice di sapere e che Carmina sia andata nel vicino Vallone Maferi a buttare il bambino. Va a controllare ma è impresa a dir poco ardua perché se lo avesse buttato ivi, siccome in questi ultimi giorni vi furono forti piogge, molto probabilmente la piena del fiume lo avrà portato via.
Pensate che il Brigadiere Mauro si arrenda? Sbagliato. Partendo dal presupposto che Carmina tanto in quella contrada come in questo abitato [Lago] è ritenuta da tutti una donna di mali affari, capacissima di commettere delitti di quel genere e siccome non è possibile che la Parati sia partorita da sola, in questo fatto vi deve essere certamente anche la complicità della madre Policicchio la quale, fingendo di essere cretina, ha fatto credere di nulla saperne, mentre viene assicurato che è una donna di massima astuzia, ottiene un mandato di arresto sia per la madre adottiva che per la sorella di latte e vedremo se qualcuna di loro tre si decide a parlare, cosa alquanto dubbia.
Che l’anziana madre sia implicata nella faccenda lo mette nero su bianco Angela Carino, detenuta come le nostre tre nel Carcere Mandamentale di Amantea, la quale riferisce al Capo Guardia che mentre passava da una stanza all’altra per vuotare gli escrementi, la condetenuta Parati Carmina le confessò che il bambino da lei partorito il 13 corrente era nato vivo, che la di lei madre di latte Policicchio Filomena gli dette una stretta alla gola, che era presente la sorella di latte Settimia Sesti e che faceva da levatrice certa commare Teresa.
 È la svolta: Carmina si decide a parlare:
– Mi sono venuti i dolori all’improvviso e ho partorito all’impiedi un bambino che cadde a terra sul pavimento ed essendo per ciò morto, dopo il riacquisto delle forze l’ho ravvolto in panni e portato di nascosto in campagna seppellendolo vicino il vallone Lauri
– È una fesseria! Il bambino è stato soffocato e l’ha soffocato tua madre! – tuona il Pretore che la interroga. Carmina è in difficoltà: accusare la donna che l’ha cresciuta e sminuire le proprie responsabilità o pagare tutto da sola? Ci pensa qualche istante, poi, piangendo, racconta:
Io e non mia madre affocai il bambino da me procreato il 13 corrente, dopo un po’ di tempo dalla sua nascita, che io da sola lo deposi dopo sotto il letto e che sempre da sola lo andai a collocare
lungo il corso d’acqua del vallone Lauri
– Bene, cominciamo a ragionare, ma non venirmi a dire che tua madre e tua sorella non ne sapevano niente perché è inverosimile che, data l’angustia dell’abitazione (un vano di appena quattro metri quadrati), che dormivi nello stesso letto con tua sorella e che tra questo letto e quello dei genitori di latte vi è una distanza di 80 c.m. appena, nessuno avesse sentito i lamenti precedenti il parto – le contesta il Pretore
– Eppure è così!
– Vedremo. Adesso dimmi dove lo hai sotterrato.
– Anche se ve lo dicessi non lo trovereste mai, devo accompagnarvi io se no non lo trovate.
Lungo il corso d’acqua di questo vallone, tra grossi macigni laterali incastrati nel terreno ed un terzo di fronte, equalmente incastrato, e sulla sponda sinistra si tolgono con la massima cautela quattro pietre, di cui una del peso di circa Kg. dieci e le altre tre molto più piccole e di diversa dimensione, si presenta un sacco di tela olona oscura. Sempre con massima cautela si piglia il sacco e si adagia all’asciutto sul terreno – detta il Pretore Leopoldo Lombardi al cancelliere –. Aperto il sacco stesso si rinviene un bambino, completamente ignudo, che la imputata Parati riconosce esser proprio quello da lei partorito e da lei stessa collocato in quel preciso punto.
Il cadaverino, di sesso maschile, giace prevalentemente bocconi sul lato destro colla faccia rivolta a sinistra e la nuca a destra. Sulla metà sinistra del cranio si notano delle deformazioni longitudinali a solchi. Il funicello ombellicale è di 30 – 35 c.m. e presenta la estremità nettamente tagliata. Attorno al collo si nota il funicello ombellicale che si presenta scontinuato ed un solco circolare che si vedrà meglio quando si procederà all’autopsia. Gli occhi sono chiusi, il naso schiacciato alla base, le labbra sono deformate detta il dottor Nicola Palumbo di Lago, incaricato della perizia necroscopica.
Il dottor Palumbo, eseguita l’autopsia, accerta che il bambino nacque maturo, a termine ed era vitale e ha respirato; la morte è sopravvenuta non più tardi di tre o quattro ore dalla nascita per soffocazione a mezzo delle mani. Uno strazio.
Dal carcere arrivano altre indiscrezioni: Angela Carino ha visto le tre imputate mentre discorrevano tra di loro e ha sentito che la madre adottiva e la sorella di latte dicevano a Carmina di mantenersi sempre nella negativa fatta ai Carabinieri perché entrambe avevano negato al Pretore, che sempre negheranno anche a costo di essere tagliate a pezzi e se avessero saputo che Carmina aveva rivelato il posto ove giaceva il bambino, l’avrebbero fatta sparire.  Di ciò il Pretore chiede conto a Carmina, contestandole anche che essendo una primipara, una donna onesta, come ella afferma, che con un solo congresso carnale in tutta la sua vita sia rimasta incinta, non avrebbe avuto l’esperienza e la freddezza necessaria per tagliare di netto il cordone ombelicale, cosa che suppone che mano diversa della sua abbia assistito al parto, ma Carmina nega tutto e continua a dichiararsi unica responsabile dell’uccisione del suo bambino.
Che quello sia stato il primo parto della sua vita lo accerta il dottor Pietro Arlia nella sua relazione di Perizia per ispezione corporale, il resto lo sa solo Carmina e a noi nemmeno interessa saperlo.
Ci hai rovinato! – urla dalla sua cella Filomena Policicchio.
Trovato il cadaverino e accertato che il decesso è avvenuto per soffocamento, la pratica passa alla competenza del Tribunale di Cosenza. Le tre detenute vengono trasferite nel carcere del capoluogo e il Giudice Istruttore chiede e ottiene una proroga di 90 giorni ai termini di carcerazione preventiva delle tre imputate per approfondire le indagini.
Le posizioni adesso cominciano a delinearsi e la quindicenne Settimia Sesti viene scarcerata in quanto, a cagione dell’età, nei suoi riguardi non era consentito il mandato di cattura, senza dire che, se anche ammessa per vera la versione della Parati, in base alle confidenze fatte alla Carino (ed alcune circostanze del resto sono state smentite), la responsabilità della Sesti non potrebbe elevarsi a complicità in infanticidio, ma al reato di favoreggiamento mancando ogni elemento circa il concorso morale anteriore al fatto.
Filomena Policicchio e Carmina Parati restano in carcere con l’accusa di infanticidio.
Questo è anche il convincimento della Sezione d’Accusa che rinvia le due donne al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza e dichiara di non doversi procedere per insufficienza di prove a carico di Settimia Sesti. È il 9 agosto 1924.
Per iniziare il dibattimento ci vorranno ancora 16 mesi e tutto si conclude in una sola udienza. L’11 dicembre 1925 le due imputate sono condannate alla medesima pena di 2 anni e 6 mesi di detenzione, pene che la Corte dichiara condonate. Filomena e Carmina vengono immediatamente scarcerate e tornano nella loro misera stanzetta di quattro metri quadrati.[1]

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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[1] ASCS, Processi Penali.
La foto è una gentile concessione di Francesco Mazzotta.

 

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