IL COMPARE E LA COMARE

Sono le 5,30 del 9 settembre 1911 e il guardiano ferroviario Biase Barletta sta controllando il tratto di sua competenza lungo la linea ferrata tra Scalea e Verbicaro e precisamente tra i caselli N° 144 e 145, distanti l’uno dall’altro circa un chilometro. Giunto a metà del percorso, la sua attenzione viene attirata da un berretto da caposquadra ferroviario sul limitare della scarpata che guarda verso il mare. “Chissà a chi è caduto”, pensa raccattandolo da terra, “lo porterò al casello e qualcuno verrà a reclamarlo…”.
Fatti un’altra ventina di passi, Barletta guarda nella scarpata, bestemmia e capisce che nessuno ha perso quel berretto.
Perlamadonna! – un uomo, quasi addossato alla siepe di acacia, è disteso a faccia in giù per terra e sembra non muoversi. Urla per cercare di svegliare l’uomo, ma non ottiene alcun risultato. Si avvicina, guarda meglio ed esclama – Minchia! È morto ammazzato!
Senza pensare a cercare di identificare il cadavere, si mette a correre verso Scalea per lanciare l’allarme. Solo verso le 8,00 torna sul posto col sorvegliante Pasquale Scaramuzzo e, insieme, accertano che l’uomo era il caposquadra Vincenzo De Mattei di Maratea e con questa ulteriore notizia provvedono ad avvisare i Carabinieri di Scalea.
– Non lo vedevo da sette o otto giorni – racconta Barletta al Vice Brigadiere Carmelo Ponzio – ma quello che è certo, è che non aveva nemici. Una brava persona… sicuramente si è trattato di una rapina, credetemi, davvero era stimato e benvoluto da tutti.
Il cadavere di De Mattei presenta due ferite: una derivante da una fucilata alla schiena, chiaramente sparatagli a bruciapelo; l’altra, una coltellata o una pugnalata, accanto alla scapola destra. Ponzio fruga nelle tasche della giacca di panno bleu carbonella e trova il portafogli e il portamonete della vittima con dei soldi dentro; nel taschino del gilet un orologio d’argento, regolarmente attaccato alla sua catenella e in un’altra tasca un biglietto a firma di un certo Nicola con una specie di invito a vedersi.
– Siete sicuro che non aveva nemici? – chiede a Barletta e a Scaramuzzo, mostrando loro ciò che ha trovato.
– Sicurissimo!
– Beh… almeno un nemico lo aveva… – dice, ironicamente, il Vice Brigadiere.
Vengono ascoltati tutti gli operai che lavorano lungo la linea ferrata nel tratto di competenza del morto e si scopre che l’ultimo giorno di vita, fino a notte inoltrata, De Mattei lo ha passato in casa di un certo Nicola Naponiello, trentenne di Eboli, anch’egli operaio ferroviario, che abita nel casello N° 146. I due sembrano essere stati grandi amici ma cominciano ad arrivare anche le prime indiscrezioni circa una presunta relazione adulterina tra la moglie di Naponiello, la venticinquenne Maria Volpintesta, e la vittima, altrimenti non si spiegherebbe come mai De Mattei passava più tempo nella casa dei compari che non nella propria a badare a sua figlia, dato che era rimasto vedovo.
Che ad uccidere il caposquadra De Mattei sia stato il compare Naponiello lo mette nero su bianco il padre della vittima, il quale racconta al Vice Brigadiere Ponzio:
Sospetto che mio figlio l’abbia ammazzato Naponiello Nicola per motivi di gelosia, giacché è pubblico che detto mio figlio aveva relazione con la di lui moglie. Queste relazioni duravano da circa cinque anni, da quando cioè sia il Naponiello che mio figlio si trovavano alla stazione di Verbicaro. Io avvertivo spesso mio figlio di smettere tale relazione e lo incitavo spesso di venire a passare da me le giornate in cui era libero, ma purtroppo in tali giornate lui non si recava che dal Naponiello
Il Vice Brigadiere Ponzio, sommando l’accusa del padre della vittima al fatto che i coniugi Naponiello sono state le ultime persone a vedere vivo De Mattei, alla relazione adulterina e al fatto che certamente il delitto non è avvenuto a scopo di rapina, conclude che il maggiore indiziato è Nicola Naponiello e lo fa arrestare, come fa arrestare anche la moglie, sospettando che lo abbia potuto aiutare in qualche modo.
