CINQUE COLPI PER UCCIDERE

Quando Tigres Pietrosanto e Cisberto Forte si presero di amore e si sposarono a Rota Greca nel giugno del 1926, lei aveva 18 anni e lui 24. I genitori della ragazza le assegnarono in dote 6.000 lire che Cisberto utilizzò per costruire una casetta aumentando la volumetria di un fabbricato di proprietà dei fratelli, ma i soldi non bastarono e il novello sposo dovette prendere in prestito 2.000 lire che Leone Pietrosanto, il fratello maggiore di Tigres, rientrato dall’America provvide a pagare.
Pareva che si volessero gran bene ma dopo appena due mesi di matrimonio Tigres si presentò a casa dei genitori in lacrime:
– Mi ha offerto una fetta di mellone ma siccome sono incinta il solo odore mi muoveva il vomito e non l’ho voluta, così mi ha picchiata.
La mamma la consola dicendole che le cose vanno così, la moglie deve onorare il marito e mentre le tiene le mani tra le sue – è passata appena un’ora da quando Tigres ha chiesto aiuto – Cisberto si presenta a casa dei suoceri e si riprende la moglie con la promessa di non toccarla più. Ma le botte ricominciano presto. Così vanno le cose.
Cisberto fa il falegname ma la voglia di lavorare è molto scarsa e, a parte qualche lavoretto spesso lasciato a metà, per campare fa debiti, che puntualmente vengono ripianati o dai suoceri o dai suoi familiari. Le pressioni perché metta la testa a posto adesso che ha una famiglia sulle spalle aumentano ogni giorno di più e, per stimolarlo ulteriormente, i suoceri cominciano a rifiutarsi di pagare i conti che presenta loro. La tensione comincia a diventare insostenibile e Cisberto litiga col fratello di latte di Tigres, l’ex Carabiniere Virgilio Di Calabria, lo ferisce ad un braccio con una coltellata e deve scontare 45 giorni di carcere. A questo punto i rapporti con la famiglia di Tigres si rompono, salvo bussare a quattrini, e le botte aumentano di intensità, tanto da costringere il padre della ragazza a portarla dai Carabinieri per ottenere giustizia, ma oltre a una ramanzina non si può andare perché Tigres si rifiuta di sporgere querela.
Cisberto decide di emigrare in Argentina e per affrontare la spesa contrae altri debiti. Il 28 maggio 1927, pieno di buoni propositi, parte da Rota Greca con destinazione Buenos Aires. Ma quando uno non ha voglia di praticare il proprio mestiere a casa sua dove è servito e riverito, può adattarsi in terra straniera a fare lavori umili e pesanti? Cisberto certamente no e così stenta la vita girando a vuoto, nella speranza di avere un colpo di fortuna.
Tigres, perso il bambino che portava in grembo, da quando è partito il marito è più tranquilla, fino a quando Virgilio non riceve una lettera da Buenos Aires da parte di Ettore Talarico, cognato del suo fratello di latte:
Buenos Aires 3-1-928
Carissimo cognato
Desideroso che la presente ti trovi in ottima salute unito a tua famiglia e suocero, la mia finora bene. spero che sarai guarito della lieve ferita e non farti più accadere di quistionarti con quel burattino che è il vero tipo dei vagabondi. Di qui me ne ànno informato tanto di quello che ha fatto, non andava incerca di lavoro mai, ci avevano trovato il lavoro, ma lui non si ha riscatato che una sola meza giornata, antava sempre in cerca di bevanti alcoliche e manciare buono, dicento sempre che suo padre lo aveva incannato, in ultimo si fece imprestare trecento pezzi del marito di Venere cavallo e si rimpatriò. Il lavoro che aveva trovato era bastante legiere e guadagnava discreto ma siccome il lavoro lo spaura volle ritirarsi a casa. perciò tu non trattarlo più e fate che la legge lo castiga come si merita.
Cisberto, sconfitto, rientra in Patria ancora più pieno di debiti. Si ferma qualche tempo a Milano e gira in altre città in cerca della fortuna che non riesce a trovare e investe gli ultimi spiccioli dei trecento pezzi (pesos Nda) presi in prestito per comprare una rivoltella, quindi rientra a Rota Greca dove lo aspetta un’altra causa per lesioni.
Perché te ne sei ritornato così presto? – gli chiede Virgilio Di Calabria quando lo incontra per strada.
Questi sono cazzi che non ti riguardano – gli risponde sprezzante Cisberto che poi festeggia il rientro picchiando Tigres con la scusa che, invece di trovarla nella casa coniugale, la trova in casa della madre di lui e le cose cominciano ad andare sempre peggio.
