FICHI SPORCHI DI SANGUE

I due contadini parlano in modo concitato tenendo i loro cappelli in mano. Seduto davanti a loro c’è il Maresciallo Maggiore Giuseppe D’Arpini, comandante della stazione di Cetraro.

È il 28 ottobre 1917, è mezzogiorno e dalla cucina della caserma viene l’odore della minestra di fagioli a stuzzicare l’appetito dei presenti

– Ma insomma, il morto dov’è? Dalla parte di Bonifati o di Cetraro? Se è dall’altra parte devono intervenire i colleghi…

– Marescià… che ne sappiamo noi dei confini dei comuni? Noi, semmai, sappiamo i confini delle proprietà! Comunque, ripetiamo, il morto è sulla stradella che dalla frazione Difesa, che è sicuro di Cetraro, proprio nel mezzo del bivio dove da una parte si va a Bonifati e dall’altra si viene a Cetraro. Noi ve lo stiamo dicendo, poi chi ci vuole andare ci vada!

– Va bene, va bene… ma avete notato qualcosa di strano vicino a questo Bianco Gioacchino, il morto?

– C’è l’asino caricato con due sacchi di castagne, sicuramente è stata una disgrazia…

D’Arpini, congedati i due contadini, si mette a fare due conti: il telegrafo è rotto, lui ha un solo carabiniere a disposizione, da soli non si può andare e se andassero tutti e due la caserma resterebbe vuota e in balìa di chiunque volesse approfittarne. Che fare? La soluzione c’è ed è proprio davanti a lui: i due militari in licenza che sono lì per farsi mettere il timbro di arrivo.

– Monti! – tuona chiamando il carabiniere intento a cucinare – corri qui! Voi due non vi muovete se no vi rispedisco al Corpo! – intima ai due soldati che si guardano perplessi tra di loro. Intanto il Carabiniere Monti fa suonare i tacchi – Senti, c’è questa grana sulla strada per la Difesa. Io non posso andare perché ho del lavoro da sbrigare, andrai tu con questi due giovanotti. È una cosa veloce, pare che uno sia morto con un colpo apoplettico in mezzo alla strada… su, correte, al massimo tra tre ore e mezzo sarete di ritorno!

– Ma…

– Che ma e ma… marsh! Via! correre!

Il Carabiniere e i due soldati, arrivati nella frazione Dattolo, da cui bisogna per forza passare, apprendono che non si è trattato di un colpo apoplettico ma di un omicidio probabilmente commesso per motivi di interesse dall’unico nemico del morto, Francesco Cosentino. I tre proseguono il cammino e, giunti sul posto, Muti lascia i soldati a piantonare il cadavere tra le inenarrabili bestemmie dei due, mentre lui torna di corsa in caserma ad avvisare il Maresciallo, ma ormai è notte e se ne riparlerà domani.

Le persone sommariamente interrogate nei pressi del luogo del delitto sono concordi nel ritenere Francesco Cosentino, o tutt’al più suo padre Antonio, il possibile sicario che ha freddato Bianco con due colpi di fucile caricato a pallini, centrandolo tra la faccia, il collo e le spalle. Il Maresciallo ordina a Muti e ai due soldati di andare a cercare Francesco Cosentino e di portarlo in caserma, dove nel frattempo comincia a stendere qualche verbale di interrogatorio

Domenica sera 21 corrente – riferisce Saverio Bianco – il Cosentino Antonio e figlio Francesco, verso le ore 18 con pretesti cercavano di fare uscire da casa il Bianco Gioacchino e visto che questi non usciva, morsero il berretto e fecero grave minaccia.

– Vicino al posto dove è stato trovato il povero Bianco – attacca Annibale Tripicchio – ho visto un soldato armato di fucile a due canne corte, tale da farmelo sembrare un moschetto da carabiniere e portava a tracolla un tascapane militare. Questo soldato mentre io passavo si girò di spalle forse per non farsi conoscere ed io, nulla presagendo, non vi feci caso. Era piuttosto scarno, di statura media, piuttosto bassa – nel frattempo, Muti e i due soldati trovano il sospettato in casa e lo accompagnano in caserma. È l’occasione per fare delle verifiche al racconto di Tripicchio. D’Arpini si fa dare la divisa, completa di tascapane, da uno dei due soldati e la mostra all’uomo, insieme a un fucile, che osserva tutto attentamente e dice – la giubba che mi si mostra non mi sembra quella che indossava il soldato, così pure i pantaloni non sembrano quelli, ma potrei sbagliarmi perché non vi badai poi troppo bene. Però il tascapane mi pare come quello che portava il soldato. Riguardo poi al fucile mi sembra di ravvisare quello che viddi al soldato… – poi il Maresciallo fa entrare Francesco Cosentino e lo mostra al testimone – mi fa nascere la convinzione che sia proprio lui quel soldato che io viddi ieri mattina verso le 11,00

C’è però un problema: Francesco Cosentino non potrebbe avere una divisa perché è stato riformato del tutto dal servizio militare per avanzata Tubercolosi polmonare ma il Maresciallo fa tornare Muti in casa del sospettato e dopo un’accurata perquisizione alla presenza del padre, spuntano un tascapane, una giubba di tipo militare e un fucile a retrocarica a due canne. È lui! Ma siccome il carabiniere nota delle strane manovre tentate dall’anziano Cosentino, lo prende per un braccio e lo porta in caserma.

