Sulla rotabile da Paola a San Lucido, in contrada Madonna del Rito, c’è la cantina di Assunta Calvano. È un locale molto frequentato oltre che dai paolani e dai sanlucidani, anche dai ferrovieri che fanno servizio nella città del Santo. Oltre alla stanza principale dove vi è la mescita, vi sono altri locali più appartati per chi volesse discutere o giocare d’azzardo al riparo da occhi indiscreti. Il pomeriggio del 15 gennaio 1922 tutti i tavoli sono occupati e, con la porta chiusa per il freddo, il fumo dei sigari crea una specie di nebbia, appesantendo l’aria. Seduto al bancone c’è un uomo che beve da solo, è il ventisettenne Ercolino Sciammarella. E beve abbastanza da essere piuttosto brillo.
Nella seconda stanza, a destra per chi entra nella cantina, ci sono il ferroviere Salvatore Fondacaro, 26 anni da Bagnara Calabra, i fratelli Francesco e Rocco Lo Torto, rispettivamente di 18 e 17 anni da Paola, e Michele Fucetola, ventinovenne ferroviere da Paola. Tutti e quattro, seduti attorno a un tavolo, stanno bevendo e giocando a zecchinetta, mentre il sedicenne figlio della cantiniera, Ercole Cupolillo, va avanti e indietro a rifornirli di vino.
Sciammarella si alza dal suo posto, attraversa la sala, si ferma sulla porta dove gli altri quattro stanno giocando e si appoggia allo stipite, facendo uscire volute di fumo dalla bocca. Resta qualche minuto così, immobile, a guardare i giocatori. Poi, quando lo sguardo di Salvatore Fondacaro incrocia il suo, sorride. I due sono a circa un metro di distanza l’uno dall’altro. Ercolino mette tra le labbra il sigaro che tiene tra l’indice e il medio della mano destra e senza dire una parola impugna un revolver calibro 7, facendo fuoco due volte contro Fondacaro. Il primo colpo va a vuoto e Salvatore, passato l’attimo di sorpresa, fa per lanciarsi contro Ercolino, ma in questo istante parte il secondo colpo che lo centra sotto la clavicola destra; il proiettile urta l’osso e devia la sua traiettoria verso il basso squarciandogli il polmone e un’arteria. Le sue braccia sono ancora protese verso Ercolino quando stramazza al suolo privo di vita.
Gli altri giocatori sono storditi e frastornati dalle esplosioni e restano per qualche secondo incerti sul da farsi, ma quando vedono che Sciammarella, in silenzio e con estrema calma, rimette in tasca la rivoltella, gli si lanciano addosso e lo bloccano.
Prima che arrivino i Carabinieri arriva il funzionario di Pubblica Sicurezza Giuseppe Nocera, che abita lì vicino e prende in custodia l’assassino.
Sciammarella è ancora visibilmente alticcio quando gli mettono i ferri e lo portano in camera di sicurezza. Il maresciallo Ilario Monteleone non crede ai suoi occhi quando gli presentano il contenuto delle tasche dell’assassino: ventuno cartucce cariche! Che cosa aveva in mente Ercolino Sciammarella per portarsi dietro quell’arsenale? E cosa lo ha spinto a uccidere? Ercolino, per il momento, sembra essere diventato muto e il maresciallo Monteleone comincia a interrogare tanta gente.
Moltissimi definiscono la vittima come un giovane educato, rispettoso e incapace di molestare o provocare chicchessia. Viceversa, molti descrivono Ercolino come dedito al vino e alle percosse, specialmente nei confronti della moglie e della suocera. “Dopo che aveva bevuto non sapeva più quello che faceva ed era meglio stare alla larga da lui” ripetono gli avventori di tutte le cantine di Paola; “Ultimamente era meglio non avere a che fare con lui anche quando non aveva bevuto”, rincarano altri.