Tigres racconta che quasi ogni sera quando si mettono a letto le punta la pistola alla testa o le sfiora la gola e le guance con un pugnale da ardito senza che lei abbia fatto niente che potesse offenderlo, almeno così crede. Ma Tigres qualcosa l’ha fatta: si è opposta e continua ad opporsi alla vendita della casetta, costruita con i soldi della sua dote, per pagare i debiti del marito.
– Non vuoi vendere la casa? Benissimo! Chi cazzo ce lo chiamava tuo padre a fare la casa al Vallone? Ti desse ora nove o diecimila lire per pagare i debiti se no ora Cisberto una buona “sbraciata” la fa e ve la vedete voi perché io non voglio saper niente! 
– Perché la mia casa? – replica. E sono botte.
Tigres racconta ai genitori quello che sta accadendo, ma non fanno niente perché fervono i preparativi per il matrimonio della figlia minore e quando arriva il gran giorno Tigres non può andare alla festa in quanto il marito glielo impedisce categoricamente, come altrettanto categoricamente le ordina di non avere più alcun rapporto con i suoi e allora il fratello Leone le porta a casa un confetto, ma Cisberto se ne accorge e succede un putiferio. Questa volta, dopo le rituali botte, la caccia di casa. Nell’immediato non succede altro perché i genitori si accontentano di accoglierla in casa e Leone, l’unico ad essere in grado di agire, è partito per gli Stati Uniti subito dopo la cerimonia nuziale, ma a Newark, dove vive, lo raggiunge la brutta notizie e non perde tempo. Presa carta e penna scrive una lettera di fuoco al cognato Cisberto:
Newark 11 novembre 1927
Carissimo bestia che altro nome non ti poso chiamare. Animale penza bene quello che aifatto mia Sorella, morto di fame che non ti credere che i Fratelli sono morti, si posono dimenticare e non como sono state le tue sorelle che sono state di tutti e voi non siete stati capace e ora hai fato mia sorella ma mia sorella e condenda che si trova in casa buona e noconte che la veva di fare morire di fame che poi deve penzare che mia sorella tià messo onore no como la raza tua che non cenessuno onorato bruto cane tu e quella strega di tua madre viè riesciuto che non ci sono stato io che ti puote guardare bestia e penza di non la guardare piu che si sacio che tu limolesti io scrivo al marescialo e poi ti fo vedere chi siamo noi. Mo spero che le tue sorelle devono rimanire pure mezo la via che mia sorella e dendo la casa ma le tue spero che li devono sputare dendo la facia come sputano ate e quella zicara della tua madre non ti dico nulla quando ni vedemo
Animale bestia
Stupido ai fatto una zione di animale
Poi i genitori di Tigres vanno a lamentarsi con la madre di Cisberto, la quale risponde loro di non poter fare niente e che, anzi, farebbero bene ad adoperarsi per pagare i debiti di Cisberto. Anche lei scrive ai figli emigrati negli Stati Uniti e questi, a loro volta, scrivono alcune lettere per indurre Cisberto a mantenere la calma e a guardarsi la libertà, ma nello stesso tempo si dicono pronti a usare le maniere forti, se necessario. Mandano a più riprese anche dei soldi che non vengono però usati per alleggerire la posizione debitoria del fratello.
Kenosha Wis. 30 novembre 1927
Carissima mamma
Abbiamo ricevuto oggi la vostra cara lettera e siamo condenti che siete tutti in buono stato di salute ugualmente fin’oggi vi posso assicurare di noi tutti. Cara mamma notiamo che il fratello Cisberto he tornato del S. America, anzi ho ricevuto la sua lettera laltro giorno e non ho avuto il tempo ancora di scriverlo, aspettavo per le feste per mantargli qualche cosa. Ma adesso come ni fate capire alla vostra lettera che si trova in condizioni più brutte, bene non si sgomentasse lui ancora e giovane ed he in tempo di farse delle posizione se ciè la salute e la libertà… Noi appunto questa sera siamo stati dalla sorella Pasqualina ed abbiamo chiamato la sorella Vienna ed abbiamo letto la lettera tutti riuniti ed abbiamo deciso che d’omani spediremo qualche cosa telegraficamente, così vi arriverà, vogliamo almeno sperare, prima della mia lettera.
