UN ODIO IMPLACABILE

Nel 1924 Pietro Guido di Acri ha 55 anni e sua sorella Carmela ne ha 57. Non sono mai andati d’accordo, nemmeno quando erano bambini, e le cose sono peggiorate nel corso degli anni, dopo che Pietro e il marito di Carmela, Pietrangelo Curto, nel 1903 si sono accoltellati a vicenda e hanno anche passato un po’ di tempo al fresco. Alcune volte fratello e sorella sono finiti in Pretura denunciandosi a vicenda per vere e proprie sciocchezze; altre volte Carmela, per intervento di parenti e amici ha evitato di mandare in galera il fratello dopo essere stata malmenata e altre volte, invece, in galera ce lo ha mandato dopo essere stata percossa senza pietà o come quando le furono aizzati contro dei cani e la poveretta lasciò fra i denti di essi brandelli di vesti e lembi di carne. Pietro non lascia nulla di intentato pur di creare fastidi alla sorella e non perde mai l’occasione per danneggiarle alberi e piante o, per esempio,  ammazzare il cane del cognato.
Insomma il Guido era implacabile verso la famiglia dei suoi congiunti e nella sua mente perversa si andava formando un progetto criminoso di maggiore rilevanza.
Pietro Guido ha, tra gli altri, un figlio, il venticinquenne Giuseppe, che ha fatto crescere nell’odio verso sua zia.
– Giusè – lo chiama mentre stanno zappando – mi sono seccato di questo tira e molla, dobbiamo finirla una volta per tutte. Il momento giusto è adesso. Il cornuto del marito è in Sila con il figlio per mietere il grano e guardare gli animali, in più mi sono accorto che l’altro giorno è andato a trovarlo l’appaltatore del grano e sicuramente gli ha dato un anticipo… e con quello che nasconde in casa, deve essere una grossa somma…
– Insomma facciamo un viaggio e due servizi… andiamo stanotte? – Giuseppe non ha nessuna esitazione ad avallare la sciagurata proposta del padre.
– Aspetta… prima dobbiamo organizzarci per bene sulle cose da fare dopo che l’abbiamo accoppata, perché tutti sanno della situazione e i Carabinieri ci vengono a prendere dopo dieci minuti!
– Che dici di fare, allora?
– Prima ce ne andiamo in montagna e poi andiamo Allamerica
Allamerica? E come ci andiamo se non abbiamo il passaporto? E se non troviamo i soldi che dici? E…
– E… e… e… e basta! So io come, tu fai come ti dico io!
– Va bene, allora quando?
– Domani notte… prima dobbiamo istruire tua madre sulle cose da fare…
Carmela Guido, da quando il marito e il figlio sono andati a lavorare in Sila si è trasferita in una casetta rurale a non più di 500 metri dalla pagliara di suo fratello, in contrada Conca della Noce, sulle balze montuose del territorio di Acri, in compagnia della sola nipotina di anni 2, Curto Carmela.
È da poco suonata l’Avemaria e si sta facendo scuro, la sera del 5 agosto 1922. Pietro Guido e suo figlio Giuseppe sono sulla porta di casa. Alla cintura hanno appeso due coltellacci, nelle mani tengono strette due scuri.
– Allora intesi: noi andiamo e facciamo la cosa, poi torniamo a casa, ci cambiamo, prendiamo i fucili e andiamo in montagna. Tu lavi per bene le armi e bruci i vestiti – ordina Pietro alla moglie.
– Non perdiamo tempo, andiamo a chiudere questa storia – lo incalza Giuseppe, eccitato. Poi si avvia con passo deciso, seguito dal padre.
Carmela Guido e la sua nipotina sono davanti al fuoco acceso per cucinare la minestra quando la porta della casetta si spalanca con un rumore che sembra un’esplosione. La donna si gira di scatto e vede quelli che sembrano due diavoli illuminati dalle tremolanti vampe del fuoco. Decide in un attimo: c’è, accanto al camino, una porticina che immette in un piccolo locale dove sono conservati degli attrezzi agricoli e della legna e c’è una porta che si apre all’esterno. L’unica via di fuga che può tentare. La disperazione le dà la forza di afferrare la bambina e, in un attimo, di catapultarsi nel deposito, ma la porta è chiusa e i pochi secondi che ha a disposizione non bastano a togliere i due maschietti che la serrano.
