QUEL VECCHIO DEPRAVATO

Sembra una notte tranquilla quella del 27 giugno 1909 in casa di Giuseppe Bevacqua. Nell’unica stanza da letto del fabbricato rurale posta in contrada Petrarizzi, nei dintorni di Maione, stanno dormendo, in tre letti separati, il quarantottenne capofamiglia in quello a sinistra di chi entra, le due figlie più grandi Bernardina di 14 anni e Angela di 12, insieme alla ventenne Maria Bevacqua – fidanzata del loro fratello maggiore Carmine – in quello sulla destra e le quattro bambine più piccole nel lettino di fronte alla porta.
Mancano da casa, la notte del 27 giugno, Francesca Gigliotti, trentasettenne moglie di Giuseppe, la quale è andata dal suo amante a Motta Santa Lucia, e i due figli maschi Carmine di 18 anni, che è andato alla fiera di Nicastro, e Antonio di 16 che preferisce dormire a casa di amici.
All’improvviso, verso le due, una specie di rantolo, come se qualcuno stesse vomitando, turba la tranquillità della casa.
Svegliatevi che vostro padre si vomita – dice Maria Bevacqua alle due ragazze scuotendole, poi si alza guidata dalla fioca luce che emette quello che resta della brace nel focolare, la ravviva soffiandoci sopra e accende un lumino. Le tre ragazze guardano verso il letto dove dorme Giuseppe per vedere come sta, ma ciò che vedono le fa urlare di terrore: il loro padre e suocero, completamente nudo, sanguina abbondantemente da due vaste ferite, una alle spalle e una alla gola. Lo chiamano ma non può rispondere: è morto.
Le tre ragazze, terrorizzate, urlano a squarciagola per richiamare l’attenzione delle famiglie che abitano nelle vicinanze ma nessuno risponde. Maria apre la porta di casa, esce sullo sconquassato ballatoio di legno e continua a urlare più forte che può ma inutilmente. Tutte quelle grida svegliano le bambine più piccole che cominciano a piangere e così Maria, quella che mantiene i nervi più saldi, ordina a tutti di uscire di casa e di andare a rifugiarsi da Domenico Aiello.
– Ho sentito un grido soffocato venire dal letto di mio padre – Maria Bevacqua così chiama il futuro suocero – seguito da un fruscio di vestiti e dal rumore di qualcuno che stava uscendo dalla porta che lui lasciava sempre aperta per sentire gli animali… poi mi sono alzata e…
Alle prime luci dell’alba, finalmente, arrivano gli altri vicini a vedere cosa è accaduto. Durante la notte non si erano preoccupati perché abituati a sentire le urla della moglie di Giuseppe per le continue liti familiari. Ma ora è diverso, ora c’è scappato il morto!
I Carabinieri e il Pretore di Grimaldi arrivano verso le dieci di mattina e cominciano a indagare. Arrivano, a breve distanza l’una dall’altro, anche la moglie e il figlio maggiore di Giuseppe. I Carabinieri già hanno saputo delle liti tra i coniugi e si insospettiscono quando sanno che la moglie, partendo, aveva detto che sarebbe tornata il venerdì mentre è tornata un giorno prima. Perché? È ovvio che questa circostanza la faccia mettere in cima alla lista dei sospettati. E se è sospettata Francesca Gigliotti, è evidente che debba essere sospettato anche il suo amante, Giuseppe Chirillo. Ma i testimoni interrogati giurano che Giuseppe aveva qualche altro nemico e che bisogna indagare anche su di questi.
C’è un certo Gennaro Floro, bovaro, che aveva gravi motivi di risentimento nei confronti della vittima perché pochi mesi prima gli aveva messa incinta la figlia:
– Mia figlia era stata precedentemente violentata da un certo Antonio Aiello e io, allora come ora, ho sopportato l’onta al mio onore. Quando Giuseppe Bevacqua mise incinta mia figlia i miei rapporti con lui si sono interrotti, mentre col resto della sua famiglia i rapporti sono buoni anche perché deploravano la condotta del padre. Sono un uomo solo e non scacciavo di casa mia figlia soltanto per necessità… non mi sono mai sognato di vendicarmi anche se qualche volta, litigando con lui, ho usato delle parole anche minacciose… – poi racconta ciò che ha sentito quella mattina presto – stamattina sono andato a vedere ma non ho avuto il coraggio di entrare a casa e me ne sono andato. Sono ritornato poco dopo e ho trovato il figlio piccolo, Antonio, che, quasi indifferente, faceva uscire le vacche dalla stalla e diceva: La ‘Ncina deve pagarlo… signor Giudice, dovete sapere che con quel nome chiamano Maria Bevacqua…