Ma quel che io prego al fratello Cisberto di scrivere subito e farmi sapere se e stato offeso dalla sua moglie o anno avuto che dire con Pasquale Pietrosante (il padre di Tigres. Nda) che poi e pensiero nostro chi deve portare la croce perche a quanto siamo lontani possiamo essere vicini in otto giorni. Raccomando al fratello Cisberto non facesse chiassate perche non cè di bisogno, si guardasse la libertà e per il rispetto della nostra famiglia che noi qui cerchiamo di far tutto quello che he necessario. Per adesso cerca fare come meglio puoi con questo po’ di danaro che mandiamo in questo tempo ni scrive e ni fa sapere proprio la contizione  come si trovano. Voi cara mamma non vi arrabbiate ni avete passato troppo delle sofferenze, cercate di distrare il pensiero col ringraziare Iddio che fin oggi siamo tutti in buona salute, cercate di fare il santo Natale assieme con Cisberto ed essere condenti, i debiti pian piano si cacciano. Avete delle buone speranze quest’anno anche noi ci abbiamo avuto delle piccole perdenze nel negozio ma ci ristabiliamo. Abbiamo trascurato di scrivervi e mantarvi soldi spesso, ma speriamo di adesso in poi essere tutto meglio, non ti abbandonare cara mamma, dice a Cisberto a nome mio che lo aiutiamo, stasse anche lui coraggioso. Chi à scritto quella lettera, perche non là scritta lui a far mettere agli altri nei fatti suoi, ni scrivete subito io vi scrivo dinuovo in settimana augurantovi le buone feste. Intanto tanti saluti di tutti sorelle cognati nipote Francesco e famiglia io con mia moglie. Tanti baci a Cisberto come a voi cara Mamma chiedo la S.B. e mi segno vostro per sempre aff.mo figlio
Angiolino
Seguono altre lettere più o meno dello stesso tenore ma con qualche brutta novità per Cisberto: i fratelli non possono aiutarlo come avrebbero voluto perché in pochi giorni le piccole perdenze si trasformano quasi in un tracollo finanziario. La maledizione di Leone sembra avverarsi!
In paese comincia a girare la voce che Cisberto saprebbe delle corna che la moglie gli avrebbe fatto col fratellastro e addirittura col fratello Leone. Ma è solo una cattiveria gratuita perché tutti sanno dell’assoluta moralità di Tigres. Anche Cisberto nega, eppure in una lettera scritta durante la detenzione per le lesioni inferte a Virgilio Di Calabria, tra le altre cose, scrive:
(…) quanto è successo non è altro che l’epilogo di un dramma, preparato, tessuto, voluto, da un essere esecrabile, da un mostro dalle sembianze umane che, abusando della mia bontà, mascherandosi dietro la forma di un presunto parente di mia moglie, penetrava e s’insediava nella nostra casa ed adoperando chi sa quali diaboliche arti, riusciva ad allontanare mia moglie dal mio affetto, riusciva a farle perdere ogni senso morale, a farle completamente dimenticare i doveri coniugali, a calpestare imbrattando il mio talamo nuziale rubandomi la pace, la felicità e l’onore.
Cisberto, forse pentito, forse con l’intento di usare la cautela che gli hanno consigliato i fratelli, forse per cercare di costringere, una volta per tutte, la moglie a vendere la casa o forse ancora, addirittura, per farla prostituire, come sostiene il padre di Tigres, fa di tutto per riprendersi in casa la moglie che, a questo punto, non vuole più saperne. Cisberto incarica molti amici comuni di fare da intermediari e tutti gli pongono una condizione per accettare l’incarico: la promessa di non picchiarla più. Lui promette ma non c’è niente da fare, la moglie è irremovibile. I genitori di Tigres notano che il genero passa e spassa continuamente cercando di parlare con la moglie e per evitare che questo accada, Tigres se ne sta chiusa in casa.
La mattina del 25 gennaio 1928 a Rota Greca c’è un bel sole e le donne che non sono impegnate in campagna o in altri lavori si siedono sugli usci delle case meglio esposte ai caldi raggi a sferruzzare e a scambiarsi confidenze. Tigres, rimasta da sola in casa, ha bisogno di prendere una boccata d’aria dopo giorni passati a guardare il fuoco nel camino e va a sedersi sul gradino della porta di casa della vicina Teresina Bovino. Mezzogiorno è passato da poco e le due donne, sedute una di fronte all’altra, parlano tranquillamente ma vengono distratte dall’ombra proiettata in terra da un uomo: si girano contemporaneamente e davanti a loro appare la figura di Cisberto Forte con una rivoltella in mano. Prima che Tigres possa muovere un solo muscolo o aprire la bocca per urlare, Teresina Bovino scatta come una molla e si para davanti a Cisberto urlando:
Fermati per carità! – ma non c’è carità, pietà o ripensamento. A Cisberto basta puntare l’arma alla testa di Teresina per farla spostare e scaricare poi la rivoltella addosso alla moglie, con freddezza. Cinque colpi. Uno colpisce Tigres ad un polso proteso avanti nell’inutile tentativo di ripararsi, gli altri quattro vanno a segno tra il torace e l’addome, rendendo chiara la volontà dell’uomo di ucciderla. Poi Cisberto si allontana mentre accorrono tutti i vicini a vedere cosa sia accaduto. Arrivano anche i genitori della ragazza e la portano in casa loro. “Respira?” chiede qualcuno. “Si, respira e si lamenta”. Forse si può salvare. Il medico certifica che, sebbene le pallottole siano penetrate in cavità, se non ci saranno complicazioni dovrebbe guarire in un mese.
