È una fredda mattina dei primi di dicembre del 1850. Un drappello di gendarmi percorre con passo ritmato le strade già animate di vita del centro di Cosenza.
Nel palazzo del barone Guzzolini i servitori si danno da fare per preparare e servire la colazione quando le voci concitate che dettano ordini perentori penetrano nella casa come coltellate e svegliano di soprassalto i nobili. Anche l’ospite del barone si sveglia e la fronte gli si imperla di sudore freddo. Si alza, spia da dietro i vetri e vede che il palazzo è completamente circondato dai gendarmi.
I colpi violenti alla porta gli arrivano attutiti, poi la voce che prima dava ordini sulla strada adesso arriva da dentro la casa: è quella del commissario Chiarini che si avvicina sempre di più alla stanza dell’ospite. La porta si apre e Chiarini dichiara in arresto l’uomo, senza che questi ne capisca il motivo. L’uomo è il trentaduenne, illustre letterato napoletano, Francesco De Sanctis.
Ma perché un uomo come De Sanctis si trova a Cosenza e, soprattutto, perché viene arrestato?
Partiamo dal motivo dell’arresto: qualche tempo prima era arrivato a Napoli, e subito arrestato, tale Enrico Sappia che immediatamente confessa di essere venuto come emissario della setta diretta da Giuseppe Mazzini e da Ledra Rollin per stabilire un piano di rivoluzione e attentare alla vita del re. Dice anche che a Marsiglia, entrato in contatto col Comitato di emigrazione italiana, aveva avuto una lettera da un certo Francesco Veneti, ex studente di De Sanctis alla Nunziatella, con la raccomandazione di andare a Napoli e consegnarla ad uno dei principali agenti fra essi, cioè Don Francesco De Sanctis. Quindi l’operazione di polizia a Cosenza. Il nostro viene rinchiuso nel carcere cittadino ed affidato al 2° Agente della Pubblica Sicurezza Francesco Misasi, in attesa di essere trasferito a Napoli.
Sembrerebbe tutto troppo poco e troppo vago per un’operazione in grande stile, ma i tempi sono burrascosi e non si va troppo per il sottile, anche perché De Sanctis è da tempo nel mirino della repressione borbonica per le sue idee politiche. Ma torniamo indietro di un paio di anni per capire il perché di tante cose.
Perseguendo i suoi obiettivi politici, anche Francesco De Sanctis era salito sulle barricate di Napoli durante l’insurrezione del 15 maggio 1848 e fu fatto prigioniero dagli Svizzeri, che per ragioni di sicurezza lo rinchiusero a bordo di una nave da guerra. Rimesso in libertà due giorni dopo in seguito a real rescritto emesso in favore di tutti gli arrestati del 15, entrò nella setta dell’Unità italiana su invito di Luigi Settembrini.
Cessata l’emergenza, De Sanctis riprese la sua vita pubblica e, il 22 maggio successivo, fu chiamato a collaborare con la Commissione per la riforma della pubblica istruzione del Regno, ma nello stesso tempo la sua scuola privata entrò in crisi perché molti studenti avevano lasciato Napoli temendo per la propria libertà. A De Sanctis restava il posto di professore al Collegio della Nunziatella e quello nella scuola privata Roussel in sostituzione di Luigi Settembrini. Le sue condizioni economiche, però, andarono peggiorando di mese in mese e quando il 18 ottobre 1848 entrò in vigore per i docenti l’obbligo di sostenere un esame di catechismo, De Sanctis non volle sottostare a questa imposizione e lasciò l’istituto Roussel. Esattamente un mese dopo venne allontanato anche dalla Nunziatella e, per ordine del re, passato al ritiro con dodici ducati al mese senza forma di liquidazione.
È il colpo di grazia economico. Le difficoltà, nel 1849, divennero quasi insormontabili e De Sanctis lasciò Napoli per ritirarsi nella sua casa paterna a Morra Irpina (bisogna dire che in quella casa, dopo i moti carbonari del 1820-21, furono arrestati due suoi zii paterni).
Venuto a conoscenza di queste tristi vicissitudini, il barone Guzzolini di Cervicati (anche lui indiziato politico, arrestato nel 1847 come capo del partito cosentino e ritenuto ispiratore dell’insurrezione a Cosenza in coincidenza con quella napoletana) lo invita più volte a scendere in Calabria per affidargli l’istruzione di suo figlio. Dopo vari tentennamenti De Sanctis accetta l’invito e parte per Cosenza il 30 ottobre 1849, arrivando in una città ancora soffocata dalla reazione per i moti dell’anno prima e dove le carceri non erano più sufficienti a contenere gli arrestati.
– Caro De Sanctis, qui voi starete al sicuro – gli dice il barone Guzzolini mostrandogli la sua stanza dotata di un trabocchetto.
