L’ASTA VIRILE

– Annì, stai qui e guarda il maiale poi più tardi raccogli un po’ di erba e gliela dai, io vado a piantare i fagioli… hai capito?
Annina Provenzano, quasi dodici anni, annuisce alle istruzioni di sua madre Maria Porco, trentacinquenne contadina di Belmonte Calabro. Maria è da sola perché il marito è emigrato da qualche anno in Africa e cresce da sola la sua creatura che ha dei seri problemi di salute, essendo affetta da rachitismo e deficit mentale.
Il 26 maggio 1897 è una bella giornata di sole caldo. I profumi della campagna cominciano a farsi intensi, il grano e il granone verdeggiano picchiettati di fiori dai mille colori e gli uccelli volano instancabili a portare cibo alle proprie nidiate.
Maria lascia Annina nei pressi della loro casa colonica e si allontana di poche centinaia di metri verso un orticello nel quale pianterà i fagioli. La bambina si siede al sole e guarda con aria distratta il maiale che grufola tranquillo nello spiazzo davanti casa.
– Vuoi l’erba? – dice rivolgendosi innocentemente all’animale che, così le sembra, la guarda e annuisce. Annina si alza e con la sua andatura buffa si mette alla ricerca dell’erba di migliore qualità che cresce un centinaio di metri distante dalla costruzione.
Francesco Provenzano ha sedici anni e la mattina del 26 maggio 1897 sta zappando un pezzo di terra nelle campagne di Belmonte. Da lontano vede la sua cuginetta Annina che, caracollando, raccoglie qualche filo di erba qua e là. Prende il fazzoletto sudicio dalla tasca e si asciuga il sudore, poi guarda intorno per vedere se c’è gente nelle vicinanze. Nessuno.
– Annì… Annina! – la chiama gridando a squarciagola mentre le fa segno di avvicinarsi, ma Annina gli fa segno di no con la mano.
Lascia la zappa e si incammina verso la bambina e quando la raggiunge le si para davanti.
– Ciao Annì, mi ce lo fai mettere? – le dice tirando fuori dai pantaloni la sua asta virile.
No no! – gli risponde girandosi dall’altra parte.
Francesco non si scoraggia e con un salto afferra la bambina e la stringe, poi la butta a terra mettendosi sopra a lei, che inizia a strillare chiedendo aiuto. Ma quel corpicino non può niente contro la forza del ragazzo.
Tu gridi? E adesso ti faccio vedere io! – le dice tappandole la bocca con la mano sinistra, mentre con la destra le alza la gonna, il pannolino e la camicia. Poi le allarga le gambe, quelle gambette senza forza corte e storte, e l’asta virile compie lo scempio. Annina sgrana gli occhi per il dolore, ma l’urlo che pensa di emettere le rimane strozzato in gola, poi sente qualcosa di caldo scorrerle in mezzo alle gambe.
Non riesce a capire quanto tempo durino quei colpi violenti che Francesco le dà nell’interno del suo corpo, capisce che tutto è finito quando il ragazzo le si abbandona sopra col respiro affannato per qualche secondo e poi le scivola di lato.
Annina si mette seduta, piena di dolore e di dolori. Vede i suoi abitini sporchi del sangue che ancora sgorga dalla sua pudenda e Francesco che si ripulisce col suo fazzoletto sudicio.
– Vieni a lavarti alla fontanina – le dice sollevandola di peso.
Annina ubbidisce in silenzio.
L’acqua fresca sembra attutire i mali mentre ascolta con attenzione quello che suo cugino le sta dicendo:
– Stai attenta a non dire niente né a tua madre e né a mia madre di quello che è successo altrimenti ti ammazzo, hai capito bene?
Annina fa cenno di si col capo, poi ritorna nella casetta colonica per aspettare sua madre.
Maria Porco non ha bisogno che sua figlia le dica niente. I vestiti sporchi e il sangue che ancora cola lungo quelle gambette corte e storte parlano da soli.
– Chi è stato? Che ti hanno fatto?
– Niente… nessuno mi ha fatto niente…
– Annì, dici tutto a mamma tua che ti vuole bene e ti aiuta… – le dice con tono carezzevole mentre se la stringe al petto.
– Francesco Provenzano… io stavo raccogliendo l’erba e lui… lui… – comincia a raccontare, scoppiando in un pianto liberatorio, mentre la madre comincia a battersi il viso e il corpo. Poi l’abbraccia e la stende su di un pagliericcio, ponendole sotto il corpicino delle pezze che ben presto si inzuppano di sangue. Ci vorranno alcune ore prima che l’emorragia termini e solo adesso Maria si carica la figlia in braccio e torna in paese per andare a casa dei suoi genitori e chiedere consiglio sul da farsi.
Maria cede e comincia a urlare tutta la sua disperazione per la disgrazia occorsa alla sua bambina, così accorrono tutti i vicini, tra i quali la madre ed il patrigno di Francesco, che ascoltano in silenzio il racconto con un velo di vergogna sul viso, poi prende in braccio la piccola e va dai Carabinieri a denunciare l’accaduto del quale viene subito informato il Pretore di Amantea e nel giro di qualche ora viene disposta la necessaria perizia medica e spiccato il mandato di cattura nei confronti di Francesco Provenzano.