Per strada si sentono delle grida di avvertimento:
– Attenti! È appostato dalla finestra del tavolato con la rivoltella! Attenti che potrebbe sparare a qualcun altro!
Cisberto, infatti, allontanatosi dal luogo dove ha compiuto il delitto, non ha fatto altro che attraversare la strada, rientrare nella casa coniugale e appostarsi alla finestrella della soffitta, forse con l’intento di attendere l’arrivo dell’odiato Virgilio Di Calabria e fare secco anche lui.
E in effetti Virgilio, ancora ignaro di ciò che è appena accaduto, sta tornando a casa percorrendo la strada che passa davanti a quella dove è asserragliato Cisberto ma, per sua fortuna, viene avvisato in tempo e cambia percorso. Nel frattempo sul posto arrivano anche i Carabinieri della locale stazione, comandati dal Brigadiere Giuseppe Dolci, che comincia subito a parlare con Cisberto per convincerlo a venire fuori ma, non ottenendo alcun risultato, con una pedata ben assestata sfonda la porta e, rivoltella in pugno, sale le scale con circospezione, deciso a tutto pur di far cessare quella situazione che sta cominciando a seminare il panico tra la popolazione.
– Arrenditi, non fare lo stupido che noi siamo due e tu sei solo. Evitiamo di farci male, butta la rivoltella e vieni fuori – gli consiglia prima di cominciare a salire la scala a pioli che porta in soffitta. Sopra la sua testa la botola aperta non lascia intravedere niente altro che la luce del sole tra gli interstizi delle tegole. Poi il rumore di Cisberto che si muove carponi – Attento a non fare fesserie! Butta la rivoltella nella botola!
– Non sparate! Mi arrendo! – la voce di Cisberto è seguita dal rumore della rivoltella che passando attraverso la botola picchia prima sui pioli della scala sfiorando il Brigadiere e poi sul pavimento.
– Fai vedere le mani! – gli intima Dolci che è ormai a oltre metà della scala, pronto ad afferrare l’uomo appena apparirà dalla botola. Cisberto non oppone più alcuna resistenza e viene portato in camera di sicurezza con l’accusa di tentato omicidio.
Il mezzogiorno del 20 ottobre, mentre io e mia moglie mangiavamo, avemmo una piccola discussione a causa di una casetta che io intendevo vendere per la mia porzione perché apparteneva nel resto ai miei fratelli; nella discussione essa mi disse che mi lasciava ed io, arrabbiato, le tirai uno schiaffo. Poi me ne uscii per andare al lavoro e quando tornai la sera non la trovai più in casa. Quella stessa sera mandai mia madre a casa dei genitori di Tigrina ma la mandarono via dicendole che non sarebbe più tornata con me e che su di lei non comandava nessuno. Io non vidi più mia moglie dal giorno in cui mi lasciò; la vedevo qualche volta ma sempre da lontano. Più volte mandai a dire che essa mia moglie se ne fosse venuta, ma sempre tanto essa che i suoi genitori risposero negativamente. Oggi io ero uscito per andare a prendere un banco che tenevo in una piccola baracca perché mi serviva per lavorare; di fronte alla baracca vi è la casa di Teresina Bovino, avanti alla di cui casa si trovavano costei e mia moglie; chiesi loro se prendessero il sole, tanto per avere così modo io di potere entrare in discorso con mia moglie, alla quale poi chiesi perché non se ne veniva. Essa mi rispose di andarmene di là e non ricordo che altro; io persi i lumi, estrassi la rivoltella e le tirai non so quanti colpi
– Lo hai fatto per gelosia? – gli chiede il Brigadiere.
Nessun motivo di gelosia io avevo per mia moglie; quelli di casa sua dicono che io sono geloso del fratellastro di lei ma la cosa non è vera.