Siccome lui non parla e non si riesce a trovare un movente plausibile che spieghi l’omicidio, cominciano a girare voci su una sua presunta malattia mentale. Pare, addirittura, che un suo fratello sia morto in manicomio una decina d’anni prima e che Ercolino sia stato dichiarato rivedibile alla visita di leva per epilessia. Anche il comandante delle guardie carcerarie ammette che “pur non essendo un furioso, non è certo un uomo normale” e la moglie di Sciammarella, consigliata dall’avvocato Tommaso Corigliano che ne ha assunto la difesa, chiede che il marito venga sottoposto a perizia psichiatrica: “mio marito è stato sempre uno squilibrato. Quando si ubriacava, il che avveniva spesso, diventava addirittura un pazzo e picchiava me e i figli senza ragione. Buttava le masserizie fuori dalla finestra e compiva atti che possono essere compiuti solo da un forsennato”.
Nel frattempo qualcuno dice che una settimana prima dell’omicidio, Salvatore Fondacaro aveva schiaffeggiato Ercolino perché voleva che questi non giocasse a carte con lui e la sua compagnia, quindi il movente sarebbe da ricercare nel rancore nato per l’offesa ricevuta. Ma diversi testimoni giurano che quegli schiaffi non ci sono mai stati, anzi fu proprio Ercolino a minacciare i presenti che stavano lasciando la cantina dopo aver terminato il gioco: “Voi ve ne andate ma me la pagherete!” avrebbe detto in quell’occasione imbracciando il fucile che portava in spalla e Fondacaro, a quella minaccia avrebbe replicato: “Se non la finisci quel fucile te lo rompo in testa!”. Furono sufficienti queste parole a determinare Ercolino a uccidere Salvatore?
Finalmente anche Ercolino si decide a dire qualche parola al giudice che lo interroga:
– Durante la prima quindicina del mese di gennaio, incontrai Fondacaro per un paio di volte alla marina di Paola. Senza che tra di noi ci fosse mai stata alcuna discussione, mi schiaffeggiò. E mi schiaffeggiò di nuovo, proprio nella cantina, una settimana prima che lo uccidessi, senza che gli avessi fatto niente. Quel pomeriggio, poi, non appena mi vide mi disse: “ Stasera te ne do ancora…” io non ci ho visto più e gli ho sparato con la rivoltella che avevo comprato proprio quella mattina da un ferroviere per 16 lire – poi ammutolisce di nuovo, rifiutandosi di chiarire le contraddizioni tra le sue dichiarazioni e quelle dei testimoni.
Gli inquirenti hanno seri dubbi circa gli episodi riferiti, ma non se la sentono di escludere alcuna ipotesi. Per cominciare a fugare il dubbio principale, quello della pazzia, viene disposto il suo ricovero in manicomio.
Ercolino Sciammarella entra nel manicomio di Nocera Inferiore il 9 settembre 1922 per essere sottoposto a perizia psichiatrica. Dopo tre mesi di osservazione, i periti concludono che ”lo Sciammarella Ercole è un simulatore che ha variato i quadri morbosi che tentava manifestare, quadri morbosi che variava sempre sia per la mancanza di tenacia, sia per la mancata conoscenza di essi. (…) nel momento in cui commise il reato di cui è imputato non era affetto da alienazione mentale e non pare che l’ubbriachezza dello Sciammarella Ercole, nel momento in cui commise il reato addebitatogli, fosse tale da avere applicato l’art. 47 c.p.[Sulla momentanea incapacità dovuta a ubriachezza volontaria, NDA]”.
Ma i periti, il dottor Salvatore Tomasini e il professor Marco Levi-Bianchini, si spingono oltre la psichiatria per cercare di spiegare quello che Ercolino ha in testa e analizzano il suo comportamento attraverso i criteri di una nuova branca scientifica che si sta affacciando al mondo dopo la fine della Prima Guerra Mondiale: la Psicologia di Guerra.
