LA NATURALE PUDICIZIA DELLE DONNE

Sono le otto di mattina del 23 gennaio 1921 quando il Brigadiere a piedi Domenico Russo, comandante della stazione dei Carabinieri di Praia d’Aieta, e il Carabiniere Francesco De Ruggiero stendono il rapporto sui fatti accaduti il giorno prima:
Verso le ore 8 di ieri 22 corrente, presentavasi in quest’ufficio certa La Gatta Maddalena di anni 38, contadina d’Aieta, denunciandoci che verso le ore 17 circa del 21 andante, mentre rincasava dal suo fondo, denominato Piano delle Vigne di questo territorio, con un sacco pieno d’erba sulla testa, che portava per la capra, giunta in contrada Artesina, o meglio Ferraro, veniva presa d’assalto dai giovinastri Sangiovanni Giuseppe di anni 18 e Macrì Raffaele di anni 17, entrambi contadini d’Aieta, i quali quella sera stessa, alle 16:30 avevano, dal fondo Piano delle Vigne di proprietà di Versace Agostino di anni 53, possidente da Praia, smontati dal lavoro e quindi, senza pronunciare verbo la presero dalle spalle, la buttarono per terra alzandogli la veste; mentre il Sangiovanni la teneva dalle braccia, il Macrì, sbottonatosi i pantaloni, cercava compiere il suo atto brutale, cosa che non gli riuscì per il movimento e strepito che faceva di sotto La Gatta Maddalena, potendo così consumarsi esternamente, come ugualmente riaggì il Sangiovanni, dopo soddisfatto il Macrì.
Non ostante ciò continuarono di raggiungere il loro intento ma dato l’insistenza della Maddalena e dalle grida pronunciate si diedero alla fuga, anche perché vistisi scoperti dai passanti e cioè i sottoelencati individui:
1° La Cava Giuseppe di anni 48
2° Maiorano Raffaele di anni 17
3° La Cava Antonio di anni 14
I quali, opportunamente interrogati da noi verbalizzanti, confermarono di averli visti raccogliere le loro mantelline che avevano lasciato per terra e scappare.
Noi predetti militari, vestiti in divisa, ci siamo messi subito alle ricerche del Sangiovanni e Macrì e rintracciatili verso le ore 10 del 22 corrente, li abbiamo dichiarati in arresto traducendoli nella nostra caserma, i quali portarono pure secoloro le rispettive mantelline che la sera precedente erano in possesso.
I medesimi, da interrogazione fattagli, si mantennero sulla negativa.
La Gatta Maddalena in seguito alla colluttazione con i due violentatori riportò delle lividure sulla regione dorsale e dolorabilità al braccio destro, giudicate guaribili in tre giorni, come rilevasi dall’unito referto medico.
I due imputati vengono interrogati dal Pretore di Scalea, competente per territorio e si dichiarano innocenti se non, addirittura, calunniati dalla donna.
Sono innocente della imputazione che V.S. mi contesta: quanto afferma la Maddalena Lagatta sul mio riguardo è tutto falso. Il giorno 21 volgente non incontrai la La Gatta e tantomeno ho veduto i La Cava e il Maiorano di cui V.S. mi parla. Ripeto che la La Gatta mi calunnia se ora afferma che io le abbia fatto del male – dice Giuseppe Sangiovanni.
Vado innocente della imputazione che V.S. mi contesta perché la sera del 21 corrente io non vidi affatto la La Gatta Maria Maddalena. Quanto asserisce sul mio conto è falso di pianta, si sarà certamente sbagliata – si difende Raffaele Macrì.
Ai due viene assegnato un difensore d’ufficio, l’avvocato Ottorino Giugni, il quale sulla base delle dichiarazioni dei suoi assistiti presenta subito una istanza al Pretore per ottenerne la concessione della libertà provvisoria, aggiungendo che la La Gatta facilmente mentisce ed esagera e che è donna di facili costumi.
Maddalena non ci sta a passare come bugiarda e per di più puttana, così va a parlare direttamente col Pretore. Il suo racconto dei fatti assume nuove connotazioni drammatiche. È il 26 gennaio.