– Dove hai preso la rivoltella? Da noi non risulta che hai fatto denuncia dell’arma…
L’avevo comprata a Milano il 9 corrente, arrivando qui poi il 19; il 20 si trattò il mio processo alla Pretura di Montalto e per due giorni poi stetti ammalato di malocchio e così non ebbi tempo di denunziarla. Oggi la portai perché dovevo passare per la casa dei genitori di mia moglie ed avevo paura del Di Calabria perché costui, per il processo di cui ho parlato, mi ha continuamente minacciato di ammazzarmi
Ma Teresina Bovino, l’unica testimone oculare del fatto, assicura che le cose non sono andate come Cisberto racconta e lo smentisce categoricamente:
Io non intesi pronunziare dal Forte nessuna parola e quindi non mi consta che egli ci avesse chiesto se prendessimo il sole. La Pietrosanto non disse assolutamente nulla oggi al marito, prima che succedesse il fatto.
Dopo quattro giorni di agonia – le ferite erano più gravi di quanto il medico avesse sospettato – Tigres muore e adesso si procede per omicidio premeditato perché è chiaro che acquistare una rivoltella a Milano, portarsela in tasca carica attraversando tutta l’Italia, puntarla contro una persona inerme che non lo ha provocato né minacciato e spararle contro cinque colpi, indirizzandoli tutti in una parte del corpo piena di organi vitali, è prova della volontà di uccidere con premeditazione.
Io non avevo l’intenzione di uccidere mia moglie, né avevo premeditato la cosa. – giura Cisberto in un nuovo interrogatorio, poi aggiunge – Un giorno dello scorso novembre la stessa mia moglie, il Di Calabria ed i loro familiari, mi lanciarono dei sassi rompendomi i vetri della finestra; quando io poi uscii, sentii la voce della stessa mia moglie chiamarmi cornuto e dirmi: “Me lo son tenuto e me lo tengo e tu sei un cornuto!” Io le risposi: “Hai fatto bene” e me ne andai. Io non sapevo nulla di questo e non avevo mai sospettato della sua fedeltà.
Con questa dichiarazione la strategia difensiva di Cisberto cambia: adesso entra in ballo l’onore ferito dalla moglie traditrice.
I testimoni interrogati su questo punto, sebbene alcuni riferiscano l’episodio dei sassi e dei vetri rotti e molti altri dicano di non saperne niente, sono concordi su un concetto fondamentale: Tigres è una donna onestissima e incapace di tradire la fedeltà coniugale.
Anche il Brigadiere Giuseppe Dolce giura davanti al Pretore di sapere della gelosia morbosa di Cisberto per la moglie:
Era geloso della moglie perché riteneva che se la intendesse col fratellastro Di Calabria Virgilio ed anche col fratello Leone, attualmente in America. Ciò mi venne affermato dalla Pietrosanto e dal padre in occasione del ferimento del Di Calabria ad opera del Forte. Mi dissero anche che il Forte, ossessionato dalla gelosia, teneva la moglie in continuo orgasmo minacciandola di morte e finì poi il Forte a cacciarla di casa. Ignoro la circostanza della rottura dei vetri. Certo è che quando io sono andato in casa del Forte per arrestarlo, vetri rotti non ce n’erano. So che il Forte voleva che la moglie ritornasse in casa perché è venuto anche da me a domandare che ve la costringessi, cosa che io non potevo fare.
Ritengo che il Forte ha ucciso la moglie per motivi d’interesse poiché mai ho inteso dire che lo stesso Forte era geloso della moglie per il Di Calabria Virgilio – giura invece Luigi Tommaso.
Omicidio in persona della propria moglie Pietrosanto Tigres e con premeditazione, porto abusivo continuato di rivoltella, contravvenzione alla legge sulle concessioni governative e omessa denuncia di arma. Questi sono i reati per i quali Cisberto Forte, il 28 luglio 1928, viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il 9 giugno 1930 la Giuria emette il verdetto: ASSOLUZIONE.
I giurati ritengono che Cisberto Forte sparò cinque colpi di rivoltella in parti vitali senza la volontà di uccidere e senza premeditazione. Ritengono, però, che Forte sia colpevole di porto abusivo di arma da fuoco e di mancato pagamento della tassa di concessione governativa, condannandolo al pagamento del sestuplo della relativa tassa.[1]
Ma Cisberto lo aveva detto subito di non avere avuto tempo di dichiarare il possesso della rivoltella, impegnato com’era a difendersi da un processo per lesioni, seguito da due giorni di malattia dovuta a malocchio. E che caspita, un po’ di comprensione, signori giurati!

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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