LA STREGA SANTA

A Cosenza, siamo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, vive la vecchia, ischeletrita, cieca d’ambo gli occhi, Caterina Greco, meglio conosciuta col soprannome di “Santa” perché era creduta dalle persone facili al pregiudizio come un essere che a suo bell’agio potesse disporre di forze occulte e capace di fare del bene o del male a seconda dei suoi voleri.
L’alone di mistero che la circonda, abilmente costruito da Caterina nel tempo, è la sua fonte di sostentamento. La gente la cerca per strada, dove in genere vive, o nelle chiese cittadine dove si fa accompagnare e le racconta i propri desideri, i propri segreti perché, mercé sua, le loro aspirazioni contrastate avessero esito favorevole. Caterina nella cerchia di tale ambiente superstizioso ci sguazza, esercitando un ascendente massimo, predominando sugli uomini e incutendo rispetto timoroso.
Siamo adesso nel 1906 e Caterina, che ha ormai quasi settant’anni, viene a contatto con la quarantacinquenne Antonietta Gambaro, moglie del negoziante di tessuti Francesco Portone e donna molto accessibile a qualsiasi pregiudizio.
Nessuno lo sa per certo, ma molti giurano che Antonietta si sia rivolta alla santa perché si fosse adoperata per trovare marito a una delle sue figlie e in effetti la sua secondogenita un marito lo trova davvero!
Forte di questo successo, la santa chiede ad Antonietta la cortesia di ospitarla in casa per un po’ di tempo, fin quando il freddo sarà passato, e Antonietta accetta lusingata. L’ospite viene servita e riverita per un paio di mesi, poi decide di tornarsene per strada a dispensare consigli e magarìe, non prima, però, di aver chiesto ad Antonietta ed a suo marito un prestituccio di 18 lire, cosa che i due fanno di buon grado.
Ma una necessità improvvisa di liquidità impone a Francesco Portone di fare il giro dei suoi debitori e così va a cercare anche la santa per chiedere la restituzione delle famose 18 lire, cosa che la donna fa immediatamente. Però nel momento stesso in cui mette in tasca i soldi, Francesco come per incanto diventò zoppo d’ambedue le gambe.
– È stata lei! Te lo avevo detto di non chiederle i soldi, altrimenti ti avrebbe fatto una magarìa! – sbotta Antonietta rimproverando il marito davanti ai clienti – ti sei messo contro la santa… e ora? Sciuallu miu!
– Si, santa del cazzo! – risponde il marito tra lo stupore generale.
La città é piccola e la gente mormora, così la santa viene a sapere che Francesco Portone l’ha offesa e lo manda a chiamare.
– Ciccio… mi hai offeso… proprio a me che ti voglio bene…
– Ma io sono azzoppato… sei stata tu…
– E tu credevi di potermi chiedere quei quattro miserabili denari come se io fossi una persona qualsiasi? Io sono la santa! – lo rimprovera con tono aspro – adesso chiedimi scusa e ti tolgo l’affascino.
– Prima liberami e poi ti chiedo scusa, dimostrami che cosa sai fare – la sfida.
– Ciccio… Ciccio… ubbidisci a questa vecchia che può esserti mamma… non sfidare oltre il volere delle forze…
Francesco, forse intimorito dall’accenno a chissà quali forze soprannaturali, si inginocchia e le chiede umilmente scusa, poi fa per andarsene, visto che tutto è stato chiarito, ma la santa lo chiama e gli regala otto uova, dicendogli che se ne avesse bevuto uno sarebbe guarito dalla zoppìa. Francesco, non appena tornato a casa, segue alla lettera le istruzioni ricevute ma non l’aveva ancora vuotato che già il contenuto si fermò di botto nella gola, che diventa come di fuoco.
