LA GELOSIA PARANOICA DEL GEOMETRA

La mattina del 2 febbraio 1917  fa molto freddo ad Acri per l’abbondante neve, ormai gelata, caduta nei giorni precedenti. La poca gente che cammina per strada è racchiusa in caldi mantelli di lana, ma il trentanovenne geometra Angelo Romagnino esce di casa con indosso solo una giacchetta. Cammina a scatti e ha lo sguardo allucinato e poi, arrivato davanti alla caserma dei Carabinieri, si ferma di botto e picchia forte alla porta. Il piantone, innervosito dagli insistenti colpi, apre e vorrebbe fare una bella ramanzina a chi si sta permettendo tanta insolenza, ma lo sguardo allucinato del geometra Romagnino gli fa capire subito che c’è qualcosa che non va e lo invita subito ad entrare.

– Ho ammazzato mia moglie. – dice subito. Poi viene fatto entrare nell’ufficio del Maresciallo Carlo Lopanconi e comincia il suo racconto – Signori, da qualche tempo ero torturato dal dubbio che mia moglie, a nome Scuro Marianna di anni 60 nata a san Giorgio Albanese, mi tradisse benché io non avessi motivi per ritenerlo. Giorni addietro molti uomini e ragazzi fecero una dimostrazione per le vie perché un uomo aveva perduto la sua potenza virile. – il Maresciallo e i Carabinieri Giuseppe Piazza e Autilio Cavaliere si guardano increduli – Mi convinsi che quella dimostrazione era fatta a me e più mi avvalorai il dubbio che mia moglie mi tradisse. Certa Stumpo Carmela, di anni 24, alla quale io davo lire 10 al mese per riempirmi l’acqua, mi aveva detto che il Vice Pretore Romano notar Francesco di anni 35 da Acri, col quale ero in rapporti di affari, e certo Conforti Francesco di anni 50, orefice, da Acri, si recavano a casa mia anche quando io era assente. Il sospetto, allora, divenne certezza. L’altra sera nella sartoria di Locanto Pasquale molte persone parlavano e fecero il nome del Pretore. Io ritengo che volevano alludere a me e quindi son certo che mia moglie mi tradiva col Vice Pretore, col Pretore, col Conforti Francesco e molti altri.

– Ma siete sicuro? State accusando due Magistrati…

Sul Pretore nulla mi consta e non l’ho visto nemmeno passare per la mia strada; forse sono in equivoco perché nella sartoria Locanto si parlava del Vice Pretore e non del Pretore. Io non compresi nulla perché eccitatissimo. Ora penso meglio che il Pretore non ci entra per nulla, ma sono persuaso che mia moglie mi tradisse col Vice Pretore, col Conforti e con molti altri. Ieri sera toccai appena il cibo, poscia mi coricai con mia moglie ma non dormii che poco. Tutta la notte la passai in piedi, ora passeggiando, ora davanti al fuoco acceso nel caminetto, alla luce di una lampada ad olio. Mentre sul far del giorno mi riscaldavo, i pensieri più truci mi giocavano nella mente. Immaginavo che degli uomini giravano nella mia casa in tresca con mia moglie, i quali, al mio apparire, sapevano ben nascondersi ed allontanarsi. La mente mi si era completamente ottenebrata ed impugnando la rivoltella, che tenevo alla cintola, mi sono avvicinato al letto dove tranquillamente dormiva sul fianco destro la nominata mia moglie e l’ho chiamata per nome dicendole: “Alzati che mi farai un po’ di caffè”. Essa così mi rispose: “Ancora è presto, lasciami dormire un altro po’”e continuava a tener gli occhi chiusi per riprendere sonno. Io – continua Romagnino scuotendosi nervosamente con un’espressione allucinata – non so dire che cosa abbia provato e mi abbia attraversato il cervello… certo è che ho avvicinato la rivoltella alla guancia sinistra ed ho esploso un colpo. Il sangue, uscendo a fiotti ed a schizzi, macchiava il letto e lo inondava mentre la poverina, anzi questa parola di commiserazione non intendo in questo momento pronunziare, non dava più segni di vita, rimasta nella posizione in cui era, senza fare alcun movimento. Ho chiamato il mio garzone Pasquale Perri, quattordicenne, e poi sono uscito…

– Vi rendete conto, ora, di quello che avete fatto? Siete pentito? – gli chiede il Maresciallo mentre entra nella stanza il Pretore di Acri prontamente avvisato.