La piccola piange mentre Carmela cerca di proteggerla. Suo nipote Giuseppe le è sopra e i primi colpi di scure si abbattono sulla testa della donna fracassandogliela e spargendo tutto intorno schizzi di materia grigia che colano anche lungo il viso dell’aggressore, sempre più eccitato dall’odore del sangue e dagli strilli della bambina
– Papà… c’è pure la puttana piccola! – dice fingendosi sorpreso, poi scoppia in una risata sguaiata. Quindi, quasi come se schiacciasse un verme, colpisce alla testa la piccola che smette di strillare.
– Sono morte? – gli chiede suo padre.
– Perfettamente stecchite – gli risponde con noncuranza.
– Bene, portiamole fuori – ordina Pietro.
Le buttano in un fosso nell’orto e poi rientrano in casa per cercare i soldi. La cassa di legno. Si, è l’unico posto in quella casetta dove può essere nascosta qualcosa. È chiusa, ma non importa, mica se la devono portare dietro. Un paio di colpi di scure e la cassa è aperta. C’è della biancheria che vola tutto intorno. Poi in fondo c’è un involto di fogli di carta oleata legato con uno spago.
Diecimila lire! Una cifra consistente! I due assassini si abbracciano soddisfatti per l’impresa compiuta, ma prima di andarsene hanno un’altra cosa da fare: prendono la legna che sta ancora ardendo nel camino e la distribuiscono nella stanza, avvicinando tutto ciò che è fatto di materiale infiammabile. Le sedie, il tavolo, il materasso di foglie di granturco e la biancheria cominciano a prendere fuoco in pochi istanti, intrisi dal petrolio della lampada.
Ora possono andare via, girandosi a guardare le fiamme che a poco a poco cominciano ad avvolgere la costruzione, lasciando in breve solo macerie fumanti.
Il mattino del 6, il giovane Giuseppe Curto fu mandato dal padre in contrada Conca della Noce per rilevare dei generi alimentari e come giunse in vista dell’abitazione rimase sorpreso nel vederla distrutta dalle fiamme e poi addirittura terrorizzato quando si trovò in presenza dei corpi, quasi esanimi, della madre e della cugina. In preda allo spavento rifece la strada della montagna per recare la triste notizia al padre che si avviò subito sul luogo della sciagura, dopo avere imposto al figlio di portare denunzia del fatto ai Carabinieri.
Pietrangelo non può che constatare la morte di sua moglie, ma la bambina respira ancora, è viva nonostante la gravissima ferita che le ha spappolato la fronte e gli occhi.
L’uomo non ha dubbi su chi possa essere stato l’autore, ma cerca di averne la conferma dalla nipotina.
– È stato zio Pietro? – Carmelina gli fa cenno di si, poi con la manina fa un gesto come ad indicare la direzione in cui si trova la casa di Pietro Curto e ha la forza di ripetere gli stessi gesti davanti ai Carabinieri che arrivano subito dopo.
I militari oltre che di Pietro Guido sospettano nei primi momenti anche di Giuseppe e dell’altro figlio Luigi, ma quando vanno a casa e non trovano i primi due mentre Luigi sta lavorando tranquillamente nell’orto, capiscono senza bisogno di fare domande che lui non c’entra e quando le donne di casa dicono di non sapere dove padre e figlio siano andati, i sospetti diventano certezze e si mettono a battere il vicino bosco per cercarli. Lì non ci sono, ma i Carabinieri trovano il figlio più piccolo di Pietro Guido, Umile, il quale interrogato dal Maresciallo rispose con la sincerità dell’età sua che la sera precedente il padre ed il fratello Giuseppe si erano recati all’abitazione del Curto verso il tramonto del sole e, mentre il Giuseppe non era più comparso, il padre si era ritirato ed aveva raccontato alla moglie che esso Giuseppe aveva ucciso a colpi di scure la vecchia Carmela e la bambina. Parlò pure delle £ 10.000 rubate dalla cassa dove erano conservate.