Visitata la ragazza nei suoi organi sessuali ho trovato tutto il vestibolo della vulva escoriato e quasi sanguinante, le mucose anch’esse contuse, l’imene poi leso in gran parte, sicché da questi fatti giudico che violente azione traumatica ha dovuto esercitarsi di recente e non più di ore 36 dietro sulle dette parti. Probabilmente sì violenta azione è stata prodotta da membro virile di mediocre entità, essendo la paziente di facoltà mentali poco sviluppate da sembrare una semi cretina e quindi incapace a sentire stimoli tali da doverli sodisfare con l’azione di un corpo estraneo negli organi medesimi. Non deve recare meraviglia, poi, se violenze subite dalla paziente non si riscontrassero perché la ragazza, trovandosi nello stato d’ebetismo, nessuna resistenza fu al caso di opporre al suo aggressore, soffrendo la pressione come corpo morto. Non posso poi esaminare, mancandomi i mezzi opportuni d’indagine, il sangue che si vede, o lo sperma sei vi fosse, nei panni dei quali si trovava fornita la ragazza all’epoca della violenta copula. Non posso dire con certezza se si tratta di vero stupro prodotto da membro virile.
Delle due l’una: o la violenza è stata così terribile da lasciar pensare al dottor Benedetto Saggio che sia stata consumata con qualcos’altro che non sia un’asta virile, o il medico non ha mai visitato una paziente che ha perso la verginità da massimo 36 ore e non ha, quindi, cognizione di causa.
In questo frattempo ogni ricerca dello stupratore è vana. I Carabinieri di Amantea lo trovano vicino casa il 12 luglio successivo, lo arrestano, lo portano in caserma dove il Pretore lo interroga:
Quando i Carabinieri vennero a casa mia, pensai che il mio fermo si era per la ragione che fin dal mese di maggio, per come seppi, la mia zia Maria Porco mi aveva infamato d’aver deflorato la figlia sua Anna Provenzano. Ciò posto, alle vostre domande devo rispondere che io sono perfettamente innocente della datami imputazione e che questa non fu altro se non l’effetto d’una calunnia e non so per quale ragione o causa – esordisce.
– Ma tu la mattina del 26 maggio scorso eri o non eri a zappare l’orto di tuo padre? – lo incalza il Pretore.
Egli è vero che io fui dalla mane di quel giorno in cui poi nella sera seppi della imputazione a zappare nel mio orto ch’è al pubblico esposto ed in vedetta di tutto il granone, ma poi venuto il vespro mi allontanai in busca di pane perché mi sentivo affamato e mia madre, con la quale ebbi delle quistioni m’obbligò a lavorare senza mangiare. Ricordo che mi portai verso Lago per procurarmi pane da qualcuno, anche per elemosina. E da quella sera in poi non feci più rientro in casa, massime che seppi dell’imputazione datami e partii per la volta del Vallo di Cosenza e propriamente in Roggiano.
– Sicuro? Ci sono due testimoni che dicono di aver parlato con te nelle campagne di Belmonte qualche giorno dopo il fatto.
Egli è vero. Carmine Bossio ed Antonio Provenzano mi videro e mi domandarono circa lo stupro della Provenzano ed io risposi che ero innocente e che le parti mi avevano voluto infamare.
– In verità Antonio Provenzano sostiene che tu gli hai detto, una volta rimasti da soli, che fosti tu a perpetrare il fatto, spinto da tua cugina Anna…
E come ciò potevo dire una volta ch’essa mia cugina è una “ciota” ed è pure una storpia, ciunca e rachitica? Anna Provenzano e sua madre Maria Porco se li hanno inventati e segnati, infatti non dissi nulla all’Anna, né la minacciai di ucciderla se avesse palesato il fatto alla madre sua o alla mia genitrice. Non le imposi neppure di andarsi a lavare onde far svanire il sangue che le usciva dalle pudende, neppure le chiusi la bocca con una mano e nettampoco l’aiutai io stesso a lavare nella prossima fontana – dice queste ultime parole con rabbia, sentendosi forse infastidito, annota il cancelliere.
Alla luce dell’interrogatorio, il Pubblico Ministero chiede di procedere con le analisi dei vestiti di Annina e all’accertamento delle facoltà mentali della bambina, ma quest’ultima non viene autorizzata in attesa dei risultati della perizia biologica.
Le analisi chimiche non lasciano dubbi al dottor Beniamino Mele di Cosenza, contrariamente a quanto affermato dal dottor Benedetto Saggio: 1. Molte delle macchie esaminate sono di sangue. 2. Parecchie altre macchie sono di sperma, perché ho riscontrato in esse tutti gli elementi dello sperma, specialmente gli spermatozoidi.
Per Francesco Provenzano viene chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Cosenza per Violenza carnale in persona minore degli anni 12 Anna Provenzano in luogo esposto al pubblico.
Il 31 ottobre 1897 l’imputato viene condannato a 4 anni, 6 mesi e 10 giorni di reclusione e pene accessorie.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

Lascia il primo commento

Lascia un commento