LA VENDETTA DEI BRIGANTI

Durante il 1848 tutta l’Europa è interessata da moti rivoluzionari tendenti a ottenere dai sovrani costituzioni liberali. A Milano, con le cinque giornate, comincia la Prima Guerra d’Indipendenza. Anche il Regno delle due Sicilie  è interessato da questi moti. I liberali, cioè la nobiltà e i grandi proprietari terrieri, spingono per ottenere una nuova Costituzione che limiti i poteri del re; il re, appoggiato dal popolino, è ovviamente contrario e scoppia una vera e propria guerra civile.
La disciolta Guardia Nazionale affronta l’Esercito fedele al sovrano e furiose battaglie infuocano il Regno. Una delle più sanguinose è combattuta a Campotenese. A questo punto, anche il popolo scende in campo, forse sapientemente istigato dai comandanti dell’Esercito Regio, e
Nell’està del 1848 molti popolani dei casali di questa provincia, dominati dallo spirito di profitto e di rapina divisarono darsi alla campagna e, facendo mano bassa alla altrui proprietà, consumarono degli ingenti danni, delle devastazioni ed altri atti violenti; alcuni, però, ravveduti, facevano poscia ritorno da pacifici nel seno delle loro famiglie, ma taluni altri più audaci si diedero apertamente a delinquere ed infestando in comitive armate le campagne apportarono lo spavento ai buoni e si lordarono col decorrere del tempo di non pochi ed atroci misfatti.
Oltre a questi, c’è chi ha già dei conti da saldare con la giustizia, chi ha approfittato dei momenti di confusione per regolare i propri conti e chi, con convinzione, ha portato avanti, e crede ancora di poter portare avanti, la propria idea politica. Ma, come è prevedibile, non appena il re e i liberali trovano un accordo a pagare è il popolo, nonostante stia dalla parte del monarca. La repressione comincia feroce ed è così che il valore della vita umana diviene quasi zero e ancor meno della vita vale la proprietà.
Sono compilati elenchi di centinaia di persone che, in un modo o nell’altro, hanno menato le mani. Decine di relazioni sui fatti vengono stilate e tutte sono concordi su un punto: queste lotte sono un fenomeno tipico dei Casali del Manco.
Per quattro anni il terrore devasta le nostre terre.
La notte tra il 17 e il 18 agosto 1850 nel cielo splende una luminosissima luna piena. Antonio La Via, cinquantenne massaro di Longobucco, terminato di mietere il grano in contrada Cognale del Forno nella Sila Greca, viene raggiunto  da un suo amico, Francesco Campana detto Ollitro, e i due discorrono un po’ del raccolto, poi si stendono sopra un cumulo di paglia e si addormentano.
Nel cuore della notte La Via si sente toccare un piede e si sveglia di soprassalto mettendosi a sedere. Si stropiccia gli occhi e davanti a lui si stagliano le figure di quattro uomini armati di tutto punto. “Briganti”, pensa subito, poi con tono cortese si rivolge loro
In che debbo servirvi?
– Come ti chiami? – gli chiede uno dei quattro.
– Antonio La Via…
– A Longobucco vi è truppa?
– Si…
Anche Francesco Campana si sveglia, disturbato dalle voci.
– E tu come ti chiami?
– Francesco Campana – l’uomo che fa le domande, sentendo quel nome, ha un sobbalzo e poi continua – uhm… hai qualche soprannome?
Ollitro… – l’altro quasi non gli fa finire la parola, afferra il coltellaccio che ha alla cintola e gli si lancia addosso urlando:
Bravo! Tu sei quello che facesti il tradimento a ‘Ntò ‘Ntò [Soprannome del brigante Giuseppe De Simone di Spezzano Piccolo]! Ti piacquero le quaranta piastre di premio… ed ora prendi quest’altro! – urla mentre conficca ripetutamente il coltello nelle carni di Campana, il quale lo implora di non finirlo.
– Ti prego… non sono stato io… te lo giuro… – poi cade a terra.
Il brigante sbuffa ma non lo colpisce più e Campana, dopo un po’, cerca di rialzarsi ma l’aggressore imbraccia un fucile e sta per sparargli a bruciapelo per finirlo, quando La Via si mette in ginocchio e lo implora:
Per carità! Non far fuoco che si attacca all’aja e ne resteranno distrutte le povere mie speranze! – a queste parole interviene un altro dei quattro che dice:
Pasquale non sparare che piange il giusto per il peccatore, ammazzalo a coltellate!
Questo contrattempo dà l’opportunità a Campana, sebbene ferito e sanguinante, di tentare una disperata fuga lungo il pendio sottostante, ma Pasquale, che ha ancora il fucile imbracciato, prende la mira e spara. La palla sibila accanto al fuggitivo che continua a correre con la forza della disperazione. No, non può scappare, non può passarla liscia. Gli altri tre briganti lo inseguono e gli scaricano i fucili addosso.
La Via è stato raggiunto da un suo figlioletto che dormiva poco distante e che adesso piange per lo spavento mentre lo abbraccia; i tre tornano indietro ridendo e vantandosi di averlo raggiunto e finito di ammazzare.
– Ma cosa vi aveva fatto? – La Via si azzarda a chiedere.
– Non l’hai sentito? Ha fatto prendere ‘Ntò ‘Ntò e le guardie lo hanno giustiziato. Io sono Pasquale Anania [Il vero nome è Pasquale Russo, detto Anania], lui è Fortunato Federico ‘U Prievite – continua indicando anche gli altri – lui è Filippo Curcio e l’ultimo è Pasquale Marino Salatino. Siamo venuti qui dalla montagna di Acquafredda per andare ad ammazzare Francesco Sapia che i primi di luglio ci ha fatto tendere un’imboscata dalla forza pubblica, a cui siamo scampati per miracolo. È stata una consolazione non sperata di trovare casualmente Campana, due colpi con un solo viaggio!
– Ma non è stato Ciccio Sapia, è stato suo fratello Giuseppe a fare la spiata – La Via sa che non è vero quello che sta dicendo, ma lancia quella accusa in quanto sa che Giuseppe Sapia non può essere colpito dalla vendetta dei briganti perché è carcerato.
Giuseppe c’entra pure, ma l’opera fu tutta di Francesco perché Giuseppe è uno stolto! – e senza aggiungere altro si allontanano tutti e quattro in direzione dell’aia di Francesco Sapia.
– Avete ammazzato Ollitro, lasciatelo stare a quell’altro… perdonatelo – balbetta La Via prima di vederli sparire in mezzo a un gruppo di alberi.
La notte tra il 17 e il 18 agosto 1850 anche i fratelli Giuseppe e Pietro Carmine Gagliardi stanno dormendo della grossa dopo aver travagliato tutto il giorno per la trebiatura del grano in contrada Cognale del Forno. Con loro c’è anche il proprietario del grano, loro cognato, Francesco Sapia. I tre sono stesi su di un cumulo di paglia uno accanto all’altro: i fratelli Gagliardi ai lati e Sapia al centro.
La detonazione, proprio accanto alle loro orecchie, fa mettere a sedere i fratelli Gagliardi con gli occhi sbarrati. Ci vogliono solo pochi secondi perché riescano a mettere a fuoco le sagome di quattro uomini che si stagliano nella luce della luna alle loro spalle. Uno dei quattro, piegato in avanti verso i Gagliardi, ha chiaramente una pistola in mano, ma non la sta puntando contro nessuno dei due. Piuttosto la sta puntando verso Francesco Sapia. I due fratelli istintivamente si girano verso il loro cognato ma non lo vedono seduto e sveglio come loro due: sembra che la detonazione non lo abbia disturbato affatto dal suo sonno.
L’uomo piegato e con la pistola in mano adesso è chiaro che ce l’ha con Sapia perché gli domanda, come per prenderlo in giro:
Dove ti ha preso il colpo?
Su la zinna… – risponde Sapia con un filo di voce. I fratelli Gagliardi si guardano negli occhi spalancando la bocca per la sorpresa, mentre Sapia comincia a piangere e poi, con voce appena intelligibile e fioca, chiede all’uomo con la pistola:
– Perché mi avete sparato? Non vi ho fatto niente… – nessuno gli risponde e i fratelli Gagliardi adesso tremano di paura temendo che possa toccare loro la stessa sorte. Uno degli sconosciuti, accortosi di ciò, li tranquillizza:
Non abbiate paura, però un di voi che vada subbito subbito a trovare i bovi di costui e li conduca qui se non volete essere massacrati anche voi!
Giuseppe Gagliardi salta in piedi e fa cenno agli uomini che andrà lui a prendere i buoi e si allontana. Ci mette solo pochi minuti a tornare indietro tenendo i due grossi animali ma, prima di affacciarsi sull’aia dove sono riuniti assalitori e prigionieri, sente due detonazioni di fucile. Il timore che quegli uomini abbiano potuto sparare anche a suo fratello è grande e gli fa piegare le ginocchia, ma si fa forza e strattona i buoi per farli andare più veloci e poter vedere, quindi, cosa diavolo sta accadendo.
I colpi, come uno degli uomini aveva promesso, non sono stati indirizzati contro Pietro Carmine Gagliardi, ma sono serviti per mettere fine all’esistenza di Francesco Sapia. Giuseppe Gagliardi, appena si affaccia sull’aia con i buoi al seguito ha il tempo di assistere allo scempio del cadavere di suo cognato: uno degli uomini con un colpo di scure, violento e ben assestato, lo decapita!
Poi gli uomini rivolgono la propria attenzione ai buoi: li legano a un palo conficcato nel terreno e sparano due fucilate in testa a ciascuno: i poveri buoi hanno un sussulto poi cadono  morti stecchiti.
– Bruciamo tutto! – propone uno dei quattro
– No! Per carità non fatelo! – li implorano i due fratelli Gagliardi buttandosi in ginocchio e piangendo – c’è anche il nostro grano e sarebbe come uccidere anche noi!
A questa supplica gli assassini desistono dal loro proposito.
– Che ora è? – Chiede uno dei quattro uomini
Sono quattr’ore – gli risponde un suo compare dopo aver cavato l’orologio esponendolo alla luna che battea lucidissima.
E così dicendo, tutti e quattro con una grande disinvoltura, come se nulla avessero fatto di male, si son posti a passeggiare, a cantare e a deridere i fratelli Gagliardi che stanno ancora piangendo.
Volete ora sapere perché abbiamo fatto ciò? Sappiate che costui ne’ primi del decorso mese ci fè passare pericolo di esser presi dalla forza perché andò ad avvertirla della nostra permanenza nella montagna e noi siamo la comitiva del Prete, cioè io sono Anania – dice l’uomo che ha sparato il colpo di pistola contro Francesco Sapia mentre stava dormendo – questi è Fortunato Federico, quest’altro è Filippo Curcio, marito della vostra paesana e l’ultimo è Pasquale Salatino. E badate e tremate di portare rapporto sopra i fatti nostri nelle occorrenze perché farete l’istessa fine. Di questo fatto però andatene a fare rapporto e parlatene anzi pubblicamente affinché s’imparino a rispettarci!
– Ma come avete fatto a riconoscere nostro cognato? Avreste potuto ammazzare uno di noi due che siamo innocenti – Giuseppe trova un po’ di coraggio.
Io lo conoscevo prima di te e la luna non mi ha fatto stentare a riconoscerlo subbito fra voi tre! – risponde Anania.
Poi i quattro briganti siedono a terra per riposarsi un po’ e quindi se ne vanno, non senza avere prima imposto ai fratelli Gagliardi di non muoversi dall’aia fino a che non sarà spuntato il sole.
Ma i Gagliardi non se la sentono di restare in quel posto col cadavere decapitato del cognato a fianco e chiedono ai briganti di poter andare all’aia di Antonio La Via, seppure abbastanza distante.
– Se volete potete andarci, ma ci troverete una bella sorpresa!
Giuseppe e Pietro Carmine, arrivati nell’aia di Antonio La Via che è ancora notte, apprendono dell’uccisione di Ollitro e, non appena la luce del sole comincia a fare capolino dietro le montagne, si mettono alla ricerca del cadavere e lo avvistano in un profondo burrone. Non possono perdere tempo a cercare di recuperarlo, devono andare subito a denunciare i fatti, così si avviano verso Longobucco per eseguire l’ordine dato loro dai briganti.[1]

 

[1] ASCS, Gran Corte Criminale

 

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