Antonietta si fa bianca come un lenzuolo e comincia seriamente a pensare che l’inimicizia della santa nei loro confronti sia insuperabile e che saranno davvero dolori da adesso in poi. Ma un barlume di coscienza le resta e decide di rompere le altre uova per vedere cosa contengano e constata sbalordita che dentro c’è una poltiglia marcia mista con sangue, cioè quella stessa poltiglia che suo marito comincia, negli spurghi, a mandar via dalla bocca.
Da questo momento Francesco ha un notevole abbassamento della voce e a niente servono le visite dei migliori specialisti cittadini e nemmeno i consulti con alcuni luminari napoletani perché le cose cominciano a peggiorare di giorno in giorno.
Non servono nemmeno i pellegrinaggi che Antonietta e Francesco fanno nei santuari più miracolosi, come non servono le non poche somme spese in messe e in preci nei successivi due anni.
Poi Antonietta, per sua buona sorte, conosce una zingara forestiera che le fa toccare con mano, mediante gli “esperimenti del cotone” e con altre prove, che la malattia di cui è affetto il marito non proveniva da Dio ma dalla mano dell’uomo!
– Devi trovare la persona causa del fatto, tuo marito ha due magarìe: l’una col filo del rocchetto e l’altra con l’uovo. Solo la persona che le ha fatte le può sciogliere!
– O gesummaria! – esclama Antonietta facendosi il segno della croce. Senza perdere altro tempo va a trovare la santa nel basso dove abita adesso e le si butta ai piedi per scongiurarla di togliere la fattura a suo marito.
– Figlia mia, cosa vuoi che ti dica? La magarìa gliel’ho fatta per lo sgarbo… avete voluto la sommetta e non solo, secondo tuo marito io sono la santa del cazzo! Senti, facciamo così: io sono sola e abbandonata… portami a casa tua e ti prometto che proverò a scioglierlo dalla magarìa.
Antonietta accetta senza discutere e, raccattati i quattro stracci della santa, la prende per il braccio e la porta a casa. Avviene subito qualcosa che fa venire la pelle d’oca: la santa prende il crocefisso che tiene appeso al collo e lo poggia sul petto di Francesco il quale riacquista in un attimo il suo normale tono di voce. La gioia di Antonietta però viene strozzata altrettanto rapidamente: non appena la vecchia toglie il crocefisso, la voce sparisce di nuovo!
– Ci vuole tempo… ci vuole molto tempo prima che riesca – li ammonisce.
– Quanto tempo? – le chiede Antonietta piena di speranza, ma piena anche di rispettoso timore per quella prova di potenza.
– Vi prometto che per il giorno del Corpus Domini tutto sarà finito! – è la solenne promessa della santa.
Nove mesi. Al Corpus Domini, che cadrà il 18 giugno, mancano ancora nove mesi ma Antonietta si sente già meglio, più tranquilla, come se la malata fosse lei e non il marito.
I mesi passano con frequenti applicazioni del crocefisso sul petto e fugaci segnali di possibili miglioramenti, subito abortiti: tutto esattamente come la prima applicazione. Ma la santa passa il freddo inverno al calduccio, servita e riverita come una principessa.
Man mano che il giorno dell’atteso miracolo si avvicina, l’atmosfera in casa si fa sempre più carica di elettricità. Fervono i preparativi per festeggiare l’agognata guarigione e le visite dei vicini si fanno sempre più frequenti, sia per osservare qualche segnale della prossima guarigione e sia, soprattutto, per omaggiare e farsi amica la santa.
È il 17 giugno, vigilia del giorno del miracolo, Carolina Cannataro sta stendendo i panni quando sente provenire dalla casa di Antonietta la voce di questa e quella della santa:
Per carità, Donna Caterina, scioglilo… scioglilo
No, no! Non vi sciolgo, dovete ridurvi a sbattere come l’acqua del mare!
Cosa sarà mai successo? Carolina pagherebbe quello che non ha per saperlo, ma si fa il segno della croce e continua frettolosamente il suo servizio.