Vi scrivo con dinanzi agli occhi uno spettacolo magnifico. Mormorio cheto dei due fiumi nel punto che si abbracciano e si confondono in uno, chine dolci e verdeggianti, e sopra al loro capo aridi monti su di cui vanno a posare lievemente le nubi, scrive ai suoi due allievi prediletti, poi continua con rammarico: Ma io guardo melanconicamente: non ho un amico che mi stia accanto e guardi con me (…) Qui sono in una famiglia di gente dabbene ed affettuosa, che mi usano i più delicati riguardi; e quando avrò i miei libri, che non poterono essere sbarcati per il mal tempo, non vi sarà altra cosa che possa io qui desiderare.
Il soggiorno a Cosenza è una sofferenza a causa del clima: Qui il tempo è stranamente bizzarro. Marzo in maggio. Sole e pioggia ad un tempo. (…) All’estremo freddo è succeduto il caldo estremo: vi si soffoca.
Anche l’ambiente cittadino non gli è gradito: Qui io sono come in Siberia: di città non ne giunge che tarda e rara notizia: volti di amici rarissimi, distrazione nessuna: uniformità e silenzio.
Vorrebbe andar via ma la parola data a Guzzolini lo trattiene: Costretto dalla necessità di vivere, io ho dato a una famiglia la mia parola di rimanere qui fino ad ottobre: né mancherò. Ho un paradiso innanzi agli occhi, e deggio restare in questo ultimo angolo della bassezza e della barbarie.
Il motivo di questo giudizio è presto detto: la bassa gente, sapendolo precettore in casa Guzzolini, lo indicava – senza malizia – ‘u mastru, il maestro, lo stesso termine adoperato per i falegnami, i muratori o per un semplice maestro elementare. Ecco Francesco De Sanctis ridotto ad insegnar a leggere e scrivere: come ne godrebbero i miei nemici! Ma io nobilito ciò che faccio; sento che anche in fare il legnaiuolo terrei alta e serena la fronte.
Tra le poche persone che De Sanctis frequenta a Cosenza ci sono le famiglie di tendenze liberali De Matera e Vercillo, imparentate coi Guzzolini.
Domenico De Matera, deputato di Cosenza nel Parlamento delle Due Sicilie nel 1820-21, aveva sposato Maria Carolina Vercillo, sorella del barone di San Vincenzo La Costa Luigi Vercillo, per cui i figli Giuseppe e Luigi De Matera erano cugini di Matteo (detenuto a Napoli per reati politici), Ferdinando ed Edoardo Vercillo, già conosciuti da De Sanctis perché suoi ex allievi a Napoli.
Se vi è cosa che mi rende meno acerba la dimora in questi luoghi barbari, è il poter conversare alcuna volta con questi. Sono i soli amici di cuore che vi ho trovati.
Il letterato, forse perché usciva di casa solo dalle 22 alle 24 per passeggiare fuori dalla città e perché privo di altri contatti all’infuori di quelle tre famiglie, o forse perché il suo modo di vedere le cose era più alto della gente comune, sembra non rendersi ben conto del dramma che Cosenza sta vivendo in quel periodo, con gente che langue in galera e i morti ammazzati che non si contano più, così i cosentini gli appaiono come quelli che forse non sono: altezzosi e scanzonati, ma anche garbati ed accoglienti i nobili e i borghesi, servizievole e devota la bassa gente che deve essere compresa per lasofferenza del lungo servaggio.
Fede invitta nell’ordine generale delle cose, poco importa il quando o il come. Noi forse morremo calpestati o miseri, e che importa di noi? Non è nell’interesse del tale o del tal altro che il modo cammina. L’uomo deve farsi superiore alla sua individualità. E vivere o godere della vita generale ed umana. Morendo, noi possiamo dire con orgoglio: il mondo sarà libero. Questo solo gli interessa.
Siamo ormai ai primi di dicembre 1850, la data del suo ritorno a Napoli è prossima e il suo stato d’animo è quasi euforico. Poi l’arresto e l’inizio di una stagione di guai per molti.
Le trame cosentine
Dopo avere avuto l’ordine di badare al prigioniero, l’agente Misasi scrive un rapporto ai suoi superiori per denunciare che Ieri sera, verso le ore 23, fui chiamato dal barbiere Giuseppe Misciasci il quale mi disse esser egli stato incaricato dal baroncino D. Eduardo Vercillo di S.Vincenzo di condurmi da lui in casa della famiglia De Matera dovendomi parlare di un affare a me riguardante. Unito all’ambasciatore mi recai nella designata casa ove rinvenni il Vercillo che chiamatomi in disparte in una stanza mi disse: “Siamo soli, questo scrigno è pieno di monete e fedi di credito e sono a tua disposizione perché nel condurre in Napoli D. Francesco De Sanctis lo fate evadere, e per voi scusarvi farò trovare in qualche punto persone amiche a De Sanctis, colle quali discorrendo poi si desse alla fuga, e voi fingete inseguirlo”. Quale impressione produsse nell’animo mio tale inaspettata proposata nol so descrivere, risposi al Vercillo che i soldati del Re (D.G.) [Dio Guardi] hanno onore e non sanno tradire il loro dovere, e così lo lasciai.
