È il 17 agosto 1937 quando il Seniore Comandante della 162^ Legione della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, Raffaele Siena, trasmette al Procuratore del re di Cosenza gli atti relativi alla denuncia contro i fratelli Giovanni e Carmine Dodaro di Cosenza.
Deve sicuramente trattarsi di una questione molto seria dal momento che la pratica viene inoltrata per conoscenza anche al Servizio Politico del Comando Generale M.V.S.N.di Roma, all’Ufficio Politico del Comando XI^ Zona Camicie Nere di Napoli e a S.E. il Procuratore Generale presso il Tribunale Speciale di Roma.
I fatti, serissimi, sarebbero questi: due giorni prima, il 15 agosto, verso le 9 di mattina il Capo Squadra M.V.S.N. Aurelio Sicilia trova, nei pressi dell’ospedale cittadino, la camicia nera Eugenio Guzzo piangente e con la testa che gronda sangue.
– Mi hanno aggredito i fratelli Giovanni e Carmine Dodaro… Giovanni mi ha dato una bastonata in testa…
– Il motivo qual è? – gli chiede Sicilia.
– Portami all’ospedale… poi ti dico tutto…
I medici gli riscontrano una ferita lacero-contusa alla regione frontale destra con lieve ematoma e una lieve contusione alla regione iliaca sinistra. Opportunamente medicato, il ferito viene dimesso e insieme al Capo Squadra decide che è più opportuno raccontare tutto al comandante della milizia.
– Questa mattina verso le ore 8, mentre dalla contrada Tenimento mi recavo in Via Portapiana, in prossimità della sola quercia esistente nei dintorni sopra il Ponte S. Giovanni, vidi tale Giovanni Dodaro, abitante in detta località il quale, dopo scambiatomi il saluto ed avere giustificato di essere in possesso di un bastone per la sorveglianza della vigna a lui affidata, si avvicinò rimproverandomi di avere preso, il giorno precedente, dei sacchi di segatura nel negozio di tal Costa Pietro, mentre a suo dire spettavano a lui; in modo repentino mi si avventò contro tirandomi una bastonata sulla testa, producendomi ferita. Intontito dalla bastonata ricevuta non ebbi il tempo per potermi difendere e poi sopraggiunse un fratello del Dodaro, a nome Carmine, che suppongo nascosto nei pressi del vigneto, il quale incominciò a tirarmi pugni e calci tenendomi fermo per i capelli. Per il modo brusco e repentino con cui fui aggredito, sbigottito dalle percosse ricevute, dichiarai la mia qualità di Camicia Nera, ingiungendo di usarmi il dovuto rispetto, ma entrambi i fratelli, continuando a percuotermi, dichiaravano che si fottevano della camicia nera e di me. Reso vano l’avvertimento ed essendo disarmato, mi divincolai dalla stretta e cercai scampo nella fuga, nel mentre i due fratelli continuavano ad inseguirmi gridando che si fottevano della camicia nera in quanto i rossi in Spagna ci stavano “allisciando il pelo”. Presenti all’accaduto ricordo di avere notato Luigi Fico, conducente da Cosenza, il quale lavora con gli stessi Dodaro e che forse per questo non ha inteso il bisogno d’intervenire pur conoscendomi personalmente, e i coniugi Dodaro Michele e Dodaro Orsola che, pur trovandosi a circa trenta metri di distanza dal luogo, hanno assistito alla scena di aggressione.
I militi si mettono subito alla ricerca dei fratelli Dodaro ma non riescono a rintracciarli. Nel frattempo vengono sentiti i testimoni. Luigi Fico, che potrebbe avere delle noie dal fatto, è categorico:
– Mentre portavo i cavalli all’abbeveratoio, ad una trentina di metri di distanza e verso valle, ho visto che litigavano, tenendosi per i capelli, la Camicia Nera Guzzo Eugenio e i fratelli Carmine e Giovanni Dodaro i quali subito dopo si lasciavano dalla stretta e mentre il Guzzo veniva verso di me, i fratelli Dodaro si avviavano verso la loro vigna. Scambievolmente si davano del “miserabile”. Il Guzzo passò vicino a me con la giacca sulle spalle e grondante sangue dalla testa. Né io rivolsi parola al Guzzo per tema di acuirne l’animo, né il Guzzo mi rivolse parola. Ritornato dopo l’abbeverata dei cavalli, nella stalla, appresi della discussione dai fratelli Dodaro che movente della lite era lo scambio di alcune invettive avvenuto il giorno precedente nella segheria di tal Pietro Costa da Cosenza tra il Giovanni Dodaro e il Guzzo, senza pertanto conoscere i particolari.
