IL TERZO UOMO

– Avete visto Mastro Luigi? – chiede il bovaro Federico Fucetola a due anziani, seduti a prendere l’ultimo sole di settembre su di un gradino accanto alla bottega del fabbro ferraio Luigi Desiderato.
– È andato da Mastro Gerardo Pagano – gli rispondono.
Il bovaro storce il muso. Ha fretta di ferrare i suoi buoi che ha lasciato sulla spiaggia di Paola e il fatto di dover andare nella bottega di Pagano lo infastidisce non poco, perché è da tempo che non gli rivolge la parola per questione di gioco di carte, ma la necessità è impellente e si incammina. Quando è sulla porta della falegnameria di Gerardo Pagano non vede nessuno e così decide di mettere piede nella bottega per chiamare il fabbro.
– Scostumato che non sei altro! Come ti permetti? Tu qui non devi entrare! – lo accoglie Pagano, poi gli da uno spintone per farlo uscire. Fucetola reagisce spingendolo a sua volta e i due finiscono per accapigliarsi e finiscono avvinghiati a terra. Solo l’intervento di Mastro Luigi Desiderato pone fine alla questione e il fabbro col bovaro vanno sulla spiaggia per ferrare i buoi.
Mastro Luigi lavora alacremente e Fucetola lo aiuta per finire prima del tramonto, quando spunta alle loro spalle Gerardo Pagano con in mano un’accetta.
– Ora la finiamo una volta per tutte! – urla avventandosi contro il bovaro, che riesce a schivare il colpo e si mette a correre sulla sabbia, inseguito per qualche centinaio di metri da Pagano, che alla fine desiste.
– Prima o poi con quello finisce male – dice Fucetola, ancora ansimando, al fabbro. Poi tornano insieme nella bottega e, terminato il lavoro, ognuno va per la propria strada.
Ma non è ancora finita. Pagano, ormai partito di testa, aspetta l’avversario con un coltello in mano e lo aggredisce di nuovo e di nuovo Fucetola riesce a scappare dirigendosi verso l’Ufficio del Dazio, dove ci sono un sacco di agenti della Guardia di Finanza e adesso si sente al sicuro. Però non ha fatto i conti con la feroce determinazione di Mastro Gerardo a chiudere i loro conti e se lo trova ancora una volta davanti. Questa volta sa che non potrà evitare lo scontro e quando Pagano sta per lanciarsi addosso a lui, estrae dalla tasca una rivoltella e fa fuoco.
Per fortuna di Mastro Gerardo il colpo è male indirizzato e la pallottola lo ferisce di striscio a una spalla. Fucetola butta la rivoltella e cerca di scappare prima che i finanzieri escano dalla caserma, ma per sua sfortuna proprio in quel momento sta rientrando la Guardia Domenico Feurra che si mette a inseguirlo, come lo insegue anche Pagano dopo aver raccolto la rivoltella dell’avversario, pronto ad usarla a sua volta.
Il bovaro entra nel cantiere dove si fabbricano i blocchi di calcestruzzo che servono alla costruzione del porto di Paola e cerca di nascondersi, ma la Guardia lo vede e lo acciuffa. Nel frattempo arrivano altri finanzieri richiamati dallo sparo e dalle urla dei passanti. Vedono Pagano armato e lo bloccano, mentre Feurra trascina per un braccio il bovaro.
È tutto finito e per fortuna c’è scappata solo una ferita molto superficiale.
Mentre Feurra e Fucetola camminano uno di fianco all’altro, da dietro un blocco di calcestruzzo sbuca un uomo armato di rivoltella il quale, a non più di due metri di distanza, spara un colpo contro il bovaro, ferendolo gravemente alla gola. Gli altri agenti si buttano sull’uomo, identificato per il ventitreenne fuochista Alfredo Laudonio, e l’arrestano, ma non riescono a sequestrargli l’arma perché aveva già fatto sparire la rivoltella, forse in mezzo alla folla che si era adunata intorno, né fu possibile più ritrovarla.
È il 29 settembre 1915 e il sole è quasi del tutto tramontato quando i tre vengono portati nella caserma della Guardia di Finanza in attesa dell’arrivo dei Carabinieri e intanto procedono a una prima sommaria ricostruzione dei fatti. Così scoprono che Alfredo Laudonio, l’uomo che ha ferito il bovaro, è un soldato del I° Reggimento Artiglieria di stanza a Casale Monferrato, a Paola in licenza di convalescenza. Accertano anche che è il cognato di Mastro Gerardo Pagano e le cose adesso cominciano a diventare più chiare.
