LA FESTA DI MATRIMONIO

È l’alba del 23 maggio 1902. A Parenti molti stanno smaltendo la sbornia presa il giorno prima alla festa per il matrimonio tra Santo Marchio, ventottenne contadino di Bianchi, e Rosina Mancuso, diciannovenne del posto. Schitarrate, balli sfrenati, vino a fiumi, liquori e brindisi hanno fatto divertire tutto il paese fino a tarda sera e qualcuno avrebbe voluto proseguire per tutta la notte ma gli sposi, si sa, arrivata la sera hanno ben altro da fare che continuare a bere.

È l’alba del 23 maggio 1902, dicevamo, e Rosario Bianco, ancora assonnato e con la testa che ancora gli gira un po’, esce davanti casa sua nella piazzetta Castello per pisciare. Sbadiglia emettendo una specie di grugnito, si stiracchia le braccia, si sistema a gambe larghe, il busto tirato un po’ all’indietro, lo sguardo puntato nel vuoto e comincia a soddisfare il suo bisogno quando, cominciando a rientrare in sé, i suoi occhi vengono attraversati da una macchia rossastra a due o tre passi più avanti. Cerca di interrompe tutto ma si orina addosso. Incurante, si stropiccia gli occhi, restando nudo dalla cintola in giù inebetito. No, non può credere a ciò che sta vedendo, sarà ancora sicuramente ubriaco. Si stropiccia di nuovo gli occhi e si batte il viso con le mani. Niente, quella visione non vuole proprio andare via. Si avvicina, si inginocchia per essere proprio sicuro, allunga una mano e tocca, poi lancia un urlo disumano seguito da terribili maledizioni.

Davanti a lui, e l’ha pure toccato, c’è, bocconi, il cadavere di un neonato ancora sporco di sangue e del liquido amniotico, il cordone ombelicale attaccato e disteso e, pochi centimetri più avanti, la placenta.

Alle sue urla accorre gente, qualcuno va a chiamare i Carabinieri e arriva pure il medico del paese il quale, dopo essere stato autorizzato, esamina sommariamente il corpicino. A occhio non gli sembra che sia nato a termine ma un mesetto prima; non ci sono segni evidenti di violenza ma il cranio ha una infossatura sulla fronte come se avesse urtato contro qualcosa. In ogni caso sembra chiaro che il bambino era nato vivo e vitale, ma sarà l’autopsia a chiarire tutto.

Chi può essere stata la scellerata che ha fatto una cosa simile? E come mai invece di partorire in campagna e seppellire il corpicino in un posto sicuro lo ha lasciato in mezzo alla piazzetta?

I Carabinieri cominciano le loro indagini, ma pare che nessuno sappia niente di donne incinte che possano aver avuto interesse a nascondere il proprio stato. Non c’è il minimo indizio su nessuno e i Carabinieri brancolano nel buio.

Quella mattina, oltre a parlare del bambino, in paese si parla anche della festa di matrimonio e chi non ha potuto partecipare va a trovare gli sposi per fare gli auguri e portare i regali.

– Rosina non si sente bene, ieri sera ha bevuto e ballato tanto… poi, sapete com’è… ancora non si regge in piedi – risponde a tutti il marito facendo l’occhiolino.

Quella mattina i discorsi si intrecciano sulla piazzetta Castello e da una parola all’altra ci scappa anche qualche commento

– Avete bevuto assai ieri sera… sono stata a trovare gli sposi ma lei è ancora a letto ubriaca…

– Ubriaca? Ma se non ha bevuto nemmeno un bicchierino!

– No? Santino dice il contrario… dice pure che ha ballato assai!

– Allora l’ubriaco è Santino! Rosina né ha bevuto e né ha ballato perché diceva che le faceva male la pancia…

Qualcuno trova molto strana questa cosa e la voce, di bocca in bocca, arriva anche ai Carabinieri. È ormai passata una settimana.

– Vuoi vedere che la sposina… – azzarda il brigadiere Antonio Mercuri, comandante della stazione di Parenti – andiamo a farle gli auguri…

Ma a casa non trovano nessuno.

– Sono usciti stamattina presto… dice che dovevano andare a Rogliano a sbrigare delle cose – risponde una vicina.

In effetti, Rosina e Santino sono andati a Rogliano. Dal Pretore.