Io non so se debba essere pentito o no del fatto. La poveretta era una santa… dovevamo andare a Pompei per fare una visita alla Madonna – dice il geomentra scoppiando in lacrime, tremando e ansimando in modo impressionante.

Il Maresciallo e il Pretore si guardano negli occhi e contemporaneamente tirano un lungo respiro, poi fanno portare Romagnino in camera di sicurezza e il Pretore dice:

È un demente! Meglio chiamare un paio di medici per un consulto. Nell’attesa andiamo sul posto e vediamo cosa è successo…

Marianna Scura giace cadavere nel suo letto, immersa in una larga pozza di sangue sgorgato da una ferita ovale alla tempia sinistra, a margini introflessi, con un tatuaggio di polvere incombusta all’intorno. Si, le ha sparato a bruciapelo.

Poi interrogano sommariamente i vicini, che cadono dalle nuvole: tutti concordano nell’affermare che l’uccisa, donna piuttosto matura e dedita molto alla religione, giammai aveva dato motivi di sospetto sulla sua onorabilità, né dissensi tra lei e il marito erano apparsi. Nemmeno Carmela Stumpo conferma le dichiarazioni del geometra Romagnino affermando che solo quella stessa mattina l’uomo, all’alba, si era recato nell’abitazione di lei e le aveva domandato se avesse visto il Vice Pretore entrare in casa sua mentre egli era assente. Tutti i testimoni escludono categoricamente anche la circostanza che una qualsiasi dimostrazione pubblica avesse avuto luogo in quei giorni e tantomeno una dimostrazione contro lui diretta.

I Carabinieri cercano la rivoltella ma non la trovano e ritengono che essa avesse potuto essere stata asportata da qualche passante. Trovano, però, addosso al geometra una licenza di porto d’arma da fuoco (rivoltella per la difesa personale e fucile per la caccia) rilasciatagli in data 1 settembre 1916.

Dopo averlo visitato, i medici relazionano che Il Romagnino si presenta col viso acceso, quasi congestionato, con le vene temporali turgide, con le pupille un po’ dilatate e con un tremore che l’agita tutto, con polso piccolo e frequente; parla con una certa difficoltà, risponde con parole staccate, quasi scandite. Ogni tanto il respiro diventa affannoso, quasi asmatico. Insomma si trova in uno stato di sovraeccitazione per cui è bene che stia a riposo.

Dopo due giorni il Pretore lo interroga di nuovo e Romagnino, confermando tutto ciò che ha già dichiarato aggiunge:

– Prima di commettere il fatto volli ancora interrogare la Carmela per sapere se confermasse o meno la circostanza che durante la mia assenza persone entravano in casa. essa mi rispose di si ed io, accecato, salii le scale per compiere il misfatto. Se avessi avuto un barlume di ragione certo non avrei commesso il fatto doloroso di cui ora amaramente mi pento. Il dubbio sulla fedeltà di mia moglie, però, ancora mi tormenta – poi, scoppiando a piangere, aggiunge – la mia è stata una follia! Ma non ci ho colpa

– Vi ricordate se durante quella notte avevate bevuto?

Quella notte non bevvi né vino né cognac e quel po’ di vomito che avete trovato in cucina era della sera precedente giacché dopo aver cenato bevendo a tavola con mia moglie, come di consueto, una bottiglia, per lo stato di agitazione in cui mi trovavo ebbi un conato e vomitai un poco. Da parecchi giorni, però, ingoiavo delle pillole di bromuro prescrittemi dal dottor Vincenzo Fiore di Corigliano Calabro e preparate dal farmacista Luigi Feranda di Acri.

– Avevate già avuto questi stati di agitazione?

Circa due anni fa ebbi dei forti attacchi nervosi e per più di due mesi fui sottoposto alla stessa cura dal dottor Fiore.

– Avete accusato il Vice Pretore e l’orefice di intendersela con la buonanima di vostra moglie… ma voi li avete mai visti entrare in casa vostra o avete visto altri mentre eravate fuori?

Non sono certo di aver visto salire alcuno in casa mia. Una volta, però, da lontano vidi salire due che mi parvero il Vice Pretore ed il Conforti. Mi avvicinai ma dovetti perdere del tempo e quando giunsi non trovai più nessuno all’infuori di mia moglie che si inquietò – un nuovo scoppio di pianto gli squassa il petto. Singhiozzando aggiunge – Chissà quanta gente agiva latentemente a mio danno!