Innanzi tutto debbo dire che, pel sentimento di pudicizia naturale in noi donne, ho avuto remore di riferire in primo tempo ai Carabinieri e al medico, al quale ho fatto osservare le sole lesioni sulle spalle e sulle braccia, tutto lo scempio fatto sulla mia persona nella brutale aggressione subita. Ora che considero l’entità della sciagura mia, mettendo da parte ogni reticenza, racconto il fatto in tutti i suoi particolari e dettagli. Verso le ore 17 del 21 volgente, quando dalla campagna rincasavo sola, giunta dove il viottolo è un po’ avvallato, due giovanotti che subito riconobbi, Sangiovanni Giuseppe e Macrì Raffaele, mi afferrarono senza proferir verbo, mi buttarono per terra facendomi subito comprendere la loro brutale intenzione. Io cercai di liberarmi, di difendermi, di gridare al soccorso e opposi la più viva resistenza ma fui sopraffatta e dovetti a viva forza subire lo scempio sulla mia persona e sul mio onore di donna onesta e di illibata onorabilità di vergine. Fui prima collocata per terra bocconi: il Sangiovanni mi teneva salda per le braccia e l’altro, il Macrì, divaricatemi le gambe ed alzatemi le vesti, dopo abbassati i pantaloni si adagiò sul mio corpo tentando di farmi penetrare l’asta virile nell’ano. Io mi dibattevo disperatamente e quando il Macrì diceva al compagno che gli era impossibile di riuscire nell’intento, l’altro gli consigliava: “Metti saliva e vedrai come entra! Del resto il tuo membro è più piccolo e non costerà fatica a farlo entrare, io ne sono stufo dell’ano e mi servirò d’avanti”. il Macrì seguì il consiglio e riuscì nell’intento intromettendomi tutta l’asta virile nell’ano! Sfogatosi così il Macrì mi voltarono e, mentre questi passò a tenermi per le braccia e pel busto, minacciando anche di legarmi con la correggia dei pantaloni, l’altro mi si buttò sopra e dopo una fiera, disperata lotta, quando nulla assolutamente potevo più opporre, mi sedusse! Durante lo svolgimento del fatto non vi era anima viva, ma quando ancora i miei aggressori erano sul posto, sopraggiunsero La Cava Raffaele e il figlio Antonio e Maiorano Raffaele i quali videro e riconobbero il Macrì e il Sangiovanni che si dettero, alla loro vista, a precipitosa fuga. Raccontai ai sopravvenuti, che mi trovarono con le vesti in disordine e strappate e tutta malconcia, ancora per terra piangente, non tutta la verità della sciagura subita ma accennai soltanto, perché arrossivo, ad un semplice tentativo di violenza, riuscito però infruttuoso, così come raccontai ancora alla Guardia Municipale in Aieta, ai Carabinieri e al medico. Per accertare poi quanto Sangiovanni e Macrì, contro i quali mi querelo, hanno commesso sulla mia persona, chiedo che si eseguiscano su di me tutte quelle indagini e investigazioni che la giustizia crederà.
– Va bene – acconsente il Pretore – se vuoi puoi fare assistere alla visita medica una persona di tua fiducia…
Io sono una povera orfana e non ho nessuno che si interessi di me e perciò non intendo di scegliere alcuno che assista alle operazioni che la giustizia andrà a compiere sulla mia persona… io sono nubile ed ero vergine e mai contatti impuri avevo avuti la mia persona, la di cui illibatezza era notoria in paese
Il Pretore manda a chiamare d’urgenza un medico e dopo un paio di ore Maddalena viene visitata dal dottor Gaetano Oliva il quale rileva subito su tutta la superficie del suo corpo le tracce evidenti e caratteristiche di una lotta sostenuta: sui due arti superiori, nel dorso, nella regione mammaria, nella regione ipogastrica, sull’addome, sulle regioni glutee e in tutti e due gli arti inferiori; sulle coscie, inoltre, parte interna ed esterna, le tipiche graffiature della violenza carnale.
Poi il dottor Oliva passa ad esaminare gli organi genitali di Maddalena e osserva l’ostio vaginale annerito, la qual cosa fa desumere che un corpo contundente abbia agito con violenza e a molte riprese su tale organo; le grandi labbra, nella parte interna, qua e là, presentano piccole soluzioni di continuità ed egual cosa si nota anche sulle piccole labbra. Divaricate le piccole labbra, si notano chiazze necrosate che fan pensare a lesioni di una certa entità che han cagionata la mortificazione dei tessuti. L’imene è totalmente scomparso per i maltrattamenti ivi avvenuti.
