– Fermiamoci un attimo… sono stanca – dice Vittorina Mustaccato, contadina di Falconara Albanese, a suo fratello Andrea e alle sue compaesane Maria Cocozza e Serafina Nesci. I quattro stanno stanno andando a zappare nelle montagne tra San Lucido e Falconara Albanese. Adesso sono nel bosco di contrada Savuco, che sta cominciando a vegetare rigogliosamente visto che è la fine di aprile. Aprile 1907.
Sono da poco passate le sei di mattina quando Vittorina si siede sopra una ceppaia di castagno e tira un lungo respiro per riprendere fiato. Gli occhi le vanno su qualcosa che col bosco non ha niente a che fare: forse sono delle pezzuole biancastre o forse dei resti di carta:
– Andrea, vai a vedere che sono quelle cose bianche vicino a quel tronco – il fratello la accontenta, si avvicina agli oggetti, sbianca in volto e lancia un urlo. Accanto a quelle che sono delle fasce da neonato ci sono i resti del cranio di un bambino con i segni evidenti dei morsi di animali selvatici. Maria prende quello che resta del cranio e lo appende al ramo di un castagno per evitare che altri animali possano continuare a rosicchiarlo e poi, accompagnata da Serafina, torna indietro per avvisare le autorità del macabro rinvenimento. Vittorina e Andrea proseguono il cammino verso la proprietà ma, fatti un centinaio di passi, avvertono distintamente l’abbaiare di alcuni cani e la donna torna indietro per accertarsi che gli animali non abbiano preso gli ossicini. Con sorpresa e sgomento si accorge che le bestie sono riuscite a far di nuovo scempio dei poveri resti e del cranio non c’è più traccia.
Quando, la mattina dopo, i Carabinieri vanno sul posto accompagnati da Maria Cocozza trovano solo le fasciature fatte di stoffa vecchia e di infima qualità, sporche di sangue di colore ancora vivido. “Chi ha lasciato qui la creaturina l’ha fatto solo pochi giorni fa” pensa il Maresciallo Dequerquis, il quale comincia ad indagare per capire se una donna – che potrebbe abitare tra i comuni di San Lucido, Falconara Albanese e Fiumefreddo Bruzio – abbia potuto partorire nelle due settimane precedenti.
Passa qualche giorno ma i risultati delle indagini sono deludenti e il Maresciallo Dequerquis non sa a che santo votarsi, quando gli portano la notizia che due contadini avrebbero visto una ventina di giorni prima, un tale, Michele Mustaccato, che con un bambino o una bambina in braccio si dirigeva verso la montagna. I due contadini avrebbero anche chiesto al quindicenne Michele dove portasse il bambino e quello gli avrebbe risposto che lo portava da due donne in contrada Acquabianca per darlo a balia. È solo un lumicino in una notte buia ma il Maresciallo non vuole lasciare nulla di intentato e fa interrogare le due donne, le quali sembrano cadere dalle nuvole: dell’allattamento di quel bambino o bambina che fosse non ne sanno niente e non hanno nemmeno ricevuto una visita da Michele Mustaccato. È evidente che qualcosa non quadra. Bisogna parlare con Michele. Ma il quindicenne Michele, con tutta la sua famiglia, è scomparso insapettatamente e con sorpresa del vicinato dalla casa colonica nel fondo di Antonio Losso, proprio dietro il convento di San Lucido. Forse, si dice, se ne sono andati a Cosenza in cerca di lavoro, perché lì abita Gaetano Polizio, il drudo di Serafina, la sorella di Michele.
Dequerquis telegrafa ai colleghi del capoluogo, ma neanche in città si hanno loro notizie. Sembrano tutti spariti nel nulla e la coincidenza temporale tra l’avvistamento di Michele col bambino o bambina in braccio e la sparizione di tutta la famiglia convince il Maresciallo che è stato il ragazzo ad abbandonare la creaturina, viva o morta che fosse, nel bosco. L’unica cosa che sembra certa è che la sorella di Michele non era incinta e quindi le indagini continuano per scoprire l’identità della donna che ha partorito.