– Carmela dice che non è vero quello che le attribuite…

Che mi abbia ingannato costei?

– Perché, parlando della presunta manifestazioni per prendervi in giro, avete detto che quelle persone si riferivano a un uomo che aveva perduto la sua potenza virile? E perché avete sposato una donna molto più grande di voi?

Quantunque abbia una costituzione organica molto sviluppata, pure gli stimoli sessuali, fin da giovanotto, sono sempre stati assai deboli e rari… non mi mancò l’occasione per sposare una donna della mia età ma mi rifiutai per non farla infelice sapendo non normale la mia funzione genitale e, accettando il consiglio di mio zio, il Parroco Saverio Romagnino, trovai buona l’idea di sposare Marianna Scura perché essa era alquanto attempata. Per i primi tre anni soddisfeci il sesso a intervalli piuttosto lunghi, ma dopo divenni quasi del tutto impotente. Io sono in uno stato d’impotenza troppo chiaro perché oltre ad avere niente sviluppo, è quasi insensibile. L’altra mattina cercai di vedere in che stato mi trovavo ed uscì lo sperma senza erezione. La notte raramente mi sento un po’ di calore, ma non erezione completa. Del resto credo che ci saranno specialisti per visitarmi… Onde la gelosia di mia moglie la quale, non vedendosi avvicinata che assai raramente e mai energicamente, credeva che io la tradissi con altre e mi faceva delle continue rimostranze e qualche volta così insistenti da spingermi al suicidio

– Suicidio?

Tre anni addietro, mentre ci trovavamo ai bagni in Guardia Piemontese essa, che anche prima me lo aveva accennato, mi comunicò che lei e sua nipote Mariangela Mingrone avevano preso la risoluzione di chiudersi in una casa di ricovero, una specie di monastero, a Cetraro. Io me ne afflissi profondamente sapendo che quella decisione era dovuta alla mia malattia e tentai di gettarmi sotto le ruote di un treno in movimento. Mi salvò una persona che io non conosco ed esse desistettero dal proposito di ritirarsi in quella casa. Qualche tempo dopo mia moglie espresse di nuovo il suo desiderio e io non la ostacolai più, anzi scrissi una lettera, non so se ad un istituto di Pompei, pregandolo di farmi conoscere se aveva posti disponibili per accogliere essa e la nipote, quale era la retta e quali le regole da osservare – il Pretore gli mostra un foglio scritto con molte correzioni e Romagnino continua – la bozza è perfettamente quella che V.S. ha sequestrato a casa mia e che mi ha mostrato. Ma poi la nipote si pentì e scrisse alla zia che non voleva lasciare la madre sola e tutto fallì. Ma la ragazza, alla quale mia moglie aveva promesso di costituirle una dote, cominciò a pretendere soldi minacciando di spargere la voce che io le avevo tolto l’onore, ma mia moglie le rispose che poteva fare quello che voleva e non le dette niente.

– Litigavate spesso, oltre che per il motivo che avete già detto?

Tra me e mia moglie è regnata sempre la migliore armonia. Essa qualche volta mi muoveva lagnanze se io mi allontanavo o restavo in campagna qualche ora in più del solito, ma io accettavo i suoi rimproveri senza impermalire. D’inverno si era soliti passare qualche mese nella campagna di San Giorgio Albanese ove il clima è molto più mite di Acri; d’estate spesso si andava a Napoli, a Castellammare per i bagni…

– Avete avuto relazioni intime con la nipote di vostra moglie?

È da escludere categoricamente! anche per i motivi che vi ho detto e che sarà facile accertare quando mi faranno la perizia medica.

A questo punto è lampante che il geometra Romagnino ha bisogno di più d’una perizia medica e viene chiesta l’autorizzazione a sottoporlo, prima di tutto, a quella psichiatrica. Nell’attesa che si compia l’iter burocratico, il 20 giugno 1917 viene ricoverato nel manicomio giudiziario di Aversa dove, un mese e mezzo dopo, gli alienisti Filippo Saporito e Raffaele Canger lo terranno in osservazione.