Arriva anche il medico che visita i feriti e giudica la ferita riportata al collo dal bovaro Fucetola non grave, sebbene il proiettile sia entrato nella parte anteriore sinistra del collo, poco sopra l’inserzione tra lo sterno e la clavicola, e non presenta foro di uscita. Il dottor Beniamino Magnavita ritiene imprudente specillare la ferita per stabilirne il percorso nel corpo del ferito e ipotizza che esso o sia incuneato in un punto in cui la nostra osservazione non arriva, ovvero che abbia ferito senza penetrare oltre i due centimetri caduti sotto la nostra osservazione e afferma che la ferita è guaribile oltre il decimo giorno salvo complicanze e reliquati.
Quando arrivano i Carabinieri portano tutti e tre gli arrestati nel carcere di Paola, ma appena riferiscono al Pretore che Laudonio è militare in servizio, questi ne dispone il trasferimento presso la camera di sicurezza del Distretto Militare di Cosenza.
La dinamica dei fatti e le singole responsabilità a questo punto sembrano chiare e il procedimento penale può avviarsi a una rapida conclusione con l’accusa di tentato omicidio per Laudonio e Fucetola e di concorso nello stesso reato per Pagano. Ma nel giro di pochissimi giorni le condizioni del bovaro peggiorano. Alla ferita da arma da fuoco si aggiunge una pleurite essudativa del polmone sinistro e il dottor Magnavita certifica che è in pericolo di vita. Il 10 ottobre l’avvocato Samuele Tocci, considerato che Fucetola è  piantonato nel suo letto di dolore e quindi motivi di giustizia e di umanità consentono che le sue sofferenze non si aggravino oltre con un provvedimento di rigore, fa istanza al Procuratore del re di Cosenza chiedendo la scarcerazione del suo assistito. Viene ordinata una perizia medica della quale è incaricato lo stesso dottor Magnavita il quale, dopo cinque giorni relaziona: trovo che la lesione esternamente è guarita e la malattia e la incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 16. l’infermo attualmente grandemente migliorato dalla pleurite, giusto il mio ultimo referto del 9 corrente mese, non si può tuttavia dichiarare fuori pericolo di vita per l’estrema debolezza. Tale stato può avere la durata di 5 o 6 giorni e attualmente non posso precisare il termine per la completa guarigione. Ovviamente Fucetola resta piantonato nell’infermeria del carcere e il Procuratore del re chiede una nuova relazione da consegnargli il giorno 20 successivo, ma il 18 ottobre il bovaro muore.
Il Procuratore del re non la prende bene e ordina che sia eseguita una perizia necroscopica sul cadavere di Fucetola, anche per stabilire se il dottor Magnavita abbia agito con competenza o meno e se la pleurite può essere messa in relazione con la ferita al collo. Nello stesso tempo il capo d’imputazione cambia in omicidio volontario.
In questi venti giorni sorge un altro problema: Laudonio viene praticamente dimenticato nelle prigioni della Caserma Fratelli Bandiera, senza che nessuno si preoccupi di andare a interrogarlo. Ma la competenza di chi è? Della giustizia militare o di quella ordinaria? La questione è spinosa e ci vorrà del tempo per risolverla.
Quello che invece si risolve subito è la questione sulle cause che hanno determinato la morte del bovaro. La perizia, affidata ai dottori Natale Logatto e Alessandro Adriano di Cosenza, deve chiarire i tre quesiti che i giudici pongono: 1) Quale sia stata la causa unica ed esclusiva della morte del Fucetola; 2) In quale relazione con la stessa stia la ferita da arma da fuoco riportata; 3) Se, dato l’esame anatomico di tutti gli organi del Fucetola, possa dirsi che esistevano cause preesistenti, o che vi siano cause sopravvenute che abbiano in alcun modo contribuito alla morte del detto Fucetola.
I periti stabiliscono che la diagnosi esatta della malattia mortale è: pleuro-mediastinite purulenta acuta con generalizzazione settico-piemica. Poi stabiliscono che il proiettile è penetrato nel mediastino [Il mediastino è la porzione della cavità toracica compresa fra le due pleure, dette perciò mediastiniche. (dalla relazione dei periti) nda.] posteriore e nella pleura sinistra con lesione dei corpi della seconda e terza vertebra dorsale.
