IL DESTINO DI MIA FIGLIA

Al tramonto del 19 novembre 1928 due uomini stanno camminando insieme lungo il sentiero che dallo scalo ferroviario di Mongrassano porta a Bisignano.
Ciritiè, Fino a quando non andrai soldato ti riempiranno il culo di scarpe vecchie, ma quando tu andrai via essa sposerà un altro – le parole di Giuseppe Sangermano fanno salire il sangue alla testa di Ciro Cinque, diciannovenne contadino nato a Gragnano in provincia di Napoli, ma trasferitosi con tutta la sua famiglia nel territorio di Bisignano ormai da una quindicina di anni. Che gli passerà ora per la testa dopo che ha fatto di tutto per fidanzarsi con Carmelina Garritano?
Domani sera ti stringerò la mano perché ammazzerò qualcuno e andrò in galera – risponde con tono grave.
Chi ammazzerai?
Domani sera lo vedrai… – termina accelerando il passo e sparendo nella fioca luce del crepuscolo.
Quella stessa sera Ciritiello, così lo chiamano tutti, si mette in cerca di cartucce per la sua pistola semiautomatica, ma nessuno ne ha del calibro giusto e deve desistere. Magari la notte gli porterà consiglio.
Sembra proprio di no. La mattina del 20 novembre Ciritiello si alza con lo stesso pensiero che aveva prima di addormentarsi: trovare le cartucce per la sua pistola. Ma prima passa dal fondo dove sa che Carmelina sta lavorando con i nonni e si mette a discorrere con alcuni zii della ragazza, cercando nello stesso tempo di avvicinarsi a lei. Poi la vede prendere alcuni orciuoli e dirigersi a una fontana poco distante e la segue.
È inutile che mi giri intorno, io non ti voglio! – gli urla Carmelina. Ciritiello sente di nuovo ribollirgli il sangue nelle vene e vorrebbe fare un quarantotto, ma la voce stentorea del nonno della ragazza ha il potere di calmarlo:
Ciritiè, non venire più in questa contrada e non provocarci! – lo avvisa agitando la zappa nella sua direzione. Ciro a questo punto si ritira in buon ordine e allora va nella rivendita di generi di monopolio di Sabatino Cavalcante, che è accanto alla stazione ferroviaria di Mongrassano, e compra nove cartucce per pistola calibro 8 ½  pagandole 5 lire e 40 centesimi.
– Sabatì, dammi cinque sigarette sfuse – ordina Gaetano Garritano, uno dei fratelli di Carmelina, poi prosegue rivolgendosi a Ciro – buongiorno Ciritiè, nemmeno mi saluti?
– Buongiorno Gaetà, non ti avevo visto – si scusa mentre pare mostrargli le cartucce che ha in mano, ma quello sembra non accorgersene nemmeno. Poi i due se ne vanno ognuno per la propria strada e la strada di Ciro, ora che ha le cartucce, è quella che porta da Carmelina.
Quando Pasquale Sangermano, il nonno, lo vede gironzolare di nuovo in quei paraggi si insospettisce e gli si avvicina, ostentando la zappa.
Prima sei venuto a trovare a Giuseppe, e ora a chi? avessi qualche cattiva idea, ti sei forse armato?
Niente affatto! Potete venire a perquisirmi – mente, mentre retrocede senza mai dare le spalle a Sangermano, il quale è sempre più sospettoso.
– Tu non mi convinci affatto!
O vado in galera o muoio! – borbotta Ciritiello prima di allontanarsi e di non farsi vedere più in giro.
Quando poco prima del tramonto Carmelina e sua zia Carmela Giunta finiscono di riempire i sacchi di ghiande per i maiali, si avviano verso il paese seguendo il corso del torrente Chio e poi imboccano un viottolo che passa nella proprietà dei signori Boscarelli. Giunte in prossimità di un tornante, sbuca davanti a loro Ciro Cinque:
Neanche ora ci sei capitata? – le dice mentre estrae la pistola dalla tasca. Carmelina è terrorizzata e si gira per cercare di salvarsi, ma le pallottole sono infinitamente più veloci e i primi due colpi che Ciritiello le esplode la colpiscono alle spalle, disegnando all’interno del suo corpo strane traiettorie. Il primo proiettile la colpisce proprio mentre si sta girando per scappare e penetra quasi di lato, immediatamente sotto la scapola sinistra, striscia sulla colonna vertebrale, penetra nel polmone destro e, fuoriuscitone, termina la sua corsa schiantandosi sulla sesta costola posteriore di destra. La forza del primo colpo fa ruotare su se stessa la ragazza mentre arriva il secondo proiettile, che penetra dal lato posteriore destro del torace, passa da parte a parte il polmone dirigendosi verso il cuore, anch’esso attraversato da parte a parte, e va a terminare la sua corsa nello spessore della ghiandola mammaria sinistra, dopo aver forato la costola corrispondente. Carmelina muore istantaneamente e Ciro, preso da una furia cieca, continua a sparare all’impazzata in aria gli altri sette colpi che sono nel caricatore, poi si allontana lasciando la zia di Carmelina inginocchiata che cerca inutilmente di rianimarla.