Ma se è chiaro che il geometra ha bisogno di una perizia psichiatrica, gli inquirenti pensano bene di scavare anche nel passato della povera Marianna, donna che tutti definiscono quasi una santa, per cercare di capire se la sua personalità può avere influito sul gesto estremo del marito e quali erano davvero i rapporti tra di loro, così scoprono che da giovanetta fu l’amante posseduta da tal Salvidio Luigi, ricco signore di Acri, il quale se ne invaghì al punto da darle una educazione, sposandola, poscia, col solo rito religioso e costituendole anche un patrimonio. Venuto a morte il Salvidio, molte persone per bene ed agiate di diversi comuni le chiesero la mano, ma tutte furono rifiutate. Toccò, invece, al Romagnino di sposarla perché, avendola il primo marito affidata ad una specie di tutela di un fratello a nome Antonio, su costui molto potè l’influenza del parroco Saverio Romagnino, zio dell’imputato, che la chiese e l’ottenne per il nipote. Tuttavia non si può dire che mancasse un vero affetto ed una reciproca stima fra i due coniugi. Ma nella intimità non mancavano scene di gelosia la quale, se appariva in un certo modo giustificata nei rapporti della donna presso che sessuagenaria coll’uomo quarantenne, sembrava strana nel caso inverso, eppur sussisteva.

“Tu vai a caccia – gli diceva – per cercare donne”. Lui si protestava innocente assicurandole che non era vero e concludeva: “Vieni con me e vedrai che sei in errore”. qualche volta essa lo tormentava per ore intere e lui, perduta la pazienza, cavava la rivoltella e le diceva: “Finiscila e per sempre, se no qualche volta finisce male”. Marianna gli rispondeva: “Ammazzami, tanto una volta debbo morire, ma ricordati che tu andrai in galera!”. Gli inquirenti scoprono anche che Romagnino, oltre a tentare di buttarsi sotto a un treno, cercò di uccidersi altre due volte: una volta in presenza della nipote, che racconta:

Giurava sulle ossa dei suoi genitori che si sarebbe suicidato in qualche bosco ed una volta, in casa, si puntò decisamente la rivoltella all’orecchio destro premendo il cane. Io istantaneamente gli urtai il braccio e sono convinta che devesi unicamente al mio intervento se lui non potette mandare in effetti il suo proposito.

L’altra volta quando, una notte, un lavorante alle dipendenze del geometra fu attratto dalle urla provenienti dalla stanza da letto dei Romagnino e accorse trovando il marito in mutande che si sforzava di sottrarsi alle strette della moglie in sottana per aprire una finestra da cui voleva precipitarsi. Si seppe, poi, che il geometra aveva ingerito due pasticche di sublimato sciolte in un bicchiere d’acqua e che la moglie gli aveva indotto il vomito facendogli ingerire albume d’uovo. Non contento, il geometra verso mezzanotte cominciò a saltare per la stanza da letto stringendosi fortemente la testa sul lato sinistro e urlando che una cosa era venuta a colpirlo dalla finestra e che vedeva un uomo armato di fucile girare per la stanza in atto di sparargli. “Se mi spara, gli sparo io!” diceva mentre la moglie e la nipote cercavano di convincerlo che in casa non c’era nessun uomo armato. Poi verso mattina svenne e il medico che lo visitò gli ordinò di prendere del bromuro e di non bere vino, cosa che fece per l’anno successivo. Sentendosi meglio, ricominciò a bere ma si lamentava sempre per il dolore alla parte sinistra della testa, al punto da temere di andare in Manicomio.

Marianna, da parte sua, si stupiva della gelosia del marito e confidava alle amiche:

Come sono curiosi gli uomini… io ora sono vecchia… sono donna da fare queste cose?

E quando la nipote cercava di farlo ragionare spiegandogli l’insospettabilità e l’età incongrua della zia, Romagnino rispondeva:

Ziata non s’incarica della migliore giovane!

Quando i dottori Saporito e Canger cominciano l’osservazione del paziente non possono fare a meno di annotare che il geometra si rivela come un soggetto interessantissimo, da non confondersi coi comuni tipi di alienati e di delinquenti costituenti la gran massa dei ricoverati. La sua figura, immune di quei tratti volgari d’ogni specie che annunziano, sotto aspetti variabili, l’umana degradazione, sembrava, e sembra tuttavia, l’incarnazione dell’umana sventura, conciliante l’altrui simpatia anziché la repulsione che promana dai tristi e comuni eroi del delitto.

E mettono in rilievo anche il fatto che la famiglia del geometra fosse una famiglia di alienati.