“Lo Sciammarella Ercole è un giovine ammogliato con figli, nella cui cartella di penalità sta scritto – Nulla – Egli a diciotto anni fu chiamato dalla Patria a compiere il più alto dovere di cittadino, quello di difenderla dal nemico. Andò, abbandonò moglie e figli, per sette anni visse nelle trincee, combatté nelle zone più pericolose, fu ferito, vagò per ospedali; due suoi fratelli morirono durante il servizio militare, uno certamente al fronte o prigioniero. Ebbene: ha portato la guerra una modificazione speciale nella psiche di tutti? (…) La completa inversione del valore della vita umana, ridotta alla pura accidentalità e privata di tutte quelle più elementari garanzie ad essa offerte dalle costituzioni sociali universali, l’uso delle armi divenuto a tutti comune, l’abolizione dei freni posti all’impulsività umana, che il coraggio in guerra rende quasi necessaria e diremmo perfino indispensabile, concorrono a svalutare il concetto della vita e ad innestare, specie per cervelli più semplici e più poveri di critica, un’anestesia morale più o meno grave di fronte ai diritti altrui e alle inibizioni individuali. Non è a stupire se il psichismo dei combattenti reduci dalla guerra è sostanzialmente modificato, se le reazioni sanguinose nelle lotte di classe e di partito si sono continuate con paurosa frequenza, al di là della guerra, se ogni individuo si ritiene autorizzato a sminuire tanto facilmente il valore sacro sia della propria vita che quello della vita altrui. Egli è che una tale inversione e diminuzione dei valori umani si è fissata nella coscienza come fatto di giudizio, dopo essersi creata come fatti di necessità contingente e impellente; e che tale giudizio, assommato alla naturale impulsività dell’uomo incolto e primitivo, rende ancora possibili con tanta frequenza le reazioni violente dell’individuo contro il suo simile. È questo un derivato doloroso della guerra che le instabili e critiche condizione di tutta la società umana attuale, a malgrado di tanti orrori superati e di tanto sangue umano sparso, mantengono ancora vivo ed attivo, in contrasto con i più elementari postulati della vita e dell’ordinamento sociale. Ebbene, a questo derivato doloroso della guerra, tanto più persistente quanto più lungo è stato il periodo di guerra combattuta, quanto più forti le emozioni provate, quanto più penosa la vita vissuta, non si è potuto sottrarre lo Sciammarella Ercole, uomo primitivo ed incolto, che al ritorno dalla guerra al proprio paese portò l’animo pronto alla lotta, facile alla violenza. È con la Psicologia di Guerra che noi possiamo spiegarci le modalità del delitto commesso dallo Sciammarella Ercole, modificandogli o diminuendo quella responsabilità che con lo psichismo dell’anteguerra avrebbe avuto”.
Quindi non è pazzo ma la società è in qualche modo responsabile del suo delitto. Lo Stato, attraverso i suoi rappresentanti che ne amministrano la Giustizia, terrà conto di ciò? Può lo Stato ammettere come propria la responsabilità di migliaia di omicidi commessi in conseguenza diretta o indiretta degli orrori patiti durante una guerra voluta dallo Stato stesso?
Ovviamente no!
Ercolino viene dimesso dal manicomio di Nocera Inferiore e rinviato a giudizio per omicidio volontario.
Di rinvio in rinvio, il processo si aprirà il 28 giugno 1924 e durerà pochi giorni. La giuria lo riconosce colpevole ma gli riconosce lo stato di ubriachezza abituale e gli concede le attenuanti generiche. In tutto fanno dieci anni e sei mesi di reclusione. Su quelle assurde teorie della Psicologia di Guerra nemmeno una parola.
La Cassazione dichiarerà inammissibile il ricorso.[1]
Dopo essere stata accantonata per decenni, la “Psicologia di guerra” troverà la sua consacrazione come disciplina scientifica al termine della guerra in Vietnam.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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