Il 24 giugno 1931 fa caldo a Cosenza. negli uffici della Delegazione di Pubblica Sicurezza, davanti al Vicebrigadiere Arturo Casalta, è seduta, mentre si sfrega nervosamente le mani, la quattordicenne Ida Tudda (in verità la ragazza fu registrata all’anagrafe come Ida Bersagliera di genitori ignoti. Solo in seguito la madre, Italia Tudda, la riconobbe)
– Cosa è successo? Ti decidi a parlare? – la esorta Casalta. Ida fa un lungo respiro, si passa le mani sul viso, si rassetta i capelli e racconta:
– Da quasi tre anni mia madre continua a ripetermi di non poter badare a me, che me ne devo andare da casa e trovarmi un marito…
– Aspetta, fammi capire… – la interrompe il poliziotto con aria perplessa – tu hai quattordici anni, vero? – Ida annuisce – e stai dicendo che tua madre avrebbe voluto che ti trovassi un marito a undici anni?
– Esattamente – conferma la ragazzina.
– Boh?!
– Stavo dicendo – prosegue Ida – che mia madre voleva che me ne andassi da casa o comunque che provvedessi da me sola al fabbisogno di vitto e vestiario. Poco più di un mese fa si trovò a passare da casa mia, all’angolo tra Via Santa Lucia e Via San Tommaso, un certo Ernesto Gagliardi. Mia madre lo vide e lo chiamò, lo fece entrare in casa, mi disse di uscire e poi si restarono a parlare tra loro per quasi un’ora. Quando l’uomo se ne andò, mia madre mi fece vedere una moneta d’argento da 10 lire dicendomi che gliel’aveva data Gagliardi. Il giorno dopo, io ero seduta fuori, l’uomo tornò a casa nostra, entrò e restò solo pochi minuti, poi mia madre mi fece entrare, mi fece vedere un’altra moneta da 10 lire e mi disse che Gagliardi voleva parlarmi a tu per tu. Mia madre uscì e chiuse la porta col maschietto che è dalla parte di fuori, in modo tale che noi da dentro non potessimo uscire. Gagliardi mi disse che dovevo spogliarmi ma io non volevo e lui disse che si sarebbe trattato solo di pochi minuti e che dovevo fare quello che mi diceva perché aveva già pagato a mia madre. A quel punto, non potendo uscire da casa, credetti opportuno non fare alcuna resistenza al Gagliardi e, spogliatami, fui costretta a malincuore a soggiacere con lui. Quando finì si rivestì e bussò alla porta. Mia madre aprì e lasciò che Gagliardi andasse via, dopo averlo salutato con un sorriso.
– Uhm… – il Vicebrigadiere è sempre più perplesso, la storia raccontata dalla ragazzina per molti versi è credibile, per altri meno e quindi la fa andare via con la promessa di fare indagini in merito.
La mattina successiva Ida si presenta di nuovo alla Delegazione dicendo che deve raccontare ciò che le è successo dopo essersene andata il giorno prima. Casalta la fa sedere e la ragazza inizia a parlare:
– Ieri mattina uscii da questo ospedale civile ove fui ricoverata circa un mese fa in seguito a malattia venerea di cui ero affetta. Verso le 14,30 sono andata a casa e ho trovato mia madre che si stava cambiando d’abito. Ho sentito che da fuori una vicina, Franceschina Cimice grassa, così è soprannominata, mi stava chiamando. Con lei c’era un certo Nino Gentile e ci invitò ad andare a casa dell’amante di Silvio Massimilla in Via Messer Andrea per mangiare qualcosa insieme. Ci portarono del pane, del salame, un pezzo di caciocavallo e una bottiglia di vino. Finito di mangiare, mamma, Franceschina, l’altra donna e Gentile uscirono e mi lasciarono da sola in casa.