– L’affermazione del Fico è completamente falsa ed infondata – accusa Guzzo – in quanto questi trovavasi vicino al Dodaro Carmine ed ha assistito a tutta la scena e non escludo che qualora i Dodaro si fossero trovati perditori nella lite, il Fico avrebbe certamente preso la loro difesa e ha certamente inteso le parole profferite dai Dodaro ma non le vuole dichiarare perché dipendente dai Dodaro quale operaio.
– Vi ripeto che ero ad almeno 25 metri e non ho affatto sentito la dichiarazione del Guzzo fatta ai Dodaro “rispettate una Camicia Nera”.
Il sessantanovenne Michele Dodaro dice di non avere visto la scena a causa dei problemi alla vista di cui soffre, ma di avere sentito Guzzo ad un certo punto gridare “Rispettate che sono una camicia nera” e a ciò il Carmine Dodaro rispose: “me ne frego della camicia nera e di te, miserabile!”.
Sua moglie, la sessantaseienne Giuseppa Dodaro, ha la vista migliore, forse troppo, del marito e riferisce:
– Ieri mattina verso le ore 8, mentre ero intenta al lavoro consueto nel mio orto sito in contrada Pantano, vidi tal Giovanni Dodaro fermo vicino la sola quercia esistente nei dintorni sopra il Ponte S. Giovanni, mentre altri due, a nome Carmine Dodaro e Fico Luigi, erano appiattati nella vigna, vicino al luogo indicato. Poco dopo passò da detto luogo Guzzo Eugenio il quale immediatamente fu aggredito dal Giovanni Dodaro che lo percosse col bastone. Il Carmine Dodaro intanto, venuto fuori dal nascondiglio, si precipitò in aiuto del fratello inveendo contro Guzzo con pugni e calci. Nel frattempo sentii che il Guzzo gridava: “Rispettate che sono una camicia nera!” ed a ciò il Carmine Dodaro rispose: “Me ne frego della camicia nera e di te, miserabile!”. Il Guzzo intanto si svincolò dalla stretta e se la diede a gambe. Il Fico, che trovavasi al momento dell’incidente vicino ai Dodaro, non intervenne alla lite. Dopo circa un’ora il Fico ripassò dal luogo portando il cavallo all’abbeverata.
La cosa è di una gravità inaudita soprattutto perché il padre dei due fratelli Dodaro, Santo, ha militato sempre nel partito popolare e continua a serbare idee contrarie all’attuale Regime, idee che indubbiamente hanno influito sull’animo dei figli, così della questione viene investito addirittura il temutissimo Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato [Istituito con la legge25 novembre 1926 n. 2008, fu sciolto il 29 luglio 1943 nella prima riunione del governo Badoglio col R.D. n. 668. Giudicò su 5619 imputati comminando 42 condanne a morte (di cui 31 eseguite, 26 delle quali nei confronti di partigiani sloveni e croati) e 27.735 anni di carcere, 988 assoluzioni e solo 16 archiviazioni. Nda].
Così il Procuratore Generale del T.S.D.S., Massimo Francesco Dessy [Nel suo primo processo come Pubblico Ministero del T.S.D.S, Massimo Francesco Dessy chiese e ottenne la condanna a morte per l’imputato. Nda], il 25 agosto scrive da Roma per sapere se le lesioni riportate da Guzzo siano guarite entro i dieci giorni e non concorra alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall’Art. 583 C.P. [relativo alla circostanze aggravanti del reato di lesioni personali. NdA] e se il Guzzo abbia sporto regolare querela. Il dottor Antonio Tosti, che visitò Guzzo all’Ospedale, lo rassicura (o forse lo delude) certificando che, data la natura della lesione, io esprimo parere che detta lesione guarì in giorni sei, senza lasciare reliquati e che non vi fu pericolo di vita. Guzzo, da parte sua dichiara: Non intendo presentare querela per la lesione.