Il Maresciallo Capo Agnello Di Filippo comincia subito le ricerche dell’assassino ma, oltre a ricevere la testimonianza di qualcuno che lo ha visto allontanarsi verso lo scalo ferroviario di Mongrassano dove abita con i genitori, di Ciritiello non c’è traccia. Nel frattempo comincia a ricevere le deposizioni della madre di Carmelina, dei fratelli, dei parenti e anche quella del padre di Ciro.
Assunta Sangermano vedova Garritano, madre trentanovenne della povera ragazza, ricostruisce la tormentata storia del rapporto tra la vittima e l’assassino:
– Da quasi quattro anni coltivo un pezzo di terra vicino la stazione ferroviaria di Mongrassano, poco distante dalla casa dove abita la famiglia Cinque. Da subito Ciro ha cominciato a corteggiare mia figlia e siccome costui era poco amante del lavoro, Carmelina non ne volle mai sapere, mentre costui più le si serrava dappresso, anche perché era piccola d’età. Nel mese di maggio di quest’anno (1928 Nda.) venne costui in compagnia del padre in casa nostra a farci regolare offerta di amore e di matrimonio. Il padre acconsentì a questo passo appunto per indurre il figlio Ciro a mettersi al lavoro e siccome noi avevamo sempre respinto costui, anche perché mia figlia di lui non aveva trasporto ed aveva sempre rifiutato di dirgli di si, il padre mi propose di assentire malgrado la volontà contraria di mia figlia perché così facendo, Ciro, che è della classe 1909 e quindi prossimo a presentarsi alle armi col servizio militare, si sarebbe dimenticato della giovane che in tale lasso di tempo si avrebbe anche potuto maritare. Fu per questo motivo che gli diedi il permesso di frequentare rarissime volte la mia casa, ma più come amico che come fidanzato della giovane perché costei non vi aveva mai parlato e al suo comparire fuggiva. A nulla valsero le mie insistenze verso mia figlia per farla accondiscendere, anzi costei più volte mi diceva che lei non poteva dir di si ad un uomo che non sentiva alcun trasporto, tanto che io fui costretta ad allontanarla da Frassia (la contrada dove è situata la terra che la donna aveva preso in fitto. Nda.) per evitare spiacevoli incidenti e circa un mese fa seppi che il Cinque Ciro aveva detto che intendeva sposare mia figlia per capriccio e non per amore. Poi Ciro è andato a lavorare in Sila e in questo periodo mi fece richiesta di matrimonio per la disgraziata mia figlia, Amodio Carmine ed io, visto il buon partito, subito acconsentii ed allora io, vedendo un giorno il fratello dell’omicida, a nome Giovanni, gli dissi di convincere suo fratello a non più venire a casa mia perché, dato che si era presentato un buon partito, volevo sposare al più presto mia figlia per non attendere il suo ritorno da militare. Quando Giovanni riferì il fatto al fratello Ciro, questi si è arrabbiato e allora sono venuti da me il Ciro, il fratello Antonino ed il padre per convincermi ad annullare il matrimonio. Date le insistenze io acconsentii, credendo che questo fosse il destino di mia figlia e d’accordo con essa, per evitare litigi, son venuta in paese e ho detto ad Amodio che non poteva più parlarsi di matrimonio perché prima di lui c’era stata la richiesta di Cinque Ciro.
– Ma di tutto questo che cosa ne pensava Carmelina? – le chiede il Maresciallo interrompendola.
Non ha manifestato mai né simpatia né avversione pel Cinque o per l’Amodio, forse perché temeva che le cose si complicassero… poi un mese fa anche Carmelina ha saputo che Ciritiello aveva detto in giro che voleva sposarla per capriccio e allora, la prima volta che è venuto a casa mia assieme a mio fratello Giuseppe, gli ha detto: Tu non devi più mettere piede qui perché io non ti voglio!