E finalmente pare essere arrivata la svolta. Si viene a sapere che il due aprile una certa Serafina Iorio di San Lucido ha partorito senza dichiarare la nascita all’Anagrafe comunale e ha affidato la creatura a due donne, Maria Romeo e Teresa Iorio, affinché la consegnassero a Serafina Mustaccato (si scoprirà che il suo vero nome è Serafina Marchese) per allevarla o portarla al brefotrofio di Cosenza, previo il pagamento di 10 lire che avevano precedentemente pattuito.
Maria Romeo e Teresa Iorio, dopo alcune reticenze, ammettono di essersi prestate a consegnare la creatura, una bambina, a Serafina. Anche la trentacinquenne madre della bambina conferma e racconta:
– All’età di diciassette anni sposai Raffaele Calomino che poco tempo dopo emigrò in America in cerca di fortuna e mi lasciò, incinta, da sola. Partorii un maschietto che crebbi col frutto del mio lavoro per sei anni, poi raggiunsi mio marito Allamerica. Il bambino si ammalò e morì; da allora cominciarono i litigi con mio marito che mi riteneva responsabile della morte. Cominciarono anche i maltrattamenti che durarono per un paio di anni durante i quali io, risparmiando centesimo su centesimo, misi da parte i soldi per il viaggio e me ne tornai in paese. L’anno scorso ebbi la debolezza di cedere alle lusinghe di Antonio Losso e restai incinta. Poi Antonio a ottobre si sposò e mi lasciò. La mia gravidanza procedette normalmente e il due di aprile ho partorito, in casa e da sola, una bambina. Ero convinta di non poterla tenere e perciò parlai con Serafina, chiedendole solo se fosse stata disposta a prendersi una creatura ma senza specificare che era mia, e la convinsi a prendersi la bambina per allevarla o, se non ce l’avesse fatta, per portarla al brefotrofio. Così, dopo aver partorito e fasciata la mia bambina, l’ho affidata, dandole anche dieci lire per il favore, a Maria Romeo la quale mi disse di avere paura ad andare da sola a casa di Serafina e insistette per farsi accompagnare da Teresa Iorio. Io le raccomandai di non fare parola con Serafina che la bambina era mia e lei promise di stare zitta. Tre giorni dopo il parto andai a parlare con Antonio Losso per farmi dare qualche soldo e lui mi dette dieci lire che io feci avere a Serafina insieme a vestiario e a roba da mangiare. Dopo qualche giorno ho visto Serafina, i suoi due bambini e suo fratello Michele che si allontanavano dal paese ma non avevano con loro la mia bambina.
Serafina Iorio, Maria Romeo e Teresa Iorio vengono arrestate, ma le ricerche della famiglia Mustaccato continuano perché è tra i suoi componenti che bisogna cercare chi ha materialmente abbandonato nel bosco, viva o già morta, la neonata.
Il Maresciallo Dequerquis però non può escludere che nella faccenda ci sia implicato anche Antonio Losso, il padre della creatura. Avrebbe avuto interesse a farla sparire per eliminare possibili tentativi di ricatto da parte di Serafina Iorio e avrebbe avuto, essendo il datore di lavoro della famiglia Mustaccato, la forza per convincerli a fare qualcosa per lui. Ma le indagini in questa direzione non portano a niente, Antonio è completamente estraneo alla faccenda.
Michele e Serafina sono rintracciati il 27 giugno in contrada Mulini a Cosenza e subito interrogati. I due fratelli scaricano ogni responsabilità l’uno sull’altra. Così Michele ricostruisce i fatti:
– Nella notte tra il due e il tre aprile io stavo dormendo quando vennero a casa due donne che consegnarono a mia sorella una bambina. Però dopo quattro giorni è morta di morte naturale e mia sorella mi dette l’ordine di andare a gettare il cadavere alla montagna nel bosco Savuco di San Lucido. Io non volevo andarci ma lei mi minacciò e io ubbidii e gettai il cadavere in un posto che mi era noto perché ci facevo pascolare degli animali per conto di Giovanni Porco, ma il bosco è della famiglia Giuliani. Io la bambina l’ho gettata che era già morta, non ho fatto niente di male…
– Ma ci sono dei testimoni che affermano di averti visto con la bambina in braccio, ai quali hai detto che la stavi portando a due donne per farla allattare – gli contesta il giudice.
– Non è vero che gli ho risposto. Loro mi hanno chiesto dove stessi andando con la bambina e io, semplicemente, non ho risposto.