Alla luce di questi atti e visto che non ci sono gli estremi per procedere con il reato di sua competenza, il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato rimette gli atti alla Procura del re di Cosenza. È il 14 settembre 1937 e ancora dei fratelli Dodaro non c’è nessuna notizia.
Li rintracciano il 24 settembre e li interrogano subito per rispondere dell’accusa di vilipendio alle Istituzioni Costituzionali, previsto dall’articolo 290 del Codice Penale. I due fratelli sembrano cadere dalle nuvole:
– Il 15 luglio 1937, verso le ore 7,30, io mi trovavo dirimpetto alla chiesa di S. Giovanni di Porta Piana. – esordisce Giovanni Dodaro –. Vidi Guzzo Eugenio e siccome il giorno prima avevo litigato con lui, questi mi chiamò domandandomi se io avevo mangiato abbastanza segatura. Io dissi a Guzzo che ormai ogni questione era terminata. Allora il Guzzo mi prese a schiaffi; io non dissi niente. Subito dopo ci prendemmo e cademmo a terra; in quella circostanza il Guzzo mi percosse. Così, passando mio fratello Carmine e vedendomi alle prese con Guzzo venne a dividerci. Io non dissi parole oltraggiose nei confronti di Guzzo e non dissi parole di vilipendio, Guzzo vuol farmi punire! – poi fa un’affermazione che lascia di stucco il Magistrato che lo interroga – Io sono giovane fascista e quindi non è possibile che io abbia offeso le camicie nere!
– Come è possibile che io, giovane fascista, offenda la camicia nera? – attacca Carmine Dodaro in tono risentito, poi continua – non ho nemmeno offeso il Guzzo Eugenio. Il 15 luglio 1937 io vidi mio fratello quistionare con Guzzo e intervenni per separarli.
Ma ormai gli ingranaggi della macchina giudiziaria si sono messi in moto e nessuno li vuole fermare, così per i fratelli Dodaro, il 12 novembre 1937, si apre il processo davanti al Tribunale Penale di Cosenza.
Intanto l’avvocato Benedetto Carratelli, che rappresenta la difesa, ha rintracciato un altro testimone, il barbiere Giovanni Borrelli, che esclude la presenza di Orsola Dodaro sul posto e può escludere che gl’imputati, o uno soltanto di essi, abbiano pronunziato parole di vilipendio della Milizia. Il Pubblico Ministero, vista la gravità dei fatti, chiede l’invio degli atti al suo ufficio perché si richieda l’autorizzazione al Superiore Ministero, voluta dall’art. 313 C.P. [che disciplina i reati per i quali non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministro della Giustizia. NdA].
La difesa nulla eccepisce e il Tribunale dispone in conformità.
Il Superiore Ministero di Grazia e Giustizia, nella persona del Ministro Arrigo Solmi non ci mette molto a capire che è tutta una bufala e che si rischia davvero il ridicolo a processare due giovani fascisti che avrebbero inneggiato ai rossi e, lapidariamente, risponde:
Ai sensi dell’art. 313 C.P. non concedo l’autorizzazione a procedere contro Dodaro Giovanni e Dodaro Carmine imputati del reato di vilipendio delle Istituzioni, previsto dall’art. 290 codice suddetto.
Restituisco gli atti processuali.
IL MINISTRO
Una figuraccia di quelle che dovresti nasconderti per la vergogna!
A questo punto il Tribunale non può far altro che deliberare:
Poiché, nel caso, trattasi di reato per il quale non si può procedere senza l’autorizzazione del Ministero della Giustizia (art. 313 cpv 2 cod.pen.) e tale autorizzazione non è stata concessa, l’azione penale non può essere proseguita.
È il 4 dicembre 1937, anno XVI[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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