L’avo paterno, che ebbe un fratello ed una sorella pazzi, fu un tipo così strano che una volta, in abito talare, entrò in un confessionale e riuscì a confessare una donna; il padre dell’imputato, tipo credulone, pigliava sul serio tutto ciò che gli si diceva per ischerzo. Deviato di mente anche lui, voleva abbandonare la moglie e i figli per farsi monaco. Del parroco Romagnino, colui che fu pronubo delle nozze del nipote, si raccontano molti atti di stranezze. Agitatore elettorale più di quanto compatisse il suo ministerio, si immischiava in ogni cosa che disdicesse il suo abito. Fece, una volta, indossare ad un suo servo un lungo palamidone con un cappello ed un’immensa cravatta rossa e lo fece girare pel comune; ed il servo spiega che ciò fece allo scopo di dimostrare ad un tal Nicola Fuscaldo, che si dava molta importanza, che egli era in condizioni economiche tali da poter avere un servo in livrea. Incapace di beneficare chicchessia, ancora vivente fece celebrare a favore della propria anima messe per tremila lire e, morendo, diseredò senza alcuna ragione i suoi parenti prossimi verso i quali aveva molti obblighi morali, lasciando tutto a favore di ricchi concittadini, riservando l’usufrutto al servo divenuto celebre per la livrea.

Il Romagnino ha due fratelli, Francesco e Giuseppe, entrambi conclamati pazzi. Giuseppe, pur potendo vivere comodamente, si condanna a vivere solissimo in una bia ed umida stamberga. Francesco è definito un pazzo liquido. Si ritiene maestro dei maestri; è convinto che egli solo può governare il mondo, ma che è vittima della persecuzione massonica. All’età di oltre 40 anni si è iscritto alla facoltà di legge della R. Università di Napoli dando spettacolo con conferenze stranissime e dispensando fogli in cui si proclama maestro di tutti i giuristi. Crede che egli sia il solo vero interprete del Divino Poema ed ha scritto, tra l’altro, un opuscolo in latino pel quale aspira al premio Nobel. Tuttavia vive discinto, senza cravatta e vive da miserabile. Si crede destinato a salvare l’umanità in quanto il solo capace di riavvicinare i popoli e condurli alla pace ed alla prosperità, come di risolvere i più grandi problemi che interessano l’umanità… Una volta, nel restituire ad un amico le “Vite degli Uomini Illustri”, gli disse: “Sono più grande di Napoleone”. Al sindaco del comune esternava le sue meraviglie perché il Re non lo chiamasse per reggere i destini della Nazione ed a risolvere i problemi più complessi che interessano l’umanità. Uno o due giorni dopo della uccisione della cognata, convinto che quel delitto era stato voluto dalla massoneria, fece allo stesso sindaco un lungo esposto in cui lo esortava a prendere provvedimenti.

Saporito e Canger puntano la loro attenzione sul comportamento che Romagnino tiene in manicomio: vive in istato di completo ed assoluto isolamento in quanto non ha stretto, né è incline a stringere rapporti di sorta con l’ambiente che lo ospita. Una delle poche iniziative individuali di cui è stato capace durante tutta l’osservazione ha avuto appunto l’obiettivo di costituirsi un sistema di vita appartata. Insistentemente ha chiesto di essere collocato in una camera e sé e, non avendo potuto vedere realizzata questa sua aspirazione, si è creato un isolamento di fatto, che in nulla differisce da quello che avrebbe potuto realizzare in regime cellulare. Ha trascorso e trascorre, infatti, i suoi giorni rincantucciato negli angoli più silenziosi della camera che lo ospita, da cui raramente si apparta e solo per segnare pochi passi lungo la camera stessa, vagando come l’ombra di un corpo da cui l’anima sia fuggita, schivo di ogni contatto, muto, estatico, come assente al rumore degli uomini e delle cose che lo circondano, pago del trattamento che gli si appresta, senza esternare desideri propri attinenti a concessioni che rendessero meno dura la presente dimora, siccome è costume dei delinquenti in istato di captività.

Non è possibile rivolgere la parola al Romagnino, anche su argomenti di scarso interesse personale per lui, senza che egli si commuova e si conturbi: vere e proprie ondate emotive montano sulla coscienza a tutto discapito del meccanismo delle funzioni intellettive. Per un’attività vasomotoria davvero strabocchevole, il Romagnino diventa vermiglio nel collo e nel volto, l’occhio si fa lucido e non tarda a bagnarsi di lagrime, tremano le membra, si scompongono i lineamenti del volto, la voce diventa ancora più fioca di quella che d’ordinamento non sia e la parola resta strozzata in gola, fra lunghi sospiri che attestano un vero stato d’ambascia e di angoscia.