Sono innocente! È assolutamente falso che io nutrissi dei rancori contro il defunto De Mattei per ragioni di gelosia. Mia moglie è donna onesta e le voci sparse sul di lei conto sono calunniose. – attacca Naponiello, poi racconta come si è svolta la giornata dell’8 settembre – Il De Mattei fu per tutta la giornata in casa mia, di ritorno da Verbicaro dove si era recato per fare un conto con Paolillo
– Paolillo chi?
– Eduardo Paolillo… quello che ha il negozio alla stazione di Verbicaro… De Mattei era solito comprare lì un sacco di roba…
– Ho capito… adesso dimmi se lo avevi invitato tu o è venuto di sua iniziativa. Questo biglietto devi averlo scritto tu e pare proprio un invito – gli chiede, sventolandogli sotto il muso il foglietto di carta trovato nelle tasche della vittima.
Non è vero che io l’abbia invitato per quel giorno e il biglietto che gli avevo scritto qualche giorno prima a Praia l’imbasciata a mio mezzo mandatagli dal Paolillo il quale diceva che per le condizioni sanitarie di Scalea, i suoi garzoni non si potevano recare a Verbicaro [dove c’era un’epidemia di colera. Nda] per inviare al De Mattei gli oggetti di negozio da lui richiesti.
– Va bene, adesso continua a raccontare cosa avete fatto per tutto il giorno otto – Facemmo colazione verso le 10 mangiandoci del pesce che lui stesso aveva portato da Praia; verso le 15 pranzammo e si rimase in compagnia fino alle ore 21 quando io con mia moglie andai a letto. Alle 23 mi alzai per andare in servizio, verso le 2 dopo mezzanotte andai a svegliare il De Mattei, giusto gli accordi presi, che dormiva nella stanza a pianterreno della mia abitazione, ed alzatosi lo accompagnai fino al mio posto di guardia, dovendo lui recarsi a Scalea a prendere il treno merci per ritornare a Praia
– Eri armato?
Quella notte io avevo il fucile – il Vice Brigadiere gli mostra il fucile sequestratogli e Naponiello annuisce – ma io sono abituato sempre quando esco di casa perché son munito di regolare permesso.
– E il pugnale? – insinua Ponzio
– Quale pugnale?
– Quello col quale hai ammazzato De Mattei…
– Non ho nessun pugnale… io l’ho lasciato al mio posto di guardia… quello che è successo dopo non lo so…
– Dai… ma se tutti sanno che ne hai uno, da qualche parte lo avrai nascosto, visto che a casa tua non lo abbiamo trovato!
– Non è vero.
Poi è il turno dell’altra sospettata, Maria Volpintesta:
– Io sono innocente! Nulla conosco del come sia avvenuta l’uccisione del De Mattei. Questi era amico di famiglia e compare, avendo tenuto a battesimo un mio bambino, ora morto, circa un anno fa. Vero è che veniva spesso a casa nostra e vi si tratteneva lungamente, ma ciò avveniva per le relazioni di vera amicizia che correvano fra di noi, non mai per relazioni illecite che avesse con me. Io protesto contro la calunniosa insinuazione e mi riserbo querelarmi contro chi mi ha diffamata!
– Come si è svolta la giornata dell’8 settembre?