Poi è la volta di Serafina Marchese:
– Pochi giorni prima della data stabilita per il trasferimento della mia famiglia a Cosenza in cerca di lavoro, visto che il fondo che coltivavamo era improduttivo, Maria Romeo e Teresa Iorio mi portarono una bambina da tenere perché non sapevano a chi affidarla. Io dissi loro che non potevo tenerla perché ero sola in quanto mia madre era già andata a Cosenza, ma loro la posarono sul mio letto e se ne andarono. Che dovevo fare? Me la tenni dicendo loro che la mattina dopo sarei andata al comune a registrarla per non avere responsabilità, ma le due donne mi sconsigliarono dicendomi che se si fosse saputo il nome della madre sarebbe scoppiato uno scandalo e così non la registrai. Dopo due o tre giorni, non avendo che darle da mangiare, io non ho latte e sono poverissima, mandai a dire a Maria che non potevo più tenerla e che se non trovavano una soluzione la piccola sarebbe morta presto. Loro mi risposero che dovevo mandarla al brefotrofio per mezzo di mio fratello. E così feci, solo che Michele non voleva andare e ho dovuto insistere parecchio per farlo partire con la bambina, che era viva. Gli detti una pezzuola e un po’ di zucchero per scioglierlo in acqua e, tramite la pezzuola, darlo da mangiare alla piccola durante il viaggio. Michele partì e stette via cinque o sei giorni. Io, al suo ritorno, gli chiesi della bambina e lui mi assicurò di averla regolarmente portata all’Ospizio di Cosenza. Dopo qualche giorno ce ne andammo in città. Giuro che non ho mai saputo chi fosse la madre della bambina e non ho mai parlato dell’affidamento con Serafina Iorio, né è vero che ho ricevuto vestiario e roba da mangiare.
Uno dei due, o forse entrambi, sta mentendo, bisogna metterli a confronto e gli esiti sono drammatici:
Serafina:
– Io ti ho dato la bambina viva per portarla a Cosenza. ti ho dato anche delle pezzuole e dello zucchero per farla mangiare e tu, quando sei tornato, mi hai detto che l’avevi lasciata all’Ospizio.
Michele:
– Non è vero! tu mi hai dato la bambina morta e mi hai imposto di gettarla nel bosco altrimenti mi avresti bastonato.
Serafina:
– Non è vero! come ti viene in mente di dire che la bambina era morta? Io te l’ho data viva! Sei stato tu ad ammazzarla!
Michele:
– Tu prima hai disonorato la famiglia e adesso vuoi mandarmi in galera.
I due verranno sottoposti ad altri interrogatori e confronti e sempre più si rafforza il convincimento che Michele si sia, in effetti, sbarazzato della bambina quando era ancora viva.
Quando le indagini sono ritenute complete, la Procura del re chiede che la Sezione d’Accusa si pronunci sulla posizione di tutti e cinque gli arrestati, più Armenia Fionda, la madre di Serafina e Michele, perché sono emersi alcuni dubbi sul fatto che potesse avere consigliato, in qualche modo, ai figli a sbarazzarsi della bambina.
Ma la Procura la sua idea sulle singole responsabilità ce l’ha e scrive: non è del tutto improbabile che, fidando i due fratelli sulla impossibilità del rinvenimento, non si siano preventivamente intesi sulle giustificazioni da dare e che la Marchese abbia preferito riversare ogni responsabilità sul fratello, conoscendo che qualcuno aveva visto viva la bambina da lui portata al bosco. (…) Essi quindi debbono rispondere dell’abbandono, in luogo solitario, da cui derivò la morte, dell’infelice bambina che era affidata alla cura e alla custodia della Marchese.
Detto ciò, la Procura formula la richiesta di non luogo a procedere nei confronti della madre della bambina, Serafina Iorio, delle due donne che l’hanno aiutata, Maria Romeo e Teresa Iorio, e della madre dei due principali accusati, Armenia Fionda. Meritevoli di essere sottoposti al giudizio della Corte d’Assise restano Serafina e Michele.
Serafina, l’otto febbraio 1909, viene assolta. Michele se la cava con sedici mesi di reclusione.[1]
In fondo un bambino non vale granché, può essere lasciato in pasto alle bestie, colpevoli, queste, solo di avere fame.
I CAMINANTI-Quando gli zingari rubavano galline
[1] ASCS, Processi Penali.
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