LI STENTINA ‘MPACCHIATE di Cinzia Altomare

È la notte del 28 dicembre 1777, domenica, e Domenico Perri di Marzi sta dormendo con sua moglie e i suoi figli nella torre di Malabrina del signor Decano don Pelio De Bonis. Steso sul pavimento di nuda terra c’è anche Gregorio Fuoco che si trova lì per riscuotere il pagamento di alcune giornate fatte con i suoi buoi ed è stato sorpreso dalla notte. All’improvviso si sente bussare alla porta: 
– Chi è? Che volete? – urla dal letto.
– Sono Giovanbattista Gabriele, il figlio di Tommaso… apri… dammi in prestito un po’ di carne ca haju li stentina ‘mpacchiate!
Domenico conosce Giovanbattista e, vestitosi alla meno peggio, va ad aprire senza timore ma non appena mette la testa fuori dalla porta due uomini lo afferrano e lo trascinano fuori.
Abbiano saputo che tieni una brava scoppetta – gli dice uno a muso duro.
Jo, quale scoppetta aju? – risponde Domenico impaurito.
Con un ghigno, quello che sembra il capo ordina a Giovanbattista:
Va pigliala tu.
Il giovane entra e comincia a rovistare nell’oscurità, attenuata solo da un po’ di brace rimasta nel centro della stanza, tastando i muri centimetro per centimetro.
Jo non la posso trovare – dice ai due i quali, ladri ed assassini armati con ogni sorte d’armi, gli ordinano di continuare a cercare perché la scoppetta c’è di sicuro. E infatti, dopo lunghe ricerche, riesce a trovarla e la consegna ai compari. Quelli la controllano, la svuotano della polvere con cui è caricata e la ridanno a Giovanbattista.
Abbiamo saputo ch’ai ammazzato un bel porco, vogliamo un poco di carne… – dice a Domenico quello che sembra il capo. Poi, prendendolo per la collottola, lo trascina in casa e si presero le due langhe o filetti, un pezzo di lardo, e li magri delle spalle con il fegato, quale fegato nella torre istessa se lo frissero e se lo mangiassero assieme con pane, e vino loro, quale carne poi la legarono in due servietti e la diedero a portare assieme colla suddetta scoppetta al suddetto Giovambattista, e se ne andarono.
Mentre Domenico, la sua famiglia e Gregorio Fuoco ancora tremano dalla paura, si ripresenta Giovanbattista che, a colpo sicuro, si prende la fiaschetta con la polvere da sparo e se ne va.
Ma quella notte Domenico Perri non è il solo ad avere passato un brutto quarto d’ora. Infatti gli sconosciuti hanno assalito anche Tommaso Gabriele d’avanti il cancello della Torre di Valle di Rinzo.
Cosa vi ho da servire? – li anticipa Tommaso che ha capito l’antifona.
Vogliamo un po’ di tabacco – gli fa uno dei due porgendogli una tabacchiera. Tommaso la prende, rientra in casa e gliela riporta colma di tabacco. In questo momento un ragazzo si affaccia a una finestra e i ladri chiedono a Tommaso chi sia.
E’ un figliolo mio.
Chiamalo, che lo vogliamo mandare a Belsito.
Giuseppe vieni qua – il ragazzo ubbidisce e i due sconosciuti gli danno l’incarico di andare a Belsito da don Nicola Pincitore acciò loro avesse mandato docati trenta, e pane. Quando dopo un bel pezzo il ragazzo torna e porta solo un pane e un tortano, i ladri vanno su tutte le furie e strapazzano per bene Tommaso perché pensano che i soldi se li sia rubati il figlio e vorrebbero i trenta ducati da lui. Poi capiscono che il ragazzo dice la verità, cambiano obiettivo e domandarono tutte le scoppette, ch’erano nella suddetta Torre, e Tommaso Gabriele andò solamente a prendere le due scoppette, ch’erano del detto Signor Decano, e lasciò la sua e quella di suo Nipote; e tutte le suddette robbe diss’egli esser state esposte dal detto Giovanbattista, con avere passati in sule spalle i suddetti ladri nel Vallone di Zigatone, ed in quello di Stupanti, da dove poi lo licenziarono.[1]
Vatti a fidare dei vicini…
[1] ASCS, Atti notarili.

Tutti i diritti riservati. ©Cinzia Altomare

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