De Mattei si recò alla stazione di Verbicaro col treno per pagare un conto al negoziante Paolillo e dopo si recò da noi verso le ore 9. Essendo festa, siccome lui era anche libero dal servizio e date le buone relazioni fra di noi, rimase a casa nostra. Facemmo colazione preparando del pesce, merluzzo, che lui aveva portato da Praia e dopo rimanemmo a chiacchierare fino alle 15, ora del pranzo. Dopo pranzo si rimase in compagnia con altri impiegati vicini. Verso le ore 21 io con mio marito andai a coricarmi ed il De Mattei rimase a dormire nella stanza a pianterreno, ove gli avevo preparato un lettino. Prima di andare a letto il De Mattei disse a mio marito di svegliarlo verso le 2 e un quarto dopo mezzanotte, dovendo raggiungere il treno merci alla stazione di Scalea per recarsi alla sua residenza in Praia, come aveva praticato altre volte. Alle 23 mio marito si alzò per andare in servizio, io rimasi a letto e non vidi e non sentii più nulla. L’indomani mattina, dalla squadra di Verbicaro, io e mio marito apprendemmo che il De Mattei lo avevano trovato sulla linea ammazzato. Prima di allora avevamo visto De Mattei a Praia in occasione della festa del 15 agosto, nella quale circostanza rimanemmo in casa sua per due o tre giorni. Suo padre sbaglia quando dice che ci conoscevamo da cinque anni, perché lo conoscevamo da circa due anni.
Maria Fernandez, spagnola di Siviglia e suocera del povero De Mattei, interrogata, la pensa diversamente circa i rapporti di amicizia familiare tra suo genero e i due sospettati, per cui gli inquirenti decidono di mettere a confronto le due donne:
Ti ricordi quando nello scorso anno mi raccontasti che tuo marito, per averti sorpreso che parlavi con mio genero, ti bastono?
Non è vero, voi potete dire quello che volete, ma io non vi raccontai nulla!
Aggiungesti pure che dopo essere stata bastonata, sopraggiunse mio genero che ti trovò piangendo
Non è vero… non è vero
Ti ricordi quando nello scorso agosto venisti in casa nostra mi confidasti che tuo marito era nuovamente ingelosito del suo compare, mio genero, e che temevi di essere nuovamente bastonata?
Non è vero! se mio marito mi avesse tenuta gelosa, in casa del compare non mi avrebbe condotta!
Puoi negare che nello scorso agosto, stando in casa nostra, mio genero approfittando di qualche distrazione momentanea di tuo marito ti sorrideva, ti toccava il piede e prendendoti pel braccio t’invitava a bere? Puoi negare che gli sguardi tu li contraccambiavi?
Non è vero niente proprio, mio marito non era tanto stupido da non accorgersene
Ti ricordi che più d’una volta, parlando fra di noi, io ti ho detto: “Quando succede una cosa io ho tanto d’occhi e vedo tutto”?
Badate a quello che dite, non vi mettete il mio onore in bocca!
Tutto quello che io dico è vero!
Il contegno risoluto ed energico della Fernandez e quello, al contrario, titubante di Maria, convincono ancora di più gli inquirenti di essere sulla strada giusta per incastrare marito e moglie. A confortarli in questa convinzione arriva la perizia sui pallini estratti dal corpo della vittima, messi a confronto con quelli delle cartucce sequestrate a Naponiello: sono perfettamente identici, come perfettamente identiche sono la borra trovata sul cadavere e quelle delle cartucce sequestrate. Ormai, almeno per Naponiello, il cerchio sta per chiudersi e a niente serve la lettera che l’indagato scrive per denunciare i rancori che alcuni operai ferroviari avrebbero avuto nei confronti della vittima.
Filomena Farra, che abita nello stesso casello 146, interrogata riferisce circostanze forse decisive per le sorti delle indagini:
La Volpintesta mi parlava in modo da non far sentire il marito che era in casa, il quale era molto furbo e mentre faceva finta di dormire controllava la moglie. La mattina del 9 venne da me la Volpintesta e mi disse: “Ieri non son venuta a trovarti perché c’era il compare, questi voleva andar via ma mio marito lo ha trattenuto promettendogli che verso le ore 20 lo avrebbe accompagnato alla stazione di Scalea; arrivato a tale ora lo premurò a rimanere ancora per andarsene con un merci alla mattinata ed invece lo svegliò alle due della notte ed il Compare De Mattei se ne andò”. Questo mi disse prima che si fosse saputo dell’omicidio e anche dopo.