La piccola Carmela non ce la fa e due giorni dopo muore, proprio mentre i Carabinieri localizzano i due assassini e stanno per arrestarli, ma Pietro Guido non esita a sparare contro i militari che sono costretti a desistere e i due fanno perdere le proprie tracce. Non li troveranno più e saranno giudicati in contumacia.
 Duplice omicidio premeditato per impulso di malvagia brutalità; furto di £ 10.000 in danno di Curto Pietrantonio è l’accusa nei confronti di Giuseppe Guido; correità in detti reati, minaccia a mano armata a pubblici ufficiali è quella mossa a Pietro Guido.
Considerate le risultanze del dibattimento, non si ha dubbio che il Guido Giuseppe ed il padre Pietro debbano rispondere del duplice omicidio commesso in correità tra di loro, giacché se anche il Pietro non concorse materialmente alla consumazione del reato, il che non sembra molto verosimile, avendo agito contemporaneamente su due persone, non si può escludere la correità una volta che il Pietro fu l’organizzatore del misfatto e colui che determinò il figlio a commetterlo. Neppure si può escludere la qualifica essendo stato consumato un furto come risulta dalla dichiarazione del bambino Guido Umile e dalla dichiarazione della parte lesa Curto Pietrangelo e l’altra qualifica della premeditazione unita al fatto che fu precedentemente preparato ed eseguito nel momento opportuno, quando le due donne si trovavano da sole. Non può dirsi lo stesso a riguardo della brutale malvagità giacché, per quanto gli omicidi vennero così ferocemente eseguiti, da fare impallidire quelli più efferati che figurano negli annali della delinquenza, avevano per causale i precedenti rancori e soprattutto lo scopo d’impossessarsi delle £ 10.000.
Se fossero in cella, i due se la vedrebbero malissimo: pena prevista per l’omicidio qualificato è l’ergastolo, per il furto si può stabilire ad anni quattro e per l’incendio ad anni sei. Al solo Pietro Guido la violenza ai Carabinieri costerebbe un anno e un mese, oltre al sestuplo della tassa di licenza per il porto del fucile. Ma le pene, se comminate, resterebbero assorbite nell’ergastolo
La Corte dichiara gli imputati colpevoli di omicidio volontario premeditato commesso per preparare, facilitare e consumare altro reato, così modificata l’imputazione della rubrica, non che di tutti gli altri reati loro rispettivamente ascritti e condanna Guido Giuseppe di Pietro, d’anni 25 e Guido Pietro fu Giuseppe, d’anni 55, da Acri alla pena dell’ergastolo con l’aumento di tre anni di segregazione cellulare continua ed al sestuplo della tassa sulle concessioni governative nei riguardi del solo Guido Pietro, nonché entrambi all’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed all’interdizione legale durante la pena, alla perdita della patria potestà, dell’autorità maritale e della capacità di testare, rimanendo nullo qualsiasi testamento fatto prima della condanna.
Si condanna inoltre in solido alle spese del procedimento ed alla tassa di sentenza, facendo salvo alla parte civile il diritto ai danni da esperimentarsi davanti alla competente autorità. [1] 
Immaginiamo le risate sguaiate dei due ignobili e brutali assassini quando, con documenti falsi, si imbarcano diretti Allamerica…

 

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).

 

[1] ASCS, Tribunale di Cosenza, Sentenze penali.

 

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