Già, Maria Bevacqua, la ventenne fidanzata di Carmine. Gli inquirenti scoprono molte cose su di lei e sulla sua presenza in casa del morto. Maria è di Motta Santa Lucia, al confine tra le province di Cosenza e Catanzaro, e dello stesso paese è la famiglia di Giuseppe che, seppur portando lo stesso cognome, non è imparentata con quella della ragazza. Un anno e mezzo prima, Carmine, allora poco più che sedicenne, si invaghisce di Maria, di quasi due anni più grande, e prega i genitori di aiutarlo a sposarla, ma i genitori della ragazza si oppongono e Giuseppe, per accontentare il figlio, ne organizza il rapimento e la portano nella casa colonica dove abitano, che dista solo pochi chilometri da Motta. I mesi passano ma Giuseppe e la moglie non si decidono ancora ad andare a parlare con il padre di Maria per riparare col matrimonio al rapimento. Perché? Presto detto:
Le intenzioni dell’ucciso Bevacqua verso la giovine Maria Bevacqua non erano buone essendomi accorto sia dalle premure troppo sollecite che il Bevacqua stesso rivolgeva alla Maria e sia anche perché l’ucciso diverse volte mi disse che per la Maria ci pensava lui solo e che essa non aveva nulla da temere. Una volta mi trovai presente a Pitrarizzi quando il Bevacqua stando vicino alla Maria la carezzava e la toccava in ogni parte, al che la giovinetta non opponeva resistenza – dice Arcangela Mendicino.
Ho notato un contegno troppo attaccato alla Bevacqua Maria la quale conviveva in sua casa. spesso sorprendevo il Bevacqua a palpeggiare la Maria, la quale secondo lui doveva essere la padroncina della casa sua – racconta Rosa De Caro.
Mio marito viveva tenero della Bevacqua alla quale secondava ogni desiderio e ciò contrastava con l’abbandono in cui lasciò sempre la mia persona. Non so perché ciò facesse ma la gente diceva che avesse delle intenzioni non legittime verso la Bevacqua stessa – dice la vedova.
Quindi Giuseppe Bevacqua era un uomo che si dava da fare con le ragazze.
Gli inquirenti, acquisite molte testimonianze che raccontano dei dissapori esistenti tra la vittima e l’amante della moglie, non solo per via della relazione adulterina ma anche per una vecchia storia relativa a una falsa testimonianza resa da Giuseppe ai danni del padre di Chirillo durante il processo che lo vedeva imputato, e poi condannato per omicidio, concentrano la propria attenzione sulla pista che porta alla famiglia di Maria Bevacqua perché, oltre alle premurose attenzioni che Giuseppe riservava alla ragazza, è spuntata un’altra circostanza molto significativa: il categorico rifiuto di Giuseppe a concedere il benestare alle nozze tra Carmine e Maria è seguito dall’inizio delle trattative con la famiglia di Caterina Villella per arrivare alle nozze tra questa e Carmine. Ovviamente la famiglia di Maria non prende molto bene questa notizia e i sospetti si addensano anche su Vincenzo Bevacqua, padre della ragazza
Un giorno del mese di aprile, mentre io ero col Bevacqua a costruire un ponte sul Savuto, vennero il padre ed il cognato della ‘Ncina e fecero premure perché avesse indotto il figlio a sposare costei. Il Bevacqua, non curante, rispose che a lui non importava e che non avrebbe mai dato il consenso al figlio – racconta Gennaro Floro
Il 14 giugno andai a Motta Santa Lucia in occasione della festa di S. Antonio e là ebbi occasione di incontrarmi con Saveria Bevacqua, madre di Maria Bevacqua, la quale mi diceva se io potevo interpormi per far fare il matrimonio tra la suddetta sua figliuola e Carmine Bevacqua. Io le risposi che non volevo aver che fare col padre di costui, il quale era una persona che non troppo era trattabile e che d’altra parte lo stesso andava dicendo che la Maria doveva stare sotto la sua coscia. La Bevacqua Saveria insistette ancora col dire che i figli dall’America avevano scritto che oltre la dotazione di mille lire per la loro sorella, loro erano disposti di pagare anche il viaggio per gli sposi se costoro volessero emigrare. Mi aggiunse anche che la condotta del padre di Carmine Bevacqua era stata troppo cattiva a loro riguardo e che magari per toglierselo di torno avrebbero regalato cento lire a chiunque l’avesse ucciso pur di non fare compromettere i suoi figli. – poi Felice D’Amore aggiunge – Io mi sono trovato qualche volta in contrada Petrarizzi ed ho notato che l’ucciso Bevacqua anche alla mia presenza faceva degli atti poco onesti alla Maria Bevacqua mettendole le mani in parti del corpo pudiche e Maria lo tollerava forse pensando che in questa sola maniera avrebbe potuto ingraziarselo per farla sposare col figliuolo Carmine.