Ovviamente Edoardo Vercillo viene arrestato e il trasferimento di De Sanctis a Napoli via terra è sospeso in attesa di organizzarlo facendolo imbarcare sul primo vapore in partenza dal porto di Paola. Non basta. Contestualmente viene emesso un ordine di minuziosa perquisizione della sua casa di Morra Irpina e di arresto per i suoi familiari lì residenti e particolarmente del fratello Angelo, reduce da Venezia.
Tutti, a Cosenza , autorità militare, intendente, gendarmeria, polizia, sono in fermento e si praticano diligenti indagini per scoprire i retroscena della sventata evasione del letterato. Il confronto a cui sono sottoposti il baroncino Vercillo e l’agente Misasi non chiarisce nulla perché Vercillo nega di aver offerto denaro per favorire l’evasione di De Sanctis ma solo di avergli raccomandato di trattar bene il De Sanctis pel quale avea tutta la premura avendolo avuto per Maestro. Misasi, da parte sua, conferma tutte le accuse e Vercillo resta in carcere in attesa di essere trasferito anche lui a Napoli. Il barbiere Misciasci, a sua volta, dice di non sapere niente delle offerte fatte da Vercillo.
Il Vercillo è un giovane invanito di liberalismo ed uno di quelli pe’ quali, sebbene non abbia avuto elementi positivi, io non ho mancato di far tenere d’occhio, e secondo me avrebbe dovuto farsi subito una severa visita tanto nella casa del comune di San Vincenzo tanto in quella del di lui congiunto Matera, per assicurarsi se avesse potuto esserci qualche corrispondenza criminosa. Ora non sarebbe che di pura formalità. Così scrive l’Intendente Orazio Mazza alla Direzione di Polizia, senza mancare di tirare le orecchie anche all’agente Misasi: In quanto al sergente Misasi osservo che o avrebbe dovuto conservare la dignità di non prestarsi all’invito di andare in casa dove stava il Vercillo, o dopo andatovi, poiché secondo i suoi detti non si trattava solo di semplici profferte, ma anche d’inviar persone per assicurare l’evasione, non avrebbe dovuto condursi da scolarello come à fatto, o almeno farlo conoscere al commissario di polizia.
Ma il fatto che Vercillo quando è a Cosenza abita a casa dei cugini De Matera e che uno dei fratelli De Matera era Cassiere Provinciale, e trovandosi avvolto in un processo politico, la cassa fu passata per ordine dell’Intendente nelle mani del fratello di lui nemmeno esente da nei politici. A questa decisione si era opposto il Generale Ferdinando Nunziante, comandante territoriale delle tre Calabrie e di Basilicata, che propose don Domenico Cosentini, persona proba ed attaccatissima al Governo nonché attivissimo per la distruzione del brigantaggio. Ma la nomina di Cosentini non fu avallata dall’Intendente Mazza, salvo poi invitarlo precipitosamente a presentare una domanda per essere nominato Cassiere, invito rifiutato su consiglio del Generale Nunziante. Mazza, per uscire dall’impasse, lo nominò d’ufficio.
Cosa c’entrano i De Matera e il cambio al vertice della Cassa provinciale? C’entrano perché, siccome il giovane Vercillo non possiede denaro, così è da supporsi che egli offriva per la liberazione di De Sanctis somme dei signori Matera, ed è forse per questa causa che il Signor Intendente si è data tanta premura di far togliere dalle loro mani la Cassa, ipotizza il Generale Nunziante, insinuando la possibilità che i De Matera avessero messo a disposizione di Vercillo denaro pubblico per corrompere l’agente Misasi. E questa insinuazione va ad effetto: il 26 dicembre 1850 viene emesso un ordine di arresto per Giuseppe De Matera e di sequestro di tutte le carte criminose che potranno presso di lui trovarsi.
Giuseppe De Matera viene arrestato il 29 successivo e trasportato di peso in carcere perché, essendo affetto da un grave attacco di gotta, è impossibilitato a camminare e la perquisizione nulla à offerto di criminoso.
In questi stessi giorni Matteo Vercillo viene di nuovo arrestato a Napoli e incarcerato a Castel dell’Ovo, dove sono stati portati anche suo fratello Edoardo e Francesco De Sanctis.