È successo che durante la notte Antonietta si è svegliata e ha sentito dei mormorii in casa. Insospettita, si é alzata senza fare rumore e ha visto la vecchia seduta in mezzo al suo letto, con le braccia aperte pronunciare delle parole quasi del tutto incomprensibili, ma da quelle che é riuscita a interpretare si è convinta la santa sta facendo un’altra magarìa contro la sua famiglia. Decide di non intervenire per non peggiorare le cose e la mattina dopo cerca di convincere la vecchia a desistere.
– Antonietta! Chiama Maria che mi deve accompagnare in chiesa! – ormai è la santa la vera padrona di casa e non sembra nemmeno interessarle più di tanto che è il 18 giugno, giorno del Corpus Domini, giorno in cui ha promesso di sciogliere la magarìa.
– Oggi è il Corpus Domini – le ricorda, timidamente, Antonietta.
– Allora? Voglio andare in chiesa!
– La promessa…
– Vedremo – le risponde sibillina mentre sottobraccio a Maria Segreti esce di casa.
Antonietta è di nuovo disperata. Che ne sarà della sua famiglia se la santa non li libererà dalla magarìa? Decide di andare a rivolgere una preghiera a San Francesco di Paola nella chiesa del Santo che domina la città sulla confluenza dei fiumi Crati e Busento. C’è aria di festa, ma il suo animo è cupo. Entra nella chiesa dove regna il silenzio. Si bagna le dita nell’acqua benedetta e si fa il segno della croce, poi va verso la statua del Santo.
La sorpresa è di quelle che fanno girare la testa: sotto la statua, con le braccia aperte c’è la vecchia che sta pronunciando le stesse parole che diceva nella notte. Antonietta fatica a restare in piedi. Si appoggia a una sedia e nello stordimento riesce a percepire distintamente una frase:
Fuoco… fuoco a quella casa, debbono sbattere come tanti dannati!
Antonietta scappa dalla chiesa con le mani nei capelli e torna a casa disperata, infuriata, pazza.
Che cosa ti ho fatto per farmi tanto male? – l’aggredisce appena la santa mette piede in casa – T’ho tenuta in casa per sciogliere mio marito dalla magarìa che gli hai fatto e anziché far tanto sei andata in chiesa ad implorare disgrazie contro la mia famiglia! Io ero dietro di te in chiesa… t’ho visto e t’ho inteso!
– Ma… veramente… veramente erano dirette ad altre persone… – cerca di giustificarsi, sorpresa per essere stata scoperta.
Antonietta nemmeno l’ascolta, il sangue le è già montato alla testa. Vicino a lei ci sono dei ciocchi di legno per il fuoco; ne afferra uno di forma triangolare e, urlando, comincia a colpire la testa della santa con tutta la forza di cui dispone.
– Che fai? Fermati in nome di San Giovanni nostro! – la scongiura una vicina richiamata dalle urla.
Non c’è San Giovanni che tenga! Andatevene perché non ci vedo più dagli occhi e vedo tutto nero! – urla come una pazza, mollando due ceffoni in pieno viso alla vicina che batte in ritirata, poi ricomincia a colpire.
Lasciami ché te lo sciolgo… – la implora la vecchia,  ma Antonietta continua a colpire e si ferma solo quando la crede morta.
Venti? Trenta? Nessuno è in grado di stabilire con esattezza quante volte Antonietta ha colpito la testa della vecchia, che ora è seduta a terra come una marionetta rotta, ma ancora viva. Antonietta butta il ciocco e va a lavarsi le mani sporche di sangue e a rassettarsi un po’ prima di percorrere le poche decine di metri che la separano dalla caserma dei Carabinieri i quali, però, immediatamente avvisati arrivano sul posto prima che lei esca di casa. La scena che si presenta agli occhi del Brigadiere Antonio Moj e del Carabiniere Giuseppe Marcovano è raccapricciante: la violenza ed il numero dei colpi hanno provocato la completa asportazione del cuoio capelluto in molti punti e riducendo il resto addirittura in brandelli per tutta la superficie corrispondente alla calotta cranica, lasciando del tutto scoperte le ossa della testa
– Come vi chiamate? – le chiede Moj.