Lo squillo del telefono di servizio interrompe la donna. Di Filippo risponde e mentre ascolta la guarda con un’espressione di compiacimento. Dall’altra parte del filo il Maresciallo Michele Pelaia, comandante della stazione di Cosenza, gli sta raccontando che Ciro Cinque è seduto davanti a lui in stato di arresto. Gli racconta anche come sono andate le cose. Dopo avere ucciso Carmelina, Ciritiello è andato alla stazione ferroviaria di Mongrassano ed è salito sul treno per Cosenza. Notata la presenza in treno del Carabiniere Ricchio Luigi della stazione di Spezzano Albanese, si presentava a detto militare dicendogli di avere, poco prima, ucciso a colpi di pistola la giovane Garritano Carmelina di anni 18 da Bisignano. Il Carabiniere Ricchio accompagnò in questa caserma il Cinque ove, interrogato da noi, confermò la precedente dichiarazione.
Il mattino dopo Ciritiello viene trasferito nel carcere mandamentale di Acri dove racconta la sua versione dei fatti al Pretore:
– Circa cinque anni fa ho conosciuto Carmelina Garritano con la quale cominciai ad amoreggiare. Essa mi aveva detto di si ma dopo circa sei mesi i fratelli di lei Domenico ed Espedito e il loro zio Antonio Sangermano mi hanno percosso, anzi Domenico mi tirò una coltellata al braccio sinistro. Io, sia per amore della mia fidanzata, sia perché non vi erano testimoni, non ho denunciato il fatto. Mi lamentai della cosa con Carmelina e lei mi disse che non aveva colpa perché anch’essa veniva battuta dai fratelli per questo amore. Io, nonostante la contrarietà dei parenti, continuavo a fare all’amore con Carmelina e vedevo che mi voleva bene, tanto è vero che dev’essere in possesso di una mia fotografia che io le ho dato. Quest’anno, finalmente, mio padre fece la richiesta formale di matrimonio e la risposta fu affermativa. Io in seguito me ne andai in Sila a lavorare e in questo frattempo Carmelina si fidanzò con un certo Carmine Amodio. Quando tornai in paese mio fratello mi raccontò la cosa e io feci saltare tutto in aria e andai in casa della mia fidanzata. C’erano la madre, lo zio Antonio Sangermano e il fratello Espedito ai quali dimostrai tutto il mio risentimento per il loro agire. La madre andò subito in paese e licenziò l’Amodio e io sono ritornato a lavorare in Sila. Il 9 settembre, festa del Beato Umile, andai a Bisignano a mangiare da alcuni parenti e dopo sono andato a trovare Carmelina che mi ha accolto. Sono tornato a Bisignano il 20 settembre, festa della Madonnella, e uno zio di Carmelina mi disse che lei si era lamentata perché io avrei detto che volevo sposarla per capriccio e non per amore. Allora andai a casa di Carmelina per sapere chi le avesse detto una cosa simile, ma lei invece inveì contro di me dicendo che non voleva più nessuno. Io tornai in Sila e qualche giorno dopo, tornando a casa in bicicletta, passai da Carmelina e, scherzando, le mostrai una cartuccia vuota e le dissi: Qualche giorno ti ucciderò con questa! Lei mi sbattè la porta in faccia e si rinchiuse dentro. Il 20 novembre sono passato vicino al fondo dove Carmelina e la zia stavano raccogliendo ghiande. Appena mi ha visto è scappata ed è andata dalla zia senza che io le avessi detto nulla. Dopo un po’ è andata con la nonna a prendere l’acqua alla fontana e quando è tornata, io stavo scherzando con suo zio Giuseppe, se l’è presa a male cominciando a dirmene di tutti i colori. Io me ne andai con suo zio, ma dopo poco tornai lì da solo e la incontrai per strada. Vai a Bisignano? Le chiesi, ma invece di rispondermi cominciò di nuovo a sbraitare: Vattene via, merda, latrina, pisciaturo, pidocchioso, mi ha detto. Allora io non vidi più ed estrassi la pistola. A questo mio atto la Carmelina si voltò sul fianco sinistro per scappare. Io esplosi il primo colpo e la ferii alla spalla destra. Essa continuò a scappare ed io a sparare. Arrivata ad un certo punto essa fece un giro su se stessa, io sparai l’ultimo colpo e lei cadde. Io scappai e sparai in aria gli altri colpi. Non l’avrei mai uccisa se non mi avesse detto tutte quelle cose…
Una ricostruzione dei fatti per molti aspetti incompleta e falsa, per altri aspetti completamente opposta a quella fatta dalla madre di Carmelina. Chi avrà ragione?
Nella solitudine della sua cella Ciritiello medita per sei giorni su come sono andate le cose, poi chiede di fare delle nuove dichiarazioni al Pretore:
Voglio dire tutta la verità perché mi pesa la coscienza. – esordisce – Mi sono deciso al fatto per il trattamento avuto da parte della Garritano Carmelina e dei parenti di essa.
– Stai dicendo che non è stato un delitto di impeto ma lo hai premeditato? – il Pretore non vuole equivoci.