– Hai bevuto molto? – le chiede Casalta
– Un bicchiere… forse due… comunque – continua la ragazzina – dopo pochi minuti è arrivato a casa Silvio Massimilla, il quale dopo essersi tolto la giacca mi invitò a mettermi sul letto sito nella stessa stanza, dove mangiammo quello che era rimasto. Poi ha cominciato ad accarezzarmi le gambe e a dirmi un sacco di cose ma poiché io non volevo sottostare al volere del Massimilla, egli mi rassicurò facendomi comprendere che in seguito mi avrebbe presa con lui come amante. Non feci alcuna resistenza e così il Massimilla si congiunse con me carnalmente. Dopo aver soddisfatto i suoi bisogni e dopo esserci riposati sul letto, il Massimilla m’invitò a voltarmi bocconi sul letto stesso e sfogò nuovamente la sua libidine, cercando di violentarmi all’ano, ma visto che gridai in seguito al dolore provato alla parte, il Massimilla mi lasciò. Scesa dal letto mi accorsi che perdevo sangue dall’ano e mi riusciva doloroso il camminare. Lo stesso Massimilla, con uno straccio, pulì le macchie di sangue ch’erano per terra e s’allontanò di casa montando una motocicletta che trovavasi nel portone. Dopo pochi minuti sono tornata a casa e mia madre non mi ha chiesto come mai avessi tardato tanto.
– Secondo te Massimilla aveva dato dei soldi a tua madre?
– Non so se mia madre abbia ricevuto danaro dal Massimilla. Posso assicurare che la colazione è stata pagata dallo stesso Massimilla e che per l’acquisto di detti generi alimentari s’interessò il Gentile Nino. Sono stata pure all’Ospedale – continua Ida porgendo un foglio al Vicebrigadiere – e questo è il certificato.
Casalta legge le prime righe che recitano Ho osservato la Sig.na Ida Tudda da Cosenza e riscontro in corrispondenza del contorno inferiore dell’orificio anale delle piccole escoriazioni che danno bruciore… e pensa che la storia meriti di essere approfondita, così fa subito delle indagini trovando parecchi riscontri che fa esaminare ai suoi superiori, i quali decidono di arrestare la madre di Ida con l’accusa di lenocinio in danno della propria figlia di anni 14.
Italia Tudda ovviamente nega ogni addebito. Nega anche di essere stata a mangiare a casa dell’amante di Massimilla ma tutte le persone coinvolte nella vicenda la smentiscono recisamente su questa circostanza.
– Mia figlia mi accusa senza ragione. Essa mi vuole male e sempre ha detto che doveva rovinarmi per poter restare libera e così fare i comodi suoi – si difende.
Ognuna delle persone coinvolte nella faccenda tenta di tirarsene fuori raccontando versioni più o meno fantasiose. Per esempio, Gaetano Gentile, ventinovenne rappresentante in tessuti e carbon fossile, racconta:
– Circa due mesi or sono ebbi occasione di conoscere la ragazza Tudda Ida allorquando io, verso le ore 13 di un giorno che non ricordo, rincasando nella mia abitazione sita in Piazza Marco Birardi e transitando per una traversa di via Barisalfi (Abate Salfi, nda) udii delle grida provenienti dal pianterreno di un’abitazione sita nella traversa stessa. Avvicinatomi, m’introdussi nella abitazione dove notai che la suddetta ragazza stava alle prese con una donna anziana, che dalla ragazza ho saputo che era la madre di costei. Chiesi il motivo di quell’alterco e la fanciulla mi rispose, facendo allusione alla madre, con queste testuali parole: “Mi vuole rovinare”. Poiché la quistione, pel mio intervento si chiuse senza incidente, ed io reso edotto da un vicino di quella casa che simili scenate avvenivano di frequente tra la ragazza e la madre, lasciai l’abitazione e rientrai in casa mia. Dopo circa 15 giorni, nei pressi della suddetta località venni fermato dalla piccola Tudda che mi rivolse queste parole: “Quel giorno lei mi poteva salvare portandomi in Questura, giacchè in quello stesso giorno io scappai di casa in compagnia di un muratore”. Questo è successo e non è vero che io abbia mai parlato con la madre e che abbia mai avuto rapporti carnali con la ragazza.