– Caterina Greco… – risponde la vecchia con un filo di voce – non le ho fatto niente… all’improvviso… alla testa…
– Sapete il nome di vi ha colpito?
– Gambaro Antonietta… – poi sviene e i militari la fanno trasportare all’ospedale.
Antonietta sta guardando la scena alle spalle dei Carabinieri e, offrendo i polsi ai ferri, dice:
Sono soddisfatta, ma dolente per non essere riuscita ad ucciderla!
– Ma perché lo hai fatto?
Era una strega. Da ben due anni teneva malato mio marito… e per guarirlo l’abbiamo tenuta in casa senza mai negarle quel che desiderava, né nel mangiare e né nel bere in modo da averne la promessa che dopo la processione del Corpus Domini mio marito sarebbe completamente guarito… invece… – termina indicando la macchia di sangue a terra.
Caterina Greco muore due giorni dopo senza riprendere più conoscenza e l’accusa cambia in omicidio volontario.
Ma la santa poteva davvero disporre di forze occulte che, a seconda dei suoi desideri, la rendevano capace di fare del bene o del male?
Secondo il suo certificato penale certamente no, viste le sei condanne e un’assoluzione per insufficienza di prove per truffa, riportate tra il 1864 e il 1898.
– L’ho colpita con tutta la forza che avevo per ammazzarla. Si, mentre la colpivo mi ha detto che avrebbe sciolto la magarìa, ma io ormai ero disillusa da tante promesse mai mantenute e ho colpito fino a che l’ho creduta morta… la disperazione mi ha spinto a uccidere… ho voluto togliere la causa di tanti mali a noi cagionati.
Rea confessa, Antonietta Gambaro viene rinviata a giudizio per omicidio volontario ed è difesa dall’avvocato Nicola Serra.
Il 28 marzo 1909, il Cavalier Michelangelo Dall’Oglio, Presidente della Corte d’Assise di Cosenza, visto che le liste dei testimoni a carico e a discarico contengono i nomi di numerosi medici per accertare lo stato di salute mentale dell’accusata nel momento che commise il reato di cui è processo, decide di guadagnare tempo e fa sottoporre Antonietta a perizia psichiatrica direttamente in carcere.
I periti incaricati, dottori Antonio Tafuri e Battista Molezzi, affermano con sicurezza che nella Gambaro fanno difetto tutti i sintomi di pazzia, dai più grossolani ai più sottili ma con la medesima sicurezza siamo obbligati a riconoscerle una costituzione nevropatica. Isterica fin da giovanetta, è tale anche oggi e nelle carceri siamo stati presenti a parecchi accessi più o meno gravi d’isterismo. In oltre, in un’epoca ancora remota della sua vita, sul fondo nevropatico del suo organismo si è svolta un’altra malattia nervosa, più grave e più complessa dell’isterismo medesimo, la nevrastenia cerebrale. Isterismo e nevrastenia si associano assai volentieri a costituire una sola entità patologica che va sotto il nome di istero-nevrastenia cerebrale.
I nevrastenici occupano una posizione intermedia fra la pazzia e la delinquenza e si è oramai fortunatamente formato un accordo completo fra gli scienziati ed i giudici nella determinazione di una responsabilità ridotta per questi infelici e ad essi non può più negarsi l’applicazione del principio del vizio parziale di mente e quindi della semiresponsabilità.
E concludono che lo stato anormale psico-fisico da cui è affetta Antonietta Gambaro, se non le tolse la coscienza nel momento in cui commise il reato, certamente però le ridusse in guisa la libertà dei propri atti da farne scemare fortemente l’imputabilità. Può affrontare il processo. È il 18 giugno 1909, esattamente un anno dopo l’omicidio della santa.
Quattro giorni dopo, la Giuria assolve Antoniatta Gambaro dall’imputazione di omicidio volontario e ordina che sia posta in libertà, se non detenuta per altra causa.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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