Intanto a Cosenza gli sforzi della Polizia per trovare prove a carico di Giuseppe De Matera sono vani e il Generale Nunziante si convince della sua estraneità ai fatti. Non la pensa così il Direttore della Polizia Gaetano Peccheneda, arnese di sbirro, che gli nega più volte la libertà. Siamo alla fine di agosto del 1851 quando Peccheneda, nella sua relazione al re, motiva così il suo ultimo rifiuto: Dipendendo la risoluzione di questo affare dal processo Sappia, che va già al suo termine, non pare che possa ora decidersi della domanda del De Matera.
La risposta del re è di tenore opposto e il 26 agosto, da Gaeta, dispone: Se ne scrive l’Intendente, se questi non è contrario, si può mettere in libertà. Il 6 settembre successivo, dopo un anno e otto mesi, Giuseppe De Matera viene scarcerato.
La madre dei Vercillo, Isabella Nobili-Vercillo, scriveva, pregava, contrastava, andava su e giù per i Ministeri per ottenere la liberazione di Matteo ed Edoardo, fino al punto che Pechenedda non la vuole più ricevere. Ma la donna non se ne da per intesa e continua a insistere fino a quando Pechenedda appunta sull’ultima lettera di donna Isabella: L’usciere del Ministro è stato incaricato di annunziarla qualora ritorni. La Vercillo non torna perché chiede udienza al re e, avutala, gli illustra la situazione dei figli, così il 24 marzo 1851 ottiene come risultato un Risoluzione sovrana che dispone: Si abiliti con altra forma di custodia, inviandosi le carte all’autorità giudiziaria. L’autorità giudiziaria riesamina le carte e scarcera Matteo in quanto non figura in niun incartamento, ma non Edoardo sebbene in un rapporto di polizia sia scritto che Gli atti di che è parola a riguardo di De Sanctis De Rosa e Vercillo danno per tutto risultamento, in onta delle pene durate, e di tutti i mezzi messi in opera, de’ vaghi indizj, vale a dire, che il tutto rimane nelle rispettive asserzioni. Ci vorrà il 22 ottobre successivo perché Edoardo sia rimesso in libertà, ma solo per le sue condizioni di salute e sotto consegna, cioè una sorta di libertà vigilata. I due fratelli non possono lasciare Napoli, ma vengono autorizzati ad andare a trovare il padre ammalato e quando nel gennaio del 1852 arrivano a Cosenza, l’Intendente Mazza si affretta a scrivere al Ministero che Edoardo è pernicioso ancora per la gran vanità che attacca a mostrarsi compromesso in liberalismo. Stante ciò, mi occorre pregarla disporre che non torni in questa Provincia, ma a Napoli ritengono che esageri e nell’estate lo autorizzano di nuovo a recarsi a San Vincenzo la Costa. L’Intendente allora ordina una perquisizione domiciliare e vengono sequestrati una coltella da caccia e la copia di un proclama del 1849 in cui c’è un esplicito invito ad uccidere il tiranno. Il tiranno in questione è don Luigi Vercillo ma l’Intendente non è persuaso che riguardi costui ed il re e ordina l’arresto di Edoardo, che non è in casa e, avvertito, si nasconde. Mazza minaccia don Luigi e Matteo Vercillo che se il loro congiunto non si presenterà spontaneamente saranno loro due ad essere arrestati e così Edoardo si consegna. Viene immediatamente processato a Montalto Uffugo e assolto perché i fatti attribuitigli non costituiscono reato. L’Intendente Mazza non si rassegna e lo munisce di carta di passaggio per Napoli, ma il Ministero gli ordina di trattenerlo a Cosenza fino a nuovo ordine. Le carte vanno e vengono da Cosenza a Napoli fino a quando tutti si stancano e la cosa viene dimenticata.
E Francesco De Sanctis? Di scarcerarlo, nonostante non ci siano prove concrete a suo carico, per il momento non se ne parla nemmeno. La sua detenzione finirà solo il 3 agosto 1853 quando viene espulso dal regno e fatto imbarcare sul piroscafo Hellespont diretto in America. Ma durante lo scalo a Malta De Sanctis sbarca e riesce a trovare un passaggio su una nave diretta a Genova per raggiungere il Piemonte.
Alla caduta del regno di Napoli, De Sanctis sarà chiamato più volte a ricoprire la carica di Ministro.[1]
Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).
[1] ASCS, Gran Corte Criminale.
Per approfondire: Archivio di Stato di Napoli; LA PERMANENZA E L’ARRESTO IN COSENZA DI FRANCESCO DE SANCTIS, DEL SUO ALUNNO EDOARDO VERCILLO E DI GIUSEPPE MATERA, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, anno XXIX (1960) fasc. 1; più in generale tutte le biografie di Francesco De Sanctis.
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