E se davvero i fratelli di Maria fossero tornati clandestinamente dall’America e avessero ucciso Giuseppe Bevacqua? Si indaga anche su questo ma non si riesce a venirne a capo.
Intanto, per non sbagliare, il Giudice fa arrestare tutti i sospettati e si resta in attesa che qualcuno faccia un passo falso, cosa che non avviene.
Succede, però, che Maria in uno dei tanti interrogatori a cui è sottoposta, faccia delle dichiarazioni sconvolgenti:
– Sono stata io a uccidere Giuseppe Bevacqua mentre dormiva. Quella sera in casa non c’erano né la moglie e né i figli maschi. Dopo mangiato ho fatto coricare le bambine e mi sono messa a rammendare dei panni. Lui è uscito fuori la porta e ci è rimasto un poco poi, quando era sicuro che le figlie si erano addormentate, è rientrato, mi è venuto dietro afferrandomi per le spalle con un braccio e tappandomi la bocca con l’altra, poi mi ha trascinato sul suo letto e ha abusato di me. Quando ha finito mi ha lasciato andare e io, per non far accorgere di niente le bambine sono stata zitta e mi sono coricata come al solito con Bernardina e Angela. Lui si è addormentato subito perché l’ho sentito russare e io, riflettuta la triste posizione in cui ormai mi trovavo per opera di quel vecchio depravato, pensai di vendicare il mio onore e quello della mia famiglia. Mi alzai dal letto, accesi un lumino, presi la sua accetta, mi avvicinai a lui che dormiva rivolto con la faccia verso il muro e lo colpii con tutte la mie forze alle spalle. Egli ebbe la forza di gridare una o due volte e si rivoltò un poco. Io assecondai il colpo al collo e con questo colpo il manico dell’accetta si spezzò. Accertatami che il Bevacqua fosse morto, pulii e lavai l’accetta nella pozza di acqua che c’è fuori casa e la rimisi a posto sulla tavola dove solitamente teniamo il pane, poi svegliai le bambine e le feci uscire mettendomi a gridare per richiamare gente ma siccome non venne nessuno, andai con le bambine a casa di Domenico Aiello. Sono stata spinta al triste passo dalle continue ed insistenti richieste oscene del Bevacqua ed anche perché, stando in casa del Bevacqua da ormai quattordici mesi come moglie del figlio Carmine, attirata dalla promessa che costui mi avrebbe sposata, mi accorsi che avevano intavolato trattative di matrimonio con il padre di Caterina Villella per farla sposare al mio fidanzato. Questa era una manovra di Giuseppe Bevacqua il quale pensava che in questa sola maniera egli avrebbe potuto godermi a suo agio. Giuro di aver fatto tutto da sola e nessuno mi ha indotto a uccidere.
Su quest’ultimo punto il giudice vuole vederci chiaro perché non è convinto che sia tutta farina del sacco di Maria. Ma chi può averla aiutata o indotta a fare ciò che ha fatto? Forse Gennaro Floro per vendicarsi dell’offesa fatta alla figlia? O forse la moglie di Giuseppe per stare in pace col suo amante. E perché non l’amante Giuseppe Chirillo che avrebbe raggiunto il duplice scopo di godersi Francesca e di vendicare la condanna per omicidio subita dal padre con la falsa testimonianza di Giuseppe? E la famiglia di Maria non avrebbe avuto tutte le ragioni per vendicarsi e armarle la mano?
Ma per quante indagini si facciano non si riesce a trovare prove contro nessuno e la Procura del re è costretta a chiedere il proscioglimento per tutti gli imputati, tranne Maria Bevacqua per la quale viene chiesto e ottenuto il rinvio a Giudizio con l’accusa di omicidio premeditato. È il 28 dicembre 1906.
Maria, in attesa di giudizio viene trasferita nel carcere di Messina ma è fortunata. Le vengono assegnati come difensori d’ufficio due dei migliori avvocati del foro cosentino: Ernesto Fagiani e Nicola Serra, i quali hanno buon gioco a basare la difesa sulla personalità della vittima e sull’onore calpestato di Maria e della sua famiglia. L’otto ottobre 1907 la giuria della Corte d’Assise di Cosenza la manda assolta dall’accusa e il Presidente della Corte ne dispone l’immediata scarcerazione. [1]

 

[1] ASCS, Processi penali.

Lascia il primo commento

Lascia un commento