Il particolare della presunta fuga di Ida con il fantomatico muratore incuriosisce gli inquirenti, che ne chiedono conto alla ragazza. Ida non ha difficoltà ad ammettere:
– È vero che nell’aprile scorso sono scappata di casa con un certo Cavallo che mi condusse in località Grotte di Pietrapiana. Il Cavallo (Osvaldo Cavallo, nda) mi fu fatto conoscere da mia madre e per istigazione sua io lo seguii. Anzi, mia madre mi propose di scappare o col Cavallo o con altro delinquente ben noto alla Pubblica Sicurezza. Io preferii andare col Cavallo, dal quale mia madre si fece dare 10 lire come compenso di avermi deflorato. Indignata per questo fatto feci ricorso alla Questura. Mia madre fu chiamata in Questura e dette querela contro il Cavallo, ma poi la ritirò dietro promessa di lire duemila che poi non dette.
Tutto vero. Le carte in Questura ci sono e il quadro si fa sempre più desolante.
Silvio Massimilla, l’uomo indicato da Ida come colui il quale avrebbe tentato di sodomizzarla ricostruisce quel giorno:
– Sono capo elettricista presso la Società Elettrica Bruzia e per le mie funzioni, e anche perché ho un’amante in Via Messer Andrea, passo quasi quotidianamente in Via San Tommaso, dove abita Italia Tudda con sua figlia Ida. Per questo motivo ho fatto amicizia con loro. Circa tre mesi fa ho saputo che la ragazza era stata sedotta e in seguito posseduta da diversi giovanotti, tanto che 15 o 20 giorni fa è stata ricoverata in questo ospedale perché affetta da malattie veneree. Ida, prima di essere ricoverata, mi fece proposta di voler diventare mia amante ma, data la sua giovanissima età, non accettai. Dall’ospedale mi scrisse tre lettere pregandomi di prenderla come amante ma io rifiutai nuovamente. Pochi giorni fa, dimessa dall’ospedale, passò dalla sede della Società Elettrica accompagnata dalla madre che mi pregò di andare a casa loro perché dovevano parlarmi. Il 24 scorso, terminato il mio turno di lavoro, andai a casa della mia amante in Via Messer Andrea e mentre ero intento a innaffiare dei fiori venne Cimice grassa a dirmi che c’erano Italia Tudda e sua figlia che mi volevano parlare e dopo molte insistenza le feci salire. Con loro, oltre a Cimice grassa, c’era un certo Gaetano Gentile. Chiesi a Italia il motivo per cui voleva parlarmi e lei disse che la figlia Ida non voleva più convivere con essa e che desiderava diventare la mia amante e, nel medesimo tempo, mi pregò di convincere la ragazza a ritirare una denuncia che aveva sporto contro di lei con l’accusa di farla prostituire. Io dissi alla ragazza di ritirare la denuncia e lei rispose che l’avrebbe ritirata solo se la madre avesse acconsentito a farle fare ciò che voleva e si lamentò anche che quel giorno non l’aveva fatta mangiare. La madre protestò che non aveva soldi per comprare niente e allora io, mosso a compassione, presi £ 10 che consegnai al Gentile, pregandolo di comprare pane, provolone ed un po’ di salame. Dopo aver consumato la piccola colazione Franceschina Cimice grassa se ne andò, seguita subito dopo da Gentile e da Italia e sua figlia. Questo è tutto. Non è vero che Ida è rimasta da sola con me e che io ho approfittato di lei. Se ha detto quelle cose è perché io ho rifiutato di prenderla come amante. Per dimostrare che quello che dico è la verità, queste sono le lettere che mi ha spedito – termina porgendo al Maresciallo Corrado Moccia che lo interroga tre buste da lettera.
Ospedale Civile, Cosenza 17/6/931
Carissimo Silvio
Tiscrivo questa mia lettera per farti sapere che sto bene e così voglio sperare di te.
Dunque io ti raccomando di fare tutto ciò che abbiamo parlato perché io mimetto la testa e farò il mio dovere perché voglio amare solo ate e a nessuno altro più. Quando esco te lofarò sapere subito e quando esco verrò direttamente da te perché a casa di mia mamma non civado più. Tu ti farai trovare davanti alla Bruzia così cinandiamo insieme perché adesso ò passato tutti questi patimendi e ora mi voglio mettere la testa a posto con te senza fare sapere nulla a mia mamma.