In questo piccolo spazio del corpo, fanno notare Logatto e Adriano, sono compresi molti organi vitali e, criticando le ottimistiche previsioni del medico curante, è facile comprendere la gravezza delle lesioni che possono colpirlo e, nonostante tutto, bene hanno fatto i medici curanti a non tentare un intervento chirurgico perché l’esame esterno non lasciava pensare che ci fossero delle lesioni ad organi vitali. Ma ecco in  giuoco dopo qualche giorno un fatto nuovo; la comparsa di una pleurite essudativa a sinistra. Qui comincia il pericolo di vita. E se il Dott. Magnavita avesse cercato di stabilire, anche con i semplici mezzi di cui ogni medico dispone, la natura dell’essudato, ancor maggiormente avrebbe avuto ragione di temere per la vita del Fucetola e non avrebbe lasciato adito alle rosee speranze che trapelano dalla sua perizia del 15 ottobre, dove egli si preoccupa della debolezza ed accenna ad una felice prognosi circa la pleurite. Era altrettanto facile diagnosticare la mediastinite? Avrebbe l’intervento operatorio, la operazione dell’empiema, potuto salvare l’infermo? No, rispondono i periti. La mediastinite è quasi impossibile da diagnosticare in presenza di una pleurite purulenta e, anche se diagnosticata e operata, il paziente sarebbe morto lo stesso perché la chirurgia del mediastino è oggi presso a poco ai suoi primi vagiti.
Concludendo, la morte non si sarebbe certo verificata se quest’individuo non fosse stato ferito. La causa della morte del Fucetola, cioè l’infezione, sta in rapporto diretto con la ferita d’arma da fuoco da lui riportata.
Quindi, essendo stata la morte di Fucetola conseguenza diretta del colpo di rivoltella, l’accusa di omicidio volontario viene confermata.
Intanto Alfredo Laudonio langue sempre dimenticato nelle prigioni della Caserma Fratelli Bandiera a Cosenza. Ci vorrà il 29 febbraio 1916 perché il Giudice Istruttore riesca a interrogarlo:
– Gli Agenti della Guardia di Finanza mentono – risponde alla contestazione del Giudice – non è vero che io sia rimasto nascosto tra i blocchi di cemento aspettando Fucetola. Io non ero insieme a mio cognato. Io ero nel Caffè Scrivano, che è vicino a dove accadde il fatto, e sono uscito quando ho sentito un colpo di rivoltella. Fuori del caffè c’erano degli amici i quali mi avvisarono che avevano sparato contro mio cognato Gerardo Pagano. Accorsi per vedere cosa stesse succedendo e nulla feci, né mi nascosi tra i blocchi di calce struzzo, né tanto meno ebbi il tempo di chiedere a mio cognato che cosa gli fosse accaduto per la molta gente che era corsa sul posto in cerca del feritore, che poi vidi che era il Fucetola che fu agguantato dalle guardie di finanza trovatolo nascosto dietro un masso di calce struzzo, ma che io non avvicinai, mentre tutti fummo condotti alla caserma.
– Quindi non avete sparato voi a Fucetola…
– No. D’altronde alla perquisizione fattami a due passi dall’accaduto, si constatò che io non avevo armi e aggiungo che solo in caserma seppi da mio cognato che Fucetola gli aveva sparato.
Purtroppo per lui nessun testimone è in grado di smentire le testimonianze degli Agenti che erano sul posto e per Laudonio si avvicina sempre più il giorno del giudizio.
Il 5 giugno 1916 la Sezione d’Accusa emette la sentenza di rinvio a giudizio nei confronti di Alfredo Laudonio per omicidio volontario e di Gerardo Pagano per minaccia a mano armata nei confronti di Federico Fucetola, prosciogliendolo dall’accusa di concorso in omicidio.
La Giuria, invece, riconosce a Laudonio di aver commesso il fatto nell’impeto d’ira o d’intenso dolore determinato da ingiusta ma non grave provocazione. Concesse le attenuanti generiche e quelle di cui godono i militari in servizio attivo, in tutto fanno 9 mesi e 15 giorni di reclusione. A Gerardo Pagano va un po’ peggio e infatti per il reato di minaccia a mano armata, senza la concessione delle attenuanti, si becca 1 anno e 4 mesi di reclusione, più uno di sorveglianza speciale. È il 2 luglio 1919.
Tutti e due ricorrono per Cassazione ma entrambi i ricorsi vengono rigettati perché inammissibili.[1]

 

[1] ASCS, Processi Penali.

Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta

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