Il Romagnino, nello stato d’isolamento e di raccoglimento nel quale vive, spesso si lascia cogliere nell’atteggiamento di chi raccoglie sensazioni acustiche non rispondenti a realtà obiettiva e, in connessione con tali sensazioni, egli si vede cadere in preda a quei turbamenti che si rilevano allorquando si cerchi di entrare in conversazione con lui; onde il quadro di persona che sia in rapporto con altre persone invisibili per i terzi e tutto ciò si traduce in un mormorio a fior di labbra in cui è facile cogliere abbozzi di risposte ed epiteti dispregiativi, come di chi voglia respingere molestie e insulti. I dottori accertano che trattasi di voci attinenti al noto tema delle offese nell’onore patite dalla moglie, sotto l’azione deliberatamente oltraggiosa dei suoi concittadini che fanno scempio di lui e del suo casato, materiale falso che egli accoglie come realtà assoluta. Ma non è solo il passato che si rimescola o si ripristina per effetto dei disordini sensoriali nella coscienza del soggetto. La morbosa attività dei suoi sensi si alimenta anche di un contenuto riferibile alla vita presente, alle persone che attualmente lo circondano con la nota importante del colorito e della significazione prettamente sessuale. Uno dei motivi principali che ha alimentato quella sua iniziativa unilaterale tendente a realizzare per sé un assoluto isolamento, sta nel fatto che il Romagnino ha creduto e crede tuttavia di apprendere dai discorsi dei compagni di camera che lo si additi come un sodomista passivo, né questo suo orientamento è mutato col mutare delle condizioni e delle persone in mezzo a cui si trova. La reazione afflittiva di questa condizione è enorme perché il Romagnino, accogliendo come veritiero il materiale che gli deriva da questo cumulo di illusioni ed allucinazioni, lo connette col fatto reale della sua antica impotenza sessuale ed in questo lavorio d’interpretazione si accascia e si sente sempre più avvolto nelle spire del dolore. Pertanto il Romagnino si svela come un delirante in tutta l’estensione ed il significato clinico della parola; ed è di quei deliranti che si ripiegano su loro stessi e rodono la propria coscienza sulla materia del loro delirio con un logorio spasimante dell’attività psichica la quale, così compressa, può preparare episodiche esplosioni di cui il Romagnino ci ha dato spiccati saggi nei molteplici tentativi di suicidio nella vita libera.

Raccontando a stento svariati episodi nei quali si sentì offeso nell’onore, il geometra riferisce una frase che Marianna gli diceva spesso e il tormento interiore che quelle parole gli procuravano: “Cumu si ciuatu, Madonna mia!”. Diceva così perché io soffrivo internamente nell’animo per non averne la certezza.

Tutto ciò fa pensare agli specialisti di trovarsi di fronte a un soggetto che presenta la caratteristica e specifica forma del paranoidismo se non della vera e propria paranoia, sia per familiarità che per l’alcolismo e concludono che il delitto del Romagnino aderisce completamente col delirio geloso da cui egli era da anni pervaso e ne è la necessaria e fatale conseguenza.

L’imputato non aveva alcun motivo ad uccidere la moglie oltre quello impostogli dal sistema rigido d’idee formatosi nella sua coscienza come risultato di concezioni illusionali, deliranti ed allucinatorie, con relativo impulso alle azioni, quindi Angelo Romagnino, nel momento in cui commise il delitto di cui è accusato era affetto da paranoia gelosa, per la quale incarnava la figura tipica dell’alienato prevista dal Legislatore nell’art. 46 del C.P.

La libertà del Romagnino è ancora pericolosa.

Su questa base, il Procuratore Generale del re chiede alla Sezione d’Accusa che dichiari non esser luogo a procedere contro Angelo Romagnino perché non punibile avendo agito nel momento del fatto in stato d’infermità mentale e chiede inoltre la chiusura definitiva del Romagnino in un manicomio risultando essere allo stato pericoloso.

La Sezione d’Accusa accoglie la richiesta del Procuratore Generale e dispone il ricovero di Angelo Romagnino in un manicomio, senza specificare limiti temporali. È il 5 agosto 1918.

Il geometra Romagnino viene dimesso dal manicomio nel mese di maggio del 1921 e va a vivere a San Giorgio Albanese, paese natale della moglie. [1]

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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