– Si, è così. Vi spiego. Quando mi lamentai del comportamento di Carmelina con una sua zia, questa mi rispose: Se fossi stato io, l’avrei uccisa. Io decisi di sopprimere la Garritano Carmelina la sera del 19 corrente quando lo zio di essa, Sangermano Giuseppe, mi disse che quando io sarei partito militare la sua nipote si sarebbe sposata. Anzi, mi disse questa precisa frase: Fino a quando non andrai soldato ti riempiranno il culo di scarpe vecchie, ma quando tu andrai via essa sposerà. Io, data la passione che mi legava alla povera morta, mi sentii ribollire il sangue e decisi di ucciderla. Infatti, dopo aver fatto cento passi ancora, dissi al Sangermano: Domani sera ti stringerò la mano perché ammazzerò qualcuno ed andrò in galera! – finalmente comincia a raccontare la verità – Nel pomeriggio del 20 novembre mi avviai per la strada Rio Chio perché sapevo che quella veniva battuta dalla Garritano Carmelina, con l’intenzione di incontrarla per ucciderla. Ho fatto un po’ di sosta per la strada, ma molto più in alto di dove l’uccisi. Poi, vedendo che cominciava ad imbrunire cominciai a scendere ed incontrandola, ma vi giuro che non mi ero nascosto, le dissi le parole che ho già riferito nel primo interrogatorio e le mi rispose come vi ho già raccontato. Però vi dico anche che, sebbene avessi deciso di ucciderla, se lei non mi avesse disprezzato ingiuriandomi quando io le rivolsi la parola, forse non avrei avuto il coraggio di compiere il terribile misfatto perché ho nutrito sempre un amore pazzo per la povera morta ed avrei desiderato che in quel momento mi fosse caduto il braccio pur di saperla ancora in vita, sebbene essa si rese indegna del mio amore perché dava retta ad Amodio Carmine – sarà tutta la verità? Secondo la zia di Carmelina, testimone oculare dei fatti, la ragazza non pronunciò alcuna parola offensiva nei riguardi di Ciro.
Ma che fosse stato offeso o meno pochi istanti prima di uccidere Carmelina cambia poco. Ciro ha confessato di aver premeditato la sua azione: per gli inquirenti è omicidio qualificato dalla premeditazione. Con questo capo d’imputazione viene chiesto il ed ottenuto il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Cosenza, è il 10 maggio 1929.
Il dibattimento è fissato per il 26 maggio 1930. Da molte testimonianze viene smentita la dichiarazione della madre di Carmelina che ha descritto Ciro come un fannullone (circostanza che a suo tempo anche il padre dell’imputato aveva ovviamente smentito), altre che mettono in luce l’amore pazzo di Ciritiello per Carmelina. Ma resta il macigno di aver confessato la premeditazione e gli avvocati difensori Benedetto Carratelli, Nicola Serra e Tommaso Corigliano tentano la carta dell’infermità totale di mente di Ciritiello e il suo ricovero in un manicomio criminale per essere sottoposto a perizia psichiatrica o in subordine di sottoporre alla Giuria la questione del vizio totale di mente, ma sia il Pubblico Ministero che le Parti Civili si oppongono con forza ad entrambe le richieste e il Presidente respinge la richiesta di perizia psichiatrica, ma ammette che nel quistionario sia incluso il quesito della infermità di mente con la subordinata della semi-infermità.
La Giuria mette tutti d’accordo: Ciritiello al momento del fatto non aveva vizi di mente e seppure ha ucciso volontariamente Carmelina non lo ha fatto con premeditazione. Ha, invece, commesso il fatto nell’impeto d’ira o di intenso dolore determinato da ingiusta e grave provocazione. La piena ammissione della premeditazione non conta niente. Concesse le attenuanti generiche, il conto è presto fatto: 6 anni e 3 mesi di reclusione, nonché il pagamento delle spese e dei danni.
Ma il 1 gennaio del 1930 è entrata in vigore una nuova legge sull’indulto, così gli viene sottratto un anno di reclusione. E siccome per uccidere Carmelina ha usato una pistola detenuta illegalmente, viene condannato anche al pagamento del sestuplo della tassa di concessione governativa.[1]
Quello che è giusto, è giusto: le tasse vanno pagate!

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

Il plagio letterario costituisce reato ai sensi dell’articolo 171 comma 1, lettera a)-bis della legge sul diritto d’autore, che sanziona chiunque metta a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera protetta (o parte di essa).

 

[1] ASCS, Processi Penali.

 

Lascia il primo commento

Lascia un commento