Caro Silvio se non ti dispiace mimandi un paio di calze perché quando esco nonò che mi mettere perché alla mia mamma cilò mandato a chiede e non milà voluto mandare.
Non mi credo lora diuscire dallo ospedale per ci potere unire tutte due.
Io non altro, penzerai tu per tutto ora ti mando i più cari saluti e sono tua se crede
Ida Tudda
Ri spondi subito
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Ospedale Civile 20/6/931
Carissimo Silvio,
oggi a punto ricevuto la tua lettera dove provai tando piacere di leggere e sendire le tue parole.
dunque caro Silvio ieri era uscita e per il male che tengo dentro la vescica non mià mandato via che grido tutti i giorni e notti che non posso stare anzi aieri evenuta la mia matre dentro lo spedale che venuta per la sua commare che e amalata e venuta anche damé maio non lò vista perché ero svenita in letto. Se mi mandi i calzi grazie
ora non altro che dirti, tu sai tutto quello che ti voglio dire
saluti con affetto
tua Ida
Rispondi
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Cosenza 23-6-31
Caro Silvio
Mi devi scusare che ti scrivo queste poche righe perché tu ben lo sai che non sono capace da scrivere ma se non sono capace io il mio unico pensiero e sempre rivolto a te che tanto l’amo. Silvio caro ti faci sapere che ò passato la visita da Caputo mià trovato guarita spero presto di uscire fuori da questi quatro mura che sono stanca di stare qui. Ti prego di mettere a posto tutta la roba di casa e di fare il bravo perché io ò messo la testa a posto e non faro più la civeta, Amore mio.. Ti pregherei se potessi mandarmi un po di soldi mentre mi trovo senza un soldo non sarai tanto cattivo di non mandarmeli mi farai il piagere se mi manderai quella cosa che tò mandato a dire, perché non lò ricevuta. Ti facio sapere insetimana vengo fuori, spero che starai bene di salute come pure ti posso securare di me. Ti raccomando di mandarmi subito i soldi per raccomandata. Termino con darti tanti saluti e bacioni da chi sempre ti ama.
Tua sempre
Ida Tudda
Beh, da quello che Ida scrive a Silvio non può che sembrare che tra i due ci fosse già da tempo una certa intimità e la ragazza, assicurando di aver messo la testa a posto e promettendo di non fare più la civeta, non sembra essere quello che vorrebbe far credere.
– Riconosco per mie le lettere inviate al Massimilla dall’Ospedale Civile il 17, il 20 e il 23 giugno 931. Io sono analfabeta ma queste lettere, su mia dettatura, furono scritte da persona di fiducia mia. Scrivevo al Massimilla chiedendogli denaro, un paio di calze e proponendogli di andare a vivere con lui come amante perché sapevo che mia madre era contenta ed anzi mi consigliava tutto ciò. – ammette Ida, che spontaneamente aggiunge – Due anni fa mia madre iniziò una pratica per farmi rinchiudere in casa di correzione. Essa prima, fin da quando io avevo 10 anni m’istigava alla prostituzione e poiché io non volevo accedere ai suoi desideri, cercò di sbarazzarsi di me facendo, appunto, istanza di ricovero. Mi propose finanche di avere rapporti con un suo amante.
I documenti che la Polizia va a spulciare le danno ragione e il giudice si convince della sua sincerità. A suo favore c’è l’incapacità della madre a smentire con dati di fatto le accuse che le rivolge Ida e ci sono le numerose contraddizioni in cui cadono i testimoni nel ricostruire gli eventi. Anche le lettere sono una prova del degrado in cui è maturata tutta la vicenda.
Italia Tudda viene rinviata a giudizio con l’accusa di aver, per servire l’altrui libidine, indotto alla prostituzione ed esercitata la corruzione della figlia Ida di anni 14, facendola a fine di lucro congiungere con il Gagliardi Ernesto e Massimilla Silvio i quali essendo clienti e avendo regolarmente pagato la cifra pattuita restano nel processo solo come testimoni. La colpevole, punita con quattro anni di reclusione, è Italia Tudda[1], ma i veri colpevoli sono rimasti a piede libero.
[1] ASCS, Processi Penali.
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