Testimonianza su testimonianza, sopralluogo dopo sopralluogo, i Carabinieri e il Pretore di Scalea credono di essere in grado di ricostruire la dinamica dell’omicidio:
In casa Naponiello si mangia, si beve e si fa tardi. Il De Mattei vuol partire ma il Naponiello lo invita a rimanere per ripartire l’indomani mattino (e la Volpintesta ce lo racconta, vedi teste Farra), questi cede e tutti vanno a letto ma, contrariamente agli accordi presi, il Naponiello alle 2 dopo mezzanotte sveglia il compare e lo invita ad andare a raggiungere il treno merci a Scalea, fin dove promette di accompagnarlo. Perché mai questo cambiamento di orario? Nel Naponiello è già maturato il proponimento di disfarsi del compare ed abilmente ha preparato il piano per l’esecuzione e per poi assicurarsi l’impunità. Tutto è scelto abilmente. Il tempo: sono trascorsi da poco i luttuosi rivolgimenti nella vicina Verbicaro: i cittadini sono sbandati per le campagne (il Naponiello pensa), i sospetti cadranno su di loro [Nell’estate del 1911 scoppiò a Verbicaro una violenta e tragica rivolta in seguito ad un’epidemia di colera che la popolazione riteneva essere stata provocata dal sindaco su mandato del Governo per eliminare la popolazione in eccesso. La rivolta ebbe una risonanza nazionale e fu additata come il simbolo del primitivismo barbarico dei calabresi, briganti e violenti. Il governo, presieduto da Giovanni Giolitti, anziché medicinali per dare sollievo agli ammalati inviò l’esercito che presidiò il paese per ben tre anni. Sarà vero? Lo scoprirete cliccando qui. Nda]. L’ora: sono circa le tre dopo mezzanotte ed a quest’ora gli abitanti dei vicini caselli ferroviari dormono a sonno pieno. Il luogo: è in prossimità di un boschetto in cui si inoltra un viottolo e quivi (pensa il Naponiello) si penserà all’agguato. Il punto: è in una curva e qui la fiammata del colpo di fucile, che dovrà essere micidiale, non potrà osservarsi.
Sveglia, adunque, il Naponiello il suo compare, questi si alza ed ambedue si avviano verso Scalea: giunto al punto designato, il Naponiello dà un colpo di fucile ed una pugnalata al suo compare e lo ammazza!
Ed ogni cosa è a conoscenza della Volpintesta la quale, compiutosi il delitto, si adopera ad assicurare l’impunità al marito. Ben presto, difatti, ad ora insolita si reca a casa della Farra a raccontarle quello che la sera precedente si era detto fra i commensali; ben presto ad ora insolita si reca a lavare un paio di pantaloni del marito, pantaloni forse intrisi del sangue del povero De Mattei.
Alla luce di questa ricostruzione, non suffragata da prove concrete, il Pubblico Ministero chiede il rinvio a giudizio per tutti e due gli indagati ma la Camera di Consiglio del Tribunale di Cosenza non è d’accordo e dispone il proscioglimento di Maria Volpintesta per insufficienza di prove. Prove che invece sono ritenute sufficienti a carico di Nicola Naponiello, per il quale gli atti sono inviati alla Sezione d’Accusa e il 12 marzo 1913 viene disposto il suo rinvio a giudizio presso la Corte d’Assise di Cosenza.
Ma nel dibattimento le accuse non reggono e il 16 aprile 1914 la Giuria, a maggioranza, assolve Nicola Naponiello per non aver commesso il fatto.[1]
Nessuno pagherà.  

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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