La violenza, brutale, c’è stata. Il dottor Oliva, a questo punto passa all’esame dell’orifizio anale e riscontra che l’orifizio esterno è circondato, quasi in forma simmetrica, da un alone bluastro. Su tale regione, evidentemente, ha dovuto agire ripetutamente e con certa forza un corpo contundente tale da produrre quel cambiamento di colorito; si presenta ineguale e qua e là si notano piccole soluzioni di continuità. Divaricato l’orifizio esterno – la qual cosa si ottiene con molta difficoltà, stante la dolorabilità della parte – le soluzioni di continuità si notano più accentuate e il lume di tale orifizio si mostra ancora più trasformato anatomicamente.
Il dottor Oliva non ha nessun dubbio:
– Sono in grado di giudicare che la paziente ha subito violenza carnale tanto negli organi genitali, quanto nella regione anale e, data la molteplicità delle lesioni riscontrate su tutta la superficie del corpo e quelle caratteristiche sulle coscie, giudico altresì che la paziente nel subire la doppia violenza carnale ha dovuto sostenere una lotta impari alle proprie forze e sono state tutte riportate in unica circostanza di tempo che, per lo stato attuale ancora uniforme, giudico recente e non oltre quattro o cinque giorni dietro.
Maddalena ha detto la verità: non è né bugiarda e né puttana come avrebbero voluto farla passare per salvare i suoi aguzzini.
Sentimmo una voce di donna gridare disperatamente, allungammo il passo e, percorsa una breve distanza, giunti che fummo quasi al ciglio ove il viottolo campestre si avvalla, vedemmo per terra una donna tutta scomposta che piangeva. Il ragazzo Maiorano la conobbe subito e disse: “è La Gatta Maria Maddalena!”. Ci avvicinammo e constatammo che era sconvolta in viso, aveva le vesti in disordine e strappate ed era tutta malconcia – racconta Giuseppe La Cava.
– Avete visto se vicino alla donna c’era qualcuno?
Quando noi la vedemmo in primo tempo, notammo che quasi vicino a lei ed altro ad una certa distanza. Il primo sembrava come se cercasse per terra un oggetto, l’altro, che camminava, come si avvide della nostra presenza, e certamente per dare avviso al compagno, dette un fischio al che l’altro immediatamente si dette alla fuga ed entrambi si allontanarono. La La Gatta ce li additò e ci disse essere Sangiovanni Giuseppe e Macrì Raffaele e con tale indicazione mi fu agevolissimo, seguendoli con lo sguardo, di riconoscere benissimo per la fisionomia, pel vestire e per le mantelle che portavano, specie perché poco tempo prima, mentre ancora io attendevo alla custodia dei miei animali, li avevo visti passare camminando a poca distanza l’uno dall’altro e poco dopo di aver visto passare, percorrendo la stessa via, la La Gatta.
– Vi ha raccontato cosa le era successo?
La povera donna, ancora in preda dello stordimento e della desolazione, un po’ a nostra richiesta e un po’ spontaneamente, ci raccontò che l’avevano presa a viva forza e prima uno e poi l’altro avevano tentato, ma inutilmente però a causa della sua disperata resistenza, di congiungersi carnalmente con leiho notato anche nel terreno le tracce evidentissime della lotta che in quel posto è stata sostenuta.
– Che tipo è Maddalena La Gatta?
Posso con tutta coscienza attestare che è da tutti ritenuta come un’onesta e proba ragazza e mai ha dato luogo a parlare circa la condotta e moralità. Non ha genitori, vive sola e conduce una vita illibatissima.
Le cose si mettono molto male per i due ragazzi e il 13 maggio successivo vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per aver in luogo pubblico ed esposto al pubblico, con violenza e col simultaneo concorso di entrambi, costretto con violenza La Gatta Maria Maddalena di anni 38 a congiunzione carnale dalla quale derivarono anche lesioni personali.
Il 12 gennaio 1923, dopo due anni dal fatto, Giuseppe Sangiovanni, ritenuto l’organizzatore della violenza, viene condannato a 2 anni e 1 mese di reclusione, mentre Raffaele Macrì se la cava con 1 anno e 3 mesi. A tutti e due vengono condonati 3 mesi.[1]
È una vittoria amara per Maddalena.

 

[1] ASCS, Processi Penali.

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