– Il fucile non spara da più di un anno e siccome si stava arrugginendo, cinque giorni fa l’ho ingrassato – dichiara Antonio Cosentino

– Non è vero – affermano tre esperti di armi chiamati dal Maresciallo – il fucile è stato ingrassato ieri per nascondere le tracce di un  recentissimo uso che comunque è ancora evidente all’interno delle canne

Certo, che sia stato Francesco Cosentino o il padre o tutti e due, per uccidere un uomo sparandogli alle spalle ci devono essere fortissimi motivi di risentimento e di odio. Tutti i testimoni sono concordi nell’affermare che tra Gioacchino Bianco e i due Cosentino c’erano dei contrasti per questioni economiche. Quali?

Un albero di fichi posto sul confine delle rispettive proprietà, questo è il motivo economico! Bianco si raccoglieva i fichi dicendo che erano suoi, mentre il Cosentino Francesco li riteneva suoi, scrive il Maresciallo in un rapporto.

Ma la lite sui confini rischia di coinvolgere anche i Carabinieri perché non essendo chiaro se il luogo dove è stato trovato il cadavere del povero Bianco sia in territorio di Cetraro – che ha la sua caserma – o di Bonifati – sul cui territorio è competente la caserma di Belvedere Marittimo – non si capisce bene chi debba indagare sull’omicidio. Per non sbagliare, indagano tutti!

Così il Vicebrigadiere Michele Di Nicola, comandante ad interim della stazione di Belvedere, interroga Francesco Cosentino e gli chiede se è vero che è andato a cercare Bianco a casa la domenica prima

–  Si, ci sono andato con mio padre che invitava il Bianco ad uscire dicendo: «Esci fuori che dobbiamo aggiustare i confini» e quello rispose: «Ma ora è tardi, lascia stare adesso, un altro giorno li facciamo» e mio padre insistette ancora: «Adesso devi venire!» e preso il berretto che aveva in testa in segno di minaccia lo morse e faceva gesti che si disperava perché non aveva ottenuto l’intento.

Poi interroga i figli della vittima i quali affermano che le parole dette dal vecchio Cosentino non erano quelle riportate dal figlio ma bensì: «Esci porco! Stasera bisogna farli».

Sul vecchio Cosentino non ci sono indizi se non l’inimicizia e le parole dette la domenica precedente al fatto e così viene lasciato andare. su Francesco, invece, le prove aumentano ogni giorno che passa e portano i Giudici a ritenere che abbia premeditato il delitto. Per esempio, in un interrogatorio ammette che la mattina del delitto è uscito di casa dicendo alla moglie di non preoccuparsi se non lo avesse visto tornare e uscì portando come colazione delle uova e delle mele: a poca distanza dal cadavere di Bianco sono stati trovati gusci di uova e bucce di frutta. La contraddizione in cui cade affermando che la mattina del fatto uscì di casa per recarsi dal padre senza colazione nel tascapane, correggendosi subito e affermando di avere consumato la colazione a casa del padre. Un altro testimone giura di averlo incontrato prima dell’omicidio vestito da militare col fucile in spalla.

In questo frattempo, Rosa Antonuccio, la vedova, visto che il vecchio Cosentino è uscito dal processo e ritenendolo invece fortemente coinvolto, comincia a raccogliere testimonianze che possano suffragare la sua tesi, ma i Carabinieri non riescono a trovare riscontri alle parole. Tutto cade nel vuoto e il 10 aprile 1918 la Sezione d’Accusa rinvia a giudizio Francesco Cosentino per omicidio per avere, il 27 ottobre 1917 in territorio di Bonifati, esploso a fine di uccidere due colpi di fucile contro Bianco Gioacchino che, ledendo l’arteria temporale e la vena giugulare destra, ne cagionarono la morte quasi immediatamente per sopravvenuta emorragia.

Così si è anche stabilito che il luogo del delitto era di competenza dei Carabinieri di Belvedere Marittimo.

Il processo non si farà: esattamente quattro mesi dopo il rinvio a giudizio, il 10 agosto 1918, Francesco Cosentino muore in carcere e cessa l’azione penale contro di lui.

Chi non si arrende ancora e pretende giustizia è Rosa che continua ancora per un anno a battersi perché venga incriminato Antonio Cosentino come mandante dell’omicidio di suo marito. Poi si arrende anche lei e viene scritta la parola fine su questa faccenda.[1]

Chi avrà avuto il coraggio di mangiare più quei fichi sporchi di sangue?

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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