– Signor giudice, sono venuta spontaneamente a parlarvi di una cosa davvero importante – il pretore la guarda e la invita a continuare – sono io che ho partorito il bambino a Parenti… quello che hanno trovato nella piazzetta… – il magistrato sobbalza sulla sedia – ma non l’ho fatto volontariamente! Io da circa sei anni facevo all’amore con Santo Marchio, mio marito – continua indicando Santino – e sette o otto mesi fa non abbiamo resistito e ci siamo coricati insieme… – Rosina arrossisce e abbassa lo sguardo, poi continua – dopo poco mi sono accorta di essere rimasta incinta e abbiamo affrettato il matrimonio e ci siamo sposati il 22 scorso. Quella sera ho bevuto e ballato tanto, così come mio marito. Poi mi è venuto un mal di pancia fortissimo e sono uscita sulla piazzetta per soddisfare il mio bisogno corporale. Mentre ero accovacciata e mi sforzavo per andare di corpo ho mezzo capito che quello che stava uscendo non era… cioè era… insomma mi è uscito il bambino e tutto il resto. Io non sono pratica di come ci si sgrava e non sapevo cosa fare… poi c’era il liquore… sono tornata a casa e ho bevuto ancora… la mattina dopo non mi ricordavo niente… solo dopo aver sentito i paesani raccontare del bambino ho capito che dovevo essere stata io, ma mi vergognavo e mi sono stata zitta… non so nemmeno se il bambino l’hanno sotterrato o meno… sono innocente signor giudice! – termina tra i singhiozzi.

Il Pretore è sconcertato, gli verrebbe voglia di mollare due ceffoni alla ragazza ma mantiene il suo contegno, poi chiama l’usciere e fa convocare un medico per sottoporre Rosina a una visita ginecologica.

– Ha partorito non più di otto giorni fa – è la risposta.

Santino, il marito, conferma parola per parola la dichiarazione di Rosina e a questo punto non resta che interrogare formalmente i partecipanti alla festa.

– Né ha bevuto e né ha ballato, anzi diceva che aveva avuto una mestruazione così abbondante che non si sentiva di ballare tanto era debole – è la risposta di molti.

– La mattina che fu trovato il bambino morto, lei e il marito sono andati a Bianchi, se era debole come dice lei, come li faceva quindici chilometri a piedi? – raccontano altri.

Le cose per i due sposini si complicano terribilmente e vengono arrestati entrambi. Nel frattempo arrivano anche i risultati dell’autopsia: il bambino non era ancora a termine ma aveva certamente superato gli otto mesi di vita intrauterina; era vivo e vitale al momento della nascita e la morte era sopravvenuta sia per l’emorragia sottomeningea attribuibile ad urto contro corpo contundente che per l’anemia causata dal mancato annodamento del cordone ombelicale.

– Con cosa lo avete colpito? – il Pretore non usa mezzi termini.

– Nessuno lo ha colpito, ve lo giuro! Io ero accovacciata e il bambino è schizzato sulla strada… deve aver picchiato la testa per terra, sono innocente! – si difende, tra le lacrime, Rosina.

– Stai mentendo! – la accusa il Pretore.

– No! Sono innocente! Che motivo avrei avuto per fare una cosa del genere?

– Io ho scoperto che aveva sgravato solo il giorno dopo – giura Santino – ero ubriaco quella sera. E poi che motivo avrei avuto di sopprimere mio figlio? Io e Rosina siamo sposati e il figlio era nostro!

I Carabinieri, intanto, accertano attraverso le testimonianze delle amiche di Rosina che nessuno sapeva della sua gravidanza.

– Dopo il fidanzamento ufficiale girava in paese la voce che fosse incinta e noi le chiedevamo se avesse dormito con Santino ma lei ha sempre negato anzi ci faceva vedere dei pannolini sporchi di sangue per dimostrare che aveva le mestruazioni – rispondono.

Gli indizi sono gravi, così viene chiesto e ottenuto, l’otto novembre 1902, il rinvio a giudizio di Rosina e Santino con l’accusa di omicidio volontario per avere, in concorso fra loro, quali esecutori e cooperatori immediati, a fine di uccidere un infante non ancora inscritto nei registri dello stato civile e nei primi cinque giorni dalla di lui nascita, cagionata la morte per salvare il loro onore reciprocamente.

Il movente? Rosina avrebbe deciso di disfarsi del bambino per la vergogna, dopo aver sbandierato ai quattro venti di essere vergine. Santino sarebbe colpevole perché non è vero che non sapeva niente del parto della moglie in quanto quella sera mandò via alcuni amici che erano andati a trovarli per suonare e cantare, dicendo loro che Rosina aveva un forte mal di pancia e quindi era a conoscenza di ogni cosa.

Il processo tarda ad essere celebrato per il lungo sciopero degli avvocati, compresi Nicola Serra e Giuseppe Sacchini che difendono i due imputati, ma alla fine, il 13 novembre 1903, si riesce a emettere la sentenza:

Rosina e Santino sono assolti e subito rimessi in libertà.

Anche se tutti conoscono la loro colpa, l’onore, ipocritamente, è salvo.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.

 

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